Giurisprudenza – CORTE DI CASSAZIONE – Ordinanza 04 febbraio 2021, n. 2676
Danno alla professionalità, Danno alla salute, Conseguenza
della situazione lavorativa stressante, Situazione aziendale totalmente
cambiata dai punti di vista dell’organigramma e logistico, Modelli lavorativi
non più paragonabili, Sussistenza del pregiudizio di natura non patrimoniale,
in quanto scaturente dalla lesione di interessi costituzionalmente protetti,
Allegazione e prova dal lavoratore
Rilevato che
1. Il Tribunale di Bergamo, con la pronuncia n. 787
del 2013, pronunciando sul ricorso proposto da E.F. nei confronti della Banca
Nazionale del lavoro, ha accolto parzialmente la domanda e ha accertato il
demansionamento del ricorrente a far tempo dal febbraio del 2003 al febbraio
del 2005 e, per l’effetto, ha condannato la Banca convenuta al risarcimento del
danno alla professionalità quantificandolo nella misura del 25% della
retribuzione mensile percepita, oltre accessori; ha, invece, respinto la
domanda con riferimento al periodo successivo e anche le domande di
risarcimento del danno alla salute asseritamente subito dal lavoratore quale
conseguenza della situazione lavorativa stressante cui era Stato esposto e di
risarcimento del danno economico sempre conseguente al mutamento delle mansioni
che lo aveva riguardato.
2. La Corte di appello di Brescia, sui gravami hic
et inde presentati, con la sentenza n. 138 del 2015, in parziale riforma della
impugnata pronuncia, ha accertato il demansionamento del lavoratore sino al
giugno del 2007 e, per l’effetto, ha condannato la Banca al risarcimento del
danno alla professionalità subito dal dipendente, quantificandolo nella misura
del 25% della retribuzione mensile percepita, oltre accessori; per il resto ha
confermato la decisione del Tribunale.
3. Per quello che interessa in questa sede, i
giudici di seconde cure, in sintesi, hanno rilevato che: a) a seguito della
riorganizzazione aziendale del 2003, l’E. aveva subito un cambiamento delle
mansioni che aveva comportato una dequalificazione del dipendente che, da capo
di una sorta di succursale all’interno della filiale, che si occupava del
credito e aveva seguito, in particolare, il settore del credito alle grandi
imprese (sebbene non soltanto questo), divenne specialista di Reti Terze, appartenenti
alla divisione Retail con un incarico che, non tanto dal punto di vista del suo
inquadramento professionale di quadro di 4° livello quanto rispetto al valore e
al contenuto professionale delle precedenti mansioni, era dequalificante; b) le
mansioni, a differenza di quanto ritenuto dal primo giudice, non si erano
arricchite neanche nel 2005, quando al dipendente fu assegnato, in aggiunta, il
progetto Prospect e quando divenne assistente del direttore di area regionale
perché furono incarichi che non introdussero modifiche sostanziali di rilievo
nelle mansioni sino a quel momento svolte, con prosecuzione, quindi, del
demansionamento; c) dal 2007, a seguito della seconda ristrutturazione
aziendale, all’E. fu proposto dapprima un “ruolo di area” e cioè di
responsabile di Area del Polo Crediti, di responsabilità e di alto livello e,
successivamente, quello di specialista territoriale per i mutui fondiari
edilizi su quattro regioni: entrambi rifiutati di talché gli fu assegnato il
ruolo di Gestore Crediti Retail; d) le due proposte di mutamento delle mansioni
erano assolutamente confacenti al suo inquadramento e soprattutto al bagaglio
professionale e alle capacità acquisite nella sua lunga carriera presso la BIML
nonché idonei a colmare quell’impoverimento di mansioni che sino a quel momento
aveva caratterizzato la sua posizióne (post 2003); e) le negazioni opposte dal
dipendente erano del tutto prive di giustificazioni per cui doveva ritenersi
venuta meno ogni responsabilità della Banca per l’eventuale successiva
assegnazione di mansioni inferiori; f) il demansionamento patito andava,
quindi, rimodulato fino al giugno del 2007; g) il danno alla professionalità,
quantificato nel 25% della retribuzione, in relazione alla sotto-utilizzazione,
al comportamento di parte datoriale, alle modalità dei nuovi incarichi svolti e
la natura transeunte della dequalificazione, doveva ritenersi correttamente
dimostrato e determinato; h) non era stato provato un danno all’immagine né una
situazione stressante, patita dal lavoratore e imputabile alla Banca, così come
non era stato dimostrato l’asserito danno patrimoniale.
