Giurisprudenza – CORTE DI CASSAZIONE – Sentenza 22 febbraio 2021, n. 4687

Sussistenza di un rapporto di lavoro a tempo indeterminato,
Contratti a progetto, Nullità per genericità del progetto e divaricazione tra
le mansioni indicate nel negozio e quelle effettivamente svolte, Natura di
Società in house, Scopo pubblicistico, assenza di soci privati, controllo
degli enti locali sulla società e su servizi alla stessa affidati,
Partecipazione pubblica non muta la natura di soggetto privato

 

Fatti di causa

 

1. Con sentenza depositata il 5 gennaio 2015, La
Corte d’Appello di Palermo, a conferma della pronuncia del Tribunale di Marsala
n. 1071/2012, accertava la sussistenza di un rapporto di lavoro a tempo
indeterminato tra la B.A. S.p.A. e G.B., intercorso in forza di due contratti a
progetto, il primo a far data dal 22 gennaio 2009, il secondo stipulato il 5
maggio 2009, entrambi nulli per l’assenza dei requisiti essenziali del tipo
contrattuale (genericità del progetto e divaricazione tra le mansioni indicate
nel negozio e quelle effettivamente svolte).

2. La Corte territoriale condannava la Società a
riassumere il lavoratore in servizio con inquadramento nel profilo
professionale 3 B, Area tecnico-amministrativa del c.c.n.I. Federambiente, a
corrispondergli le differenze retributive per l’intero periodo, a versare i
contributi previdenziali omessi, e a pagargli infine a titolo risarcitorio,
l’indennità pari a tre mensilità dell’ultima retribuzione di fatto.

3. Avverso tale decisione interponeva ricorso per
cassazione la Società B.A. S.p.A. in liquidazione, con un’unica censura, cui
resisteva con tempestivo controricorso, illustrato da memoria, G.B.

4. Con l’unica censura, formulata ai sensi dell’art. 360, co. 1, n.3, cod. proc. civ., la parte
ricorrente deduceva “Violazione e falsa applicazione degli art. 1, 62 e 69 d. lgs. n. [276/] 2003, anche
in relazione agli artt. 35
e 36 del d.lgs. n. 165/2001, 18
comma 2 bis d.l. n.112/2008 (convertito nella I.
n.133/2008, introdotto dall’art.
19 del d.l. n.78/2009, convertito nella I.
n.102/2009) e 25 d.l.
n.1/2012 conv. nella I. n. 27/2012”.
La censura si appuntava sulla ritenuta natura di Società in house providing
della B.A. S.p.a. alla quale, diversamente da quanto affermato dalla Corte
territoriale, si sarebbe dovuta attribuire natura pubblicistica, essendo
presenti in essa tutti i requisiti (scopo pubblicistico, assenza di soci
privati, controllo analogo degli enti locali soci sulla società e su servizi
alla stessa affidati) ritenuti necessari per la sua configurazione giuridica
nel senso voluto dalla parte ricorrente e rientrando comunque essa nella
disciplina vincolistica di cui all’art.
18, comma 2 bis, del d.l. n. 112/2008, convertito in I. n. 133/2008 e successive modificazioni, per
cui la Corte territoriale non avrebbe potuto pronunciare la conversione in un
rapporto di lavoro subordinato a tempo indeterminato dei due contratti a
progetto litigiosi.

5. Con ordinanza n.
14394 del 5 giugno 2018, questa Corte di cassazione accoglieva il ricorso,
cassava la sentenza impugnata e, decidendo nel merito, rigettava l’originaria
domanda compensando le spese dell’intero giudizio.

6. La Corte di cassazione osservava che, come già
sottolineato dalle Sezioni Unite con sentenza n.
3621/2018, in tema di società partecipate, la partecipazione pubblica non
muta la natura di soggetto privato della società la quale, quindi, resta
assoggettata al regime giuridico proprio dello strumento privatistico
adoperato, salve specifiche disposizioni di segno contrario o ragioni ostative
di sistema che portino ad attribuire rilievo alla natura pubblica del capitale
impiegato e del soggetto che possiede le azioni della persona giuridica,
citando Cass. S.U. n. 24591/2016 e, con
riferimento ai rapporti di lavoro, Cass. S.U. n. 7759/2017.

