Giurisprudenza – CORTE DI CASSAZIONE – Ordinanza 12 febbraio 2021, n. 3763

Infortunio sul lavoro, Contratto di fornitura di lavoro
temporaneo, Responsabilità civile, Difetto di manutenzione dei macchinari cui
l’operaio era addetto, Condotta imprudente del lavoratore, Obbligo di
vigilanza delle norme antinfortunistiche sul rispetto di tali norme

 

Fatti di causa

 

1. Nel 2014 l’Inail convenne dinanzi al Tribunale di
Cremona, sezione lavoro, la società M. s.r.l., esponendo che:

-) il 12 novembre 2004 l’operaio K.M. rimase vittima
d’un infortunio sul lavoro;

-) il suddetto operaio, dipendente della società
cooperativa “TF” a r.l. era stato da quest’ultima avviato presso la M. s.r.l in
forza di un contratto di fornitura di lavoro temporaneo;

-) in adempimento dei propri compiti d’istituto,
l’Inail aveva indennizzato la vittima con varie prestazioni per l’importo
complessivo di euro 373.787,14.

Concluse pertanto chiedendo la condanna della
società convenuta alla rifusione del suddetto importo (il ricorso introduttivo
non indica sulla base di quali allegazioni in fatto od in diritto l’Inail
avesse esercitato il regresso).

La M. si costituì e, oltre a contestare la pretesa
attorea, chiamò in causa il proprio assicuratore della responsabilità civile,
la società G., chiedendo di essere da questa tenuto indenne in caso di
accoglimento della domanda attorea.

2. Con sentenza 18 ottobre 2016 n. 105 il Tribunale
di Cremona rigettò la domanda, ritenendo carente la prova del fatto che
l’infortunio fosse stato causato da un difetto di manutenzione dei macchinari
cui l’operaio era stato addetto.

3. La sentenza venne appellata dall’Inail.

Con sentenza 20 dicembre 2017 n. 477 la Corte
d’appello di Brescia accolse il gravame e condannò la M. a rivalere l’Inail
dell’importo sopra indicato, e la G. a rivalere a sua volta la M.

La Corte d’appello ritenne:

-) che nel caso di appalto di manodopera, sia
invocabile nei confronti del committente la presunzione di cui all’articolo
2087 c.c.;

-) che il macchinario cui era stato addetto l’operaio
infortunatosi era un macchinario pericoloso;

-) che era onere della M. provare di aver impartito
adeguate informazioni ed istruzioni all’operaio sulla pericolosità della
macchina e sul corretto modo d’uso, prova che non era stata fornita.

4. La sentenza d’appello è stata impugnata per
cassazione:

-) in via principale dalla G., con ricorso fondato
su due motivi, cui ha resistito con controricorso l’Inail;

-) con successivo ed autonomo atto (e quindi in via
incidentale) dalla M. in liquidazione, con ricorso fondato su tre motivi, cui
ha resistito con controricorso la G.

5. I due ricorsi furono assegnati originariamente a
diverse sezioni di questa Corte.

Con ordinanza interlocutoria 23 luglio 2020 n. 15576
questa Corte ha disposto che i due suddetti ricorsi fossero chiamati nella
medesima adunanza camerale, quella odierna.

 

Ragioni della decisione

 

1. Il primo motivo del ricorso principale (G.).

Col primo motivo del suo ricorso la G. lamenta, ai
sensi dell’articolo 360, n. 3, c.p.c., la
violazione degli articoli 1218 e 2697 c.c.

Sostiene che la Corte d’appello avrebbe
“incongruamente motivato l’interpretazione del materiale istruttorio”;
erroneamente privilegiato le dichiarazioni del capo officina,
“strumentalizzate” dalla Corte d’appello; erroneamente sottovalutata la vera e
unica causa del sinistro, e cioè una condotta imprudente del lavoratore. Deduce
che il sinistro in realtà andava ascritto ad una scelta volontaria e deliberata
del lavoratore, il quale aveva coscientemente deviato, per finalità personali,
dalle normali modalità di lavorazione, provocando a se medesimo l’infortunio e
il danno.

1.1. Il motivo è in primo luogo inammissibile,
perché nella sostanza censura la valutazione delle prove.

In ogni caso è anche infondato nel merito.

In tema di infortuni sul lavoro, infatti, è
configurabile un concorso colposo della vittima solo nel caso di c.d. “rischio
elettivo”.

Il rischio elettivo non può dirsi sussistere sol
perché un operaio sia stato imprudente.

Il datore di lavoro, infatti, giusta la previsione
di cui all’art. 2087 c.c., ha il dovere di
prevenire anche le imprudenze dei suoi lavoratori: vuoi istruendoli adeguatamente,
vuoi controllandone l’operato, vuoi dotandoli di strumenti e mezzi idonei e
sicuri.

