Giurisprudenza – CORTE DI CASSAZIONE – Sentenza 11 febbraio 2021, n. 3542

Premio aziendale, Tardività della disdetta della
contrattazione aziendale, Comunicazione per iscritto  dell’intenzione di non volere procedere al
rinnovo del contratto integrativo aziendale, Principio generale della libertà
della forma

 

Fatti di causa

 

1. Con sentenza del 17.4.2014, la Corte di appello
di Milano respingeva il gravame proposto da B.A. Sede Secondaria in Italia
avverso la sentenza del Tribunale della stessa città con la quale era stata
rigettata l’opposizione presentata dalla predetta avverso i decreti ingiuntivi
aventi ad oggetto il pagamento, in favore di Silvano B. e Giuseppe C., delle
somme rispettivamente riconosciute a titolo di premio aziendale dall’ottobre
2004.

2. La Corte distrettuale, richiamando precedenti di
appello riferiti a fattispecie analoga, confermava quanto ritenuto dal giudice
di primo grado in ordine alla rilevata tardività della disdetta della
contrattazione aziendale da parte della società, pervenuta oltre il termine del
31.12.2004 previsto dall’accordo del 14.12.2001, ritenendo che le parti
contrattuali avessero preteso che la disdetta avvenisse con forma scritta e che
la stessa non dovesse essere trasmessa anche alle RSU, non essendo state queste
ultime parti dell’accordo. In particolare, rilevava che, se l’asserita
comunicazione orale della disdetta fosse realmente esistita, l’appellante ne
avrebbe fatto menzione sia nella fase di avvio dell’ingente contenzioso, sia al
momento in cui aveva per iscritto comunicato l’intenzione di non volere
procedere al rinnovo del contratto integrativo aziendale.

3. La Corte rilevava che non poteva trovare
accoglimento la domanda volta ad ottenere l’accertamento dell’efficacia della
disdetta del contratto integrativo aziendale a far tempo dal 31.7.2005,
trattandosi di domanda proposta per la prima volta in appello.

4. Di tale pronuncia ha domandato la cassazione la
società B.A.G., affidando l’impugnazione a quattro motivi, illustrati in
memoria, cui ha resistito, con controricorso, il C.. Il B. è rimasto intimato.

5. Nel ricorso per cassazione proposto dalla B.A.G.
si dava atto che era stato proposto ricorso per revocazione avverso la stessa
sentenza impugnata sul rilievo dell’errore di fatto compiuto dalla Corte meneghina,
posto che nella memoria difensiva ex art. 416
c.p.c. in via subordinata era stata chiesta, per l’ipotesi di ritenuta
tardività della disdetta di B. A.G., che venisse accertata l’efficacia della
disdetta del C.I.A. quantomeno a far tempo dal 31.7.2005.

6. Con sentenza del 20.11.2018 n. 29932, questa
Corte procedeva preliminarmente alla riunione al procedimento recante il n. di
RG 23935/2014 di quello successivo recante il n. di RG 9223/2017, chiamato alla
stessa udienza, con il cui ricorso era impugnata la sentenza n. 70/2017 emessa
in sede di giudizio revocatorio dalla Corte di appello di Milano, per la
connessione esistente tra le due pronunce e la rilevanza nel primo giudizio
della pronuncia sul ricorso avverso la decisione in sede di revocazione.

6.1. In accoglimento del ricorso relativo a tale
secondo procedimento, la Corte cassava la sentenza n. 70/2017 con rinvio alla
Corte d’appello di Milano, disponendo nel contempo la sospensione dell’altro,
in attesa della definizione della causa revocatoria (che aveva un’incidenza per
il periodo successivo al 31.7.2005).

7. Le cause riunite sono state nuovamente chiamate
all’udienza pubblica del 13.10.2020, scaduti i termini per la riassunzione del
giudizio di revocazione dinanzi alla Corte di appello milanese.

 

Ragioni della decisione

 

1. La riassunzione della causa davanti al giudice di
rinvio, ai sensi dell’art. 392 c.p.c., poteva
essere effettuata da ciascuna delle parti non oltre tre mesi dalla
pubblicazione della sentenza della Corte di Cassazione, con notificazione
effettuata personalmente.

2. Tale riassunzione nei termini di legge non è
avvenuta (cfr. attestazione di cancelleria della Sez. lavoro della Corte
d’appello di Milano del 10.5.2019) e pertanto, ai sensi dell’articolo 393 c.p.c., deve dichiararsi l’estinzione
dell’intero processo di revocazione.

