Giurisprudenza – CORTE DI GIUSTIZIA CE-UE – Sentenza 11 febbraio 2021, n. C-407/19 e C-471/19
Articolo 45 TFUE
– Libera circolazione dei lavoratori, Articolo 49 TFUE, Libertà di
stabilimento, Articolo 56 TFUE
– Libera prestazione dei servizi, Esercizio di attività portuali, Lavoratori
portuali, Accesso alla professione e assunzione, Modalità di riconoscimento
dei lavoratori portuali, Lavoratori portuali che non fanno parte del
contingente di lavoratori previsto dalla normativa nazionale, Limitazione
della durata del contratto di lavoro, Mobilità dei lavoratori portuali tra
diverse zone portuali, Lavoratori che svolgono un lavoro logistico,
Certificato di sicurezza, Motivi imperativi di interesse generale, Sicurezza
nelle zone portuali, Tutela dei lavoratori, Proporzionalità
1 Le domande di pronuncia pregiudiziale vertono
sull’interpretazione, nella causa C-407/19, degli articoli 34, 35, 45, 49, 56, 101, 102 e 106, paragrafo 1, TFUE e, nella
causa C-471/19, degli articoli
49 TFUE e 56 TFUE, degli
articoli 15 e 16 della Carta dei
diritti fondamentali dell’Unione europea (in prosieguo: la «Carta»), nonché
del principio di uguaglianza.
2 Tali domande sono state presentate nell’ambito di
controversie tra – nella causa C-407/19 – da un lato, la Katoen Natie Bulk
Terminals NV e la General Services Antwerp NV e, dall’altro, il Belgische Staat
(Stato belga) e – nella causa C-471/19 – la Middlegate Europe NV e il
Ministerraad (Consiglio dei Ministri, Belgio) in merito alla validità di talune
disposizioni del diritto belga relative all’organizzazione del lavoro portuale
e, in particolare, alla loro conformità al diritto dell’Unione.
Diritto belga
Legge sui contratti di lavoro
3 Nel diritto belga, il regime ordinario applicabile
ai contratti di lavoro, in particolare degli operai, è stabilito dal wet
betreffende de arbeidsovereenkomsten (legge sui contratti di lavoro), del 3
luglio 1978 (Belgisch Staatsblad, 22 agosto 1978, pag. 9277).
Legge sul lavoro portuale
4 L’articolo 1 del wet betreffende de havenarbeid
(legge sul lavoro portuale), dell’8 giugno 1972 (Belgisch Staatsblad, 10 agosto
1972, pag. 8826), nella versione applicabile ai fatti del procedimento principale
(in prosieguo: la «legge sul lavoro portuale»), prevede quanto segue:
«Non è consentita l’effettuazione di lavori portuali
nelle zone portuali da parte di lavoratori diversi dai lavoratori portuali
riconosciuti».
5 L’articolo 2 di tale legge così dispone:
«La delimitazione delle zone portuali e del lavoro
portuale quale stabilita dal Re (…) disciplina l’applicazione della presente
legge».
6 L’articolo 3 di detta legge è formulato come
segue:
«Il Re determina le condizioni e le procedure per il
riconoscimento dei lavoratori portuali, previo parere della commissione
paritetica competente per la zona portuale interessata.
(…)».
7 Ai sensi dell’articolo 3 bis della medesima legge:
«Previo parere della commissione paritetica
competente per la zona portuale interessata, il Re può imporre ai datori di
lavoro che si avvalgono di lavoratori portuali in tale zona di aderire a
un’organizzazione di datori di lavoro riconosciuta dal Re, la quale, in qualità
di mandatario, adempia tutti gli obblighi che derivano per i datori di lavoro,
ai sensi della normativa sul lavoro individuale e collettivo nonché della
legislazione sociale, dall’impiego di lavoratori portuali.
Ai fini del riconoscimento, l’organizzazione di
datori di lavoro di cui al comma precedente deve essere costituita dalla
maggioranza dei datori di lavoro interessati».
Regio decreto del 1973
8 L’articolo 1 del koninklijk besluit tot oprichting
en tot vaststelling van de benaming en van de bevoegdheid van het Paritair
Comité van het havenbedrijf (regio decreto recante istituzione e fissazione
della denominazione e delle competenze della Commissione paritetica dei porti),
del 12 gennaio 1973 (Belgisch Staatsblad, 23 gennaio 1973, pag. 877), nella
versione applicabile ai fatti del procedimento principale (in prosieguo: il
«regio decreto del 1973»), così dispone:
«È istituita una commissione paritetica, denominata
“Commissione paritetica dei porti” (competente per i lavoratori in generale e i
loro datori di lavoro), per:
tutti i lavoratori e i loro datori di lavoro che,
nelle zone portuali:
A. svolgono come attività principale o secondaria
lavoro portuale, ossia qualsiasi manipolazione di merci trasportate da
imbarcazioni marittime o imbarcazioni di navigazione fluviale, da vagoni
ferroviari o da autocarri, nonché i servizi accessori attinenti a dette merci,
indipendentemente dal fatto che tali attività vengano svolte sulle banchine,
sulle vie di navigazione, sui moli o negli stabilimenti destinati
all’importazione, all’esportazione e al transito delle merci, nonché tutte le
manipolazioni di merci trasportate da imbarcazioni marittime o da imbarcazioni
di navigazione fluviale dirette o provenienti dalle banchine di stabilimenti
industriali.
Si intende per:
1. Tutte le manipolazioni di merci:
a) merci: tutte le merci, compresi container e mezzi
di trasporto, escludendo unicamente:
– il trasporto di petrolio alla rinfusa, prodotti
derivati dal petrolio (liquidi) e materie prime liquide per raffinerie, per
l’industria chimica nonché per attività di stoccaggio e lavorazione in impianti
petroliferi;
– pesce trasportato da pescherecci;
– gas liquidi pressurizzati e alla rinfusa.
b) manipolazione: caricare, scaricare, stivare,
disistivare, spostare lo stivamento, scaricare merci sfuse, ordinare,
classificare, catalogare, calibrare, accatastare e disaccatastare le merci,
nonché comporre e scomporre i carichi unitari.
2. Servizi accessori relativi a tali merci:
contrassegnare, pesare, misurare, calcolare il volume, verificare, ricevere,
proteggere (ad eccezione dei servizi di protezione forniti da imprese soggette
alla competenza della Commissione congiunta per i servizi di protezione e/o
vigilanza a nome delle imprese rientranti nella competenza della Commissione
paritetica dei porti), consegnare, campionare e sigillare, ormeggiare e
disormeggiare.
(…)».
Regio decreto del 2004
9 Prima della sua modifica da parte del koninklijk
besluit tot wijziging van het koninklijk besluit van 5 juli 2004 betreffende de
erkenning van havenarbeiders in de havengebieden die onder het
toepassingsgebied vallen van de wet van 8 juni 1972 betreffende de havenarbeid
(regio decreto recante modifica del regio decreto del 5 luglio 2004 sul
riconoscimento dei lavoratori portuali nelle zone portuali rientranti
nell’ambito di applicazione della legge dell’8 giugno 1972 sul lavoro
portuale), del 10 luglio 2016 (Belgisch Staatsblad, 13 luglio 2016, pag. 43879;
in prosieguo: il «regio decreto del 2016»), l’articolo 2 del koninklijk besluit
betreffende de erkenning van havenarbeiders in de havengebieden die onder het
toepassingsgebied vallen van de wet van 8 juni 1972 betreffende de havenarbeid
(regio decreto sul riconoscimento dei lavoratori portuali nelle zone portuali
rientranti nell’ambito di applicazione della legge dell’8 giugno 1972 sul lavoro
portuale), del 5 luglio 2004 (Belgisch Staatsblad, 4 agosto 2004, pag. 58908),
prevedeva quanto segue:
«Dopo il loro riconoscimento, i lavoratori portuali
sono ripartiti o nel “contingente generale” o nel “contingente logistico”.
I lavoratori portuali del contingente generale sono
riconosciuti per svolgere qualsiasi lavoro portuale ai sensi dell’articolo 1
del [regio decreto del 1973].
I lavoratori portuali del contingente logistico sono
riconosciuti per svolgere il lavoro portuale ai sensi dell’articolo 1 del
[regio decreto del 1973], in luoghi nei quali le merci, in preparazione della
loro successiva distribuzione o spedizione, sono sottoposte a trasformazione
che genera indirettamente un valore aggiunto identificabile».
10 Il regio decreto sul riconoscimento dei
lavoratori portuali nelle zone portuali rientranti nell’ambito di applicazione
della legge dell’8 giugno 1972 sul lavoro portuale, come modificato dal regio
decreto del 2016 (in prosieguo: il «regio decreto del 2004»), ha sostituito, in
particolare, alla nozione di «contingente» quella di «pool». L’articolo 1 del
regio decreto del 2004 prevede quanto segue:
Ǥ 1. In ciascuna zona portuale i lavoratori
portuali sono riconosciuti dalla commissione paritetica, in prosieguo
denominata “Commissione amministrativa”, istituita in seno alla
sottocommissione paritetica competente per la zona portuale interessata.
Tale Commissione amministrativa è composta da:
1° un presidente e un vicepresidente;
2° quattro membri effettivi e quattro supplenti
designati dalle organizzazioni di datori di lavoro rappresentate in seno alla
sottocommissione paritetica;
3° quattro membri effettivi e quattro supplenti
designati dalle organizzazioni dei lavoratori rappresentate in seno alla
sottocommissione paritetica;
4° uno o più segretari.
Le disposizioni del regio decreto del 6 novembre
1969 che definiscono le modalità generali di funzionamento delle commissioni e
delle sottocommissioni paritetiche nonché le norme particolari previste
all’articolo 10 del presente regio decreto si applicano al funzionamento della
Commissione amministrativa.
§ 2. La domanda di riconoscimento è presentata per
iscritto alla sottocommissione paritetica competente mediante un modello messo
a disposizione a tal fine.
La domanda indica se essa sia presentata per un
impiego nel pool o al di fuori di esso.
§ 3. In deroga al § 1, primo comma, per i lavoratori
che svolgono un lavoro ai sensi dell’articolo 1 del [regio decreto del 1973],
in luoghi nei quali le merci, in preparazione della loro successiva distribuzione
o spedizione, sono sottoposte a trasformazione che genera indirettamente un
valore aggiunto identificabile, e dispongano di un certificato di sicurezza
denominato “lavoratori logistici”, tale certificato di sicurezza equivale al
riconoscimento ai sensi della [legge sul lavoro portuale].
Il datore di lavoro che ha stipulato un contratto di
lavoro con un lavoratore richiede il certificato di sicurezza per le attività
di cui al comma precedente e il rilascio è effettuato su presentazione della
carta di identità e del contratto di lavoro. Le modalità di tale procedura sono
stabilite mediante contratto collettivo di lavoro.
11 A norma dell’articolo 2 di detto regio decreto:
Ǥ 1. In seguito al riconoscimento, i lavoratori
portuali di cui all’articolo 1, § 1, primo comma, sono inseriti o meno nel pool
dei lavoratori portuali.
Per il riconoscimento ai fini della loro presa in
considerazione nel pool si tiene conto del fabbisogno di manodopera.
§ 2. I lavoratori portuali inseriti nel pool sono
riconosciuti per una durata determinata o indeterminata.
Le modalità relative alla durata del riconoscimento
sono stabilite mediante contratto collettivo.
§ 3. I lavoratori portuali non inseriti nel pool
sono assunti mediante contratto di lavoro ai sensi della legge (…) sui
contratti di lavoro.
La durata del riconoscimento è limitata alla durata
di detto contratto di lavoro».
12 L’articolo 4 di detto regio decreto così recita:
Ǥ 1. Ai fini del riconoscimento come lavoratore
portuale di cui all’articolo 1, § 1, primo comma, si applicano i seguenti
requisiti:
(…)
2° essere dichiarato idoneo dal punto di vista
medico al lavoro portuale dal servizio esterno per la prevenzione e la
protezione sul lavoro, a cui aderisce l’organizzazione di datori di lavoro
indicata come mandatario ai sensi dell’articolo 3 bis della [legge sul lavoro
portuale];
3° avere superato i test psicotecnici effettuati
dall’organo designato a tal fine dall’organizzazione di lavoratori indicata
come mandatario ai sensi dell’articolo 3 bis della [legge sul lavoro portuale];
detti test sono finalizzati a stabilire se il candidato lavoratore portuale
disponga di sufficiente intelligenza nonché di personalità e motivazioni
adeguate per poter svolgere, previa formazione, la funzione di lavoratore
portuale;
(…)
6° avere seguito per tre settimane lezioni
preparatorie per la sicurezza sul lavoro e per l’acquisizione di competenza
professionale, e avere superato il test finale. L’autorità competente può
stabilire gli standard di qualità cui deve rispondere la formazione, che può
essere liberamente impartita;
7° non essere stato oggetto, negli ultimi cinque
anni, di un provvedimento di revoca del riconoscimento come lavoratore portuale
sulla base dell’articolo 7, primo comma, 1° o 3°, del presente decreto (…);
8° nel caso del riconoscimento di un lavoratore
portuale di cui all’articolo 2, § 3, disporre inoltre di un contratto di
lavoro.
