Giurisprudenza – CORTE DI CASSAZIONE – Sentenza 15 febbraio 2021, n. 3815

Domanda risarcitoria proposta dal lavoratore, Danni
conseguiti all’illegittimo avvio al lavoro, Originario contratto di
somministrazione e rapporti a termine instaurati per l’attuazione del programma
di fornitura di lavoro da esso previsto, lnvalidità del contratto di
somministrazione

 

Fatti di causa

 

1. Il Tribunale di Roma ha dichiarato
l’illegittimità del contratto (commerciale) di somministrazione a termine
concluso tra A. s.r.l. e l’I.N.P.S. in data 19.12.2002, per violazione dell’art. 20, co. 4 e 21, co. 1 lett. c)
d. Igs. 276/2003, rigettando tuttavia la domanda risarcitoria proposta dal
lavoratore per i danni conseguiti al suo illegittimo avvio al lavoro, nel
periodo dal 13.12.2006 al 6.1.2012, in forza di tale originario contratto di
somministrazione e di rapporti a termine con lui instaurati per l’attuazione
del programma di fornitura di lavoro da esso previsto.

2. La Corte d’Appello di Roma, decidendo sui
contrapposti motivi di gravame dell’I.N.P.S. e del lavoratore ha ritenuto che:

– l’invalidità del contratto di somministrazione era
stata correttamente dichiarata dal Tribunale, per genericità della indicazione
per iscritto e ciò sul presupposto che tale requisito discendesse dalla
previsione dell’art. 21, co. 4 d.
Igs. 276/2003 allora vigente, prima delle modifiche apportate dal 2004, per
cui la forma scritta doveva tradursi, a pena di nullità, nell’indicazione di
una causale sufficientemente specifica, aggiungendo che l’I.N.P.S. non aveva
comunque neppure fornito prova dell’esistenza di ragioni organizzative, diverse
dalle ordinarie esigenze strutturali di funzionamento dell’ente, alla base del
ricorso alla somministrazione a termine;

– l’invalidità del contratto di somministrazione,
anche per omessa o generica indicazione della causale, riverberava i propri
effetti nei rapporti a termine tra lavoratore ed utilizzatore, rispetto ai
quali, stante l’impossibilità di conversione a tempo indeterminato, era
possibile, anche secondo la recente giurisprudenza di legittimità, riconoscere
il diritto al risarcimento del danno secondo la misura stabilita dall’art. 32, L. 183/2010.

La Corte d’Appello ha condannato quindi l’I.N.P.S. a
corrispondere al G. tale indennità, determinata, tenuto conto della durata e
del numero dei rapporti a termine, in sette mensilità della retribuzione
globale di fatto.

2. L’I.N.P.S. ha proposto ricorso per la cassazione
della sentenza con un unico articolato motivo, poi illustrato da memoria, cui
ha opposto difese il G. con controricorso. Talea Agenzia per il lavoro s.r.l. e
R. Italia s.p.a., cui il ricorso è stato notificato quali asserite aventi causa
delle originarie somministranti, sono rimaste intimate.

 

Ragioni della decisione

 

1. Il motivo di ricorso proposto dall’ente
previdenziale è rubricato come violazione e falsa applicazione di norme di
diritto e dei contratti e accordi collettivi nazionali di lavoro ovvero, in
particolare, degli artt. 20, 21 e
22 d. Igs. 276/2003, del d. Igs. 368/2001,
dell’art. 36 d. Igs.
165/2001, dell’art. 32 L.
183/2010, della direttiva 1999/70/CE, del d. Igs. 24/2012 emanato in attuazione della direttiva 2008/104/CE e dell’art. 1223 c.c.

Il motivo consta di due parti.

La prima di esse è dedicata al regime della causale
con riferimento al contratto di somministrazione a termine tra agenzia
somministrante e utilizzatore ed ai contratti di avvio del lavoratore presso
l’utilizzatore, anch’essi a termine.

Secondo l’I.N.P.S., per ragioni di tutela del
fenomeno del lavoro interinale, valutato positivamente in ambito eurounitario,
sarebbe richiesta, per il contratto di somministrazione, soltanto una mera
indicazione di causale, mentre non sarebbero applicabili alle clausole
appositive del termine nei contratti dei lavoratori avviati presso
l’utilizzatore le regole limitative e di specificazione, nonché di
giustificazione della causale di cui agli ordinari contratti a tempo
determinato secondo il d. Igs. 368/2001 illo
tempore vigente.