Tali principi sono più che consolidati nella
giurisprudenza di questa Corte, secondo la quale la responsabilità esclusiva
del lavoratore per c.d. “rischio elettivo” sussiste soltanto ove questi abbia
posto in essere un contegno abnorme, inopinabile ed esorbitante rispetto al
procedimento lavorativo ed alle direttive ricevute, cosi da porsi come causa
esclusiva dell’evento e creare condizioni di rischio estranee alle normali
modalità del lavoro da svolgere” (così Sez. L-,
Sentenza n. 798 del 13/01/2017, Rv. 642508 – 02: ma nello stesso senso si
vedano anche Sez. L, Sentenza n. 7313 del 13/04/2016, Rv. 639304 – 01, secondo
cui il c.d. “rischio elettivo” è solo “quello che, estraneo e non attinente
all’attività lavorativa, sia dovuto ad una scelta arbitraria del dipendente,
che crei ed affronti volutamente, in base a ragioni o ad impulsi personali, una
situazione diversa da quella ad essa inerente”-, Sez.
L, Sentenza n. 12779 del 23/07/2012, Rv. 623308 – 01; Sez. 3, Sentenza n. 21694 del 20/10/2011, Rv.
620243 – 01).

Si è perciò esclusa la configurabilità d’una colpa a
carico di lavoratori che non si siano attenuti alle cautele imposte dalle norme
antinfortunistiche od alle direttive dei datori di lavoro, perché proprio il
vigilare sul rispetto di tali norme da parte del lavoratore è l’obbligo cui il
datore è tenuto, in quanto “il datore di lavoro ha il dovere di proteggere
l’incolumità del lavoratore nonostante la sua imprudenza o negligenze? (così,
testualmente, Sez. L, Sentenza n. 1994 del
13/02/2012, Rv. 620913 – 01; ed ancora da ultimo, in tal senso, Sez. L – ,
Sentenza n. 5419 del 25/02/2019, secondo cui “l’omissione di cautele da parte
dei lavoratori non è idonea ad escludere il nesso causale rispetto alla
condotta colposa del committente che non abbia provveduto all’adozione di tutte
le misure di prevenzione rese necessarie dalle condizioni concrete di
svolgimento del lavoro, non essendo né imprevedibile né anomala una
dimenticanza dei lavoratori nell’adozione di tutte le cautele necessarie, con
conseguente esclusione, in tale ipotesi, del cd. rischio elettivo, idoneo ad
interrompere il nesso causale ma ravvisabile solo quando l’attività non sia in
rapporto con lo svolgimento del lavoro o sia esorbitante dai limiti di esso).

2. Il secondo motivo del ricorso principale.

Col secondo motivo la ricorrente principale lamenta,
ai sensi dell’articolo 360, n. 3, c.p.c., la
violazione dell’articolo 2087 c.c..
Nell’illustrazione del motivo si propongono due diverse censure.

Con una prima censura la ricorrente sostiene che la
Corte d’appello avrebbe erroneamente ritenuto non vinta, da parte della M., la
presunzione di cui all’articolo 2087 c.c.

Deduce la G. che dall’istruttoria era emerso che il
macchinario il quale fu causa dell’infortunio aveva un doppio dispositivo di
sicurezza; che fu l’operaio a porre in essere una condotta estranea alle
finalità del lavoro, rendendo di fatto inoperante tale dispositivo; che la
società M. aveva svolto un corso di formazione per l’uso del suddetto
macchinario della durata di un giorno.

Con una seconda censura la ricorrente deduce che nel
caso di specie l’operaio, al momento dell’infortunio, operava in regime di
“somministrazione di manodopera”. In questi casi il committente (e cioè la
società M.) potrebbe essere chiamata a rispondere ex 2087
c.c. solo nel caso di infortuni causati da macchinari non conformi alle
norme antinfortunistiche, ma non anche degli infortuni causati non da anomalie
operative del macchinario, ma da un suo scorretto uso da parte dell’operaio.

2.1. La prima censura è infondata per le medesime
ragioni già indicate con riferimento al primo motivo di ricorso.

2.2. La seconda censura è infondata.

La Corte d’appello ha ritenuto che il lavoratore
infortunato fosse dipendente di una società (la “TF”) cui la M. aveva appaltato
l’esecuzione di opere all’interno dell’opificio della committente.

Ne ha tratto la conseguenza che la committente
dovesse rispondere ai sensi dell’art. 2087 c.c.
per l’omessa adozione di cautele infortunistiche. La ricorrente, nel formulare
la propria censura in merito alla violazione dell’art.
2087 c.c., muove invece da un presupposto di fatto diverso: e cioè che la
M. e la TF avessero concluso non un contratto di appalto, ma un contratto di
“fornitura di lavoro temporaneo” (deve ritenersi, di somministrazione ex art. 23 d. lgs. 10.9.2003 n. 276),
il quale addossa al committente solo oneri di protezione, ma non di formazione
dei lavoratori.