§ 2. Il riconoscimento del lavoratore portuale è
valido in ogni zona portuale, come delimitata dal Re ai sensi degli articoli 35
e 37 della legge del 5 dicembre 1968 sui contratti collettivi e le commissioni
paritetiche.
Le condizioni e le modalità secondo le quali un
lavoratore portuale può lavorare in una zona portuale diversa da quella in cui
è riconosciuto sono stabilite mediante contratto collettivo.
L’organizzazione di datori di lavoro indicata come
mandatario ai sensi dell’articolo 3 bis della [legge sul lavoro portuale]
continua ad essere mandatario nel caso in cui il lavoratore portuale lavori al
di fuori della zona portuale nella quale è stato riconosciuto.
§ 3. I lavoratori portuali che possano dimostrare di
soddisfare in un altro Stato membro dell’Unione europea condizioni equivalenti
in materia di lavoro portuale cessano di essere soggetti, ai fini
dell’applicazione del presente regio decreto, a dette condizioni.
§ 4. Le domande di riconoscimento e di rinnovo sono
presentate alla Commissione amministrativa e trattate da quest’ultima».
13 L’articolo 13/1 dello stesso regio decreto
stabilisce quanto segue:
«1° [Per il periodo precedente al 30 giugno 2017] il
contratto di lavoro di cui all’articolo 2, § 3, secondo comma, deve essere
stipulato a tempo indeterminato;
2° [per il periodo compreso tra il 1° luglio 2017 e
il 30 giugno 2018] il contratto di lavoro di cui all’articolo 2, § 3, secondo
comma, deve essere stipulato per una durata minima di due anni;
3° [per il periodo compreso tra il 1° luglio 2018 e
il 30 giugno 2019] il contratto di lavoro di cui all’articolo 2, § 3, secondo
comma, deve essere stipulato per una durata minima di un anno;
4° [per il periodo compreso tra il 1° luglio 2019 e
il 30 giugno 2020] il contratto di lavoro di cui all’articolo 2, § 3, secondo
comma, deve essere stipulato per una durata minima di sei mesi».
14 Ai sensi dell’articolo 15/1 del regio decreto del
2004:
«Ai fini dell’applicazione del presente regio
decreto:
1° i lavoratori portuali riconosciuti ai sensi
dell’ex articolo 2, secondo comma, sono riconosciuti di diritto come lavoratori
portuali inseriti nel pool, conformemente all’articolo 2, § 1, fatta salva
l’applicazione degli articoli da 5 a 9 del presente regio decreto;
2° i lavoratori portuali riconosciuti ai sensi
dell’ex articolo 2, terzo comma, sono equiparati di pieno diritto ai lavoratori
logistici di cui all’articolo 1, § 3, fatta salva l’applicazione degli articoli
da 5 a 9 del presente regio decreto».
Le controversie nei procedimenti principali, le
questioni pregiudiziali e il procedimento dinanzi alla Corte
Causa C-407/19
15 La Katoen Natie Bulk Terminals e la General
Services Antwerp sono due società con sede in Belgio, il cui oggetto sociale
comprende operazioni portuali in tale paese e all’estero.
16 Il 5 settembre 2016 tali due società hanno
proposto dinanzi al giudice del rinvio nella causa C-407/19, il Raad van State
(Consiglio di Stato, Belgio), un ricorso di annullamento del regio decreto del
2016.
17 Tale regio decreto era stato adottato a seguito
della lettera di diffida inviata al Regno del Belgio dalla Commissione europea
il 28 marzo 2014, secondo la quale la normativa di tale Stato relativa al
lavoro portuale violava l’articolo
49 TFUE. La Commissione ha indicato sostanzialmente che la normativa belga
sull’impiego di lavoratori portuali dissuadeva le imprese straniere dall’aprire
stabilimenti in Belgio, in quanto esse non potevano scegliere liberamente i
membri del loro personale, ma erano tenute a ricorrere ai lavoratori portuali
riconosciuti, anche per compiti logistici, lavoratori che inoltre potevano
essere impiegati unicamente in una zona geografica limitata. A seguito
dell’adozione del regio decreto del 2016, la Commissione ha deciso, il 17
maggio 2017, di archiviare la procedura di infrazione.
18 Il Raad van State (Consiglio di Stato) precisa,
in via preliminare, che il regio decreto del 2016, che è una norma sostanziale
di cui è richiesto l’annullamento erga omnes nell’ambito del contenzioso
oggettivo dinanzi ad esso pendente, si applica indistintamente alle imprese, ai
datori di lavoro e ai lavoratori, a prescindere dalla loro cittadinanza, che
svolgano o facciano svolgere un lavoro portuale nelle zone portuali belghe, o
che siano stabiliti nelle zone portuali o intendano stabilirvisi.
19 Tale giudice richiama altresì l’attenzione sul
fatto che il regio decreto del 2004 disciplina il lavoro portuale nelle zone
portuali (marittime) situate in Belgio, tra cui i porti di Anversa (Belgio) e
di Zeebrugge (Belgio), che sono porti di mare destinati al trasporto
internazionale, ossia un ambiente estremamente concorrenziale. Occorrerebbe
quindi tener presente l’interesse nettamente transfrontaliero delle zone
portuali marittime, in considerazione segnatamente delle attività di
importazione e di esportazione ivi sviluppate, dei numerosi operatori
internazionali che vi operano, provenienti in particolare dagli altri Stati
membri, delle attività commerciali che vi si svolgono nel settore degli scambi
commerciali internazionali e della forza attrattiva del luogo di esecuzione in
una zona che potrebbe essere interessante per gli operatori e i lavoratori
stranieri, eventualmente di Stati membri vicini, ai quali tali operatori
vorrebbero ricorrere per realizzare le loro attività di impresa. Alla luce di
tali elementi, detto giudice ritiene che la controversia di cui è investito non
riguardi una situazione puramente interna, ai sensi della giurisprudenza della
Corte.
20 Per quanto concerne la libera circolazione dei
lavoratori, garantita dall’articolo
45 TFUE, il Raad van State (Consiglio di Stato) osserva che la Katoen Natie
Bulk Terminals e la General Services Antwerp sono società logistiche belghe che
esercitano le loro attività in zone portuali belghe e che, per realizzare il
loro oggetto sociale, intendono poter impiegare lavoratori portuali diversi dai
lavoratori portuali riconosciuti, indipendentemente dalla loro cittadinanza.
Nella loro qualità di datori di lavoro che intendono assumere, nello Stato
membro in cui sono stabilite, lavoratori cittadini di un altro Stato membro, tali
società potrebbero quindi invocare la libera circolazione dei lavoratori,
sancita all’articolo 45 TFUE.
Qualora risultasse che le condizioni contenute nel regio decreto del 2004
complicherebbero, per i cittadini di altri Stati membri, lo svolgimento del
lavoro portuale nel territorio belga e comporterebbero un ostacolo alla libera
circolazione dei lavoratori, anche i datori di lavoro come dette società
dovrebbero potersi opporre a una simile normativa. Ciò dimostrerebbe altresì
che la controversia pendente dinanzi a tale giudice non può essere ridotta a
una situazione puramente interna.
21 Quanto al merito della controversia, il Raad van
State (Consiglio di Stato) precisa che la Katoen Natie Bulk Terminals e la
General Services Antwerp contestano, in sostanza, sette misure contenute nel
regio decreto del 2004 che sono state istituite o modificate dal regio decreto
del 2016.
22 Tale giudice muove dalla premessa secondo cui
l’insieme di tali misure costituisce un ostacolo alle libertà fondamentali
garantite dal Trattato FUE, potendo complicare o rendere meno attraente per i
lavoratori, tra cui quelli provenienti da un altro Stato membro, lo svolgimento
di un lavoro portuale in una zona portuale belga, nonché l’assunzione di simili
lavoratori da parte dei datori di lavoro.
23 Per quanto riguarda un’eventuale giustificazione
di tali ostacoli alla luce di motivi imperativi di interesse generale, detto
giudice osserva che la Katoen Natie Bulk Terminals e la General Services
Antwerp contestano che le suddette misure siano «idonee» nella loro generalità
a conseguire l’obiettivo perseguito, che sarebbe quello di garantire la
sicurezza nelle zone portuali e, pertanto, la sicurezza nonché la tutela nel
diritto del lavoro dei lavoratori portuali. Esse contesterebbero altresì che
queste stesse misure siano proporzionate e non vadano al di là di quanto
necessario per raggiungere tale obiettivo senza essere discriminatorie.
24 Per quanto concerne, in primo luogo, il riconoscimento
obbligatorio di tutti i lavoratori portuali, che non sono incaricati di
svolgere compiti logistici, da parte della commissione amministrativa di cui
all’articolo 1, paragrafo 1, del regio decreto del 2004, composta da
organizzazioni di datori di lavoro e di lavoratori (in prosieguo: la
«commissione amministrativa»), la mancanza di garanzie procedurali sufficienti
al riguardo e la necessità di tener conto del fabbisogno di manodopera al fine
di essere presi in considerazione nel pool, il Raad van State (Consiglio di
Stato) constata che, nel diritto belga, una decisione positiva o negativa della
commissione amministrativa sulla concessione di un riconoscimento come
lavoratore portuale può essere contestata direttamente mediante un ricorso
giurisdizionale.
25 In secondo luogo, per quanto riguarda la verifica
delle condizioni di riconoscimento relative all’idoneità medica e al
superamento dei test psicotecnici, il Raad van State (Consiglio di Stato) si
chiede, in particolare, se il requisito supplementare, stabilito all’articolo
4, paragrafo 1, 8°, del regio decreto del 2004, che esige che il lavoratore
disponga inoltre di un contratto di lavoro, sia adeguato al fine di raggiungere
l’obiettivo perseguito, che è quello di garantire la sicurezza nelle zone portuali.
26 Per quanto concerne, in terzo luogo, la durata
del riconoscimento dei lavoratori non inseriti nel pool, nonché del regime
transitorio istituito dal regio decreto del 2004, il Raad van State (Consiglio
di Stato) osserva che il lavoratore, ogni volta che ottiene un contratto di
lavoro, deve seguire la procedura di riconoscimento, indipendentemente dal
motivo della cessazione del suo contratto di lavoro precedente.
27 Il Raad van State (Consiglio di Stato) rileva, in
quarto luogo, che, per effetto del regime transitorio previsto dal regio
decreto del 2004, un contratto di lavoro concluso prima del 30 giugno 2017
doveva essere concluso a tempo indeterminato. Poi, successivamente, un
contratto concluso a partire dal 1° luglio 2017 doveva essere concluso per una
durata di almeno due anni, a partire dal 1° luglio 2018 per una durata di
almeno un anno e a partire dal 1° luglio 2019 per una durata di almeno sei
mesi. Solo a partire dal 1° luglio 2020 la durata del contratto di lavoro
avrebbe potuto essere liberamente determinata. Pertanto, lo status del
lavoratore portuale soggetto, conformemente all’articolo 2, paragrafo 3, del
regio decreto del 2004, al regime ordinario previsto dalla legge sui contratti
di lavoro sarebbe nettamente meno attraente di quello del lavoratore portuale
inserito nel pool, il che potrebbe costituire una restrizione ingiustificata
alla libera circolazione.
28 Per quanto riguarda, in quinto luogo, il
riconoscimento automatico di tutti i lavoratori portuali impiegati come
lavoratori portuali «inseriti nel pool», il Raad van State (Consiglio di Stato)
osserva che, secondo la Katoen Natie Bulk Terminals e la General Services
Antwerp, tale misura priverebbe i datori di lavoro del diritto di avvalersi di
una manodopera di qualità concludendo direttamente con i lavoratori portuali un
contratto vincolante che garantisca loro un impiego sicuro secondo le norme del
diritto ordinario del lavoro, in quanto tali lavoratori rimarrebbero inseriti
«automaticamente» nel pool. Si porrebbe la questione di stabilire se una simile
misura debba essere considerata adeguata e proporzionata alla luce
dell’obiettivo perseguito e, pertanto, conforme alla libertà di stabilimento
nonché alla libera circolazione dei lavoratori.
