Giurisprudenza – CORTE DI CASSAZIONE – Sentenza 14 gennaio 2021, n. 552
Impiegato con funzioni di responsabile, Temporanea adibizione
a mansioni inferiori, Mantenimento delle condizioni economiche precedenti,
Soppressione della posizione lavorativa
Svolgimento del processo
Con ricorso al Tribunale di Catania del 3.12.09,
S.P., dipendente della società A. 21 SPA (poi T. s.r.l.) dal 16 giugno 2004,
come impiegato di primo livello con funzioni di responsabile dello sviluppo
presso le filiali Sicilia e Calabria, esponeva che dal 1.1.07 gli era stata
affidata la responsabilità dell’Area Nord con il riconoscimento di una
retribuzione annua lorda di €.38.000,00. Nel gennaio 2008 l’amministratore
delegato gli aveva riconosciuto un aumento di €.40.000, oltre all’importo di
€.8.000 all’anno per rimborso spese.
In data 3 ottobre 2008 gli veniva affidato il
compito di costituire una nuova divisione denominata “Industria”
finalizzata all’espansione dell’attività della società, sulla base di un
progetto predisposto dallo stesso ricorrente. In data 25 febbraio 2009 la
società gli comunicava l’impossibilità di proseguire questo progetto e gli
proponeva di svolgere mansioni di “key account manager” per la Sicilia, con
conseguente modifica in peius della retribuzione.
Il ricorrente si dichiarava disponibile alla
temporanea adibizione a mansioni inferiori pretendendo tuttavia, il
mantenimento delle condizioni economiche precedenti. La società procedeva al
licenziamento con lettera 27.3.09, comunicando l’intervenuta decisione di sopprimere
la divisione Industria con conseguente soppressione della sua posizione
lavorativa.
Il P. contestava la legittimità del licenziamento
per l’insussistenza del giustificato motivo oggettivo e violazione dell’obbligo
di repechage, atteso che la società aveva pubblicato annunci di ricerca di
personale con posizione professionale compatibile con quella del ricorrente.
Resisteva la società precisando che la scelta non
era stata determinata da una crisi della società ma piuttosto da scelte
imprenditoriali di strategia aziendale, insindacabili; che il posto di lavoro
del P. era stato effettivamente soppresso e che la società aveva offerto al
lavoratore altro posto di lavoro, sia pure di inferiore inquadramento, ma con
mantenimento della retribuzione precedente.
Il Tribunale accoglieva il ricorso, evidenziando che
la decisione della società di sopprimere la divisione industria, spostando ivi
il P. dalla precedente Area Nord (2008), e la successiva repentina (dopo alcuni
mesi) decisione di sopprimerla (2009), evidenziavano l’intento della società di
disfarsi del lavoratore e non già un motivo oggettivo di licenziamento,
evidenziando che la società non aveva neppure assolto all’obbligo del cd.
repechage.
Avverso tale sentenza proponeva appello la soc. T.,
resisteva il P.
Con sentenza depositata il 13.2.18, la Corte
d’appello di Catania rigettava il gravame.
Per la cassazione di tale sentenza propone ricorso
la soc. T., affidato a cinque motivi.
Resiste il P. con controricorso, contenente ricorso
incidentale condizionato affidato a tre motivi.
Entrambe le parti hanno depositato memoria.
Motivi della decisione
1. – Con il primo motivo la ricorrente denuncia la
violazione e/o falsa applicazione dell’art. 2697
c.c. in relazione all’art. 360, co. 1, n.3
c.p.c. Lamenta che la prova dell’assolvimento dell’onere di repechage
doveva essere valutata dalla Corte territoriale alla stregua del pregresso
orientamento di legittimità in materia, secondo cui era onere del dipendente
indicare le posizioni lavorative scoperte in azienda, senza tener conto del
successivo overruling giurisprudenziale in argomento, valutando quindi
l’impossibilità di allocazione del sig. P. nelle posizioni dal medesimo
indicate come compatibili con il suo profilo professionale, e smentito dalla
società in sede di difese.
2. – Con secondo motivo la ricorrente denuncia per
un verso un vizio di omesso esame circa un fatto decisivo per il giudizio che
era stato oggetto di discussione tra le parti in relazione all’art. 360 n. 5) c.p.c.; per altro verso la
violazione e falsa applicazione dell’art. 115, co.
1., c.p.c. (in relazione all’art. 360, co. 1
n.3 c.p.c.).
Lamenta che i giudici di secondo grado non avevano
in alcun modo considerato che il sig. P. aveva di fatto compiutamente allegato
la possibilità di una propria riallocazione nelle mansioni oggetto degli
annunci di ricerca pubblicati da T., che aveva però dimostrato l’impossibilità
di un reimpiego in tali posizioni. Nella seconda parte del motivo si censura la
violazione dell’art. 115 per la mancata
utilizzazione, ai fini del decidere, di fatti provati in quanto dedotti dalla
società e non specificatamente contestati dal sig. P.
I due motivi, che per la loro connessione possono
essere congiuntamente esaminati, sono infondati.
La società si duole che la Corte di merito valutò
l’adempimento all’obbligo di repechage non in base alla precedente
giurisprudenza di legittimità (che imponeva al lavoratore un onere di
allegazione dei posti disponibili), bensì in base alla successiva
giurisprudenza, inaugurata da Cass. n.5592/16
e poi seguita dalle successive pronunce, secondo cui tale onere era interamente
a carico del datore di lavoro.