4. Avverso la decisione di secondo grado ha proposto
ricorso per cassazione F.E. affidato a otto motivi.
5. Ha resistito con controricorso la Banca Nazionale
del Lavoro spa, formulando ricorso incidentale sulla base di due motivi cui ha
resistito, a sua volta, con controricorso F. E..
6. Il PG non ha rassegnato conclusioni scritte.
7. Le parti hanno depositato memorie.
Considerato che
1. I motivi possono essere così sintetizzati.
2. Con il primo motivo del ricorso principale F. E.
denunzia la violazione e falsa applicazione dell’art.
2103 cc, dell’art. 73 del CCNL del 2005 e dell’art.
2087 cc, in relazione all’art. 360 n. 3 e n. 5
cpc, per avere la Corte di appello: a) escluso il demansionamento di esso
ricorrente per il periodo successivo al giugno 2007, errando nella comparazione
delle funzioni e dei poteri di sua competenza: in particolare, perché la
comparazione non era stata effettuata con riferimento al periodo precedente il
2003, ma con riferimento al periodo successivo, tra il 2003 ed il 2007, per il
quale era stato, invece, accertato il demansionamento; b) negato il
demansionamento, nel periodo successivo al giugno del 2007, e contestualmente,
affermato l’esonero di responsabilità del datore di lavoro “al
riguardo”, contemporaneamente, per equivalenza delle mansioni e per fatto
del ricorrente, con riscontrabile contrasto irriducibile tra affermazioni
inconciliabili; c) ritenuto equivalente, ai poteri e alle funzioni
precedentemente svolte dal lavoratore, i due incarichi, relativi a ruoli
all’epoca inesistenti, allo stesso proposti nel 2007 dalla Banca e per
contrasto irriducibile tra affermazioni inconciliabili nella sentenza avendo la
Corte territoriale attribuito rilevanza ed effetti contraddittori ad elementi
identici (potere di coordinamento di collaboratori e deleghe creditorie).
3. Con il secondo motivo sì censura la violazione e
falsa applicazione dell’art. 2103 cc nonché
l’omesso esame, ai sensi dell’art. 360 n. 5 cpc,
circa un fatto decisivo per il giudizio che è stato oggetto di discussione tra
le parti, per non avere la Corte di merito considerato che il ruolo di
“Gestore Crediti Retail” assegnato al lavoratore nel 2007, e da
questi svolto all’attualità, risultava – per specifici Accordi tra BNL e OO.SS
stipulati in armonia con i demandi della Contrattazione Nazionale – uno
sviluppo di carriera tutto nella “categoria inferiore” a quella cui
apparteneva L’E..
4. Con il terzo motivo il ricorrente si duole della
violazione e falsa applicazione dell’art. 2103 cc,
in relazione all’art. 360 n. 3 cpc, nonché
dell’omesso esame, ai sensi dell’art. 360 n. 5 cpc,
circa un fatto decisivo per il giudizio che è stato oggetto di discussione tra
le parti, per non avere considerato la Corte territoriale che non sussisteva
impossibilità, per il datore di lavoro, di offrire ed assegnare ad esso
dipendente mansioni che fossero equivalenti, per inquadramento e sostanza, a
quelle svolte nel 2003.