29 In sesto luogo, per quanto riguarda l’obbligo di
fissare mediante un contratto collettivo di lavoro (in prosieguo: un «CCL») le
condizioni e le modalità di impiego dei lavoratori al fine di svolgere un
lavoro in una zona portuale diversa da quella in cui questi ultimi hanno
ottenuto il riconoscimento, il Raad van State (Consiglio di Stato) si chiede se
una misura del genere sia ragionevole e proporzionata o se, come sostengono la
Katoen Natie Bulk Terminals e la General Services Antwerp, non si possa
ragionevolmente sostenere che la mobilità dei lavoratori tra differenti zone
portuali debba essere limitata o soggetta a requisiti supplementari in nome
della sicurezza nelle zone portuali.
30 Infine, in settimo luogo, per quanto concerne
l’obbligo, per i lavoratori che svolgono un lavoro logistico, quale definito
all’articolo 1, paragrafo 3, del regio decreto del 2004 (in prosieguo: i
«lavoratori logistici»), di disporre di un «certificato di sicurezza», il Raad
van State (Consiglio di Stato) ritiene che una simile misura miri a garantire
la sicurezza in generale e, pertanto, anche quella dei lavoratori interessati.
Si porrebbe tuttavia la questione di stabilire se una misura del genere,
interpretata nel senso che detto certificato di sicurezza deve essere richiesto
ogni volta che sia concluso un nuovo contratto di lavoro, non rappresenti un
onere amministrativo rilevante e sproporzionato, tenuto conto della libertà di
stabilimento e della libera circolazione dei lavoratori.
31 È in tale contesto che il Raad van State
(Consiglio di Stato) ha deciso di sospendere il procedimento e di sottoporre
alla Corte le seguenti questioni pregiudiziali:
«1) Se [gli] articol[i] 49, 56, 45, 34, 35, 101 o 102 TFUE, eventualmente
in combinato disposto con l’articolo
106, paragrafo 1, TFUE, debba[no] essere interpretat[i] nel senso che
ess[i] osta[no] alla disciplina di cui all’articolo 1 del [regio decreto del
2004] in combinato disposto con l’articolo 2 del citato [regio decreto], ossia
al regime ai sensi del quale i lavoratori portuali, di cui all’articolo 1, § 1,
paragrafo 1, del citato [regio decreto], al loro riconoscimento ad opera della
commissione amministrativa, composta in modo paritetico da un lato da membri
designati dalle organizzazioni dei datori di lavoro rappresentate nel relativo
sottocomitato paritario e, dall’altra parte, da membri designati dalle
organizzazioni dei lavoratori rappresentate nel sottocomitato paritario,
vengono inseriti o meno nel pool dei lavoratori portuali, laddove nel riconoscimento
ai fini dell’inserimento si tiene conto delle esigenze di manodopera, e si
tiene parimenti conto del fatto che per detta commissione amministrativa non è
previsto un termine ultimo di decisione e che avverso le sue decisioni di
riconoscimento è previsto unicamente un ricorso giurisdizionale.
2) Se [gli] articol[i] 49, 56, 45, 34, 35, 101 o 102 TFUE, eventualmente
in combinato disposto con l’articolo
106, paragrafo 1, TFUE, debba[no] essere interpretat[i] nel senso che
ess[i] osta[no] alla disciplina introdotta dall’articolo 4, § 1, 2°, 3°, 6° e
8° del [regio decreto del 2004], ossia al regime che impone come condizione per
il riconoscimento come lavoratore portuale che il lavoratore a) sia dichiarato
idoneo dal punto di vista medico ad opera del servizio esterno per la
prevenzione e la protezione sul lavoro, a cui aderisce l’organizzazione di
datori di lavoro indicata come mandatario ai sensi dell’articolo 3 bis della
legge [sul lavoro portuale], b) abbia superato i test psicotecnici condotti
dall’organo a tal fine designato dall’organizzazione di datori di lavoro
riconosciuta come mandatario ai sensi del medesimo articolo 3 bis della legge
[sul lavoro portuale], c) abbia seguito per tre settimane le lezioni
preparatorie per la sicurezza sul lavoro e per l’acquisizione di competenza
professionale e abbi[a] superato il test finale e d) debba già disporre di un
contratto di lavoro nel caso di un lavoratore portuale che non viene inserito
nel pool, fermo restando, in combinato disposto con l’articolo 4, § 3, del
[regio decreto del 2004], che i lavoratori stranieri devono poter dimostrare di
soddisfare condizioni analoghe in un altro Stato membro per non essere
assoggettati a dette condizioni ai fini dell’applicazione del regime impugnato.
3) Se [gli] articol[i] 49, 56, 45, 34, 35, 101 o 102 TFUE, eventualmente
in combinato disposto con l’articolo
106, paragrafo 1, TFUE, debba[no] essere interpretat[i] nel senso che
ess[i] osta[no] alla disciplina introdotta dall’articolo 2, § 3[,] del [regio
decreto del 2004], ossia al regime ai sensi del quale per i lavoratori portuali
che non vengono inseriti nel pool e che dunque vengono assunti direttamente da
un datore di lavoro con un contratto di lavoro conforme alla legge [sui
contratti di lavoro], la durata del loro riconoscimento viene limitata alla
durata di detto contratto di lavoro, cosicché si deve sempre avviare una nuova
procedura di riconoscimento.
4) Se [gli] articol[i] 49, 56, 45, 34, 35, 101 o 102 TFUE, eventualmente
in combinato disposto con l’articolo
106, paragrafo 1, TFUE, debba[no] essere interpretat[i] nel senso che
ess[i] osta[no] alla disciplina introdott[a] dall’articolo 13/1 del [regio
decreto del 2004], ossia al regime transitorio ai sensi del quale il contratto
di lavoro di cui alla terza questione pregiudiziale inizialmente deve essere
stipulato a tempo indeterminato, [in un secondo momento,] dal 1° luglio 2017
per almeno due anni, [in un terzo momento,] dal 1° luglio 2018 per almeno un
anno, [in un quarto momento,] dal 1° luglio 2019 per almeno sei mesi [e,
infine, in un quinto momento,] dal 1° luglio 2020 con una durata liberamente
determinabile.
5) Se [gli] articol[i] 49, 56, 45, 34, 35, 101 o 102 TFUE, eventualmente
in combinato disposto con l’articolo
106, paragrafo 1, TFUE, debba[no] essere interpretat[i] nel senso che
ess[i] osta[no] alla disciplina di cui all’articolo 15/1 del [regio decreto del
2004], ossia al regime (transitorio) ai sensi del quale i lavoratori portuali
riconosciuti ai sensi del vecchio regime sono riconosciuti di diritto come
lavoratori portuali nel pool per cui la possibilità di un’assunzione diretta
(con un contratto a tempo indeterminato) di detti lavoratori portuali ad opera
di un datore di lavoro viene ostacolata e si impedisce ai datori di lavoro di
vincolare, ingaggiandoli, lavoratori qualificati, stipulando direttamente con
essi un contratto a tempo indeterminato, e di offrire a questi ultimi sicurezza
di impiego ai sensi delle norme del diritto del lavoro comune.
6) Se [gli] articol[i] 49, 56, 45, 34, 35, 101 o 102 TFUE, eventualmente
in combinato disposto con l’articolo
106, paragrafo 1, TFUE, debba[no] essere interpretat[i] nel senso che
ess[i] osta[no] alla disciplina introdotta dall’articolo 4, § 2, del [regio
decreto del 2004], ossia al regime ai sensi del quale un [CCL] fissa le
condizioni e le modalità di impiego alle quali un lavoratore può essere
impiegato in una zona portuale diversa da quella in cui è stato riconosciuto,
per cui viene limitata la mobilità dei lavoratori tra le zone portuali senza
che il [Re] stabilisca chiaramente quali possano essere dette condizioni o
modalità.
7) Se [gli] articol[i] 49, 56, 45, 34, 35, 101 o 102 TFUE, eventualmente
in combinato disposto con l’articolo
106, paragrafo 1, TFUE, debba[no] essere interpretat[i] nel senso che
ess[i] osta[no] alla disciplina introdotta dall’articolo 1, § 3, del [regio
decreto del 2004], ossia al regime ai sensi del quale i lavoratori (logistici)
che svolgono attività lavorative ai sensi dell’articolo 1 del [regio decreto
del 1973] nei luoghi in cui le merci, in preparazione della loro successiva
distribuzione o spedizione, sono sottoposte a trasformazione che porta
indirettamente ad un valore aggiunto identificabile, devono disporre di un
certificato di sicurezza, che vale come riconoscimento ai sensi della [legge
sul lavoro portuale], tenendo conto che detto certificato viene richiesto dal
datore di lavoro che ha firmato un contratto di lavoro con un lavoratore ai
fini dell’esecuzione di siffatte attività e che il suo rilascio ha luogo previa
esibizione del contratto di lavoro e del documento di identità e le modalità
della procedura da seguire sono fissate mediante [CCL], senza che il [Re] sia
chiaro riguardo a tale punto».
Causa C-471/19
32 La Middlegate Europe è un’impresa di trasporti
con sede a Zeebrugge che opera in tutta Europa. Nell’ambito del trasporto
internazionale su strada, i suoi dipendenti preparano, tra l’altro, il carico
di semirimorchi sulla banchina del porto di Zeebrugge, con l’ausilio di un
«tugmaster» (trattore rimorchiatore), ai fini della loro spedizione verso il
Regno Unito e l’Irlanda.
33 Il 12 gennaio 2011 un lavoratore che, nell’ambito
di un trasporto internazionale su strada da Virton (Belgio) a Bury (Regno
Unito), preparava simili carichi è stato sottoposto a un controllo di polizia.
A seguito di tale controllo, i servizi di polizia hanno redatto un verbale a
carico della Middlegate Europe per violazione dell’articolo 1 della legge sul
lavoro portuale, vale a dire per lo svolgimento di un lavoro portuale ad opera
di un lavoratore portuale non riconosciuto.
34 Con decisione del 17 gennaio 2013 alla Middlegate
Europe è stata inflitta una sanzione amministrativa di EUR 100. Tale società ha
proposto ricorso avverso detta decisione dinanzi all’arbeidsrechtbank Gent,
afdeling Brugge (Tribunale del lavoro di Gand, sezione di Bruges, Belgio). Con
sentenza del 17 dicembre 2014 tale giudice ha respinto il ricorso in quanto infondato.
Con sentenza del 3 novembre 2016 l’arbeidshof te Gent (Corte del lavoro di
Gand, Belgio) ha respinto in quanto infondato l’appello interposto contro la
decisione di primo grado.
35 La Middlegate Europe ha quindi impugnato tale
sentenza dinanzi allo Hof van Cassatie (Corte di cassazione, Belgio).
Nell’ambito di tale procedimento, essa ha fatto valere che gli articoli 1 e 2
della legge sul lavoro portuale erano in contrasto con gli articoli 10, 11 e 23
della Costituzione belga, in quanto violavano la libertà di commercio e
d’industria delle imprese. Su richiesta della Middlegate Europe, lo Hof van
Cassatie (Corte di cassazione) ha deciso di sottoporre due questioni
pregiudiziali al giudice del rinvio nella causa C-471/19, il Grondwettelijk Hof
(Corte costituzionale, Belgio).
36 Tale giudice rileva che la libertà di commercio e
d’industria, quale sancita dalla Costituzione belga, è strettamente connessa
alla libertà professionale, al diritto di lavorare e alla libertà d’impresa,
garantiti dagli articoli 15 e 16 della Carta e a diverse libertà fondamentali
garantite dal Trattato FUE, quali la libera prestazione dei servizi (articolo 56 TFUE) e la libertà
di stabilimento (articolo 49 TFUE).
37 In primo luogo, la Corte Costituzionale ritiene
che l’obbligo – imposto in forza della legge sul lavoro portuale alle imprese
che, in una zona portuale, intendano svolgere un lavoro portuale, comprese le
attività estranee al carico e allo scarico di navi – di ricorrere soltanto a
lavoratori portuali riconosciuti e di aderire obbligatoriamente a tal fine a
un’organizzazione rappresentativa dei datori di lavoro riconosciuta, sembri
restringere, nei confronti di tali imprese, la libera scelta del personale e la
libertà di negoziare le condizioni di lavoro.
38 Pertanto, tale giudice considera che gli articoli
1 e 2 della legge sul lavoro portuale comportano una restrizione alla libertà
di stabilimento, ai sensi dell’articolo
49 TFUE. Alla luce della giurisprudenza della Corte, in particolare della
sentenza dell’11 dicembre 2014, Commissione/Spagna (C-576/13, non pubblicata,
EU:C:2014:2430), esso si chiede se tale restrizione sia o meno giustificata,
tenuto conto delle caratteristiche e delle circostanze specifiche della
normativa nazionale in materia di lavoro portuale.