Osserva tuttavia il Collegio che non si tratta di
overruling processuale (comportante l’introduzione di nullità, decadenze,
preclusioni o inammissibilità, cfr.ex aliis Cass. S.U. n. 4135/19), bensì di
interpretazione degli adempimenti sostanziali non contenuti in regole
processuali con effetto preclusivo del diritto di azione o di difesa, ben
potendo la parte difendersi ed il giudice giudicare in relazione alle norme
regolatrici della materia.
II “prospective overruling” è infatti
finalizzato a porre la parte al riparo da effetti processuali pregiudizievoli
(nullità, decadenze, preclusioni, inammissibilità) di mutamenti imprevedibili
della giurisprudenza di legittimità su norme regolatrici del processo, così
consentendosi all’atto compiuto con modalità ed in forme ossequiose
dell’orientamento giurisprudenziale successivamente ripudiato, ma dominante al
momento del compimento dell’atto, di produrre ugualmente i suoi effetti, mentre
non è invocabile nell’ipotesi in cui il nuovo indirizzo giurisprudenziale di
legittimità riguardi l’interpretazione del diritto sostanziale che spetta
comunque alla parte valutare.
Per il resto anche la seconda parte del secondo motivo
si concentra sulla avvenuta contestazione o meno della dedotta, dalla società,
incollocabilità del lavoratore nelle posizioni lavorative da esso indicate,
senza dunque tener conto del principio sopra enunciato.
3. – Con terzo motivo la società denuncia la
violazione e/o falsa applicazione degli artt.115
c.p.c. e 2697 c.c., in relazione all’art. 360, co. 1, n.3 c.p.c., censurando
l’inosservanza della regola contenuta nell’art. 115
co. 1 c.p.c., in relazione alla prova della riconducibilità delle mansioni
offerte di “key account manager” per l’area Sicilia al primo livello, nonché
dell’art. 2103 c.c., il quale non preclude, in
funzione di salvezza del posto di lavoro, l’offerta di una mansione di
inquadramento di primo livello con la retribuzione propria del medesimo.
Il motivo è in parte inammissibile laddove censura
apprezzamenti e valutazioni dei fatti da parte del giudice di merito, e per il
resto infondato laddove sostiene la legittimità di una dequalificazione
professionale, ancorché col mantenimento della precedente retribuzione,
possibile (secondo un minoritario e risalente orientamento, Cass. n. 4509/16), solo quando, in assenza
assoluta di possibilità di reimpiego, sussista un accordo col lavoratore.
4. – Con quarto motivo la società denuncia la
violazione e/o falsa applicazione degli artt. 414 c.p.c.e 24 Cost.
(sempre in relazione all’art. 360, co. 1, n. 3
c.p.c.) evidenziando che il P. non aveva mai dedotto che le sue mansioni di
responsabile dell’Area Nord, sebbene inquadrate formalmente nel livello I,
potessero essere riconducibili alla categoria “quadri”, e che rispetto a tale
fatto la (di poco) precedente occupazione di altro soggetto nella funzione di
Operation manager (quadro) violasse il principio del repechage. In sostanza il
fatto considerato dalla Corte territoriale non era mai stato allegato – né a
fortiori provato- del sig. P.. Ciò concretava, oltre che la violazione dell’art. 414 c.p.c. e dell’art.
115 c.p.c., anche una lesione del diritto di difesa di T.
costituzionalmente tutelato.
Anche tale motivo è infondato, basandosi sempre
sulla dedotta ed infondata questione che il P. sarebbe stato onerato di
indicare le mansioni assegnabili, cui deve aggiungersi che il motivo censura un
apprezzamento di fatto del giudice di merito in ordine all’assegnazione,
di pochi giorni precedenti il licenziamento del P.,
di altro dipendente nelle mansioni di Operation manager.
5. – Con quinto motivo la società denuncia la
violazione e falsa applicazione dell’art. 1223 c.c.
in relazione all’art. 360 n. 3) c.p.c. in
relazione alla mancata detrazione, ai fini dell’aliunde perceptum, dell’indennità
di disoccupazione percepita dal sig. P. dall’08/01/2011 al 6/3/2011.
Anche tale motivo è infondato, essendo pacifico che
non sono deducibili a titolo di aliunde perceptum dal risarcimento del danno le
somme che traggono origine dal sistema di sicurezza sociale che appronta misure
sostitutive del reddito in favore del lavoratore, la cui eventuale non debenza
dà luogo ad un indebito previdenziale ripetibile, nei limiti di legge,
dall’Istituto previdenziale (cfr. Cass. ord. n.6360/20, Cass. n. 9724/17; n. 7794/17; Ord.
sez. 6, n. 14135/18).
Il ricorso principale va dunque rigettato.
Il ricorso incidentale, esplicitamente condizionato
all’accoglimento del principale, resta assorbito.
Le spese di lite seguono la soccombenza e si
liquidano come da dispositivo.
P.Q.M.
Rigetta il ricorso principale e dichiara assorbito
l’incidentale. Condanna la ricorrente principale al pagamento delle spese del
presente giudizio di legittimità, che liquida in €.200,00 per esborsi,
€.5.250,00 per compensi professionali, oltre spese generali nella misura del
15%, i.v.a. e c.p.a. Ai sensi dell’art.
13, comma 1 quater, del d.P.R. n. 115/02, nel testo risultante dalla L. 24.12.12 n. 228, la Corte dà atto della
sussistenza dei presupposti processuali per il versamento, da parte della
ricorrente, dell’ulteriore importo a titolo di contributo unificato, pari a
quello previsto per il ricorso, a norma del comma 1 bis dello stesso art. 13, se dovuto.