3. L’estinzione di quest’ultimo si riflette sul
giudizio sospeso nel senso che viene meno la causa di sospensione, con
conseguente possibilità di procedere alla trattazione di esso, con riguardo
all’oggetto quale delimitato temporalmente nella sentenza della Corte
distrettuale.

4. I motivi di ricorso articolati nel procedimento
principale sono i seguenti:

1) con il primo motivo, è denunziato omesso esame in
ordine all’avvenuta disdetta della contrattazione integrativa aziendale Standa
all’incontro del 27.1.2004 ed al mancato accoglimento delle istanze istruttorie
svolte dalla B. A.G.;

2) con il secondo, si prospetta violazione o falsa
applicazione dell’art. 2729 c.c. e 1350 c.c. con riferimento all’individuazione di
presunzioni ed al mancato accoglimento delle istanze istruttorie riguardanti
l’avvenuta disdetta della c.i.a. all’incontro del 27.1 2004, posto che è stato
violato in tal modo il principio di libertà delle forme;

3) con il terzo motivo, è dedotta violazione dell’art. 2697 c.c., anche in relazione agli artt. 24 e 111 Cost.,
con riferimento all’individuazione di presunzioni ed al mancato accoglimento
delle suddette istanze istruttorie, osservandosi che il giudice sia tenuto ad
ammettere prova contraria al fatto ignoto che si pretende di provare tramite
presunzioni;

4) con il quarto motivo, si lamenta violazione o
falsa applicazione della disciplina degli artt. 139,
148 e 149 c.p.c.ù,
in relazione agli artt. 3 e 24 Cost., per non avere la Corte distrettuale
applicato il principio secondo cui la decadenza è impedita dalla consegna dell’atto
all’ufficiale giudiziario o all’agente postale richiamandosi al principio
secondo cui gli effetti sfavorevoli dei ritardi nel compimento di attività,
riferibili a soggetti terzi, non possono ricadere in capo al soggetto che abbia
tempestivamente posto in esse la propria manifestazione di volontà.

5. I primi tre motivi vanno trattati congiuntamente
per l’evidente ragione di connessione delle questioni che ne costituiscono
l’oggetto.

6. Le questioni vanno risolte in conformità a quanto
già affermato in sentenze rese da questa Corte in ipotesi pienamente
sovrapponili (cfr. Cass. 2.2.2018 nn. 2600 e 2601, Cass. 8.3.2018
n. 5601, Cass. 6.3.2018 n. 5601) alle cui motivazioni questo Collegio
ritiene di potersi riportare, in ragione della ritenuta condivisibilità delle
affermazioni e dei principi ivi affermati.

7. In particolare, è stato evidenziato, per quel che
maggiormente rileva, che, con sentenza 3318/95, le S.U. di questa S.C.
statuirono che, in mancanza di norme che prevedano, per i contratti collettivi,
la forma scritta e in applicazione del principio generale della libertà della
forma (in base al quale le norme che prescrivono forme peculiari per determinati
contratti o atti unilaterali sono di stretta interpretazione, ossia
insuscettibili di applicazione analogica), un accordo aziendale è valido anche
se non stipulato per iscritto; che in senso conforme si pronunciò Cass. n.
11111/97 e che tale ultimo indirizzo interpretativo, era meritevole di essere
seguito a tal fine non bastando le pur evidenti esigenze funzionalistiche che
consigliano l’adozione d’un testo scritto, ma che di per sé non possono imporlo
in difetto d’una sanzione a pena di nullità prevista dalla legge o
dall’autonomia privata.

7.1. E’ stato evidenziato come dal principio della
libertà delle forme derivante dall’art. 1325 n. 4
c.c., e da quello che le previsioni che determinati contratti o atti devono
essere posti in essere con una forma particolare sono di stretta
interpretazione, discende la considerazione che, una volta stabilita la libertà
della forma dell’accordo o del contratto collettivo di lavoro, la medesima
libertà deve essere ravvisata anche riguardo agli atti che ne siano risolutori,
come il mutuo dissenso (art. 1372, comma 1, cod.
civ.) o il recesso unilaterale (o disdetta) ex art.
1373, comma 2, cod. civ.