39 Esso osserva, al riguardo, che l’obiettivo del
legislatore belga, al momento dell’adozione della legge sul lavoro portuale,
era quello di tutelare la professione di lavoratore portuale vietando ai
lavoratori non riconosciuti di svolgere un lavoro portuale. Infatti, conferendo
una base legale allo status di «lavoratore portuale riconosciuto» – che sarebbe
strettamente connesso al carattere specifico, difficile e pericoloso del lavoro
portuale – tale legislatore avrebbe cercato di riservare le attività di
movimentazione delle merci nei porti, la cui tecnicità evolverebbe rapidamente,
esclusivamente a lavoratori che abbiano seguito una solida formazione
professionale, destinata a valutare tanto le loro qualifiche professionali
quanto le loro capacità fisiche e intellettive. Istituendo tale status e il
relativo monopolio di lavoro, detto legislatore avrebbe altresì inteso
rispondere alla finalità di garantire la sicurezza nelle zone portuali e di
evitare incidenti sul lavoro, da un lato, e alla necessità di avere ogni giorno
lavoratori specializzati che si tengono a disposizione di un porto che riunisca
produttività, servizio e competitività, dall’altro. Imponendo l’adesione del
datore di lavoro a un’unica organizzazione di datori di lavoro riconosciuta per
ogni zona portuale, che intervenga in qualità di segretariato sociale di
inquadramento, il legislatore belga avrebbe cercato inoltre di garantire la
parità di trattamento in materia di diritti sociali tra tutti i lavoratori
portuali rispetto a tutti gli obblighi di diritto sociale derivanti dallo
status di lavoratore portuale riconosciuto.
40 In secondo luogo, il Grondwettelijk Hof (Corte
costituzionale) richiama l’attenzione sul fatto che, in attesa dell’intervento
del legislatore belga, la pura e semplice constatazione dell’incostituzionalità
degli articoli 1 e 2 della legge sul lavoro portuale potrebbe comportare che
migliaia di lavoratori portuali si trovino inaspettatamente, per un certo lasso
di tempo, in una situazione di grande incertezza per quanto riguarda il loro
status giuridico sul mercato del lavoro, il che potrebbe avere conseguenze
sociali e finanziarie nefaste per i lavoratori portuali. Anche i pubblici
poteri, nelle stesse circostanze, potrebbero trovarsi di fronte a gravi
conseguenze.
41 Al fine di evitare, se del caso, l’incertezza
giuridica e il malcontento sociale e di consentire al legislatore belga di
adeguare l’organizzazione del lavoro portuale nelle zone portuali agli obblighi
derivanti dalla Costituzione belga, letta in combinato disposto con la libertà
di commercio e d’industria garantite dagli articoli 15 e 16 della Carta e con
l’articolo 49 TFUE, il
Grondwettelijk Hof (Corte costituzionale) rileva che, in forza del diritto
belga, esso potrebbe mantenere temporaneamente gli effetti degli articoli 1 e 2
della legge sul lavoro portuale.
42 In tali circostanze, il Grondwettelijk Hof (Corte
costituzionale) ha deciso di sospendere il procedimento e di sottoporre alla
Corte le seguenti questioni pregiudiziali:
«1) Se l’articolo 49 [TFUE], eventualmente
in combinato disposto con l’articolo
56 del Trattato medesimo, con gli articoli 15 e 16 della [Carta] e
con il principio della parità di trattamento, debba essere interpretato nel
senso che esso osta a una disciplina nazionale che obbliga persone o imprese
che intendono svolgere in una zona portuale del Belgio attività di lavoro
portuale ai sensi della [legge sul lavoro portuale] – comprese attività asseritamente
estranee al carico e allo scarico di navi in senso stretto – ad avvalersi
unicamente di lavoratori portuali riconosciuti.
2) Se, in caso di risposta affermativa alla prima
questione, la Corte costituzionale belga possa mantenere provvisoriamente in
vigore gli effetti dei controversi articoli 1 e 2 della [legge sul lavoro
portuale] al fine di evitare l’incertezza giuridica e prevenire il malcontento
sociale e di consentire al legislatore di adeguarli agli obblighi derivanti dal
diritto dell’Unione europea».
43 Con decisione del presidente della Corte del 19
luglio 2020 le cause C-407/19 e C-471/19 sono state riunite ai fini delle fasi
scritta e orale del procedimento nonché della sentenza.
Sulla domanda di riapertura della fase orale del
procedimento
44 Con atto depositato presso la cancelleria della
Corte il 27 ottobre 2020, la Katoen Natie Bulk Terminals, la General Services
Antwerp e la Middlegate Europe hanno chiesto che fosse disposta la riapertura
della fase orale del procedimento, ai sensi dell’articolo 83 del regolamento di
procedura della Corte.
45 A sostegno della loro domanda, esse hanno fatto
sostanzialmente valere, da un lato, che da taluni documenti divenuti
accessibili dopo la lettura delle conclusioni dell’avvocato generale risulta che
il governo belga nonché le organizzazioni di datori di lavoro e di lavoratori
del settore portuale si sarebbero messi d’accordo e avrebbero deciso di
attenersi alla normativa di cui ai procedimenti principali, quand’anche la
Corte seguisse le proposte dell’avvocato generale. Dall’altro lato, esse
intenderebbero richiamare l’attenzione della Corte su recenti decisioni in
materia di lavoro portuale pronunciate da alcuni giudici di Stati membri.
46 Ai sensi dell’articolo 83 del suo regolamento di
procedura, la Corte, in qualsiasi momento, sentito l’avvocato generale, può
disporre la riapertura della fase orale del procedimento, in particolare se
essa non si ritiene sufficientemente edotta o quando, dopo la chiusura di tale
fase, una parte ha prodotto un fatto nuovo, tale da influenzare in modo
decisivo la decisione della Corte, oppure quando la causa deve essere decisa in
base a un argomento che non è stato oggetto di discussione tra le parti o gli
interessati menzionati all’articolo 23 dello Statuto della Corte di giustizia
dell’Unione europea.
47 Tale ipotesi non ricorre nel caso di specie. La
posizione che il governo belga nonché le organizzazioni di datori di lavoro e
di lavoratori nel settore portuale intenderebbero adottare nell’ipotesi in cui
la Corte seguisse le proposte formulate dall’avvocato generale nelle sue
conclusioni è irrilevante ai fini della risposta da dare alle questioni dei
giudici del rinvio nelle presenti cause. Parimenti, nemmeno le recenti pronunce
giurisdizionali, indicate dalla Katoen Natie Bulk Terminals, dalla General
Services Antwerp e dalla Middlegate Europe nella loro domanda di riapertura
della fase orale del procedimento, presentano una simile rilevanza. Si tratta,
da un lato, di una decisione dell’autorità spagnola garante della concorrenza
adottata in seguito alla pronuncia della sentenza dell’11 dicembre 2014,
Commissione/Spagna (C-576/13, non pubblicata, EU:C:2014:2430) e, dall’altro, di
una sentenza di un giudice dei Paesi Bassi, che non ha alcun nesso con la
normativa di cui al procedimento principale.
48 Inoltre, nei limiti in cui, nella loro domanda di
riapertura della fase orale del procedimento, la Katoen Natie Bulk Terminals,
la General Services Antwerp e la Middlegate Europe esprimono il loro disaccordo
con alcune valutazioni contenute nelle conclusioni dell’avvocato generale,
occorre ricordare, da un lato, che lo Statuto della Corte di giustizia
dell’Unione europea e suo il regolamento di procedura non prevedono la
possibilità per le parti interessate di presentare osservazioni in risposta
alle conclusioni presentate dall’avvocato generale (sentenza del 4 settembre
2014, Vnuk, C-162/13, EU:C:2014:2146, punto 30 e giurisprudenza ivi citata).
49 Dall’altro lato, ai sensi dell’articolo 252, secondo comma, TFUE,
l’avvocato generale ha il compito di presentare pubblicamente, con assoluta
imparzialità e in piena indipendenza, conclusioni motivate riguardo alle cause
che, conformemente allo Statuto della Corte di giustizia dell’Unione europea,
richiedono il suo intervento. Al riguardo, la Corte non è vincolata né dalle
conclusioni dell’avvocato generale, né dalla motivazione in base alla quale
egli vi perviene. Di conseguenza, il disaccordo di una parte interessata con le
conclusioni dell’avvocato generale, quali che siano le questioni da esso ivi
esaminate, non può costituire, di per sé, un motivo che giustifichi la
riapertura della fase orale (sentenza del 4 settembre 2014, Vnuk, C-162/13,
EU:C:2014:2146, punto 31 e giurisprudenza ivi citata).
50 Alla luce di tutte le considerazioni che
precedono, la Corte ritiene che non occorra disporre la riapertura della fase
orale del procedimento.
Sulle questioni pregiudiziali
Sulla competenza della Corte
51 Si deve constatare che, sia nella causa C-407/19
sia nella causa C-471/19, gli elementi della controversia si collocano in un
solo Stato membro.
52 In proposito, da un lato, spetta al giudice del
rinvio indicare alla Corte sotto quale profilo, nonostante il suo carattere
puramente interno, la controversia dinanzi ad esso pendente presenti con le
disposizioni del diritto dell’Unione relative alle libertà fondamentali un
elemento di collegamento che renda l’interpretazione richiesta in via
pregiudiziale necessaria alla soluzione della controversia principale (sentenza
del 15 novembre 2016, Ullens de Schooten, C-268/15, EU:C:2016:874, punto 55).
Orbene, come emerge dai punti da 18 a 20 della presente sentenza, nella causa
C-407/19 il Raad van State (Consiglio di Stato) ha avuto cura di spiegare come
la rilevanza internazionale delle zone portuali situate in Belgio consenta di
ritenere che le situazioni interessate dalla normativa nazionale applicabile
presentino un simile elemento di collegamento con il diritto dell’Unione. Tali
considerazioni appaiono pienamente applicabili alla controversia di cui è adito
il Grondwettelijk Hof (Corte costituzionale) nella causa C-471/19.
53 Dall’altro lato, quando il giudice del rinvio si
rivolge alla Corte nell’ambito di un procedimento di annullamento di
disposizioni applicabili non solo nei confronti dei cittadini nazionali, ma
anche dei cittadini degli altri Stati membri, la decisione che tale giudice
adotterà a seguito della sua sentenza pronunciata in via pregiudiziale produrrà
effetti anche nei confronti di questi ultimi cittadini, il che giustifica che
la Corte risponda alle questioni sottopostele in relazione alle disposizioni
del Trattato relative alle libertà fondamentali nonostante il fatto che tutti
gli elementi della controversia di cui al procedimento principale siano
confinati all’interno di un solo Stato membro (sentenza del 15 novembre 2016,
Ullens de Schooten, C-268/15, EU:C:2016:874, punto 51 e giurisprudenza ivi
citata). Tale considerazione vale anche nell’ipotesi in cui la Corte sia adita
nell’ambito di un procedimento vertente sulla conformità di simili disposizioni
nazionali al diritto dell’Unione. Orbene, le disposizioni nazionali di cui ai
procedimenti principali sono indistintamente applicabili sia ai cittadini belgi
sia ai cittadini degli altri Stati membri.
54 Ne consegue che la Corte è competente a statuire
sull’insieme delle questioni pregiudiziali.
Sulle questioni pregiudiziali sollevate nella causa
C-471/19
Sulla prima questione
55 Con la sua prima questione nella causa C-471/19
il giudice del rinvio chiede sostanzialmente se gli articoli 49 TFUE e 56 TFUE, gli articoli 15 e 16 della Carta,
nonché il principio della parità di trattamento debbano essere interpretati nel
senso che essi ostano a una normativa nazionale che obbliga persone o imprese
che intendano esercitare attività portuali in una zona portuale, comprese
attività estranee al carico e allo scarico di navi in senso stretto, a
ricorrere unicamente a lavoratori portuali riconosciuti come tali conformemente
alle condizioni e alle modalità stabilite in applicazione di tale normativa.
56 Occorre anzitutto rilevare che, per quanto
riguarda la compatibilità con gli articoli
15 e 16 della Carta di una normativa nazionale in forza della quale le
imprese che intendono fornire servizi portuali devono ricorrere
obbligatoriamente a lavoratori portuali riconosciuti, un esame della
restrizione determinata da una normativa nazionale ai sensi degli articoli 49 e 56 TFUE comprende anche le
eventuali restrizioni all’esercizio dei diritti e delle libertà previsti agli
articoli da 15 a 17 della Carta, di modo che non è
necessario esaminare separatamente un’eventuale incompatibilità con la libertà
di impresa (v., in tal senso, sentenza del 20 dicembre 2017, Global Starnet,
C-322/16, EU:C:2017:985, punto 50 e giurisprudenza ivi citata).