5. Con il quarto motivo si deduce la violazione e
falsa applicazione dell’art. 2103 cc nonché
l’omesso esame, ai sensi dell’art. 360 n. 5 cpc,
circa un fatto decisivo per il giudizio che è stato oggetto di discussione tra
le parti, nonché la violazione dell’art. 112 cpc,
in relazione all’art. 360 n. 4 cpc, per non
avere considerato la Corte di merito la “perdurante inattività” del
lavoratore a far tempo dall’assegnazione a suo favore del ruolo di
“Gestore Crediti Retail” nel 2007, ancora in atto.
6. Con il quinto motivo l’E. eccepisce la violazione
e falsa applicazione degli artt. 115 e 116 cpc, in relazione all’art. 2103 cc, all’art. 73 del CCNL del 2005,
nonché degli artt. 2087, 1218 e 1223 cc,
con riferimento all’art. 360 n. 3 cpc, per
avere la Corte di appello ritenuto irrilevanti, ai fini della valutazione sulla
intervenuta dequalificazione del ricorrente, i tratti qualificanti delle
mansioni svolte fino all’inizio del denunciato demansionamento, e venute meno
successivamente, senza effettuare l’esame in concreto delle mansioni e, con
riferimento all’art. 360 n. 5 cpc, per omesso
esame del documento (prodotto in data 8.7.2010 nel giudizio di primo grado)
relativo alla formazione, da cui poteva appunto desumersi l’avvenuta
mortificazione di ogni esigenza di formazione e di aggiornamento del
lavoratore.
7. Con il sesto motivo il ricorrente lamenta la
violazione e falsa applicazione degli artt. 115
e 116 cpc nonché degli artt. 2103, 1218, 1223 e 1226 cc, in
relazione all’art. 360 n. 3 e n. 5 cpc, per
avere la Corte di merito escluso la risarcibilità del danno non patrimoniale da
lui patito in conseguenza del demansionamento accertato ed attuale. Inoltre,
evidenzia che la Corte territoriale aveva omesso, applicando falsamente i
principi giurisprudenziali di legittimità, di considerare che gli elementi di
fatto allegati e risultati accertati in giudizio, ben potevano essere valutati
ai fini della prova presuntiva del danno non patrimoniale, come statuito dalla
Corte di cassazione.
8. Con il settimo motivo si sostiene la violazione e
falsa applicazione degli artt. 115 e 116 cpc nonché degli artt.
2103, 1218, 1223,
1226, 2727 e 2729 cc, in relazione all’art. 360 n. 3 e n. 5 cpc, per avere la Corte
territoriale escluso la risarcibilità del danno non patrimoniale da perdita di
“chance”.
9. Con l’ottavo motivo il ricorrente denunzia la
violazione e falsa applicazione degli artt. 115
e 116 cpc nonché degli artt. 2103, 2087, 1218, 1223, 1226, 2727, 2729 cc, in relazione all’art. 360 n. 3 cc, nonché l’erronea applicazione
dei principi giurisprudenziali in materia, per avere la Corte di merito escluso
la sussistenza del denunciato “straining” da parte del datore di
lavoro nei suoi confronti e del connesso risarcimento del danno (straining:
azione discriminatoria compiuta nei confronti di subalterno).
10. Con il primo motivo del ricorso incidentale la
società lamenta l’erroneità della sentenza gravata nella parte in cui era stato
ritenuto violato l’art. 2103 cc, con
riferimento all’incarico assunto dall’E. dal febbraio 2005 al giugno 2007
nonché l’omesso esame circa un fatto decisivo per il giudizio che era stato
oggetto di discussione tra le parti, ai sensi dell’art.
360 n. 5 cpc, perché la Corte territoriale, con una motivazione
contraddittoria, non aveva considerato che dal febbraio 2005 l’incarico
conferito al dipendente, nel progetto “Prospect”, aveva determinato
un aumento di competenze nel settore del credito (famiglie e privati),
nell’ambito territoriale (su tutta la Lombardia), nel coordinamento, sia pure
non in modo esclusivo, di risorse oltre ad essere divenuto uomo di fiducia e
collaboratore diretto del Direttore Regionale.