La censura è dunque infondata innanzitutto perché si
fonda su un presupposto erroneo: e cioè che nel contratto di appalto di lavori
da eseguirsi all’interno dell’opificio del committente, quest’ultimo non abbia
oneri informativi verso i lavoratori.

In secondo luogo, la censura è infondata perché la
Corte d’appello, dopo avere affermato che la M. aveva l’onere di informare i
lavoratori della pericolosità e delle modalità d’uso dei macchinari, con una
seconda ratio deciderteli ha aggiunto che comunque quella macchina doveva
essere malfunzionante, perché in caso diverso non avrebbe dovuto consentire
l’apertura del “cancelletto” di protezione e l’accesso del lavoratore alle
parti in movimento.

Questa seconda ratio decidendi non viene censurata
dal ricorso, né del resto avrebbe potuto esserlo, in quanto ha ad oggetto la
valutazione di un fatto.

3. Primo motivo del ricorso incidentale (M.).

Col primo motivo del proprio ricorso incidentale la
M. denuncia un errar in procedendo.

Espone una censura così riassumibile:

-) nella motivazione della sentenza d’appello, la
corte territoriale dichiarò che andava accolta la domanda di garanzia proposta
dalla M. nei confronti della G., e che quest’ultima doveva essere pertanto
“condannata a manievare la M. di quanto dalla stessa dovuto all’Inail”,

-) tuttavia, dopo affermato ciò nella motivazione
della sentenza, la Corte d’appello ha adottato un dispositivo così scandito:

a) ha condannato la M. al pagamento in favore
dell’Inail della somma capitale di euro 373.787,14;

b) ha condannato la G. a manievare la M. “di quanto
da quest’ultima dovuto per effetto della precedente condanna

c) ha, infine, condannato la M. alla rifusione in favore
dell’Inail delle spese di lite dei due gradi di merito.

Sostiene la società ricorrente che il dispositivo
appena trascritto contrasta insanabilmente con la motivazione: in quest’ultima,
infatti, si dice che l’assicuratore avrebbe dovuto tenere indenne l’assicurato
“di quanto dallo stesso dovuto all’Inail”; nel dispositivo, invece, la condanna
dell’assicuratore a manlevare l’assicurato ha riguardato soltanto il capitale,
ma non le spese di lite.

1.1. Il motivo è fondato.

E indubitabile che il dispositivo della sentenza
impugnata – nei termini in cui è stato redatto – contiene soltanto la condanna
dell’assicuratore a tenere indenne l’assicurato limitatamente al capitale, ma
non anche alle spese di soccombenza nei confronti dell’Inail, e tale statuizione
contrasta con quanto affermato terz’ultimo capoverso di pagina 16 della
sentenza.

Tale insanabile contrasto, non altrimenti
superabile, comporta la nullità della sentenza, per l’impossibilità di
stabilire con esattezza il dictum in essa contenuto.

Gli altri motivi restano assorbiti.

2. Nei rapporti tra la ricorrente principale e
l’Inail le spese seguono la soccombenza e sono liquidate nel dispositivo.

Per effetto della presente sentenza, infatti, il
rapporto processuale tra l’Inail e le altre parti viene a scindersi dal
rapporto processuale tra la M. e la G., l’unico che resta ancora sub indice.

2.1. Nei rapporti tra la G. e la M. le spese del
presente giudizio di legittimità saranno liquidate dal giudice del rinvio.

 

P.Q.M.

 

(-) rigetta il ricorso principale proposto dalla G.
Assicurazioni s.p.a.;

(-) condanna G. Assicurazioni s.p.a. alla rifusione
in favore di INAIL delle spese del presente giudizio di legittimità, che si
liquidano nella somma di euro 10.200, di cui 200 per spese vive, oltre I.V.A.,
cassa forense e spese forfettarie ex art. 2, comma 2, d.m. 10.3.2014 n. 55;

(-) dà atto che sussistono i presupposti previsti
dall’art. 13, comma 1 quater.,
d.p.r. 30.5.2002 n. 115, per il versamento da parte di G. Assicurazioni
s.p.a. di un ulteriore importo a titolo di contributo unificato pari a quello
dovuto per l’impugnazione;

(-) accoglie il primo motivo del ricorso incidentale
proposto dalla M. s.r.l. in liquidazione; dichiara assorbiti i restanti motivi;
cassa la sentenza impugnata in relazione al motivo accolto e rinvia la causa
alla Corte d’appello di Brescia, in diversa composizione, cui demanda di
provvedere anche sulle spese del giudizio di legittimità.

Giurisprudenza – CORTE DI CASSAZIONE – Ordinanza 12 febbraio 2021, n. 3763
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