Giurisprudenza – CORTE DI CASSAZIONE – Ordinanza 27 gennaio 2021, n. 1760
Pensionato, Attività prestata quale coadiutore familiare,
Contributi dovuti alla Gestione Commercianti, Requisito dell’abitualità della
prestazione anche in ipotesi di limitato apporto quantitativo della
collaborazione resa
Rilevato che
la Corte d’appello di Firenze (sentenza del 16
ottobre 2014) ha accolto l’impugnazione proposta dall’Inps avverso la sentenza
con la quale il Tribunale di Livorno aveva accolto l’ opposizione di G.D. alle
cartelle esattoriali concernenti il pagamento di contributi dovuti alla
Gestione Commercianti, in relazione all’attività prestata dal proprio padre
(M.D.), quale coadiutore familiare, presso l’impresa ristoratrice di proprietà
della s.n.c. G. di cui G.D. era socio; la Corte di merito ha accertato che: con
lettera del 26 maggio 2005, la s.n.c. G. aveva comunicato all’Inail che M.D.
era stato iscritto come coadiutore familiare, dal 20 maggio 2005, del socio
G.D.; che in sede ispettiva lo stesso M.D. aveva riconosciuto di aver
collaborato con il proprio figlio G. da circa tre anni, di essere pensionato e
di prestare tutti i giorni aiuto in cucina non svolgendo altra attività; tali
circostanze, per essere documentali e rese nell’immediatezza degli accertamenti,
resistevano ai tentativi dei testi escussi di sminuire la loro portata e
comportavano l’obbligo di iscrizione alla gestione commercianti con conseguente
fondatezza della pretesa contributiva dell’Inps;
così ha riformato la sentenza impugnata ed ha dichiarato
dovute le somme iscritte a ruolo per il periodo 20 maggio 2005 – 31 dicembre
2008;
per la cassazione della sentenza, propone ricorso
G.D. con quattro articolati motivi, cui resiste l’Inps con controricorso;
Considerato che
con il primo motivo il ricorrente deduce la
violazione e falsa applicazione dell’art. 1, commi 202 e 203, della legge
23.12.1996 n. 662, nonché della circolare del
Ministero del lavoro n. 10478, in ragione del fatto che i requisiti
richiesti per l’iscrizione obbligatoria alle lettere da a) a d), avrebbero
dovuto essere tutti presenti in modo cumulativo e non alternativo e che
comunque non erano stati accertati i caratteri dell’abitualità e della prevalenza;
con il secondo motivo si deduce la violazione degli artt.
2697 e 2700 cod. civ. e 115 c.p.c., dolendosi il ricorrente dell’errata
individuazione, da parte della Corte di merito, dei presupposti dell’obbligo di
iscrizione alla gestione commercianti basandosi sulle mere risultanze
dell’accertamento ispettivo; con il terzo motivo si denuncia la violazione
dell’articolo 21, comma 6, d.l. n. 269 del 1993 conv. in legge n. 326 del 1993,
per aver ritenuto integrato il requisito dell’abitualità della prestazione
anche in ipotesi di limitato apporto quantitativo della collaborazione resa;
con il quarto motivo si deduce, infine, l’omessa, insufficiente e contraddittoria
motivazione in relazione alla valutazione dell’istruttoria (esito delle
testimonianze acquisite e delle stesse dichiarazioni rese da M.D.) e delle
prove documentali ( fogli di presenza per il periodo 2005/2008);
il primo ed il terzo motivo, da trattarsi
congiuntamente in quanto relativi alla interpretazione del contesto normativo
che si assume violato, sono infondati;
per quel che concerne la gestione assicurativa degli
esercenti attività commerciali e del terziario la disciplina previgente è stata
modificata dalla legge 23
dicembre 1996, n. 662, art. 1, comma 203 che così sostituisce la L. 3 giugno 1975, n. 160, art. 29,
comma 1:”L’obbligo di iscrizione nella gestione assicurativa degli
esercenti attività commerciali di cui alla L. 22
luglio 1966, n. 613, e successive modificazioni ed integrazioni, sussiste
per i soggetti che siano in possesso dei seguenti requisiti:
a) siano titolari o gestori in proprio di imprese
che, a prescindere dal numero dei dipendenti, siano organizzate e/o dirette
prevalentemente con il lavoro proprio e dei componenti la famiglia, ivi
compresi i parenti e gli affini entro il terzo grado, ovvero siano familiari
coadiutori preposti al punto di vendita;
b) abbiano la piena responsabilità dell’impresa ed
assumano tutti gli oneri ed i rischi relativi alla sua gestione. Tale requisito
non è richiesto per i familiari coadiutori preposti al punto di vendita nonché
per i soci di società a responsabilità limitata;
c) partecipino personalmente al lavoro aziendale con
carattere di abitualità e prevalenza;
d) siano in possesso, ove previsto da leggi o
regolamenti, di licenze o autorizzazioni e/o siano iscritti in albi, registri e
ruoli”; si è ritenuto che presupposto imprescindibile per l’iscrizione
alla gestione commercianti è che vi sia un esercizio commerciale, che tale
esercizio sia gestito dal titolare o da familiare coadiuvante o anche come socio
di s.r.I che abbia come oggetto un esercizio commerciale. (v. in tal senso
Cass. sez. 6 — Lav., Ordinanza n. 3145 del 2013); questa Corte, inoltre, ha già
avuto modo di chiarire che la L.