11. Con il secondo motivo si censura l’erroneità
della gravata sentenza nella parte in cui era stato liquidato il risarcimento
del danno, nel periodo dal febbraio 2005 al giugno 2007, in misura identica al
periodo lavorativo dal febbraio 2003 al febbraio 2005, nonché l’omesso esame
circa un fatto decisivo per il giudizio che è stato oggetto di discussione tra
le parti, ai sensi dell’art. 360 n. 5 cpc; in
particolare, per non avere la Corte dì merito ritenuto che gli incarichi
conferiti nei due periodi erano comunque diversi e ciò, pertanto, non
consentiva la medesima liquidazione, anche relativamente al secondo segmento
temporale, di quella valutata per il primo ove era stato considerato più grave
il demansionamento subito.
12. Il primo motivo del ricorso principale è
inammissibile per due ragioni.
13. La doglianza di cui alla lett. a) non coglie nel
segno della ratio decidendi della impugnata pronuncia.
14. Invero, la Corte territoriale ha effettuato la
comparazione delle funzioni, relative agli incarichi proposti all’E. nel 2007,
non con riferimento alle mansioni svolte dal 2003 in poi, ma con il periodo
precedente.
15. I giudici di seconde cure, a pag. 30 della
motivazione (3° cpv.) hanno, infatti, testualmente affermato che, relativamente
a quelli offerti nel 2007, si trattava di ruoli entrambi qualificanti e
certamente idonei a colmare quell’impoverimento di mansioni che sino a quel
momento aveva caratterizzato la posizione del lavoratore (post 2003),
sottolineando, poi, in punto di diritto, che l’idoneità dei suddetti ruoli deve
essere valutata -alla luce dell’orientamento giurisprudenziale abbastanza
consolidato – secondo cui l’equivalenza delle mansioni di cui all’art. 2103 cc va interpretato come conservazione
della professionalità del dipendente, da intendersi questa, a sua volta, in
senso dinamico, e cioè come capacità del lavoratore di recuperare nel nuovo
posto di lavoro la potenzialità acquisita.
16. L’assunto di cui al motivo non è, pertanto,
pertinente al decisum sul punto espresso dalla Corte di merito.
17. Le censure di cui ai punti b) e c) sono, invece,
inammissibili perché si risolvono nella critica della ricostruzione fattuale
delle mansioni, del giudizio di equivalenza in concreto e della interpretazione
e valutazione sul comportamento datoriale, ai fini dell’esonero della sua
responsabilità, finalizzate ad ottenere un riesame della vicenda, non
consentita in sede di legittimità ove è possibile la sola facoltà di controllo,
sotto il profilo della correttezza giuridica e della coerenza logico-formale,
delle argomentazioni svolte dai giudici di merito.
18. Sotto questo profilo non sono neanche
ravvisabili affermazioni inconciliabili e irriducibilmente contrastanti perché
la Corte territoriale, in una situazione aziendale ormai totalmente cambiata
dai punti di vista dell’organigramma e logistico rispetto a quella del 2003 e
in cui i modelli lavorativi non erano più paragonabili, ha ritenuto confacenti
alla qualifica e alle mansioni svolte in precedenza dall’E. i due ruoli
assegnati nel 2007, caratterizzato il primo, dalla natura di responsabile del
Polo Crediti di area (dell’intero settore Retail) e, cioè, vertice di un
ufficio operante su una determinata area, composto da varie figure attive nel
settore di detto tipo di credito, che egli avrebbe dovuto coordinare e gestire
e, il secondo, che lo avrebbe visto quale specialista referente per i mutui
fondiari edilizi, con competenza su ben quattro regioni.
