Giurisprudenza – CORTE DI CASSAZIONE – Sentenza 15 febbraio 2021, n. 3819

Licenziamento disciplinare, Accessi al protocollo informatico
dell’ufficio non giustificati da ragioni d’ufficio, Utilizzo di credenziali
proprie, accessi non recanti danni all’amministrazione, nessuna divulgazione di
notizie, Proporzionalità della sanzione

 

Fatti di causa

 

1. Con sentenza dell’11.6.18 la Corte di Appello di
Cagliari – in riforma della sentenza del tribunale di Oristano – ha dichiarato
legittimo il licenziamento della lavoratrice G.A., intimatole in data 19.9.14
con preavviso dal Comune di Zerfaliu, che aveva contestato alla lavoratrice di
avere effettuato, dal 1° gennaio al 14 maggio 2014, 2138 accessi al protocollo
informatico dell’ufficio non giustificati da ragioni d’ufficio, in quanto
finalizzati a conoscere atti che non rientravano in quelli di competenza del
settore di assegnazione della lavoratrice.

2. La corte territoriale ha ritenuto provato
l’accesso abusivo ad opera della dipendente al protocollo generale informatico
del comune e, considerato altresì il rinvio a giudizio della lavoratrice per i
medesimi fatti nonché i precedenti disciplinari specifici, ha ritenuto adeguata
la sanzione del licenziamento, la cui proporzionalità era stata invece esclusa
dal giudice di prime cure.

3. Mentre il Tribunale, secondo quanto si legge
nella sentenza impugnata, aveva ritenuto la sanzione non proporzionata
all’illecito perché la dipendente non aveva utilizzato credenziali non proprie
e perché gli accessi non avevano recato danni all’amministrazione né aveva
comportato la divulgazione di notizie che dovevano rimanere riservate, il
giudice d’appello non ha condiviso tale valutazione. In particolare, rilevato
che erano stati provati gli accessi e ritenuta tra l’altro rilevante – in
quanto riferita ai medesimi fatti oggetto del procedimento disciplinare- la
richiesta di rinvio a giudizio della lavoratrice per il delitto di accesso
abusivo a sistema informatico, aggravato dall’abuso della qualità di pubblico
ufficiale, la corte territoriale ha sottolineato che il vincolo fiduciario era
stato nella specie violato – pur in assenza di danno patrimoniale- in
considerazione del gran numero di accessi operati dalla lavoratrice, della loro
estraneità ai compiti della lavoratrice e dell’utilizzo improprio del tempo
lavorativo, sicché i fatti ascritti erano idonei ad integrare giustificato
motivo soggettivo di recesso.

4. Avverso tale sentenza ricorre la lavoratrice per
quattro motivi, cui resiste il datore con controricorso.

 

Motivi della decisione

 

5. Con il primo motivo si deduce – ex art. 360 co. 1 n. 3 c.p.c. – violazione dell’articolo 2697 c.c. e 115
c.p.c., per avere la sentenza impugnata fondato la decisione sulla
richiesta di rinvio a giudizio sebbene la stessa non fosse stata ancora
sottoposta al vaglio del giudice ed il processo penale fosse ancora in corso.

6. Con il secondo motivo si deduce – ex art. 360 co. 1 n. 3 c.p.c. – violazione degli articoli 2697 c.c. e 115
c.p.c., per avere la sentenza basato la propria soluzione su precedente
decisione della stessa Corte d’Appello relativa ad altro fatto disciplinare,
sebbene tale sentenza non fosse stata prodotta in atti ed anzi era stata
impugnata in cassazione.

7. Con il terzo motivo si deduce – ex art. 360 co. 1 n. 3 c.p.c. – violazione dell’articolo 2119 c.c., per non avere la sentenza
impugnata spiegato perché il vincolo fiduciario inerente il rapporto di lavoro
fosse stato leso dalla lavoratrice.

8. Con il quarto motivo di ricorso si deduce
violazione del contratto collettivo nazionale di lavoro, per avere la sentenza
impugnata omesso l’esame contrattuale delle sanzioni.

