Giurisprudenza – CORTE DI CASSAZIONE – Sentenza 11 febbraio 2021, n. 3549

Decreto ingiuntivo, TFR residuo, Accordo tra le parti con
piano di rientro, Nessuna rinuncia o transazione novativa, Onere della prova
a carico del datore di lavoro, Fatto estintivo della spettanza del TFR,
Lavoratore onerato della provare della fonte, negoziale o legale, del proprio
diritto e del relativo termine di scadenza, Mera allegazione della circostanza
dell’inadempimento della controparte

 

Rilevato che

 

1. con sentenza 5 agosto 2016, la Corte d’appello di
Genova rigettava l’appello proposto da G.B. avverso la sentenza di primo grado,
di reiezione della sua opposizione al decreto con cui l’ex dipendente D. gli
aveva ingiunto il pagamento della somma di € 10.779,49 oltre accessori, a
titolo di T.F.R. residuo;

2. a motivo della decisione, la Corte territoriale
riteneva, come già il Tribunale: a) la natura dell’accordo del 30 agosto 2013
tra le parti di piano di rientro (con pagamento rateale delle somme ancora
dovute, pari a € 8.000,00 al netto di ritenute fiscali e contributi: onorate
soltanto per le prime tre rate di complessivi € 3.000,00) e non già di rinuncia
o transazione novativa; b) la prova documentale dell’importo ingiunto in
pagamento, nel rispetto del regime probatorio tra le parti; c) inapplicabile in
via estensiva, né tanto meno analogica a giudizi diversi come quello tra le
parti, l’esenzione dal pagamento delle spese stabilita dall’art. 152 disp. att. c.p.c. in favore della parte
soccombente poco abbiente nei giudizi per prestazioni previdenziali o
assistenziali, in quanto eccezione al principio generale di soccombenza: con
manifesta infondatezza della questione di (il)legittimità costituzionale al
riguardo prospettata; d) correttamente esperito dal Tribunale il
sub-procedimento di correzione di errore materiale (per la rettificazione, ad
istanza del lavoratore vittorioso, nel dispositivo delle parole “rigetta
il decreto ingiuntivo opposto” con quelle “rigetta l’opposizione al
decreto ingiuntivo opposto”);

3. con atto notificato il 3 febbraio 2017, il datore
di lavoro ricorreva per cassazione avverso la sentenza con sei motivi, cui il
lavoratore resisteva con controricorso;

 

Considerato che

 

1. il ricorrente deduce nullità della sentenza per
violazione degli artt. 156, secondo comma e 437 c.p.c., per omessa lettura del dispositivo in
pubblica udienza, avendo la cancelleria notificato via Pec al difensore del
ricorrente il dispositivo della sentenza a distanza di un paio di settimane
dell’udienza di decisione (primo motivo);

2. esso è infondato;

3. appare evidente l’equivoco della non tempestiva
comunicazione del dispositivo, a cura della cancelleria, con l’omessa lettura,
nel rito del lavoro, del dispositivo all’udienza di discussione (effettivamente
determinante, ai sensi dell’art. 156, secondo comma
c.p.c., la nullità insanabile della sentenza per mancanza del requisito
formale indispensabile per il raggiungimento dello scopo dell’atto, correlato
alle esigenze di concentrazione del giudizio e di immutabilità della decisione:
Cass. 8 giugno 2009, n. 13165; Cass. 28 novembre 2014, n. 25305), di cui
peraltro la sentenza impugnata ha esplicitamente dato atto (al terzo capoverso
di pg. 6);

4. il ricorrente deduce quindi violazione e falsa
applicazione degli artt. 1965, secondo comma e 2113 c.c., per improponibilità della domanda del
lavoratore in via monitoria, avendo l’accordo stipulato tra le parti il 30
agosto 2013, relativo alla regolazione tra le stesse del credito residuo del
predetto a titolo di T.f.r., natura di rinuncia o di transazione (secondo
motivo);