19. Tale argomentazione è logicamente compatibile
con le ragioni del demansionamento, ravvisato nel periodo 2003-2005, desunte
dalla circoscrizione, per estensione territoriale e per tipo di mercato, ad un
segmento ristretto del mercato Retail, della mansione tecnica e specialistica e
perché i compiti aggiunti, nel 2005, non erano di contenuto tale da migliorare
la qualità delle sue mansioni.
20. L’opzione interpretativa del materiale
probatorio appare del tutto ragionevole ed è una espressione del giudice di
merito che non può essere sindacata nel suo esercizio (Cass n. 14212 del 2010; Cass n. 14911 del 2010).
21. Il secondo motivo è inammissibile per carenza di
decisività.
22. Il ricorrente fa riferimento, infatti, nella
censura ad accordi intervenuti tra BNL e le OO.SS. del 22.4.2011,
“stipulati in armonia con i demandi della contrattazione collettiva”,
di epoca ben successivi al deposito del ricorso di primo grado e che, pertanto,
non avrebbero potuto assumere alcuna rilevanza nel presente giudizio
riguardanti gli anni dal 2003 al 2009.
23. Il terzo ed il quarto motivo, che per
connessione possono essere esaminati congiuntamente, sono infondati.
24. L’art. 360 co. 1 n.
5 cpc, riformulato dall’art.
54 del D.l. n. 83 del 2012, conv. in legge n.
134 del 2012, ha introdotto nell’ordinamento un vizio specifico
denunciabile per cassazione, relativo all’omesso esame di un fatto storico,
principale o secondario, la cui esistenza risulti dal testo della sentenza o
dagli atti processuali, che abbia costituito oggetto di discussione tra le
parti e abbia carattere decisivo, nel senso che, se esaminato, avrebbe
determinato un esito diverso della controversia (per tutte Cass. n. 8053 del 2014).
25. Nel caso in esame, la Corte territoriale ha
adeguatamente esaminato la circostanza dedotta nel terzo motivo evidenziando
che le due organizzazioni aziendali avevano progressivamente trasformato
l’azienda e che il ruolo originariamente assegnato al sig. E. non esisteva più
già dopo la riorganizzazione avvenuta nel 2003; con riferimento alla
circostanza di cui al quarto motivo, poi, riguardante l’asserita inattività
dell’E., relativa agli anni 2009, 2010 e 2011, la circostanza non assume
decisività atteso che la Corte territoriale ha ritenuto esente da ogni
responsabilità la condotta della Banca che dal giugno del 2007 aveva proposto
al lavoratore due ruoli del tutto confacenti alla sua qualifica e alle mansioni
svolte in precedenza, che non erano stati però accettati.
26. Le denunciate violazioni di legge, ex art. 2103 cc, sono infine insussistenti in difetto
degli appropriati requisiti di erronea sussunzione della fattispecie concreta
in quella astratta regolata dalla disposizione di legge, mediante specificazione
delle affermazioni in diritto contenute nella sentenza impugnata che
motivatamente si assumano in contrasto con le norme regolatrici della
fattispecie e con l’interpretazione delle stesse fornite dalla giurisprudenza
di legittimità o dalla prevalente dottrina (Cass. n. 16038 del 2013; Cass. n.
3010 del 2012).
27. Prima di esaminare nello specifico il quinto,
sesto, settimo e ottavo motivo, deve preliminarmente dichiararsi
l’inammissibilità di tutte le censure riguardanti la dedotta violazione degli artt. 115 e 116 cpc.
28. In tema di ricorso per cassazione, infatti, una
questione di violazione e di falsa applicazione degli artt. 115 e 116 cpc
non può porsi per una erronea valutazione del materiale istruttorio compiuta
dal giudice di merito ma, rispettivamente, solo allorché si alleghi che
quest’ultimo abbia posto a base della decisione prove non dedotte dalle parti,
ovvero disposte di ufficio al di fuori dei limiti legali, o abbia disatteso,
valutandole secondo il suo prudente apprezzamento, delle prove legali ovvero
abbia considerato come facenti piena prova, recependoli senza apprezzamento
critico, elementi di prova soggetti, invece, a valutazione (Cass. n. 27000 del
2016; Cass. n. 13960 del 2014): ipotesi,
queste, non denunciate nel caso de quo.