57 Dal momento che il giudice del rinvio nella causa
C-471/19 ha menzionato, nella sua prima questione, il principio della parità di
trattamento, occorre rilevare che una normativa nazionale, come quella
considerata da tale questione, si applica in modo identico agli operatori sia
residenti sia non residenti che, pertanto, sono trattati su un piano di parità.
58 Tuttavia, risulta dalla giurisprudenza costante
della Corte che gli articoli 49 e 56 TFUE ostano a ogni misura nazionale che,
anche applicabile senza discriminazione relativa alla nazionalità, sia in grado
di vietare, di ostacolare o di rendere meno attraente l’esercizio, da parte di
cittadini dell’Unione europea, della libertà di stabilimento e della libera
prestazione dei servizi garantite da dette disposizioni del Trattato (sentenza del 10 luglio 2014, Consorzio Stabile Libor
Lavori Pubblici, C-358/12, EU:C:2014:2063, punto 28 e giurisprudenza ivi
citata).
59 Orbene, si deve constatare, al pari del giudice
del rinvio nella causa C-471/19 nonché dell’avvocato generale ai paragrafi 52 e
53 delle sue conclusioni, che una normativa di uno Stato membro che obbliga le
imprese provenienti da altri Stati membri che intendano stabilirsi in tale
Stato membro per esercitarvi attività portuali – o che, senza stabilirvisi, vi
intendano fornire servizi portuali – a ricorrere soltanto a lavoratori portuali
riconosciuti come tali conformemente a detta normativa impedisce a tali imprese
di ricorrere al proprio personale o di assumere altri lavoratori non
riconosciuti e, pertanto, può ostacolare o rendere meno attraente lo
stabilimento delle medesime nello Stato membro di cui trattasi o la loro
prestazione di servizi in detto Stato membro.
60 Tale normativa costituisce quindi una restrizione
alle libertà garantite dagli articoli
49 e 56 TFUE (v., per
analogia, sentenza dell’11 dicembre 2014, Commissione/Spagna, C-576/13, non
pubblicata, EU:C:2014:2430, punti 37 e 38).
61 Restrizioni del genere possono essere
giustificate da motivi imperativi di interesse generale, a condizione che siano
idonee a garantire la realizzazione dell’obiettivo perseguito e non vadano
oltre quanto necessario per conseguirlo, vale a dire se non esistano misure
meno restrittive che consentano di conseguirlo in modo altrettanto efficace
(v., in tal senso, sentenze dell’11 dicembre 2007,
International Transport Workers’ Federation e Finnish Seamen’s Union, C-438/05,
EU:C:2007:772, punto 75, del 10 luglio 2014,
Consorzio Stabile Libor Lavori Pubblici, C-358/12, EU:C:2014:2063, punto
31, e dell’11 dicembre 2014, Commissione/Spagna, C-576/13, non pubblicata,
EU:C:2014:2430, punti 47 e 53).
62 Dalle indicazioni del giudice del rinvio nella
causa C-471/19, riassunte al punto 39 della presente sentenza, che si
sovrappongono alle spiegazioni fornite dal governo belga nelle sue osservazioni
scritte, risulta che le disposizioni della legge sul lavoro portuale di cui al procedimento
principale mirano, in sostanza, a garantire la sicurezza nelle zone portuali e
a prevenire gli infortuni sul lavoro, ad assicurare la disponibilità di
manodopera specializzata tenuto conto della fluttuazione della domanda di
lavoro in tali zone, nonché a garantire la parità di trattamento in materia di
diritti sociali tra tutti i lavoratori portuali.
63 In primo luogo, per quanto riguarda l’obiettivo
di garantire la parità di trattamento in materia di diritti sociali tra tutti i
lavoratori portuali, occorre ricordare che la tutela dei lavoratori costituisce
un motivo imperativo di interesse generale idoneo a giustificare una
restrizione alle libertà di circolazione (v., in particolare, sentenze dell’11 dicembre 2007, International Transport Workers’
Federation e Finnish Seamen’s Union, C-438/05, EU:C:2007:772, punto 77, e
dell’11 dicembre 2014, Commissione/Spagna, C-576/13, non pubblicata,
EU:C:2014:2430, punto 50).
64 Tuttavia, un simile obiettivo non può essere raggiunto
mediante una normativa nazionale che obbliga persone o imprese che intendano
esercitare attività portuali in una zona portuale a ricorrere unicamente a
lavoratori portuali riconosciuti, poiché il mero fatto che un lavoratore
portuale sia riconosciuto in quanto tale non implica che egli godrà
necessariamente degli stessi diritti sociali di tutti gli altri lavoratori
portuali riconosciuti. Infatti, dalla domanda di pronuncia pregiudiziale
risulta che detto obiettivo potrebbe essere conseguito obbligando i datori di
lavoro dei lavoratori portuali ad aderire a un’unica organizzazione. Orbene, un
obbligo del genere può essere imposto in applicazione dell’articolo 3 bis della
legge sul lavoro portuale, che non è contemplato dalla presente questione.
65 In secondo luogo, per quanto concerne l’obiettivo
di garantire la disponibilità di manodopera specializzata – supponendo che
possa essere considerato un motivo imperativo di interesse generale, ai sensi
della giurisprudenza citata al punto 61 della presente sentenza, come
sostanzialmente rilevato dall’avvocato generale al paragrafo 68 delle sue
conclusioni – un sistema rigido, che prevede la costituzione di un contingente
limitato di lavoratori portuali riconosciuti al quale ogni impresa che intenda
esercitare attività portuali deve obbligatoriamente ricorrere, eccede quanto è
necessario per raggiungere l’obiettivo di garantire la disponibilità di
manodopera specializzata.
66 In terzo luogo, per quanto riguarda l’obiettivo
più specifico di garantire la sicurezza nelle zone portuali e di prevenire gli
infortuni sul lavoro, come emerge dal punto 63 della presente sentenza, la
tutela dei lavoratori figura tra i motivi imperativi di interesse generale che
possono giustificare una restrizione alle libertà di circolazione.
67 Lo stesso vale per l’obiettivo più specifico di
garantire la sicurezza nelle zone portuali (v., in tal senso, sentenza dell’11
dicembre 2014, Commissione/Spagna, C-576/13, non pubblicata, EU:C:2014:2430,
punti da 49 a 52).
68 Al proposito, come rilevato dall’avvocato
generale ai paragrafi 70 e 71 delle sue conclusioni, poiché gli articoli 1 e 2
della legge sul lavoro portuale si limitano a istituire un regime di
riconoscimento dei lavoratori portuali, le cui condizioni e modalità concrete
di attuazione devono essere fissate mediante atti adottati in forza
dell’articolo 3 di tale legge, non si può ritenere che tali disposizioni,
considerate isolatamente, siano di per sé inidonee o sproporzionate per
raggiungere l’obiettivo di garantire la sicurezza nelle zone portuali e di
prevenire gli infortuni sul lavoro.
69 Infatti, il carattere necessario e proporzionato
di un simile regime e, di conseguenza, la sua compatibilità con gli articoli 49 e 56 TFUE devono essere valutati
in modo globale, tenendo conto di tutte le condizioni previste per il
riconoscimento dei lavoratori portuali nonché delle modalità di attuazione di
un simile regime.
70 Una normativa nazionale secondo cui le imprese
che intendano fornire servizi portuali devono obbligatoriamente avvalersi di
lavoratori portuali riconosciuti può essere considerata proporzionata rispetto
all’obiettivo perseguito solo se il riconoscimento dei lavoratori portuali è
fondato su criteri oggettivi, non discriminatori e predeterminati, in modo da
fissare limiti all’esercizio del potere discrezionale dell’autorità
responsabile del loro riconoscimento e da garantire che quest’ultimo non sia
utilizzato in modo arbitrario (v., per analogia, sentenza del 17 luglio 2008,
Commissione/Francia, C-389/05, EU:C:2008:411, punto 94 e giurisprudenza ivi
citata).
71 Inoltre, dal momento che l’obiettivo di una
simile normativa è di garantire la sicurezza nelle zone portuali e di prevenire
gli infortuni sul lavoro, le condizioni di riconoscimento dei lavoratori
portuali devono logicamente vertere esclusivamente sulla questione di stabilire
se questi ultimi dispongano delle qualità e delle competenze necessarie per
assicurare l’esecuzione in piena sicurezza dei compiti loro incombenti.
72 A tal fine, come rilevato dall’avvocato generale
al paragrafo 76 delle sue conclusioni, si può eventualmente prevedere che, per
essere riconosciuti, i lavoratori portuali debbano possedere una sufficiente
formazione professionale.
73 Tuttavia, un requisito secondo cui una simile
formazione deve essere impartita o attestata da un solo determinato organismo
nello Stato membro in questione, senza tener conto dell’eventuale
riconoscimento degli interessati come lavoratori portuali in un altro Stato
membro dell’Unione o della formazione che questi ultimi abbiano seguito in un
altro Stato membro dell’Unione e delle competenze professionali che vi abbiano
acquisito, sarebbe sproporzionato rispetto all’obiettivo perseguito (v., in tal
senso, sentenza del 5 febbraio 2015, Commissione/Belgio, C-317/14,
EU:C:2015:63, punti da 27 a 29).
74 Inoltre, come sostanzialmente rilevato
dall’avvocato generale al paragrafo 88 delle sue conclusioni, la limitazione
del numero dei lavoratori portuali che possono essere oggetto di riconoscimento
– e pertanto la costituzione di un contingente ristretto di simili lavoratori,
ai quali ogni impresa che intenda esercitare attività portuali deve
obbligatoriamente ricorrere – ammesso che sia idonea a garantire la sicurezza
nelle zone portuali, è certamente sproporzionata rispetto alla realizzazione di
un simile obiettivo.
75 Infatti, tale obiettivo può essere anche
raggiunto prevedendo che qualsiasi lavoratore in grado di dimostrare di possedere
le competenze professionali richieste e, se del caso, di aver seguito una
formazione adeguata possa essere riconosciuto come lavoratore portuale.
76 Alla luce di tutte le considerazioni che
precedono, si deve rispondere alla prima questione nella causa C-471/19
dichiarando che gli articoli 49
e 56 TFUE devono essere
interpretati nel senso che essi non ostano a una normativa nazionale che
obbliga persone o imprese che intendano esercitare attività portuali in una
zona portuale, comprese attività estranee al carico e allo scarico di navi in
senso stretto, a ricorrere esclusivamente a lavoratori portuali riconosciuti
come tali conformemente alle condizioni e alle modalità fissate in applicazione
di tale normativa, purché dette condizioni e modalità, da un lato, si basino su
criteri oggettivi, non discriminatori, predeterminati e che consentano ai
lavoratori portuali di altri Stati membri di dimostrare di soddisfare, nel loro
Stato di origine, requisiti equivalenti a quelli applicati ai lavoratori
portuali nazionali e, dall’altro, non stabiliscano un contingente limitato di
lavoratori che possono essere oggetto di un simile riconoscimento.
Sulla seconda questione nella causa C-471/19
77 La seconda questione nella causa C-471/19
riguarda l’ipotesi in cui dalla risposta alla prima questione risultasse che
gli articoli 49 e 56 TFUE ostano a una normativa
nazionale come gli articoli 1 e 2 della legge sul lavoro portuale. Il giudice
del rinvio in tale causa chiede sostanzialmente se, in un’ipotesi del genere,
esso possa mantenere provvisoriamente gli effetti di tali articoli, al fine di
evitare un’incertezza giuridica e un malcontento sociale all’interno dello
Stato membro interessato.
78 Orbene, dalla risposta alla prima questione
emerge che disposizioni nazionali quali gli articoli 1 e 2 della legge sul lavoro
portuale non sono di per sé incompatibili con le libertà sancite agli articoli 49 e 56 TFUE, ma che la valutazione
della compatibilità con tali libertà del regime istituito in applicazione di
simili disposizioni richiede un approccio globale, prendendo in considerazione
l’insieme delle condizioni e delle modalità di attuazione di un simile regime.
79 In tali circostanze, non occorre rispondere alla
seconda questione sollevata nella causa C-471/19.
Sulle questioni pregiudiziali sollevate nella causa
C-407/19
Osservazioni preliminari
80 Le questioni pregiudiziali nella causa C-407/19
sono dirette a consentire al giudice del rinvio in tale causa di valutare la
compatibilità con il diritto dell’Unione di varie disposizioni del regio
decreto del 2004, che stabilisce le modalità di attuazione delle disposizioni
della legge sul lavoro portuale. Detto giudice fa riferimento, in tale
contesto, alle diverse libertà di circolazione garantite dal Trattato.
81 Al riguardo, in primo luogo, dalla risposta
fornita alla prima questione nella causa C-471/19 risulta che una simile
normativa rientra nell’ambito della libertà di stabilimento e della libera
prestazione dei servizi garantite, rispettivamente, agli articoli 49 e 56 TFUE.