La seconda parte del motivo è invece destinata, con
richiamo alla giurisprudenza eurounitaria, alla critica dell’applicazione anche
al caso di somministrazione sulla base di contratti a termine risultati
illegittimi delle regole sul riconoscimento del danno per abusiva reiterazione
dei rapporti di lavoro a tempo indeterminato, secondo l’interpretazione invalsa
e poi consolidatasi in esito a Cass., S.U., 15
marzo 2016, n. 5072.

2. Il motivo è, nel suo complesso, infondato.

3. Seguendo l’ordine logico così come impostato dal
ricorrente, deve essere iniziata la ricostruzione verificando quali siano gli
effetti della apposizione, nel contratto di somministrazione, di una
giustificazione non sufficientemente specifica, per quanto attiene alle ragioni
di carattere tecnico, produttivo, organizzativo o sostitutivo previste dall’art. 20, co. 4 d. Igs. 276/2003.

3.1 In proposito questa Corte ha già ritenuto, che
la sanzione di nullità del contratto, prevista espressamente dall’art. 21, co. 4, per il caso di
difetto di forma scritta, si estende anche all’indicazione omessa o generica
della causale della somministrazione (Cass. 3 aprile 2013, n. 8120, citata
anche dalla Corte territoriale, e successive conformi), con affermazione che è
stata poi reiterata anche per il nuovo tenore della norma (qui non applicabile
ratione temporis), quale conseguente alle modifiche apportate ad essa dall’art. 5, co. 1, d. Igs. 251/2004 (Cass. 8 gennaio 2019, n. 197).

3.2 Ciò posto, secondo la disciplina testuale del
richiamato articolo 21, comma
4, alla nullità del contratto commerciale si accompagna un effetto ulteriore,
nel senso che «il contratto di somministrazione è nullo e i lavoratori sono
considerati a tutti gli effetti alle dipendenze dell’utilizzatore».

Nelle ipotesi di nullità per vizio di forma del
contratto commerciale di somministrazione si produce, cioè, per volontà del
legislatore, una sostituzione soggettiva del datore di lavoro, con un
meccanismo sovrapponibile a quello previsto dal previgente articolo 1, ult. comma, L.
1369/1960 (legge abrogata dal d.lgs.
276/2003, articolo 85) in caso di violazione del divieto di intermediazione
ed interposizione nelle prestazioni di lavoro. Disponeva, infatti, la suddetta
norma che «i prestatori di lavoro, occupati in violazione dei divieti posti dal
presente articolo, sono considerati, a tutti gli effetti, alle dipendenze
dell’imprenditore che effettivamente abbia utilizzato le loro prestazioni».

3.3 La norma ha continuato a trovare applicazione
per il contratto di fornitura di lavoro temporaneo. L’articolo 10, comma 1, L. 196/1997
disponeva, infatti che «nei confronti dell’impresa utilizzatrice …. che violi
le disposizioni di cui all’art.
1, commi 2, 3, 4 e 5 …. continua a trovare applicazione la legge 23 ottobre
1960, n. 1369». In particolare, la norma sanzionatoria è stata applicata
nei casi di genericità della causale apposta al contratto commerciale di
fornitura di lavoro temporaneo, ravvisandosi violazione dell’articolo 1, comma 2, Legge 196/1997
(per tutte: Cass. 29 maggio 2013 n. 13404 e giurisprudenza
ivi citata).

Il meccanismo con cui la legge
1369/1960 opera nella fornitura di lavoro temporaneo è stato poi così
ricostruito, con riferimento al lavoro privato, da questa Corte, nel senso che
«quando il contratto di lavoro che accompagna il contratto di fornitura è a
tempo determinato, alla conversione soggettiva del rapporto, si aggiunge la
conversione dello stesso da lavoro a tempo determinato in lavoro a tempo
indeterminato, per intrinseca carenza dei requisiti richiesti dal d.lgs. n. 368 del 2001, o dalle discipline
previgenti, a cominciare dalla forma scritta, che ineluttabilmente in tale
contesto manca con riferimento al rapporto tra impresa utilizzatrice e
lavoratore» (sentenza n. 13404/2013 cit.,
punto 18 e giurisprudenza ivi richiamata).