9. Il primo motivo di ricorso – che addebita alla
corte territoriale di avere ritenuto provata la veridicità dei fatti sottesi al
licenziamento sulla base della richiesta di rinvio a giudizio che esprime solo
un’ipotesi accusatoria – è inammissibile. Invero, la decisione del giudice di
appello si basa sulla valutazione del quadro probatorio acquisito, dal quale
emergeva la condotta contestata alla lavoratrice, mentre il richiamo al rinvio
a giudizio è mero elemento citato ad abundantiam dalla corte territoriale per
corroborare il giudizio di gravità della condotta già espresso sulla base di
altre considerazioni.

10. Né vi è alcuna violazione della disposizione invocata
e delle regole sull’onere della prova. Inappropriato è, in particolare, il
richiamo all’art. 2697 c.c., la cui violazione
è censurabile in cassazione ai sensi dell’art. 360
co. 1 n. 3 c.p.c. soltanto nell’ipotesi in cui il giudice abbia attribuito
l’onere della prova ad una parte diversa da quella che ne fosse onerata secondo
le regole di scomposizione delle fattispecie basate sulla differenza tra fatti
costitutivi ed eccezioni, e non invece ove oggetto di censura sia la
valutazione che il giudice abbia fatto delle prove offerte dalle parti (Cass.
15107/2013 e 13395/2018, tra le tante), come nella specie, ove la parte critica
l’apprezzamento operato dai giudici di merito, opponendo una diversa
valutazione.

11. Del pari inammissibile è il secondo motivo, in
quanto la sentenza richiamata dalla corte relativa al precedente disciplinare
non è stata affatto posta alla base della decisione del caso in questione, che
poggia invece su una varietà di elementi considerati dalla corte e su una
valutazione ben più ampia del caso concreto e della obiettiva gravità della
condotta della lavoratrice.

12. Il terzo motivo è pure inammissibile. Il motivo
non si rapporta alla sentenza, che ha qualificato il recesso come per
giustificato motivo soggettivo con preavviso e non ha fatto applicazione
dell’articolo invocato dalla ricorrente.

13. Peraltro, in tema di licenziamento per
giustificato motivo soggettivo, si è da tempo affermato che spetta unicamente
al giudice del merito accertare se i fatti addebitati al lavoratore rivestano
il carattere di negazione degli elementi fondamentali del rapporto ed in specie
di quello fiduciario e siano tali da meritare il recesso con preavviso (tra le
altre, Cass. Sez. L, Sentenza n. 15640 del 14/06/18) e, nella specie, la Corte
territoriale ha indicato le ragioni per le quali la condotta della lavoratrice,
tenuta in violazione dei doveri propri del dipendente pubblico, era da ritenere
di gravità tale da giustificare il recesso con preavviso. Trattandosi di
licenziamento per giustificato motivo soggettivo, non solo come si è
evidenziato inappropriato è il richiamo all’art.
2119 cod. civ., non può non evidenziarsi che con il motivo la parte tende
sostanzialmente ad una nuova valutazione – preclusa in sede di legittimità –
del merito della lite in relazione alla rilevanza dei fatti accertati sul piano
disciplinare.

14. Il quarto motivo è inammissibile per la sua
genericità, non essendo indicate né riportate in alcun modo le norme
contrattuali rilevanti che avrebbero permesso alla corte di valutare la
concludenza delle affermazioni del ricorrente.

15. Le spese seguono la soccombenza.

16. Ai sensi dell’art. 13, co. 1 quater, d.P.R. n. 115
del 2002, si dà atto della sussistenza dei presupposti processuali per il
versamento, da parte del ricorrente, dell’ulteriore importo a titolo di
contributo unificato pari a quello previsto per il ricorso a norma del comma 1 bis dello stesso art. 13,
se dovuto.

 

P.Q.M.

 

Dichiara inammissibile il ricorso e condanna parte
ricorrente al pagamento delle spese del giudizio di legittimità, che liquida in
Euro 5000 per competenze professionali ed Euro 200 per esborsi, oltre alle
spese forfetarie nella misura del 15 per cento ed agli accessori di legge.

Ai sensi dell’art. 13, co. 1 quater, d.P.R. n. 115
del 2002, dà atto della sussistenza dei presupposti processuali per il
versamento, da parte del ricorrente, dell’ulteriore importo a titolo di
contributo unificato pari a quello previsto per il ricorso a norma del comma 1 bis dello stesso art. 13,
se dovuto.

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