29. Ciò premesso, venendo all’esame delle restanti
doglianze, il quinto motivo non merita accoglimento.
30. La Corte territoriale ha sottolineato che
l’incarico di specialista di Reti Terze, appartenente alla divisione Retail, fu
sminuente per il lavoratore non tanto dal punto di vista del suo inquadramento
di “Quadro di 4° livello” (il livello più alto prima della dirigenza)
quanto rispetto al valore e al contenuto professionale delle precedenti
mansioni, evidenziando che la mansione tecnica e specialistica a lui affidata
era rimasta circoscritta per estensione territoriale e per tipo di mercato, ad un
segmento ristretto del mercato Retail con una riduzione piuttosto significativa
delle mansioni fino ad allora svolte.
31. Ciò a prescindere dalla prevalenza del potere di
coordinamento di altre figure professionali e del conferimento di sub-deleghe,
che potevano anche essere non funzionali alle mansioni da svolgere proprie del
suo inquadramento.
32. Al di là di ogni altra questione afferente al
contenuto della clausola collettiva (art. 73), la Corte di merito ha
congruamente e idoneamente evidenziato come le mansioni di nuova assegnazione
(dal febbraio 2003) avessero mortificato la professionalità acquisita in
precedenza dal dipendente, operando un raffronto in concreto e non in astratto.
33. Tale giudizio costituisce un accertamento di
fatto incensurabile nella presente sede in quanto adeguatamente motivato sotto
i profili allegati.
34. La denunciata non corretta valutazione
dell’assenza dei poteri autorizzatori e di coordinamento, pertanto, non riveste
alcuna rilevanza e decisività a fronte della statuizione della Corte
territoriale favorevole all’E. che non può considerarsi sul punto soccombente.
35. In ordine, poi, all’asserito omesso esame del
documento relativo alla formazione professionale, va evidenziato che i giudici
di secondo grado hanno valutato il fatto storico (dichiarando che non era
risultato che l’E. fosse stato isolato o escluso dalle attività formative,
ovvero escluso dalle riunioni tenute dai superiori gerarchici, ovvero escluso
dalle riunioni tenute dai superiori gerarchici, richiamando la deposizione del
teste M.) per cui non si rientra nell’ambito operativo del vizio ex art. 360 n. 5 cpc, come sopra delineato.
36. Il sesto motivo è infondato.
37. La Corte di merito ha respinto la richiesta di
risarcimento dei danni non patrimoniali, quali il danno all’immagine, il danno
esistenziale o quello morale, rilevando la carenza di specifiche allegazioni,
non essendo sufficiente a tal uopo la prova della dequalificazione, connessa
all’inadempimento del datore di lavoro che, nella fattispecie, aveva portato
alla liquidazione del pregiudizio patito dal lavoratore quantificato nel 25%
della retribuzione.
38. Le conclusioni della Corte territoriale sono
conformi al consolidato orientamento di legittimità secondo il quale la
sussistenza del pregiudizio di natura non patrimoniale, in quanto scaturente
dalla lesione di interessi costituzionalmente protetti, deve essere allegata e
provata dal lavoratore, non essendo configurabile alla stregua del danno
“in re ipsa” (Cass. n. 29206 del 2019; Cass.
n. 4886 del 2020).
39. Né, in assenza di allegazioni circa la rilevanza
costituzionale della lesione alla persona e della sua gravità, è possibile fare
riferimento al procedimento per presunzioni, che richiede pur sempre la
presenza di indizi gravi, precisi e concordanti che siano fondati su elementi
diversi dal fatto in sé (Cass. n. 4005 del 2020 per il principio affermato) e
non devono consistere in meri disagi o fastidi.