In sostanza, l’effetto finale della conversione del
«contratto per prestazioni di lavoro temporaneo» a tempo determinato (articolo 3 lettera a legge 196/1997)
in un ordinario contratto di lavoro a tempo indeterminato tra l’utilizzatore
della prestazione e il lavoratore è stato individuato all’esito di un duplice
passaggio: il primo consistente nella sostituzione soggettiva dell’utilizzatore
al datore di lavoro nel rapporto di lavoro a termine; il secondo, nella
conversione di tale rapporto in rapporto a tempo indeterminato per carenza del
requisito formale della apposizione del termine in un contratto scritto
intercorrente tra lavoratore ed utilizzatore. Sulla base di tale meccanismo
questa Corte ha ritenuto ricorrere una ipotesi di “conversione” del
contratto a tempo determinato che rende applicabile al contratto di prestazioni
di lavoro temporaneo a tempo determinato la disciplina dell’articolo 32, comma 5 Legge 183/2010,
osservando che l’ampiezza della formula utilizzata da tale articolo rende
irrilevante il fatto che la conversione del contratto a tempo indeterminato sia
preceduta da una conversione soggettiva del rapporto (Cass. 17 gennaio 2013 n. 1148; Cass. n. 13404/2013 cit).

3.4 in medesimo meccanismo è riprodotto dall’articolo 21, comma 4, d.lgs. 276/2003,
qui applicabile, la cui previsione testuale è sovrapponibile a quella dell’articolo 1, comma ultimo, L.
1369/1960.

Del resto, questa Corte (Cass.
3 aprile 2018 n. 8148, punto 15) nell’esaminare la disciplina del contratto
di somministrazione e gli effetti della sua illegittimità ha continuato a
richiamare (anche in caso di somministrazione irregolare, ex articolo 27 d.lgs 276/2003) la
giurisprudenza sulla «conversione» del rapporto a termine con l’utilizzatore
che si era formata per la fornitura di lavoro temporaneo.

3.5 Nel lavoro pubblico, tuttavia, è noto come non
operi la “conversione” del rapporto a tempo indeterminato illegittimo
in rapporto a tempo indeterminato.

Ciononostante, resta fermo l’anteriore effetto di
sostituzione soggettiva della pubblica amministrazione-utilizzatrice nel
rapporto di lavoro a termine intercorrente tra Agenzia di somministrazione e
lavoratore somministrato. Tale effetto non trova ostacolo nella previsione
dell’articolo 36 d. Igs.
165/2001, che impedisce la costituzione di rapporti di lavoro «a tempo
indeterminato» con le pubbliche amministrazioni, così come non è di ostacolo la
previsione dell’articolo 86, comma
9, del d.lgs 276/2003, a tenore del quale: «la previsione della
trasformazione del rapporto di lavoro di cui all’articolo 27, comma 1, non trova
applicazione nei confronti delle pubbliche amministrazioni», in quanto qui si
discorre dell’applicazione soltanto dell’art. 21, co. 4.

Egualmente resta ferma la illegittimità di detto
rapporto a termine, per carenza dei requisiti formali di apposizione della
clausola di durata termine. In definitiva, il diritto interno regola l’ipotesi
della somministrazione a termine illegittima, oltre che attraverso la
menzionata sostituzione soggettiva, riportando il
rapporto-utilizzatore-lavoratore all’ipotesi generale del contratto a tempo
determinato con clausola di durata illegittima.

3.6 Tutto ciò consente di disattendere la prima
parte del motivo di ricorso per cassazione, in quanto non è vero che la
specificazione per iscritto della causale non fosse requisito da rispettare a
pena di nullità e la conseguenza di tale illegittimità del contratto
(commerciale) di somministrazione riverbera i propri effetti sui rapporti tra
lavoratore e utilizzatore, realizzando l’effetto di sostituzione, dal lato
datoriale, della somministrante con l’utilizzatore.

Resta invece esclusa, nel pubblico impiego,
nonostante la illegittimità del termine, la conversione del rapporto a termine
in rapporto a tempo  indeterminato e, in
assenza di essa, la applicazione “diretta” dell’articolo 32, comma 5, L. 183/2010.

4. Vi è a questo punto da verificare quali siano le
conseguenze di tale fenomeno giuridico e dell’illegittimità – comunque
sussistente – delle clausole di durata dei plurimi rapporti impostati come a
tempo determinato e da aversi, per quanto sopra detto, intercorrenti con
l’utilizzatore.

