Giurisprudenza – CORTE DI CASSAZIONE – Ordinanza 10 febbraio 2021, n. 3269

Infortunio sul lavoro, Mancanza di parapetto di protezione o
di cintura di sicurezza, Morte del lavoratore, Responsabilità datoriale

 

Rilevato che

 

1. Con sentenza del 1.9.14, la Corte di Appello di
Bologna ha confermato la sentenza del 5.4.07 del Tribunale di Rimini, che aveva
condannato gli eredi di L.L. al pagamento di euro 97.192 in favore dell’INAIL,
che aveva agito in regresso nei confronti del loro dante causa quale datore di lavoro
del lavoratore N.P., deceduto a seguito di infortunio sul lavoro.

2. In particolare, esclusa l’estinzione del giudizio
di primo grado in ragione della tardività della relativa eccezione di parte,
valutate le prove e ritenuto che la morte del lavoratore era dovuta a caduta
resa possibile da mancanza di parapetto di protezione o di cintura di
sicurezza, la Corte territoriale ha affermato la responsabilità datoriale
nell’infortunio.

3. Avverso tale sentenza propongono ricorso per
cassazione gli eredi del L. per sei motivi, cui resiste l’INAIL con
controricorso. Le parti hanno depositato memorie.

 

Considerato che

 

4. Con il primo motivo di ricorso si deduce nullità
del procedimento e della sentenza per violazione degli articoli 416, 303,
307, 111, 102 e 103 c.p.c.,
per avere la sentenza impugnata trascurato che il giudizio di primo grado si
era estinto perché non era stato notificato il ricorso al convenuto, essendo
inesistente la notifica agli eredi (fatta impersonalmente oltre l’anno dalla
morte del de cuius) ed essendo precluso al giudice di disporre d’ufficio il
rinnovo di una notifica inesistente, e per avere la sentenza impugnata
trascurato che l’eccezione di estinzione era stata formulata prima di ogni
altra difesa da L.L. (sebbene oltre i termini ex articolo
416 c.p.c.).

5. Con il secondo motivo di ricorso si deduce -in
ragione della violazione degli articoli 416, 303, 111, 102 e 103 c.p.c.-
nullità del procedimento e della sentenza, per avere la corte territoriale
ritenuto tardiva l’eccezione di prescrizione sollevata dagli eredi (sebbene la
stessa eccezione fosse già stata formulata dal dante causa nella tempestiva
originaria costituzione) e per aver trascurato che la sentenza di
patteggiamento nei confronti del L. non aveva effetti civilistici ex articolo 445 c.p.p.

6. Con il terzo motivo di ricorso si deduce nullità
del procedimento della sentenza per violazione degli articoli
112 e 48 att. c.p.c., per aver omesso
l’esame dell’eccezione di nullità delle notifiche a L. e R. L., invalide per
mancata indicazione del numero e dei tipi di atti depositati alla casa comunale
a seguito dell’irreperibilità dei destinatari.

7. Con il quarto motivo di ricorso si deduce
violazione del DPR 1124/65 e 445 c.p.p., per avere la sentenza impugnata
trascurato il decorso del termine triennale tra la sentenza in sede penale e
l’azione civile, equiparando il patteggiamento ad una condanna.

8. Con il quinto motivo di ricorso si deduce – ai
sensi dell’art. 360 co. 1 n. 3, 4 e 5-
violazione degli articoli 112, 9-10-11 – 112 del DPR 1124 del 1965, 2909 c.c., 115 – 416 e 436 c.p.c.,
e vizio di motivazione, per avere la sentenza impugnata ammesso la rivalsa
oltre il limite della percentuale di responsabilità datoriale (nella specie,
del 40%) affermata con giudicato nella causa tra datore ed eredi del
lavoratore, senza pronunciare sulla relativa eccezione e trascurando il
giudicato come fatto decisivo da considerare nell1 azione di regresso.

9. Con il sesto motivo di ricorso si deduce – ai
sensi dell’art. 360 co. 1 n. 3, 4 e 5-
violazione dell’articolo 132 n. 4 e 112 c.p.c. e delle norme antinfortunistiche, per
motivazione apparente ed omesso esame dell’eccezione in ordine alla assenza di
norme di sicurezza violate (relative all’obbligo di parapetto e di sistema di
ritenuta per le cisterne), non essendo conoscibili le circolari ministeriali
che le prevedevano ed in presenza di regolare revisione del veicolo.