n. 613 del 1966, art. 2, (a norma del quale “si considerano familiari
coadiutori il coniuge, i figli legittimi o legittimati ed i nipoti in linea
diretta, gli ascendenti, i fratelli e le sorelle, che partecipano al lavoro
aziendale con carattere di abitualità e prevalenza, sempreché per tale attività
non siano soggetti all’assicurazione generale obbligatoria in qualità di
lavoratori dipendenti o di apprendisti”), va interpretato nel senso che
l’obbligo di iscrizione per il familiare coadiutore sussiste allorché la sua
prestazione lavorativa sia abituale, in quanto svolta con continuità e
stabilmente e non in via straordinaria od eccezionale (ancorché non sia
necessaria la presenza quotidiana e ininterrotta sul luogo di lavoro, essendo
sufficiente escluderne l’occasionalità, la transitorietà o la saltuarietà) e
prevalente, in quanto resa, sotto il profilo temporale, per un tempo maggiore
rispetto ad altre occupazioni del lavoratore (così Cass.
n. 9873 del 2014), restando conseguentemente esclusa ogni valutazione
concernente la prevalenza del suo apporto rispetto agli altri occupati
nell’azienda, siano essi lavoratori autonomi o dipendenti; la Corte
territoriale si è attenuta a tale principio e lo ha applicato alle circostanze
accertate in fatto, consistenti nell’aiuto abituale, anche se non per ciascuna intera giornata, prestato
dal D. nel lavare i piatti, aiutare il personale di sala, nello spostare
cassette, sistemare la legna e nello stasare gli scarichi fognari etc…;
quanto ai restanti motivi, da trattarsi congiuntamente in quanto connessi, essi sono pure infondati ed in
larga parte inammissibili; la sentenza impugnata, oltre a considerare il valore
indiziario, rispetto alla prova della attività continuativa di collaboratore
del figlio svolta da M.D., dell’assicurazione a titolo di coadiutore artigiano
presso l’INAIL, ha congruamente esaminato il contenuto delle dichiarazioni rese
dallo stesso M.D. in sede di accertamento ispettivo, ritenendole maggiormente
credibili rispetto alle testimonianze raccolte in giudizio, e le ha ritenute
idonee a supportare il proprio convincimento; in tal senso, i motivi di
ricorso, infondati nella parte in cui denunciano la violazione di legge, si
pongono in funzione di mera contrapposizione rispetto all’accertamento fattuale
compiuto dal giudice di merito, accertamento che può essere censurato in questa
sede solo nei ristretti limiti delineati dal testo vigente dell’art. 360 c.p.c., n. 5, nel senso chiarito dalle
Sezioni Unite di questa Corte nelle sentenze del
07/04/2014, nn. 8053 e 8054;
in particolare, è da escludere che il giudice di
merito sia incorso in alcun vizio di motivazione, né sono individuati fatti
decisivi non valutati tali da metterla in discussione, considerato che viene
solo indicata l’omessa valutazione dei fogli di presenza ( dai quali si sarebbe
dovuto trarre spunto per negare l’abitualità della collaborazione), che non
integrano fatti storici il cui omesso esame realizzi l’omessa valutazione
richiesta dal novellato art. 360, primo comma n.5.,
c.p.c ;
il quadro normativo di riferimento è stato
adeguatamente analizzato e la fattispecie concreta accertata è stata ritenuta
coerente con i presupposti di cui al comma 203, art. 1 della legge n. 662/1996,
vale a dire la partecipazione personale al lavoro aziendale con carattere di
abitualità e prevalenza;
il ricorso va, quindi, rigettato e le spese di lite
del presente giudizio, liquidate come da dispositivo, seguono la soccombenza
del ricorrente;
P.Q.M.
rigetta il ricorso; condanna il ricorrente al
pagamento delle spese del giudizio di legittimità nella misura di € 3.700,00,
di cui € 3.500,00 per compensi professionali ed € 200,00 per esborsi, oltre
spese generali al 15% ed accessori di legge.
Ai sensi dell’art. 13 comma 1 quater del d.P.R. n.
115 del 2002, dà atto della sussistenza dei presupposti processuali per il
versamento, da parte del ricorrente, dell’ulteriore importo a titolo di
contributo unificato pari a quello previsto per il ricorso, a norma del comma
1-bis dello stesso art. 13 ove
dovuto.