I lavoratori, che trasferiscono la propria residenza fiscale in Italia dopo un periodo di distacco all’estero, possono usufruire del regime di favore, a condizione che intraprendano una nuova attività lavorativa con diverso contratto rispetto a quella svolta prima del distacco. L’agevolazione non spetta se – nonostante il nuovo contratto e le nuove mansioni del lavoratore – vi sia una sostanziale continuità tra la posizione lavorativa ante espatrio e quella post rientro in Italia.
Nota AdE Risp. 18 gennaio 2021, n. 42
Marialuisa De Vita
L’Agenzia delle Entrate, con la Risposta ad interpello n. 42 del 18 gennaio 2021, ha fornito alcuni chiarimenti in merito al regime speciale per i lavoratori c.d. “impatriati” che rientrano in Italia dopo un periodo di distacco all’estero.
Come noto, ai sensi dell’art. 16 del D.LGS. n. 147/2015, i redditi di lavoro autonomo, i redditi di lavoro dipendente, quelli assimilati ai redditi di lavoro dipendente e i redditi di impresa, prodotti in Italia da lavoratori (cittadini italiani o esteri) che vi trasferiscono la residenza fiscale, concorrono alla formazione del reddito complessivo nei limiti del 30% del loro ammontare, ovvero nei limiti del 10% se si trasferiscono nelle regioni meridionali (Calabria, Sicilia, Sardegna, Molise, Puglia, Campania, Basilicata e Abruzzo). Tale regime trova attuazione a decorrere dal periodo d’imposta in cui è avvenuto il trasferimento della residenza fiscale in Italia e per i 4 periodi d’imposta successivi.
Per poter beneficiare della suddetta agevolazione, i soggetti che rientrano in Italia devono essere in possesso dei requisiti previsti, in via alternativa, dal co. 1 e dal co. 2 dell’art. 16 summenzionato.
In particolare, possono accedere al regime agevolativo solo i lavoratori che (art. 16, co. 1, D.LGS. n. 147/2015):
- non sono stati residenti in Italia nei due periodi di imposta precedenti il predetto trasferimento e si impegnano a permanervi per almeno 2 anni;
- prestano l’attività lavorativa prevalentemente nel territorio italiano.
Il regime in questione vale anche per i cittadini UE e, dal 2017, per quelli di Stati extra UE (con i quali è in vigore una convenzione per evitare le doppie imposizioni o un accordo sullo scambio di informazioni in materia fiscale), che soddisfano uno dei seguenti requisiti (art. 16, co. 2 , D.LGS. n. 147/2015):
- sono in possesso di un titolo di laurea e hanno svolto continuativamente un’attività di lavoro dipendente, ovvero autonomo oppure d’impresa fuori dall’Italia negli ultimi 24 mesi o più;
- hanno svolto continuativamente un’attività di studio fuori dall’Italia negli ultimi 24 mesi o più, conseguendo un titolo di laurea ovvero una specializzazione post lauream.
Il caso sottoposto all’attenzione dell’Amministrazione finanziaria riguarda tale ultima ipotesi. In particolare, un cittadino italiano si rivolgeva all’Agenzia delle Entrate rappresentando di:
- essersi laureato;
- aver lavorato dal 2013 al 14 febbraio 2016 alle dipendenze di una società italiana con contratto a tempo indeterminato;
- essere stato distaccato dal 15 febbraio 2016 presso una società del gruppo internazionale con sede nella Repubblica Popolare Cinese con contratto regolamentato dalla legislazione del Paese estero;
- essersi iscritto all’AIRE nel giugno 2016;
- essere rientrato in Italia dal 1º gennaio 2021, lavorando per la stessa società per la quale aveva prestato la sua attività prima del distacco all’estero.
L’istante chiedeva all’Agenzia delle Entrate se vi fossero le condizioni per accedere al regime di favore ai sensi dell’art. 16, co. 2, D.LGS. n. 147/2015.
Nell’argomentare la propria soluzione (meramente interlocutoria e non definitiva), l’Agenzia delle Entrate, richiamando la recente circolare n. 33 del 28 dicembre 2020 (cfr., in q. sito, M. DE VITA, Regime speciale per i lavoratori impatriati: i chiarimenti forniti dall’Agenzia delle Entrate), si limita a fornire una serie di interessanti criteri alla luce dei quali risolvere la questione (nel caso di specie, non era possibile fornire una soluzione definitiva mancando taluni elementi di fatto).
La regola di principio illustrata dall’Amministrazione finanziaria muove dalla considerazione che, con riferimento ai contribuenti che rientrano a seguito di distacco all’estero, non può essere riconosciuto il beneficio fiscale in presenza del medesimo contratto e del medesimo datore di lavoro.
L’impatriato può accedere al regime fiscale di favore solo nell’ipotesi in cui l’attività svolta “costituisca una “nuova” attività lavorativa, in virtù della sottoscrizione di un nuovo contratto di lavoro, diverso dal contratto in essere in Italia prima del distacco” e dell’assunzione di “un ruolo aziendale differente rispetto a quello originario”.
L’agevolazione non è applicabile – precisa ancora l’Amministrazione finanziaria – nelle ipotesi in cui “il soggetto, pur in presenza di un “nuovo” contratto per l’assunzione di un “nuovo” ruolo aziendale al momento dell’impatrio, rientri in una situazione di “continuità” con la precedente posizione lavorativa svolta nel territorio dello Stato prima dell’espatrio”. Per l’Agenzia delle Entrate costituiscono, a titolo esemplificativo, indici di una situazione di continuità sostanziale:
- il riconoscimento di ferie maturate prima del nuovo accordo contrattuale;
- il riconoscimento dell’anzianità dalla data di prima assunzione;
- l’assenza del periodo di prova;
- la previsione nel contratto di clausole in cui si prevede che, alla fine del distacco, il distaccato sarà reinserito nell’ambito dell’organizzazione della società distaccante e torneranno ad applicarsi i termini e le condizioni di lavoro presso la società di appartenenza in vigore prima del distacco.
In conclusione, per l’Agenzia, l’istante potrà fruire del regime degli impatriati a decorrere dal periodo di imposta 2021 solo nell’ipotesi in cui l’attività lavorativa post rientro non si ponga in continuità con la posizione lavorativa precedente al distacco.