40. Il settimo motivo è parimenti infondato.
41. La Corte di appello ha adeguatamente motivato il
mancato riconoscimento del danno da perdita di chances, precisando che: la
progressione cui l’E. avrebbe potuto aspirare, visto il suo inquadramento
all’epoca dei fatti (il massimo livello dei Quadri) era soltanto quella
dirigenziale, subordinata alla discrezionalità della Banca e che egli non
ottenne neanche prima del demansionamento, in occasione della prima
riorganizzazione interna del 2003; il demansionamento non aveva impedito alla Banca
di offrire all’E. ruoli del tutto confacenti a quello ricoperto prima del 2003,
se non addirittura superiori (come nel caso del posto di Responsabile del Polo
Crediti di Area).
42. Le argomentazioni dei giudici di seconde cure
sono state congruamente articolate e la loro critica, rappresentando una
valutazione delle risultanze istruttorie, non è consentita in questa sede.
43. Quanto, poi, al denunziato omesso esame, a tal
fine, del documento denominato “le politiche di remunerazione del
2011”, pur senza considerare la eventuale rilevanza in causa dello stesso
e la sua decisività sia in relazione al periodo di riferimento che al ruolo
svolto dal funzionario, deve osservarsi che la Corte territoriale ha
specificato, con riguardo alla domanda di risarcimento del danno patrimoniale,
che l’E. aveva mantenuto la retribuzione propria del suo inquadramento e aveva
pure goduto negli anni di vari premi e di una “una tantum”; inoltre,
è stato precisato che l’E. non aveva indicato la fonte contrattuale di questi
emolumenti e i requisiti fondanti gli stessi; né aveva esposto, in cifre
definite, l’ammontare degli stessi o le eventuali differenze tra la
retribuzione media percepita in precedenza e la retribuzione media percepita
successivamente.
44. Anche in questo caso, si tratta di un
accertamento circa la sussistenza e l’idoneità di una prova offerta a rendere
verosimile il fatto allegato che costituisce un apprezzamento di merito
insindacabile in sede di legittimità se congruamente e logicamente motivato
(Cass. n. 10484/2001; Cass. n. 5434 del 2003), come è avvenuta da parte della
Corte di merito.
45. Analoghe considerazioni portano a ritenere la
infondatezza anche dell’ottavo motivo.
46. La Corte territoriale ha escluso, sulla base
della istruttoria svolta, che fossero emersi elementi utili a dimostrare un
intento vessatorio o punitivo della Banca nell’assegnazione delle mansioni in
questione -e, quindi, anche di ipotesi di straining come invece ipotizzate dal
consulente di parte dell’E.- perché le modifiche di ruolo che avevano
riguardato il dipendente si erano inserite nell’ambito di processi di
riorganizzazione e ristrutturazione generale che avevano caratterizzato
l’istituto bancario e perché gli altri dati che erano stati dedotti a riprova
dell’ostilità dell’ambiente di lavoro, non avevano trovato alcun riscontro in
causa: infatti, non era risultato processualmente acquisita la circostanza che
l’E. fosse stato escluso dalle attività formative ovvero dalle riunioni indette
dai superiori gerarchici, né che l’originario ricorrente fosse stato privato di
subdeleghe o del suo ufficio senza valida ragione.
47. In punto di diritto, poi, le conclusioni della
Corte territoriale non meriano le censure mosse perché il cd.
“straining” è ravvisabile allorquando il datore adotti iniziative che
possano ledere i diritti fondamentali del dipendente mediante condizioni
lavorative “stressogene” (Cass n. 3291
del 2016) e non quando, invece, come nel caso in esame, la situazione di
amarezza, determinata ed inasprita dal cambio della posizione lavorativa, sia
determinata dai processi di riorganizzazione e ristrutturazione che avevano
coinvolto l’Istituto bancario nella sua interezza, come rilevato nella
fattispecie.