82 In secondo luogo, occorre precisare che una
simile normativa rientra parimenti nell’ambito di applicazione dell’articolo 45 TFUE. Infatti il
beneficio di tale disposizione può essere invocato non solo dai lavoratori
stessi, ma anche dai loro datori di lavoro. Per essere efficace e utile, il diritto
dei lavoratori di essere assunti e impiegati senza discriminazioni deve
necessariamente essere affiancato dal diritto dei datori di lavoro di assumerli
nel rispetto delle norme in materia di libera circolazione dei lavoratori (sentenza del 16 aprile 2013, Las, C-202/11,
EU:C:2013:239, punto 18). L’insieme delle disposizioni del Trattato FUE
relative alla libera circolazione delle persone mira quindi ad agevolare, per i
cittadini degli Stati membri, l’esercizio di attività lavorative di qualsiasi
tipo nel territorio dell’Unione e osta ai provvedimenti che possano
svantaggiare tali cittadini quando intendano svolgere un’attività economica nel
territorio di un altro Stato membro. Tali disposizioni, e in particolare l’articolo 45 TFUE, ostano
pertanto a qualsiasi provvedimento che, seppure applicabile senza
discriminazioni basate sulla cittadinanza, sia idoneo a ostacolare o a rendere
meno attraente l’esercizio, da parte dei cittadini dell’Unione, delle libertà
fondamentali garantite dal Trattato (sentenza del
16 aprile 2013, Las, C-202/11, EU:C:2013:239, punti 19 e 20 e
giurisprudenza ivi citata).
83 In terzo luogo, sebbene il giudice del rinvio
nella causa C-407/19 abbia altresì menzionato, nel testo delle sue questioni,
gli articoli 34 e 35 TFUE,
relativi alla libera circolazione delle merci, occorre tuttavia constatare che
esso non ha fornito alcuna indicazione circa l’effetto concreto su tale libertà
di una normativa nazionale come quella oggetto di dette questioni.
84 In ogni caso, occorre ricordare che, qualora un
provvedimento nazionale incida sia sulla libera prestazione dei servizi sia
sulla libera circolazione delle merci, la Corte procede al suo esame, in linea
di principio, solamente con riguardo a una di tali due libertà fondamentali
qualora risulti che, nelle circostanze del caso di specie, una delle due sia
del tutto secondaria rispetto all’altra e possa essere a questa ricollegata
(sentenza del 14 ottobre 2004, Omega, C-36/02, EU:C:2004:614, punto 26 e
giurisprudenza ivi citata).
85 Lo stesso deve valere per una misura che incide
sia sulla libertà di stabilimento, o sulla libera circolazione dei lavoratori,
sia sulla libera circolazione delle merci.
86 Orbene, supponendo che una normativa nazionale
come quella di cui al punto 80 della presente sentenza sia idonea a limitare
anche la libera circolazione delle merci, poiché i lavoratori portuali
effettuano anche prestazioni relative al trasporto delle merci che transitano
per i porti, è evidente che una simile restrizione sarebbe del tutto secondaria
rispetto alle restrizioni alla libera circolazione dei lavoratori e dei
servizi, nonché alla libertà di stabilimento.
87 In quarto luogo – sebbene il giudice del rinvio
nella causa C-407/19 richiami, nel testo delle questioni che ha sottoposto alla
Corte, gli articoli 101, 102
e 106 TFUE – esso non ha
nemmeno fornito spiegazioni sufficienti per consentire a quest’ultima di
valutare se tali disposizioni debbano essere interpretate nel senso che esse
ostano a una normativa nazionale come quella di cui al procedimento principale.
88 Peraltro, come ricordato dall’avvocato generale
al paragrafo 38 delle sue conclusioni, la Corte ha già statuito che una
normativa come quella di cui al procedimento principale – che obbliga i privati
a ricorrere, per l’esecuzione di lavori portuali, esclusivamente a lavoratori
portuali riconosciuti – non rientra nell’ambito di applicazione degli articoli 101 e 102, nonché
dell’articolo 106, paragrafo 1,
TFUE, in quanto non si può ritenere che, ancorché considerati
collettivamente, i lavoratori portuali siano «imprese» ai sensi di tali
disposizioni (v., in tal senso, sentenza del 16 settembre 1999, Becu e a., C-22/98,
EU:C:1999:419, punti 27, 30 e 31).
89 Alla luce delle considerazioni che precedono,
occorre esaminare le questioni pregiudiziali nella causa C-407/19 solo alla
luce degli articoli 45, 49 e 56 TFUE.
90 A tale proposito, dai punti 59 e 60 della
presente sentenza risulta che una normativa di uno Stato membro che, al pari
degli articoli 1 e 2 della legge sul lavoro portuale, obbliga le imprese non
residenti – che intendano stabilirsi in tale Stato membro per esercitarvi
attività portuali o che, senza stabilirvisi, vi intendano fornire servizi
portuali – a ricorrere soltanto a lavoratori portuali riconosciuti
conformemente a tale normativa costituisce una restrizione alle libertà
garantite dagli articoli 49 e
56 TFUE.
91 Del pari, una simile normativa nazionale può
avere un effetto dissuasivo nei confronti dei lavoratori e dei datori di lavoro
provenienti da altri Stati membri e costituisce, di conseguenza, una
restrizione alla libera circolazione dei lavoratori, sancita all’articolo 45 TFUE (v., per
analogia, sentenza del 16 aprile 2013, Las,
C-202/11, EU:C:2013:239, punto 22).
92 Risulta inoltre, rispettivamente dai punti 61 e
63 della presente sentenza, che simili restrizioni possono essere giustificate
da motivi imperativi di interesse generale e che l’obiettivo di garantire la
sicurezza nelle zone portuali e di prevenire gli infortuni sul lavoro, invocato
dal governo belga nelle sue osservazioni scritte, può costituire un simile
motivo, tale da giustificare dette restrizioni, purché queste ultime siano
necessarie e proporzionate rispetto all’obiettivo perseguito.
93 Occorre pertanto procedere, con riferimento a
ciascuna delle misure oggetto delle questioni pregiudiziali nella causa
C-407/19, all’esame del loro carattere necessario e proporzionato rispetto
all’obiettivo menzionato nel punto precedente.
Sulla prima questione, sulla seconda questione,
lettera d), nonché sulla terza e sulla quarta questione
94 Con la sua prima questione, con la sua seconda
questione, lettera d), nonché con le sue questioni terza e quarta, che occorre
esaminare congiuntamente, il giudice del rinvio nella causa C-407/19 chiede
sostanzialmente se gli articoli
45, 49 e 56 TFUE debbano essere
interpretati nel senso che essi ostano a una normativa nazionale in forza della
quale:
– il riconoscimento dei lavoratori portuali è di
competenza di una commissione amministrativa paritetica, composta da membri
designati dalle organizzazioni di datori di lavoro e dalle organizzazioni di
lavoratori;
– tale commissione decide anche, in funzione del
fabbisogno di manodopera, se i lavoratori riconosciuti debbano o meno essere
inseriti in un contingente di lavoratori portuali;
– per i lavoratori portuali non inseriti in tale
contingente, la durata del loro riconoscimento è limitata alla durata del loro
contratto di lavoro, purché quest’ultimo sia di durata indeterminata, fermo
restando che, in applicazione di una disposizione di diritto transitorio, tale
beneficio è, in un primo tempo, esteso progressivamente ai lavoratori portuali
che dispongono di un contratto di lavoro di durata sempre più breve e, in un
secondo tempo, a quelli con un contratto di lavoro qualunque ne sia la durata;
– non è previsto alcun termine massimo entro il
quale detta commissione deve deliberare, ed
– è previsto soltanto un ricorso giurisdizionale
contro le decisioni della stessa commissione relative al riconoscimento di un
lavoratore portuale.
95 Per quanto concerne, in primo luogo, la
composizione della commissione amministrativa, occorre rilevare che, nei limiti
in cui, come risulta dal punto 92 della presente sentenza, il requisito del
riconoscimento dei lavoratori portuali mira a garantire la sicurezza nelle zone
portuali e a prevenire gli infortuni sul lavoro, una normativa in forza della
quale tale riconoscimento è concesso da un organo amministrativo paritariamente
composto da membri designati dalle organizzazioni di datori di lavoro e di
lavoratori non risulta necessaria e appropriata per conseguire tale obiettivo.
96 Non è infatti garantito che i membri di tale
organo, designati da dette organizzazioni, dispongano delle conoscenze
necessarie per determinare se un lavoratore portuale soddisfi i criteri di
riconoscimento, relativi alla sua idoneità allo svolgimento in piena sicurezza
dei compiti ad esso incombenti.
97 Inoltre, come osservato dall’avvocato generale ai
paragrafi da 126 a 128 delle sue conclusioni, se i membri dell’organo
competente per il riconoscimento dei lavoratori portuali sono designati da
operatori già presenti sul mercato, in particolare da un’organizzazione che
rappresenta i lavoratori portuali già riconosciuti che rischiano di entrare in
concorrenza per i posti di lavoro disponibili con i lavoratori che chiedono il
loro riconoscimento, è lecito dubitare dell’imparzialità di tali membri e che
possano pertanto pronunciarsi sulle domande di riconoscimento in modo
obiettivo, trasparente e non discriminatorio (v., per analogia, sentenze del 15
gennaio 2002, Commissione/Italia, C-439/99, EU:C:2002:14, punto 39; del 1°
luglio 2008, MOTOE, C-49/07, EU:C:2008:376,
punto 51, nonché del 26 settembre 2013, Ottica New Line, C-539/11,
EU:C:2013:591, punti 53 e 54).
98 In secondo luogo, nemmeno il fatto che non sia
fissato un termine ragionevole entro il quale l’organo incaricato del
riconoscimento dei lavoratori portuali deve emettere la propria decisione
risulta necessario e appropriato per conseguire l’obiettivo di garantire la
sicurezza nelle zone portuali e di prevenire gli incidenti sul lavoro.
99 Al contrario, l’assenza di un simile termine è
tale da aumentare il rischio di rifiuto arbitrario di riconoscimento di un
lavoratore portuale dotato delle qualità richieste, al solo scopo di
restringere la concorrenza sul mercato del lavoro in questione.
100 In terzo luogo, per quanto riguarda il fatto che,
secondo le indicazioni del giudice del rinvio nella causa C-407/19, è previsto
soltanto un ricorso giurisdizionale avverso le decisioni della commissione
incaricata del riconoscimento dei lavoratori portuali, occorre rilevare che,
per essere giudicata proporzionata rispetto all’obiettivo perseguito, una
misura che implichi la restrizione di una libertà fondamentale deve poter
essere oggetto di un controllo giurisdizionale effettivo, garantito dall’articolo 47 della Carta (v., in
tal senso, sentenza dell’8 maggio 2019, PI, C-230/18, EU:C:2019:383, punti da
78 a 81).
101 Spetta al giudice del rinvio nella causa
C-407/19 verificare, se del caso, che il ricorso giurisdizionale previsto
contro le decisioni della commissione amministrativa soddisfi i requisiti di un
simile controllo.
102 Per contro, il fatto che non sia previsto alcun
ricorso dinanzi a un organo amministrativo contro le decisioni relative al
riconoscimento dei lavoratori portuali non è tale da mettere in dubbio il
carattere necessario e proporzionato di una misura nazionale che rende
obbligatorio un simile riconoscimento.
103 In quarto luogo, per quanto riguarda
l’inserimento – o meno – dei lavoratori portuali riconosciuti in un contingente
di lavoratori su decisione della commissione amministrativa, occorre rilevare
che dalle indicazioni del giudice del rinvio nella causa C-407/19 risulta che
il pool previsto dal regio decreto del 2004 non costituisce un contingente
rigido, come quello di cui al punto 74 della presente sentenza, dal momento
che, come risulta dall’articolo 2, paragrafo 3, di tale regio decreto, i
lavoratori portuali non inseriti in tale pool possono essere assunti come
lavoratori portuali sulla base di un contratto di lavoro.
104 Risulta tuttavia da quest’ultima disposizione,
nonché dalle indicazioni del giudice del rinvio, che il riconoscimento dei
lavoratori non inseriti nel pool è limitato alla durata del loro contratto di
lavoro, mentre, conformemente all’articolo 2, paragrafo 2, del regio decreto
del 2004, i lavoratori portuali inseriti nel pool possono essere riconosciuti a
tempo indeterminato.