7.2. Alla libertà della forma del contratto
collettivo di lavoro e dei negozi connessivi (come il recesso unilaterale ex art. 1373, comma 2, cod. civ.) consegue, secondo
l’iter argomentativo dei precedenti di legittimità richiamati, la fondatezza
dei motivi di censura riferiti alla mancata ammissione delle prove testimoniali
a tal fine chieste e coltivate dalla società ricorrente. Essa è onerata ex art. 2697, comma 2, cod. civ. della dimostrazione
(in quanto ricopre il ruolo sostanziale di convenuto eccipiente) sia
dell’esistenza d’una effettiva disdetta verbale espressa nel corso della
summenzionata riunione del 27.1.04 sia del carattere meramente confermativo
della successiva lettera del 29 gennaio 2004, per superare la contraria
affermazione dei lavoratori, secondo i quali, invece, in quella riunione le
parti avrebbero pattuito la comunicazione scritta del recesso.

7.3. A sua volta l’onere di comunicare per iscritto
la disdetta, ove pattuito nel corso della summenzionata riunione del 27.1.04,
risulterebbe rilevante non ai fini degli artt. 1351
o 1352 cod. civ., ma perché una pattuizione del
genere equivarrebbe ad una concorde richiesta di ripensamento tale da inficiare
un’ipotetica iniziale volontà di recesso da parte aziendale, così implicandone
l’assenza o (il che è lo stesso ai presenti fini) la non attualità alla data
del 27.1.04.

8. Di tali principi non ha fatto applicazione la
sentenza impugnata, che – in violazione degli artt.
24 e 111 Cost. – è pervenuta al diniego
della prova (ritualmente chiesta dalla società ricorrente) nonostante che nella
vicenda in esame la disdetta potesse provarsi anche con prova dichiarativa. Non
vi sono ostacoli normativi alla possibilità d’una prova testimoniale della
disdetta, sia perché ex art. 421, comma 2, cod.
proc. civ. nel processo del lavoro non si applicano i limiti alla prova
testimoniale previsti dagli artt. 2721, 2722 e 2723 cod. civ.
(cfr., per tutte, Cass. n. 9228/09), sia perché tali limiti sono riferibili ai
soli contratti e non anche agli atti unilaterali (cfr. Cass. 2600/2018 cit., che richiama al riguardo,
tra le altre, Cass. n. 5417/14).

9. In conclusione, il ricorso è da accogliere nei
sensi di cui in motivazione, dovendo ritenersi all’evidenza assorbito il quarto
motivo.

10. conseguentemente la sentenza impugnata va
cassata e va disposto il rinvio della causa alla Corte d’appello di Milano in
diversa composizione, che dovrà accertare se e in che termini nella
summenzionata riunione del 27.1.04 vi sia stata un’effettiva disdetta orale
degli accordi collettivi aziendali 5.7.74, 6.7.79 e successivi aggiornamenti.

11. Ciò il giudice di rinvio dovrà verificare alla
luce dei principi di diritto già enunciati nei precedenti richiamati, di
seguito ribaditi: a) il principio di libertà della forma si applica anche
all’accordo o al contratto collettivo di lavoro di diritto comune, di guisa che
essi – a meno di eventuale diversa pattuizione scritta precedentemente
raggiunta ai sensi dell’art. 1352 cod. civ.
dalle medesime parti stipulanti – ben possono realizzarsi anche verbalmente o
per fatti concludenti; b) tale libertà della forma dell’accordo o del contratto
collettivo di lavoro concerne anche i negozi connessi come il recesso
unilaterale ex art. 1373, comma 2, cod. civ.;
c) la parte che eccepisce l’avvenuto recesso unilaterale è onerata ex art. 2697, comma 2, cod. civ. della prova relativa
e, ove alla manifestazione orale segua, su richiesta dell’altro o degli altri
contraenti, una dichiarazione scritta del medesimo tenore, è altresì onerata
della prova del carattere meramente confermativo – anziché innovativo – di tale
successiva dichiarazione.

12. Al giudice del rinvio va demandata la
determinazione anche delle spese del giudizio di legittimità.

 

P.Q.M.

 

Dichiara l’estinzione del processo quanto al
giudizio recante il numero di R.G. 9223/2017, accoglie il ricorso relativamente
al procedimento n. R.G. 23935/2014 nei sensi di cui in motivazione, cassa la
sentenza impugnata e rinvia alla Corte d’appello di Milano in diversa
composizione, cui demanda di provvedere anche sulle spese del giudizio di legittimità.

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