7. Nella specie l’ordinanza ravvisava la
disposizione di segno contrario, come posto in evidenza dalla citata pronuncia n. 3621/2018 intervenuta proprio in
materia di società in house, nell’art.
18 del d.l. n. 112/2008, convertito con modificazioni dalla legge n. 133/2008 che, nel testo risultante dalle
modifiche apportate dalla legge n. 102/2009 di
conversione del d.l. n. 78/2009, al comma 1
estende alle società a totale partecipazione pubblica che gestiscono servizi
pubblici locali i criteri stabiliti in tema di reclutamento del personale dall’art. 35, comma 3, del d. lgs.
n. 165 del 2001, ed al comma 2 prescrive alle «altre società a
partecipazione pubblica totale o di controllo» di adottare «con propri
provvedimenti criteri e modalità per il reclutamento del personale e per il
conferimento degli incarichi nel rispetto dei principi, anche di derivazione
comunitaria, di trasparenza, pubblicità e imparzialità», prevedendo, inoltre,
al comma 2 bis che « le disposizioni che stabiliscono, a carico delle
amministrazioni di cui all’articolo
1, comma 2, del decreto legislativo 30 marzo 2001, n. 165, e successive
modificazioni, divieti o limitazioni alle assunzioni di personale si applicano,
in relazione al regime previsto per l’amministrazione controllante, anche alle
società a partecipazione pubblica locale totale o di controllo che siano
titolari di affidamenti diretti di servizi pubblici locali senza gara, ovvero
che svolgano funzioni volte a soddisfare esigenze di interesse generale aventi
carattere non industriale né commerciale, ovvero che svolgono attività nei confronti
della pubblica amministrazione a supporto di funzioni amministrative di natura
pubblicistica inserite nel conto economico consolidato della pubblica
amministrazione, come individuate dall’Istituto nazionale di statistica (ISTAT)
ai sensi del comma 5 dell’articolo
1 della legge 30 dicembre 2004, n. 311.»

8. L’ordinanza osservava come fosse stato accertato
nel giudizio di merito che i contratti di lavoro a termine di G.B. con B.A.
S.p.a, erano stati stipulati rispettivamente il 22 gennaio 2009 e il 5 maggio
2009, dunque “in pieno regime di divieto di conversione dei contratti a
termine illegittimamente prorogati”, per cui la Corte territoriale non
aveva tenuto conto che il divieto di conversione in capo alle società pubbliche
partecipate, sancito dalla I. n. 112/2008,
convertita in I. n.133/2008, all’art. 18, co. 2 bis, introdotto
dall’art. 19 del d.l. n.78/2009,
convertito nella I. n. 102/2009, era
applicabile al caso in esame, in quanto la novella legislativa vigeva dal 22
ottobre 2008 e i contratti di cui è causa erano stati stipulati in data
successiva.

9. Nei confronti della citata ordinanza di questa
Corte G.B. propone ricorso per revocazione, ai sensi dell’art. 391-bis e 395 n.
4 cod.proc.civ, affidato ad un motivo, notificato alla B.A. S.p.A. in
liquidazione, al procuratore costituito nel giudizio di cassazione e al
fallimento della medesima società. Il fallimento della società non ha svolto
attività difensiva in questa sede.

 

Ragioni della decisione

 

1. Il ricorso è inammissibile, non denunciando esso
un errore di fatto previsto dall’art. 395, n. 4,
cod. proc. civ., idoneo a determinare la revocazione delle sentenze.