105 Peraltro, in forza della disposizione
transitoria di cui all’articolo 13/1 del regio decreto del 2004, la possibilità
di beneficiare di un riconoscimento senza essere inseriti nel pool è stata
inizialmente limitata ai soli lavoratori portuali con un contratto a tempo
indeterminato ed è stata progressivamente estesa ai lavoratori portuali con un
contratto di lavoro a tempo determinato sempre più breve. Solo a partire dal 1°
luglio 2020 tutti i lavoratori portuali con un contratto di lavoro possono
essere riconosciuti come tali, indipendentemente dalla durata del loro
contratto di lavoro.
106 A tale riguardo, occorre rilevare che, certamente,
una normativa nazionale in forza della quale il riconoscimento dei lavoratori
portuali deve essere oggetto di un rinnovo a intervalli ragionevoli non è
incompatibile con l’obiettivo di garantire la sicurezza nelle zone portuali e
di prevenire gli infortuni sul lavoro, in quanto il requisito del rinnovo
periodico del riconoscimento consente di garantire che i lavoratori portuali
continuino ad essere in possesso delle capacità necessarie per svolgere in
piena sicurezza i compiti loro incombenti.
107 Tuttavia, una normativa in base alla quale solo
una parte dei lavoratori portuali può beneficiare di un riconoscimento a tempo
indeterminato, mentre il riconoscimento di alcuni altri lavoratori portuali
scade automaticamente al termine del loro contratto di lavoro, anche se questo
è stato solo di brevissima durata, cosicché questi ultimi lavoratori devono
sottoporsi a una nuova procedura di riconoscimento ogni volta che concludono un
nuovo contratto di lavoro, non appare appropriata e necessaria per raggiungere l’obiettivo
menzionato al punto precedente.
108 Infatti non vi sono motivi idonei a giustificare
tale diverso trattamento delle due categorie di lavoratori portuali, che si
trovano in situazioni del tutto simili, dal punto di vista della sicurezza sul
loro luogo di lavoro.
109 Ciò vale a maggior ragione in quanto, come
rilevato dall’avvocato generale al paragrafo 157 delle sue conclusioni, gli
incarichi di breve durata sono predominanti nel lavoro portuale.
110 Infatti, durante il periodo transitorio menzionato
al punto 105 della presente sentenza, solo i lavoratori portuali inseriti nel
pool avranno la possibilità di concludere contratti di lavoro di breve durata,
il che conduce, in pratica, a una situazione in cui tale pool è costituito da
un numero limitato di lavoratori portuali ai quali si deve obbligatoriamente
ricorrere. Orbene, è già stato rilevato al punto 74 della presente sentenza che
la costituzione di un simile contingente costituisce una misura sproporzionata
rispetto all’obiettivo di garantire la sicurezza nelle zone portuali e non può
essere giustificata alla luce di tale obiettivo.
111 Peraltro, anche dopo la fine del periodo
transitorio, il fatto che i lavoratori portuali non inseriti nel pool debbano
essere oggetto di un nuovo riconoscimento ogni volta che concludono un nuovo
contratto di lavoro – anche qualora siano già stati poco tempo prima, in
occasione della conclusione di un precedente contratto di lavoro di breve
durata, oggetto di un riconoscimento – costituisce una restrizione alle libertà
sancite agli articoli 45, 49 e 56 TFUE che non può essere
giustificata alla luce dell’obiettivo menzionato al punto precedente.
112 Non si può infatti ragionevolmente ritenere che
simili lavoratori possano aver perso, poco tempo dopo il loro riconoscimento
come lavoratori portuali, le capacità e le qualità che poco prima lo avevano
giustificato.
113 Alla luce di tutte le suesposte considerazioni,
occorre rispondere alla prima questione, alla seconda questione, lettera d),
nonché alla terza e alla quarta questione nella causa C-407/19 dichiarando che
gli articoli 45, 49 e 56 TFUE devono essere
interpretati nel senso che essi ostano a una normativa nazionale in forza della
quale:
– il riconoscimento dei lavoratori portuali è di
competenza di una commissione amministrativa paritetica, composta da membri
designati dalle organizzazioni di datori di lavoro e dalle organizzazioni di
lavoratori;
– tale commissione decide anche, in funzione del
fabbisogno di manodopera, se i lavoratori riconosciuti debbano o meno essere
inseriti in un contingente di lavoratori portuali, fermo restando che, per i
lavoratori portuali non inseriti in tale contingente, la durata del loro
riconoscimento è limitata alla durata del loro contratto di lavoro, di modo che
per ogni nuovo contratto da essi concluso deve essere avviata una nuova
procedura di riconoscimento;
– non è previsto alcun termine massimo entro il
quale detta commissione deve deliberare.
Sulla seconda questione, lettere da a) a c)
114 Con la seconda questione, lettere da a) a c), il
giudice del rinvio nella causa C-407/19 chiede sostanzialmente se gli articoli 45, 49 e 56 TFUE debbano essere
interpretati nel senso che essi ostano a una normativa nazionale ai sensi della
quale un lavoratore, a meno che non possa dimostrare di soddisfare in un altro
Stato membro condizioni equivalenti, per essere riconosciuto come lavoratore
portuale deve:
– essere dichiarato idoneo al lavoro portuale dal
punto di vista medico da un servizio esterno per la prevenzione e la protezione
sul lavoro a cui aderisce un’organizzazione a cui tutti i datori di lavoro
attivi nella zona portuale interessata sono obbligati ad aderire;
– superare i test psicotecnici realizzati
dall’organo a tal fine designato da tale organizzazione di datori di lavoro;
– seguire per tre settimane corsi preparatori relativi
alla sicurezza sul lavoro e diretti all’acquisizione di una qualifica
professionale, e
– superare la prova finale relativa a tale
formazione.
115 Come rilevato dall’avvocato generale al
paragrafo 140 delle sue conclusioni, i requisiti di idoneità medica, di
superamento di un test psicologico e di formazione professionale previa sono,
in linea di principio, altrettante condizioni idonee a garantire la sicurezza
nelle zone portuali e proporzionate rispetto a un simile obiettivo.
116 Infatti, come ha fatto valere il governo belga
nelle sue osservazioni scritte, tali requisiti offrono garanzie ragionevoli che
il lavoro portuale verrà svolto in modo che sia il più sicuro possibile, da
lavoratori che presentano il discernimento sufficiente e che dispongono di una
formazione nonché di una motivazione adeguate al fine di ridurre il numero di
infortuni sul lavoro e altri rischi per la pubblica sicurezza connessi alla
manipolazione di merci.
117 Il fatto che l’idoneità medica dei candidati al
riconoscimento come lavoratori portuali sia controllata dal servizio per la
prevenzione e la protezione sul lavoro al quale è iscritta l’organizzazione dei
datori di lavoro della zona portuale interessata e che sia questa stessa
organizzazione a designare l’organo incaricato di effettuare i test
psicotecnici che tali candidati devono superare per essere riconosciuti non è,
di per sé, tale da mettere in dubbio il carattere idoneo e proporzionato di
detti requisiti.
118 Tuttavia, come rilevato dall’avvocato generale
al paragrafo 141 delle sue conclusioni, simili esami medici, test o prove, per
essere ritenuti necessari e proporzionati all’obiettivo perseguito devono
essere effettuati in condizioni di trasparenza, obiettività e imparzialità.
119 Spetta pertanto al giudice del rinvio nella
causa C-407/19 verificare se il ruolo svolto dall’organizzazione di datori di
lavoro – e, se del caso, ai sindacati dei lavoratori portuali riconosciuti –
nella designazione degli organi incaricati di effettuare simili esami, test o
prove sia tale, nelle particolari circostanze della controversia principale, da
rimettere in discussione il carattere trasparente, obiettivo e imparziale di
tali esami, test o prove.
120 Alla luce delle considerazioni che precedono,
occorre rispondere alla seconda questione, lettere da a) a c), dichiarando che
gli articoli 45, 49 e 56 TFUE devono essere
interpretati nel senso che essi non ostano a una normativa nazionale ai sensi
della quale un lavoratore, a meno che non possa dimostrare di soddisfare in un
altro Stato membro condizioni equivalenti, per essere riconosciuto come
lavoratore portuale deve:
– essere dichiarato idoneo al lavoro portuale dal
punto di vista medico da un servizio esterno per la prevenzione e la protezione
sul lavoro a cui aderisce un’organizzazione a cui tutti i datori di lavoro
attivi nella zona portuale interessata sono obbligati ad aderire;
– superare i test psicotecnici realizzati
dall’organo a tal fine designato da tale organizzazione di datori di lavoro;
– seguire per tre settimane corsi preparatori
relativi alla sicurezza sul lavoro e diretti all’acquisizione di una qualifica
professionale, e
– superare la prova finale,
nei limiti in cui l’incarico affidato
all’organizzazione di datori di lavoro – e, se del caso, ai sindacati dei
lavoratori portuali riconosciuti – nella designazione degli organi incaricati
di effettuare simili esami, test o prove non sia tale da rimettere in
discussione il carattere trasparente, obiettivo e imparziale dei medesimi.
Sulla quinta questione
121 Con la sua quinta questione il giudice del
rinvio chiede sostanzialmente se gli articoli 45, 49 e 56 TFUE debbano essere
interpretati nel senso che essi ostano a una normativa nazionale in forza della
quale i lavoratori portuali, riconosciuti come tali conformemente al regime
legale loro applicabile prima dell’entrata in vigore di tale normativa,
conservano, in applicazione di quest’ultima, la qualità di lavoratori portuali
riconosciuti e sono inseriti nel contingente di lavoratori portuali previsto
dalla suddetta normativa.
122 Dal momento che, come risulta dal punto 62 della
presente sentenza, l’obiettivo di un regime di riconoscimento dei lavoratori
portuali, quale descritto dal giudice del rinvio nella causa C-407/19, è di
garantire la sicurezza nelle zone portuali e di prevenire gli infortuni sul
lavoro, una normativa nazionale in forza della quale i lavoratori portuali
riconosciuti come tali in vigenza di un regime analogo anteriore conservano il
loro riconoscimento in vigenza del nuovo regime non risulta inidonea a
conseguire l’obiettivo perseguito né sproporzionata rispetto ad esso.
123 Infatti si può ragionevolmente presumere che i
lavoratori portuali già riconosciuti sotto il regime precedente possiedano già
le capacità e le qualità necessarie per garantire la sicurezza nelle zone
portuali.
124 Dalle indicazioni fornite dal giudice del rinvio
nella causa C-407/19 risulta che la sua quinta questione è motivata
dall’argomento dedotto dinanzi ad esso dalle ricorrenti nel procedimento
principale in tale causa, secondo cui una misura come quella di cui al punto
121 della presente sentenza è tale da privare un datore di lavoro della
possibilità di assumere in modo diretto, vale a dire al di fuori del pool,
lavoratori portuali già riconosciuti, in quanto questi ultimi sarebbero restii
a lasciare tale pool al fine di concludere un simile contratto di lavoro, dato
che, così facendo, perderebbero il loro riconoscimento.
125 Orbene, una simile argomentazione critica non il
mantenimento, sotto il nuovo regime legale, del riconoscimento ottenuto da un
lavoratore portuale in base al regime legale precedente, bensì il fatto che
tale mantenimento non ha luogo se il lavoratore interessato lascia il pool al
fine di concludere un contratto di lavoro direttamente con un datore di lavoro.
126 A tale riguardo, e come risulta dal punto 113
della presente sentenza, gli articoli
45, 49 e 56 TFUE ostano a una normativa
nazionale in forza della quale un lavoratore portuale riconosciuto, ma non
inserito nel contingente di lavoratori da essa previsto, deve essere oggetto di
una nuova procedura di riconoscimento per ogni nuovo contratto di lavoro da
esso concluso.
127 Alla luce delle considerazioni che precedono,
occorre rispondere alla quinta questione nella causa C-407/19 dichiarando che
gli articoli 45, 49 e 56 TFUE devono essere
interpretati nel senso che essi non ostano a una normativa nazionale in forza
della quale i lavoratori portuali, riconosciuti come tali conformemente al
regime legale loro applicabile prima dell’entrata in vigore di tale normativa,
conservano, in applicazione di quest’ultima, la qualità di lavoratori portuali
riconosciuti e sono inseriti nel contingente di lavoratori portuali previsto
dalla suddetta normativa.
Sulla sesta questione
128 Con la sua sesta questione il giudice del rinvio
nella causa C-407/19 chiede sostanzialmente se gli articoli 45, 49 e 56 TFUE
debbano essere interpretati nel senso che essi ostano a una normativa nazionale
che prevede che il trasferimento di un lavoratore portuale nel contingente di
lavoratori di una zona portuale diversa da quella in cui ha ottenuto il suo
riconoscimento sia soggetto a condizioni e modalità stabilite da un CCL.