48. Passando all’esame del ricorso incidentale, va
rilevato che il primo motivo è inammissibile.
49. Il vizio o falsa applicazione di norme di
diritto, ai sensi dell’art. 360 co. 1 n. 3 cpc,
ricorre o non ricorre a prescindere dalla motivazione posta dal giudice a
fondamento della decisione (id est: del processo di sussunzione) sicché
quest’ultimo, nell’ambito del sindacato sulla violazione o falsa applicazione
di una norma di diritto, presuppone la mediazione di una ricostruzione del
fatto incontestata (ipotesi non ricorrente nella fattispecie); al contrario, il
sindacato ai sensi dell’art. 360 co. 1 n. 5 cpc
(oggetto della recente riformulazione interpretata quale riduzione al
“minimo costituzionale” del sindacato di legittimità sulla
motivazione (Cass. n. 8053 del 2014): anche
questa ipotesi non ricorrente nel caso in esame.
50. In verità, le doglianze di cui al suddetto
motivo si limitano a richiedere un mero ed inammissibile riesame delle circostanze
di causa, ampiamente esaminate dalla Corte di merito, che ha ritenuto la
sussistenza di un demansionamento patito dall’E. anche per il periodo febbraio
2005 – giugno 2007.
51. Il secondo motivo è, invece, infondato.
52. In tema di liquidazione equitativa del danno da
demansionamento, è sindacabile in sede di legittimità, come violazione dell’art. 1226 cc e, nel contempo, come ipotesi di
assenza di motivazione, di “motivazione apparente”, di
“manifesta ed irriducibile contraddittorietà” e di “motivazione
perplessa o incomprensibile”, la valutazione del giudice di merito che non
abbia indicato, nemmeno sommariamente, i criteri seguiti per determinare
l’entità del danno e gli elementi su cui ha basato la sua decisione in ordine
al quantum.
53. La Corte territoriale ha riconosciuto il danno
professionale, per il periodo successivo (febbraio 2005 – giugno 2007) negli
stessi termini individuati dalla sentenza di primo grado (25% della
retribuzione mensile) ove erano stati considerati, quali indici presuntivi, la
sotto-utilizzazione (rapportata però a quattro anni), la visibilità
professionale, restrizione del campo di azione, la natura transeunte della
dequalificazione sia pure di discreta durata.
54. Tali elementi sono stati richiamati, come detto,
anche per la liquidazione del danno per il periodo successivo, riconosciuto
dalla sola Corte di appello, di talché è stato dato conto del processo logico e
valutativo seguito (Cass. n. 24070 del 2017).
55. Né può assumere rilevanza la circostanza che gli
incarichi conferiti nel secondo periodo fossero maggiori rispetto a quelli del
primo, perché la sotto-utilizzazione costituiva solo uno degli indici posti a
base della liquidazione che ben può essere stato bilanciato, nella medesima percentuale
indicata dai giudici di merito, dalla maggiore durata della accertata
dequalificazione.
56. Alla stregua di quanto esposto, sia il ricorso
principale che quello incidentale devono essere rigettati.
57. La soccombenza reciproca induce a compensare
interamente tra le parti le spese del presente giudizio.
58. Ai sensi dell’art. 13, comma 1 quater, del DPR n.
115/02, nel testo risultante dalla legge
24.12.2012 n. 228, deve provvedersi, ricorrendone i presupposti
processuali, sempre come da dispositivo.
P.Q.M.
Rigetta il ricorso principale e quello incidentale.
Compensa tra le parti le spese del giudizio di legittimità. Ai sensi dell’art. 13, comma 1 quater, del DPR n.
115/02 dà atto della sussistenza dei presupposti processuali per il
versamento, da parte del ricorrente principale e della ricorrente incidentale,
dell’ulteriore importo a titolo di contributo unificato, pari a quello previsto
per il ricorso principale e per quello incidentale, a norma del comma 1 bis dello stesso art. 13,
se dovuto.