4.1 Tale questione è già stata affrontata da questa
Corte con ordinanza del 16 gennaio 2019 n. 992, nella quale è stato enunciato
il seguente principio di diritto: «nel lavoro pubblico contrattualizzato, in
conformità con il canone di effettività della tutela affermato dalla Corte di
Giustizia UE (ordinanza 12 dicembre 2013, in
C-50/13) e con i principi enunciati dalle Sezioni Unite nella sentenza n. 5072 del 2016, ai fini del
risarcimento del danno spettante al lavoratore nell’ipotesi di illegittima o
abusiva reiterazione di contratti di somministrazione di lavoro a termine, deve
farsi riferimento alla fattispecie di portata generale di cui alla L. n. 183 del 2010, art. 32,
comma 5, da configurare come corrispondente ad un danno presunto, con valenza
sanzionatoria qualificabile come danno comunitario, determinato tra un minimo
ed un massimo, salva la prova del maggior pregiudizio sofferto, che non può
comunque farsi derivare dalla perdita del posto (in assenza di una assunzione
tramite concorso ex art. 97 Cost., u.c.). Ciò
non dà luogo ad una posizione di favore del dipendente pubblico rispetto al
lavoratore privato, atteso che per il primo l’indennità forfetizzata agevola
l’onere probatorio del danno subito pur rimanendo salva la possibilità di
provare un danno maggiore mentre per il lavoratore privato essa funge da limite
al danno risarcibile, ma questa restrizione è bilanciata dal diritto alla
conversione del rapporto di lavoro, insussistente nel lavoro pubblico».

Tale principio deve essere in questa sede ribadito,
per le ragioni di seguito esposte.

4.2 Sul piano europeo la somministrazione di lavoro
è stata disciplinata, come si è detto, con la direttiva
2008/104/CE, entrata in vigore il 5 dicembre 2008, giorno della sua
pubblicazione nella Gazzetta Ufficiale dell’Unione Europea (articolo 13 della direttiva). Il
termine ultimo per il recepimento fissato agli Stati membri era il 5 dicembre
2011 (articolo 11 della
direttiva); alla trasposizione della direttiva nell’ordinamento interno ha
provveduto il d. Igs. 2 marzo 2012, n. 24.

Nel caso di specie i contratti sono stati stipulati
prima della scadenza del termine per la trasposizione della direttiva nel
diritto interno, ma alcuni sono stati stipulati in pendenza di tale termine e
l’ultimo di essi è cessato il 6.1.2012, ovverosia poco dopo lo spirare
(5.12.2011) del termine stesso. Pertanto, deve valutarsi il rapporto esistente
tra le tutele interne, come sopra delineate, rispetto alle regole eurounitarie
sulla somministrazione.

La disposizione qui rilevante è quella dell’articolo 5, par. 5, primo periodo,
della direttiva 2008/104/CE, a tenore del quale «gli Stati membri adottano
le misure necessarie, conformemente alla legislazione e/o le pratiche
nazionali, per evitare il ricorso abusivo all’applicazione del presente
articolo e, in particolare, per prevenire missioni successive con lo scopo di
eludere le disposizioni della presente direttiva».

La Corte di giustizia UE, sez. II, 14 ottobre 2020,
causa C-681/18, JH ha interpretato detta disposizione nel senso che essa «osta
a che uno Stato membro non adotti alcuna misura al fine di preservare la natura
temporanea del lavoro tramite agenzia interinale, nonché ad una normativa
nazionale che non preveda alcuna misura al fine di evitare l’assegnazione ad un
medesimo lavoratore tramite agenzia interinale di missioni successive presso la
stessa impresa utilizzatrice con lo scopo di eludere le disposizioni della direttiva 2008/104 nel suo insieme». A tale
riguardo la Corte di Giustizia ha precisato che la direttiva
2008/104/CE è finalizzata anche a far sì che gli Stati membri si adoperino
affinché il lavoro tramite agenzia interinale di uno stesso lavoratore presso
la stessa impresa utilizzatrice non diventi una situazione permanente (sentenza
cit., punto 60).

Non vi è dunque di per sé contraddizione tra le
tutele lavoristiche predisposte dal diritto interno rispetto al caso di ricorso
illegittimo alla somministrazione a termine (sostituzione di diritto del datore
di lavoro; riconduzione del rapporto alla fattispecie del contratto di lavoro a
termine con clausola di durata illegittima) e gli scopi della Direttiva 2008/104/CE i quali, anzi, comprendono
quello di far sì che gli Stati membri si adoperino affinché il lavoro tramite
agenzia interinale presso la stessa impresa utilizzatrice non diventi una
situazione permanente.