129 Si deve anzitutto rilevare che il fatto che
simili condizioni e modalità sono stabilite da un CCL non fa sì che esse siano
sottratte all’ambito di applicazione dei suddetti articoli (v., in tal senso, sentenza dell’11 dicembre 2007, International
Transport Workers’ Federation e Finnish Seamen’s Union, C-438/05,
EU:C:2007:772, punti 33 e 34).
130 A tale riguardo, occorre rilevare che una
normativa nazionale che subordini a talune condizioni, a prescindere dal fatto
che esse siano stabilite dalla legge o da un CCL, la possibilità per un
lavoratore portuale riconosciuto di lavorare in una zona portuale diversa da
quella in cui ha ottenuto il suo riconoscimento costituisce una restrizione sia
alla libera circolazione dei lavoratori sia alla libertà di stabilimento e alla
libera prestazione dei servizi.
131 Infatti, una simile normativa restringe sia la
libertà di un lavoratore portuale di svolgere incarichi in più zone portuali
diverse sia la possibilità, per un’impresa che si stabilisce in una zona
portuale determinata o che intende fornirvi servizi, di ricorrere ai servizi di
un lavoratore portuale di sua scelta, che ha ottenuto il riconoscimento in una
zona portuale diversa.
132 Tuttavia, il governo belga, nelle sue
osservazioni scritte, ha fatto valere che, conformemente all’articolo 4,
paragrafo 2, del regio decreto del 2004, il riconoscimento di un lavoratore
portuale è valido in ogni zona portuale, salvo che quest’ultimo faccia parte
del pool di una determinata zona portuale. In quest’ultimo caso, il passaggio
da una zona portuale a un’altra dipenderà dall’esistenza di un fabbisogno di
manodopera e dal fatto che la riserva di assunzioni sia aperta. Tale
disposizione escluderebbe quindi unicamente la possibilità che un lavoratore
portuale che fa parte del pool sia attivo contemporaneamente al di fuori del
medesimo, a prescindere dal fatto che ciò avvenga nella stessa zona portuale o
in un’altra. La possibilità di lavorare in un’altra zona portuale resterebbe
tuttavia offerta a qualsiasi lavoratore portuale riconosciuto che non faccia
parte del pool.
133 A tale riguardo occorre, da un lato, precisare
che una simile normativa può costituire una restrizione alle libertà garantite
dagli articoli 45, 49 e 56 TFUE anche qualora riguardi
solo un numero limitato di lavoratori.
134 Dall’altro, alla luce delle indicazioni di cui
al punto 132 della presente sentenza, si deve rilevare che, nei limiti in cui
un pool di lavoratori portuali, ai sensi della normativa nazionale di cui al
procedimento principale, mira a soddisfare in modo puntuale il fabbisogno di
manodopera specializzata in ogni zona portuale dello Stato membro interessato,
il fatto che il trasferimento di un lavoratore portuale tra i pool di due zone
diverse è, in tali circostanze, subordinato a condizioni e modalità destinate a
garantire che ogni pool disponga di manodopera in numero sufficiente, si può
giustificare tenuto conto dell’obiettivo legittimo di garantire la sicurezza in
ogni zona portuale. Infatti, una misura che preveda simili condizioni potrebbe,
in particolare, consentire di assicurare che vi sia in permanenza un numero
minimo di lavoratori qualificati in grado di garantire il funzionamento del
porto in piena sicurezza. Spetta tuttavia al giudice del rinvio verificare se
una simile misura sia necessaria e proporzionata rispetto a tale obiettivo.
135 Alla luce di tutte le suesposte considerazioni,
occorre rispondere alla sesta questione nella causa C-407/19 dichiarando che
gli articoli 45, 49 e 56 TFUE devono essere
interpretati nel senso che essi non ostano a una normativa nazionale che
prevede che il trasferimento di un lavoratore portuale nel contingente di
lavoratori di una zona portuale diversa da quella in cui ha ottenuto il suo
riconoscimento sia soggetto a condizioni e modalità stabilite da un CCL, purché
queste ultime risultino necessarie e proporzionate tenuto conto dell’obiettivo
di garantire la sicurezza in ogni zona portuale, circostanza che spetta al
giudice del rinvio verificare.
Sulla settima questione
136 Con la sua settima questione il giudice del
rinvio nella causa C-407/19 chiede sostanzialmente se gli articoli 45, 49 e 56 TFUE debbano essere
interpretati nel senso che essi ostano a una normativa nazionale che prevede
che i lavoratori logistici devono possedere un «certificato di sicurezza»,
emesso su presentazione della loro carta d’identità e del loro contratto di
lavoro e le cui modalità di emissione, nonché la procedura da seguire per il
suo ottenimento, sono stabilite da un CCL.
137 Con tale questione il giudice del rinvio cerca
di determinare la conformità agli articoli
45, 49 e 56 TFUE di una normativa
nazionale che si limita a prevedere che il «certificato di sicurezza» di cui
devono essere titolari i lavoratori logistici impiegati in una zona portuale è
loro rilasciato su presentazione della loro carta d’identità e del loro
contratto di lavoro, mentre le altre modalità di emissione di tale certificato
nonché la procedura da seguire per ottenere tale documento devono essere
stabilite da un CCL.
138 Al riguardo occorre rilevare che, come risulta
dal punto 129 della presente sentenza, sebbene gli articoli 45, 49 e 56 TFUE non ostino, in linea di
principio, a che le condizioni di lavoro in uno Stato membro siano stabilite da
CCL, tuttavia le condizioni così stabilite non sono sottratte all’ambito di
applicazione di tali articoli.
139 Orbene, la valutazione della proporzionalità e
della necessità delle restrizioni alle libertà sancite dai suddetti articoli,
che risultano dal requisito secondo cui ogni lavoratore logistico attivo in una
zona portuale deve possedere un «certificato di sicurezza», deve
necessariamente tener conto delle modalità concrete di rilascio di tale
certificato, nonché della procedura da seguire a tal fine, stabilite da un CCL.
140 Nell’ambito di tale valutazione occorre
verificare che le condizioni di rilascio di un simile certificato vertano
esclusivamente sulla questione di stabilire se il lavoratore logistico
interessato presenti le qualità e le capacità necessarie per garantire la
sicurezza nelle zone portuali e che la procedura prevista per l’ottenimento di
tale certificato non imponga oneri amministrativi irragionevoli e
sproporzionati.
141 In particolare, il requisito secondo cui
l’emissione del «certificato di sicurezza» richiede la presentazione del
contratto di lavoro dell’interessato potrebbe avere la conseguenza di obbligare
il datore di lavoro o il lavoratore interessato a chiedere l’emissione di un
nuovo certificato ogni volta che sia stato concluso un nuovo contratto di
lavoro. Dal momento che, come risulta dal punto 109 della presente sentenza,
gli incarichi di breve durata sono predominanti nel settore del lavoro
portuale, un simile requisito potrebbe risultare eccessivo e sproporzionato.
Come sostenuto dalla Commissione nelle sue osservazioni scritte, sarebbe
sufficiente prevedere il rinnovo periodico di un simile certificato, prevedendo
al contempo che quest’ultimo resti valido dopo la risoluzione di un contratto
di lavoro di breve durata.
142 Alla luce delle considerazioni che precedono,
occorre rispondere alla settima questione nella causa C-407/19 dichiarando che
gli articoli 45, 49 e 56 TFUE devono essere
interpretati nel senso che essi non ostano a una normativa nazionale che
prevede che i lavoratori logistici devono possedere un «certificato di
sicurezza», emesso su presentazione della loro carta d’identità e del loro
contratto di lavoro e le cui modalità di emissione, nonché la procedura da
seguire per il suo ottenimento, siano stabilite da un CCL, purché le condizioni
per il rilascio di un simile certificato siano necessarie e proporzionate
rispetto all’obiettivo di garantire la sicurezza nelle zone portuali e la
procedura prevista per il suo ottenimento non imponga oneri amministrativi
irragionevoli a sproporzionati.
Sulle spese
143 Nei confronti delle parti nel procedimento
principale la presente causa costituisce un incidente sollevato dinanzi al
giudice nazionale, cui spetta quindi statuire sulle spese. Le spese sostenute
da altri soggetti per presentare osservazioni alla Corte non possono dar luogo
a rifusione.
P.Q.M.
Dichiara:
1) Gli articoli
49 e 56 TFUE devono
essere interpretati nel senso che essi non ostano a una normativa nazionale che
obbliga persone o imprese che intendano esercitare attività portuali in una zona
portuale, comprese attività estranee al carico e allo scarico di navi in senso
stretto, a ricorrere esclusivamente a lavoratori portuali riconosciuti come
tali conformemente alle condizioni e alle modalità fissate in applicazione di
tale normativa, purché dette condizioni e modalità, da un lato, si basino su
criteri oggettivi, non discriminatori, predeterminati e che consentano ai
lavoratori portuali di altri Stati membri di dimostrare di soddisfare, nel loro
Stato di origine, requisiti equivalenti a quelli applicati ai lavoratori
portuali nazionali e, dall’altro, non stabiliscano un contingente limitato di
lavoratori che possono essere oggetto di un simile riconoscimento.
2) Gli articoli
45, 49 e 56 TFUE devono essere
interpretati nel senso che essi ostano a una normativa nazionale in forza della
quale:
– il riconoscimento dei lavoratori portuali è di
competenza di una commissione amministrativa paritetica, composta da membri
designati dalle organizzazioni di datori di lavoro e dalle organizzazioni di
lavoratori;
– tale commissione decide anche, in funzione del
fabbisogno di manodopera, se i lavoratori riconosciuti debbano o meno essere
inseriti in un contingente di lavoratori portuali, fermo restando che, per i
lavoratori portuali non inseriti in tale contingente, la durata del loro
riconoscimento è limitata alla durata del loro contratto di lavoro, di modo che
per ogni nuovo contratto da essi concluso deve essere avviata una nuova
procedura di riconoscimento; e
– non è previsto alcun termine massimo entro il
quale detta commissione deve deliberare.
3) Gli articoli
45, 49 e 56 TFUE devono essere
interpretati nel senso che essi non ostano a una normativa nazionale ai sensi
della quale un lavoratore, a meno che non possa dimostrare di soddisfare in un
altro Stato membro condizioni equivalenti, per essere riconosciuto come
lavoratore portuale deve:
– essere dichiarato idoneo al lavoro portuale dal
punto di vista medico da un servizio esterno per la prevenzione e la protezione
sul lavoro a cui aderisce un’organizzazione a cui tutti i datori di lavoro
attivi nella zona portuale interessata sono obbligati ad aderire;
– superare i test psicotecnici realizzati
dall’organo a tal fine designato da tale organizzazione di datori di lavoro;
– seguire per tre settimane corsi preparatori
relativi alla sicurezza sul lavoro e diretti all’acquisizione di una qualifica
professionale, e
– superare la prova finale,
nei limiti in cui l’incarico affidato
all’organizzazione di datori di lavoro – e, se del caso, ai sindacati dei
lavoratori portuali riconosciuti – nella designazione degli organi incaricati
di effettuare simili esami, test o prove non sia tale da rimettere in
discussione il carattere trasparente, obiettivo e imparziale dei medesimi.
4) Gli articoli
45, 49 e 56 TFUE devono essere
interpretati nel senso che essi non ostano a una normativa nazionale in forza
della quale i lavoratori portuali, riconosciuti come tali conformemente al
regime legale loro applicabile prima dell’entrata in vigore di tale normativa,
conservano, in applicazione di quest’ultima, la qualità di lavoratori portuali
riconosciuti e sono inseriti nel contingente di lavoratori portuali previsto
dalla suddetta normativa.
5) Gli articoli
45, 49 e 56 TFUE devono essere
interpretati nel senso che essi non ostano a una normativa nazionale che
prevede che il trasferimento di un lavoratore portuale nel contingente di
lavoratori di una zona portuale diversa da quella in cui ha ottenuto il suo
riconoscimento sia soggetto a condizioni e modalità stabilite da un contratto
collettivo di lavoro, purché queste ultime risultino necessarie e proporzionate
tenuto conto dell’obiettivo di garantire la sicurezza in ogni zona portuale,
circostanza che spetta al giudice del rinvio verificare.
6) Gli articoli
45, 49 e 56 TFUE devono essere
interpretati nel senso che essi non ostano a una normativa nazionale che
prevede che i lavoratori logistici devono possedere un «certificato di
sicurezza», emesso su presentazione della loro carta d’identità e del loro
contratto di lavoro e le cui modalità di emissione, nonché la procedura da
seguire per il suo ottenimento, siano stabilite da un contratto collettivo di
lavoro, purché le condizioni per il rilascio di un simile certificato siano
necessarie e proporzionate rispetto all’obiettivo di garantire la sicurezza
nelle zone portuali e la procedura prevista per il suo ottenimento non imponga
oneri amministrativi irragionevoli e sproporzionati.