10. Il primo motivo è infondato.

Questa Corte ha già precisato (Cass. Sez. 1,
Sentenza n. 18713 del 06/09/2007, Rv. 599339 – 01; Cass., Sez. 1, Sentenza n.
19122 del 03/09/2009, Rv. 609410 – 01) che la riassunzione di una causa
interrotta – e non proseguita a norma dell’art. 302
cod. proc. civ. – si attua mediante un procedimento bifasico, dapprima con
il deposito del ricorso per riassunzione nella cancelleria del giudice e,
quindi, previa fissazione con decreto di apposita udienza ad opera del medesimo
giudice, con la notifica alla controparte del ricorso e del detto
provvedimento; depositato tempestivamente il ricorso in cancelleria e così
perfezionatasi la riassunzione, in caso di nullità o inesistenza della
notificazione dell’atto riassuntivo, il giudice deve ordinare la rinnovazione
della notifica entro un termine perentorio. In relazione a ciò, nel caso di
specie il giudice ha correttamente esercitato il potere/dovere di ordinare la
rinnovazione della notifica effettuata agli eredi impersonalmente oltre l’anno.

11. Rispetto al nuovo termine si sono tardivamente
costituiti gli eredi e quindi sono decaduti delle relative eccezioni proprie,
compresa quella inerente all’estinzione del giudizio. Infatti, come precisato
da Cass. Sez. L, Sentenza n. 2571 del 06/02/2007 (Rv. 594696 – 01) e da Cass.
Sez. L, Sentenza n. 4979 del 12/03/2015 (Rv. 634609 – 01), nel rito speciale
del lavoro l’eccezione di estinzione del processo per tardiva riassunzione -al
pari di quella relativa alla non tempestiva proposizione dell’eccezione stessa-
è eccezione in senso stretto, come tale soggetta alle preclusioni di cui all’art. 416 cod. proc. civ.; detta eccezione va
proposta in sede di costituzione prima dell’udienza di discussione ex art. 416 cod. proc. civ., dovendosi interpretare
la locuzione “prima di ogni difesa” conformemente alla
“ratio” di garantire il tempestivo e ordinato svolgimento del
giudizio, nel rispetto del principio della ragionevole durata del processo di
cui all’art. 111 Cost.

12. Quanto al secondo motivo di ricorso, si rileva
che, se è vero che a seguito della riassunzione del processo interrotto, questo
prosegue con le stesse caratteristiche e limiti originari (sicché l’eccezione
già formulata in sede di originaria costituzione dal dante causa mantiene la
sua efficacia anche se non tempestivamente riproposta dagli eredi in sede di
costituzione avverso la riassunzione: sez. L, Sentenza n. 5377 del 15/04/2002,
Rv. 553723 – 01), tale profilo non è tuttavia decisivo nella specie, perché la
corte ha escluso a monte il decorso del termine prescrizionale per essere lo stesso
stato interrotto, sicché le censure del ricorrente vanno esaminate unitamente a
quelle espresse nel quarto motivo di ricorso, che riguardano la qualificazione
del termine (quale termine di decadenza ovvero di prescrizione) e la
possibilità di interruzione del suo decorso (possibile solo ove si tratti di
perscrizione).

13. In proposito, va richiamato l’insegnamento di
Cass. Sez. U, Sentenza n. 3288 del 16/04/1997 (Rv. 503737 – 01), secondo il
quale l’ultimo comma, art.
112, d.P.R. 30 giugno 1965, n. 1124 (secondo cui il giudizio civile di cui
al precedente art. 11 non
può istituirsi dopo trascorsi tre anni dalla sentenza penale che ha dichiarato di
non doversi procedere per le cause indicate dallo stesso articolo, quali la
morte dell’imputato o l’intervenuta amnistia del reato, e l’azione di regresso
di cui all’art. 11 si
prescrive in ogni caso nel termine di tre anni dal giorno nel quale la sentenza
penale è divenuta irrevocabile) – disposizione questa che non riguarda
esclusivamente il caso dell’azione di regresso, per dolo, nei confronti
dell’infortunato, bensì l’azione di regresso nel suo complesso, sicché non
concerne invece l’azione spettante all’I.N.A.I.L. per riscuotere i premi di
assicurazione ed in genere le somme dovute dai datori di lavoro all’Istituto,
né quella spettante agli <<interessati>> (ossia i danneggiati, ma
non anche l’I.N.A.I.L.) ai sensi del quinto comma dell’art. 10 – contempla, nelle
sue due disposizioni anzidette, due fattispecie diverse, delle quali la prima è
caratterizzata dalla mancanza di un accertamento del fatto – reato da parte del
giudice penale e la seconda, invece, dall’esistenza di tale accertamento con
sentenza penale di condanna (pronunciata nei confronti del datore di lavoro o
di suoi dipendenti o dello stesso infortunato); correlativamente, l’azione di
regresso dell’I.N.A.I.L. soggiace nella prima ipotesi (ai sensi della prima
parte, ultimo comma, cit. art.
112) a termine triennale di decadenza, che (insuscettibile d’interruzione)
decorre dalla data di emissione della sentenza penale di non doversi procedere,
e nella seconda ipotesi (ai sensi dell’ultima parte, ultimo comma, stesso art. 112) a termine
triennale di prescrizione, che decorre dal giorno nel quale è divenuta
irrevocabile la sentenza penale di condanna.