5. esso è inammissibile;

6. il mezzo consiste, infatti, in una implicita ma
chiara censura dell’interpretazione dell’accordo tra le parti compiuta dalla
Corte territoriale (pure congruamente argomentata al p.to 1 di pg. 6 della
sentenza), senza neppure un’enunciazione dei canoni interpretativi violati, né
tanto meno specificazione delle ragioni né del modo in cui si sarebbe
realizzata l’asserita violazione (Cass. 22 febbraio 2007, n. 4178; Cass. 21
giugno 2017, n. 15350): sicché, il vizio non correttamente denunciato è insindacabile
in sede di legittimità (Cass. 14 luglio 2016, n. 14355);

7. il ricorrente deduce poi omesso esame di uno o
più fatti decisivi per il giudizio oggetto di discussione tra le parti,
risoltosi in una carente o insufficiente istruzione probatoria, in difetto di
audizione del teste dedotto dal ricorrente e di idonea C.t.u. per la
determinazione delle effettive spettanze del lavoratore (terzo motivo);

8. anch’esso è inammissibile;

8.1. non si configura il vizio denunciato, in
assenza di un fatto storico, di cui sia stato omesso l’esame, alla luce del
novellato testo dell’art. 360, primo comma, n. 5
c.p.c., piuttosto risolvendosi in una contestazione della valutazione
probatoria della Corte territoriale (Cass. s.u. 7
aprile 2014, n. 8053; Cass. 29 ottobre 2018, n. 27415);

7. il ricorrente deduce quindi violazione e falsa
applicazione dell’art. 2697 c.c., per l’erronea
attribuzione dell’onere probatorio dell’entità del diritto di credito azionato
al lavoratore e non al datore di lavoro (quarto motivo);

8. esso è infondato;

9. l’onere della prova è stato correttamente
ripartito, essendo stato posto a carico del datore di lavoro, debitore del
residuo credito di T.f.r., il fatto estintivo (o modificativo dell’entità)
della sua spettanza;

9.1. ed infatti, in quanto creditore che abbia agito
per (la risoluzione contrattuale, per il risarcimento del danno, ovvero come
nel caso di specie) per l’adempimento, il lavoratore deve soltanto provare la
fonte (negoziale o legale) del proprio diritto ed il relativo termine di
scadenza, limitandosi alla mera allegazione della circostanza
dell’inadempimento della controparte, mentre il debitore convenuto (tale
essendo in senso sostanziale l’opponente a decreto ingiuntivo: Cass. 1 marzo
2007, n. 4800; Cass. 19 ottobre 2015, n. 21101) è gravato dell’onere della
dimostrazione del fatto estintivo dell’altrui pretesa, costituito dall’avvenuto
adempimento o dall’eccezione di inadempimento del creditore ai sensi dell’art. 1460 c.c. (Cass. s.u. 30 ottobre 2001, n.
13533; Cass. 12 febbraio 2010, n. 3373; Cass. 12 ottobre 2018, n. 25584);

10. il ricorrente deduce ancora violazione e falsa
applicazione degli artt. 287, 288 c.p.c., per erroneo esperimento del
sub-procedimento di correzione di errore materiale, in difetto di una specifica
procura del difensore del lavoratore, in quanto non compreso in quella
rilasciata per il procedimento monitorio ed essendo appellabile la sentenza
oggetto di correzione nel dispositivo (quinto motivo);

11. esso è infondato;

12. la procura rilasciata al difensore nel giudizio
concluso con la sentenza da correggere è valida anche per la proposizione del
ricorso per la correzione di errore materiale di una sentenza di cassazione, ai
sensi dell’art. 391 bis c.p.c., in quanto detto
sub-procedimento non introduce una nuova fase processuale, ma costituisce un
mero incidente dello stesso giudizio, diretto solo ad adeguare l’espressione
grafica all’effettiva volontà del giudice, già espressa in sentenza (Cass. 7
settembre 2006, n. 19228; Cass. 19 gennaio 2015, n. 730);

