Prassi – ISPETTORATO NAZIONALE DEL LAVORO – Circolare 08 febbraio 2021, n. 1
Lavoro intermittente, Campo di applicazione, Ruolo della
contrattazione collettiva
L’Ufficio legislativo del Ministero del lavoro e
delle politiche sociali, con note prot. n. 930 e n. 931 del 1° febbraio 2021,
ha fornito importanti indicazioni in ordine al campo di applicazione del lavoro
intermittente, anche in ragione delle più recenti pronunce giurisprudenziali in
materia.
Una prima indicazione riguarda il ruolo della
contrattazione collettiva che, ai sensi dell’art. 13 del d.lgs. n. 81/2015, è
chiamata ad individuare le esigenze che giustificano il ricorso a tale
tipologia contrattuale “anche con riferimento alla possibilità di svolgere le
prestazioni in periodi predeterminati nell’arco della settimana, del mese o
dell’anno”.
Sul punto, il Ministero del lavoro si era già
espresso con risposta ad interpello n. 37 del 2008
e con nota prot. n.
18194 del 4 ottobre 2016, il cui contenuto, stando alle indicazioni ora
venute dallo stesso Ministero, deve ritenersi tuttavia superato alla luce della
sentenza della Corte di Cassazione n. 29423 del 13
novembre 2019.
Pur riferendosi alla analoga disciplina
dell’istituto contenuta nel d.lgs. n. 276/2003,
la richiamata sentenza ha evidenziato che “l’art. 34, comma 1, d.lgs
n. 276 del 2003 si limita, infatti, a demandare alla contrattazione
collettiva la individuazione delle <<esigenze>> per le quali è
consentita la stipula di un contratto a prestazioni discontinue, senza
riconoscere esplicitamente alle parti sociali alcun potere di interdizione in
ordine alla possibilità di utilizzo di tale tipologia contrattuale; né un
siffatto potere di veto può ritenersi implicato dal richiamato
<<rinvio>> alla disciplina collettiva che concerne solo un
particolare aspetto di tale nuova figura contrattuale e che nell’ottica del
legislatore trova verosimilmente il proprio fondamento nella considerazione che
le parti sociali, per la prossimità allo specifico settore oggetto di
regolazione, sono quelle maggiormente in grado di individuare le situazioni che
giustificano il ricorso a tale particolare tipologia di lavoro”.
La sentenza de qua mette dunque in evidenza la
circostanza secondo cui alle parti sociali è affidata l’individuazione delle
sole “esigenze” che giustificano il ricorso a tale tipologia contrattuale ed
anche il Ministero del lavoro ha posto in rilievo come “alle parti sociali non
sia stato riconosciuto alcun altro potere al di fuori di tale particolare
aspetto e, in special modo, il potere di interdire l’utilizzo di tale tipologia
contrattuale nel settore regolato”.
Ne consegue dunque la necessità di conformarsi alla
pronuncia della Suprema Corte, nel senso di non tener conto, nell’ambito
dell’attività di vigilanza, di eventuali clausole sociali che si limitino a
“vietare” il ricorso al lavoro intermittente.
In tali casi – ferme restando le indicazioni già
fornite in altre occasioni in ordine all’inefficacia delle clausole
contrattuali in materia di lavoro intermittente da parte di contratti
sottoscritti da soggetti privi del requisito della maggiore rappresentatività
in termini comparativi – occorrerà quindi verificare se il ricorso al lavoro
intermittente sia invece ammissibile in virtù della applicazione delle ipotesi
c.d. oggettive individuate nella tabella allegata al R.D.
n. 2657 del 1923 ovvero delle ipotesi c.d. soggettive, ossia “con soggetti
con meno di 24 anni di età, purché le prestazioni lavorative siano svolte entro
il venticinquesimo anno, e con più di 55 anni”.
Lavoro intermittente e autotrasporto
La anzidetta questione è collegata a quella
concernente la possibilità di ricorrere al lavoro intermittente nel settore
dell’autotrasporto.
Il Ministero del lavoro ha al riguardo chiarito che
l’attuale contrattazione collettiva di settore non contiene specifiche
previsioni in ordine alla individuazione delle “esigenze” per le quali è
consentita la stipula del contratto intermittente.
Di conseguenza – ferma restando l’eventuale presenza
di ipotesi c.d. soggettive – si deve fare riferimento alla citata tabella
allegata al R.D. n. 2657 del 1923 che, tra le
attività da considerare di carattere discontinuo annovera, al punto 8, quella
del “personale addetto al trasporto di persone e di merci: personale addetto ai
lavori di carico e scarico, esclusi quelli che a giudizio dell’ispettorato
dell’industria e del lavoro non abbiano carattere di discontinuità”.
Stante la formulazione della disposizione (e la
punteggiatura in essa utilizzata) il Ministero ha argomentato che la
discontinuità è dunque riferibile alle attività del solo personale addetto al
carico e allo scarico, quale ulteriore “sotto categoria” rispetto a quanti sono
adibiti al trasporto tout court, “con esclusione delle altre attività ivi
comprese quelle svolte dal personale con qualifica di autista”.
A questa interpretazione – ha altresì precisato il
Ministero – non è di ostacolo la citata sentenza
n. 29423/2019 la quale, come sopra accennato, si è limitata a stabilire il
principio secondo cui non è previsto, in capo alla contrattazione collettiva,
alcun potere di interdire il ricorso a tale tipologia contrattuale, senza
dunque affrontare la questione interpretativa del punto 8 della tabella
allegata al R.D. n. 2657 del 1923.