4.3 D’altra parte, se il diritto interno regola la
somministrazione di lavoro a termine invalida secondo modalità comuni, nei
riguardi dell’utilizzatore, a quelle previste per il caso in cui ab origine il
datore di lavoro sia ricorso a contratti a termine illegittimi, va da sé che,
allorquando la parte faccia valere, verso la P.A. utilizzatrice, la violazione
di norme, quale è quella sulla “causale” del contratto di
somministrazione, preposte a prevenire l’abusiva stipulazione di contratti a
termine, deve applicarsi il principio di diritto enunciato da Cass. SU 15 marzo 2016 n. 5072 secondo cui «nel
regime del lavoro pubblico contrattualízzato in caso di abuso del ricorso al
contratto di lavoro a tempo determinato da parte di una pubblica
amministrazione il dipendente, che abbia subito la illegittima precarizzazione
del rapporto di impiego, ha diritto, fermo restando il divieto di
trasformazione del contratto di lavoro da tempo determinato a tempo
indeterminato posto dal d.lgs.
30 marzo 2001, n. 165, art. 36, comma 5, al risarcimento del danno previsto
dalla medesima disposizione con esonero dall’onere probatorio nella misura e
nei limiti di cui alla L. 4
novembre 2010, n. 183, art. 32, comma 5, e quindi nella misura pari ad
un’indennità onnicomprensiva tra un minimo di 2,5 ed un massimo di 12 mensilità
dell’ultima retribuzione globale di fatto, avuto riguardo ai criteri indicati
nella L. 15 luglio 1966, n.
604, art. 8».

E’ ben vero che il punto 4 del preambolo all’Accordo
Quadro allegato alla Direttiva 1999/70/Ce sul
lavoro a termine afferma che esso non si applicherebbe ai contratti a tempo
determinato stipulati attraverso un’agenzia di lavoro interinale (ipotizzando
soltanto un successivo specifico accordo in proposito) e che la Corte di
Giustizia ha escluso che di per sé i contratti di lavoro a termine stipulati in
sede di somministrazione siano soggetti all’applicazione della Direttiva 1999/70/CE (Corte
di Giustizia 11 aprile 2013, causa C-290/12, Della Rocca).

Ciò significa però soltanto che non è prevista
un’applicazione diretta di tale direttiva al lavoro somministrato.

Non è invece esclusa la possibilità di riconoscere
l’operatività di regole risarcitorie identiche a quelle ricavate nel contesto
generale dei contratti a termine illegittimi con la P.A. e ciò proprio per il
fatto che il diritto interno, come si è visto, persegue il fine preventivo
dell’abuso, nel contesto contrattuale della somministrazione di lavoro,
riportando la disciplina, sia prima che dopo l’intervento della Direttiva 2008/104/CE, data la contiguità dei
fenomeni, a quella del contratto a termine con clausola di durata illegittima.

Tutto ciò consente, attraverso un’applicazione –
questa volta “indiretta” – dell’art. 32, co. 5 cit., di
disattendere anche la seconda parte del motivo di impugnazione dell’I.N.P.S.,
avendo la Corte territoriale correttamente proceduto ad applicare tale norma al
contesto dei plurimi rapporti a termine intercorsi con il G., con il
riconoscimento finale di sette mensilità di retribuzione globale di fatto

5. Le spese del grado seguono la soccombenza.

 

P.Q.M.

 

rigetta il ricorso e condanna il ricorrente al
pagamento in favore di R.G. delle spese del giudizio di legittimità, che
liquida in euro 4.500,00 per compensi ed euro 200,00 per esborsi, oltre spese
generali ed accessori di legge.

Ai sensi dell’art. 13 comma 1 quater del d.p.r. 115
del 2002, dà atto della sussistenza dei presupposti processuali per il
versamento, da parte del ricorrente, dell’ulteriore importo a titolo di
contributo unificato pari a quello previsto per il ricorso, a norma del comma
1-bis, dello stesso articolo 13,
se dovuto.

Giurisprudenza – CORTE DI CASSAZIONE – Sentenza 15 febbraio 2021, n. 3815
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