12.1. come noto, esso è ben applicabile anche alle
sentenze appellabili, in quanto l’art. 287 c.p.c.
è stato dichiarato costituzionalmente illegittimo limitatamente alle parole
(successive a “Le sentenze”) “contro le quali non sia stato
proposto appello” (Corte cost. 10 novembre
2004, n. 335);

13. il ricorrente deduce infine violazione e falsa
applicazione degli artt. 91, 92, secondo comma c.p.c., 152 disp. att. c.p.c., 74 ss. d.p.r. 115/2002, per
erronea statuizione di condanna alle spese di giudizio, pure ben compensabili
dal Tribunale, della parte non abbiente, ancorché in giudizio , diverso da
quello avente ad oggetto prestazioni previdenziali o assistenziali, per la
ratio della disposizione di attuazione di favore per la tutela dei diritti
costituzionalmente garantiti; in via subordinata, (ri)proponendo la relativa questione
di illegittimità costituzionale, per violazione degli artt. 3 e 24 cost.
(sesto motivo);

14. esso è infondato;

15. premessa l’insindacabilità in sede di
legittimità di ogni statuizione del giudice di merito relativa alle spese del
giudizio (inclusa quella di compensazione tra le parti), con il solo limite
della loro posizione a carico della parte interamente vittoriosa (Cass. 19 giugno 2013, n. 15317; Cass. 31 marzo 2017, n. 8421), ipotesi qui non
ricorrente, l’esonero dal pagamento delle spese giudiziali, ai sensi dell’art. 152 disp. att. c.p.c., concerne soltanto le
cause previdenziali in senso stretto e non anche le controversie aventi ad
oggetto diritti del prestatore di lavoro con riflessi previdenziali (Cass. 20
maggio 1997, n. 4485; Cass. 20 dicembre 1997, n. 12913; Cass. 24 ottobre 2008,
n. 25759);

15.1. la ratio della disposizione, di deroga al
regime ordinario di soccombenza e per tale ragione appunto di interpretazione
non estensibile ad ambiti diversi (come pure quello dei diritti retributivi
soggetti a contribuzione utili ai fini pensionistici), risponde a rigorosi
criteri oggettivi riguardanti la natura delle prestazioni oggetto di
controversia (sia pure in combinazione con la condizione reddituale dei
soggetti richiedenti le prestazioni) e non ad una generalizzata condizione
soggettiva di scarsa capacità reddituale: sicché, restando pertanto ad essa
estranea una finalità di garanzia dell’esercizio del diritto di azione, non
sussiste alcuna violazione dei principi costituzionali infondatamente
denunciati dal ricorrente;

16. per le suesposte ragioni il ricorso deve essere
rigettato, con la statuizione sulle spese secondo il regime di soccombenza e
raddoppio del contributo unificato, ove spettante nella ricorrenza dei
presupposti processuali (conformemente alle indicazioni di Cass. s.u. 20
settembre 2019, n. 23535);

 

P.Q.M.

 

rigetta il ricorso e condanna il ricorrente alla
rifusione, in favore del controricorrente, delle spese del giudizio, che
liquida in Euro 3.000,00 per compensi professionali ed Euro 200,00 per esborsi,
oltre rimborso per spese generali nella misura del 15 per cento e accessori di
legge.

Ai sensi dell’art. 13 comma 1 quater del d.p.r. n.
115 del 2002, dà atto della sussistenza dei presupposti processuali per il
versamento, da parte del ricorrente, dell’ulteriore importo a titolo di
contributo unificato pari a quello previsto per il ricorso, a norma del comma 1
bis, dello stesso art. 13, se
dovuto.

Giurisprudenza – CORTE DI CASSAZIONE – Sentenza 11 febbraio 2021, n. 3549
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