14. Sulla scia di tale arresto, questa Sezione
Lavoro della Corte (Cass., Sez. L, Sentenza n. 16847 del 07/08/2020, Rv. 658578
– 01; Cass. Sez. L, Sentenza n. 14734 del 30/12/1999, Rv. 532641 – 01; v.
altresì Cass. Sez. 1, Sentenza n. 2242 del
02/02/2007, Rv. 595075 – 01) ha affermato in tema di azione di regresso
dell’Inail ai sensi dell’art.
112 d.P.R. n. 1124 del 1965 nei confronti delle persone civilmente
responsabili per le prestazioni erogate a seguito di infortunio sul lavoro,
che, avuto riguardo alla distinzione tra le ipotesi in cui manchi un
accertamento del fatto – reato da parte del giudice penale (ove l’azione di
regresso è soggetta a termine triennale di decadenza) e le ipotesi di
sussistenza di tale accertamento con sentenza penale di condanna (in cui
l’azione di regresso è soggetta a termine triennale di prescrizione), la
sentenza di applicazione della pena su richiesta dell’imputato, pronunciata dal
giudice penale ai sensi dell’art. 444 cod. proc.
pen., deve ritenersi di condanna, con la conseguenza che il termine di cui
all’art. 112 cit. si
configura come termine di prescrizione ed è pertanto suscettibile di
interruzione.

15. I motivi secondo e quarto vanno perciò
rigettati.

16. Il terzo motivo è del pari infondato.

17. Può infatti ritenersi che la corte territoriale,
sebbene non si sia espressamente pronunciata sull’eccezione di nullità della
notifica (che peraltro riguardava solo la raccomandata informativa e non anche
l’atto da notificare), l’abbia disattesa in ragione del conseguimento dello scopo
della notifica, essendosi i destinatari comunque costituiti in giudizio. La
soluzione risulta corretta, atteso che deve considerarsi (con Cass. Sez. 5,
sentenza n. 5556 del 26/02/2019, Rv. 652787 – 02) che la mancanza della prova
della ricezione della raccomandata informativa, prevista per il perfezionamento
della notificazione ai sensi art. 140 c.p.c.,
non influisce sulla validità dell’atto notificato, ma determina soltanto la
nullità della notificazione, che è sanata dalla costituzione in giudizio, in
ragione del principio del raggiungimento dello scopo processuale dell’atto di
cui all’art. 156, comma 3, c.p.c.

18. Per altro verso, anche la questione relativa
alla rilevanza del detto vizio notificatorio ai fini dell’estinzione del
giudizio è superata dalla già evidenziata tardività dell’eccezione di
estinzione.

19. Il quinto motivo di ricorso è invece fondato.

20. La sentenza impugnata, infatti, non si è
pronunciata affatto in ordine all’eccepita rilevanza in sede di regresso dei
limiti della responsabilità datoriale emergenti dalla sentenza civile passata
in giudicato tra datore ed eredi del lavoratore (questione che risulta decisiva
nella specie, alla luce della giurisprudenza di questa Corte, già espressa da Cass. Sez. L, Sentenza n. 17960 del 09/08/2006,
Rv. 591778 – 01 e Sez. L – , Sentenza n. 5385 del
07/03/2018, Rv. 647484 – 01).

21. Non si ha invece omissione di pronuncia in
relazione alle mere difese (cfr. Cass. Sez. 1, Sentenza n. 12626 del
09/06/2011, Rv. 618240 – 01; Sez. 3, Sentenza n. 10913 del 07/08/2001, Rv.
548864 – 01), essendo tali quelle relative alle circostanze richiamate nel
motivo sesto del ricorso, ove la parte contestava l’applicabilità di norme
sostanziali riguardanti gli obblighi di sicurezza rilevanti. Peraltro, su tali
profili la corte ha reso motivazione effettiva e non apparente, esplicitando il
quadro probatorio e recando disamina logicogiuridica che lascia trasparire il
percorso argomentativo seguito (non censurato dalla parte ex art. 360 co. 1 n. 5 c.p.c.).

22. Il sesto motivo va dunque rigettato.

23. La sentenza impugnata per quanto detto deve
essere cassata in relazione al quinto motivo di ricorso e la causa va rinviata
alla corte d’appello di Bologna in diversa composizione anche per le spese del
giudizio di legittimità.

 

P.Q.M.

 

Accoglie il quinto motivo di ricorso, rigettati gli
altri; cassa la sentenza impugnata in relazione al motivo accolto e rinvia la
causa alla corte d’appello di Bologna in diversa composizione anche per le
spese del giudizio di legittimità.

Giurisprudenza – CORTE DI CASSAZIONE – Ordinanza 10 febbraio 2021, n. 3269
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