2. Con l’unico motivo il ricorrente fa valere che
con l’ordinanza impugnata questa Corte sarebbe incorsa in un errore di fatto ai
sensi dell’art. 391 bis e 395 n. 4 cod.proc.civ. per le seguenti ragioni. La
Corte avrebbe applicato il divieto di costituzione di rapporti di lavoro alle
dipendenze delle società pubbliche, in caso di violazione delle norme
sull’utilizzo dei contratti di collaborazione, contenuto nell’art. 18, comma 2 bis, del d.l. 25
giugno 2008, n. 112, conv. in I. 6 agosto
2008, n. 133, introdotto dall’art.
19 del d.l. 1° luglio 2009, n. 78, conv. in l.
3 agosto 2009, n. 102, così ritenendo che i contratti di lavoro
sottoscritti dal lavoratore rientrassero ratione temporis nel periodo di
vigenza della predetta disposizione, e dunque fossero stati sottoscritti dopo
l’entrata in vigore della disciplina predetta. Tuttavia, risulterebbe dalla
stessa motivazione della sentenza che in realtà i contratti in questione erano
iniziati rispettivamente il 22 gennaio 2009 e il 5 maggio 2009, per cui il
rapporto di lavoro inter partes si era costituito prima che entrasse in vigore
la disciplina sulla cui base sarebbe stato fondato il rigetto della domanda del
B.

3. Fa valere il ricorrente che il fatto in
questione, cioè la data di sottoscrizione dei contratti, non sarebbe mai stato
oggetto di controversia tra le parti, né il giudice avrebbe adottato una
pronuncia volta a dirimere una diversità di vedute delle parti in proposito.
L’ordinanza impugnata in revocazione avrebbe invece riferito erroneamente il
momento di sottoscrizione dei contratti – data rilevante ai fin dell’applicazione
della norma “invocata” – a un tempo successivo all’entrata in vigore
della disciplina applicata, che invece al 22 gennaio 2009 e al 5 maggio 2009
non era ancora in vigore. Tale errata rappresentazione della realtà avrebbe
comportato il rigetto della domanda del lavoratore, atteso che l’unico motivo
di ricorso articolato dalla B.A. riguardava proprio la violazione dei divieto
di assunzione per le società a partecipazione pubblica.

4. Appare opportuno richiamare i consolidati
principi espressi dalla giurisprudenza di legittimità nell’interpretazione
dell’ipotesi di revocazione di cui al n. 4 dell’art.
395 cod.proc.civ.

5. Secondo tali principi, questa ipotesi sussiste se
la sentenza è l’effetto di un errore di fatto risultante dagli atti o documenti
della causa; vi è questo errore quando la decisione è fondata sulla
supposizione di un fatto la cui verità è incontrastabilmente esclusa, oppure
quando è supposta l’inesistenza di un fatto la cui verità è positivamente
stabilita.

6. Pacificamente per questa Corte tale genere di
errore presuppone il contrasto tra due diverse rappresentazioni dello stesso
oggetto, emergenti una dalla sentenza e l’altra dagli atti e documenti
processuali, purché, da un lato, la realtà desumibile dalla sentenza sia frutto
di supposizione, e non di valutazione o di giudizio e, dall’altro, quella
risultante dagli atti e documenti non sia stata contestata dalle parti (per
tutte Cass. SS.UU. n. 5303 del 1997; v. poi Cass, SS.UU. n. 561 del 2000; Cass.
SS.UU. n. 15979 del 2001; Cass. SS.UU. n. 23856 del 2008; Cass. SS.UU. n. 4413
del 2016).

7. Pertanto in generale l’errore non può riguardare
la violazione o falsa applicazione di norme giuridiche ovvero la valutazione e
l’interpretazione dei fatti storici; deve avere i caratteri dell’assoluta
evidenza e della semplice rilevabilità sulla base dei solo raffronto tra la
sentenza impugnata e gli atti e i documenti di causa, senza necessità di
argomentazioni induttive o di particolari indagini ermeneutiche; deve essere
essenziale e decisivo, nel senso che tra la percezione asseritamente erronea da
parte del giudice e la decisione da lui emessa deve esistere un nesso causale
tale che senza l’errore la pronuncia sarebbe stata diversa (tra le ultime v. Cass.
n. 14656 del 2017).

8. In particolare, secondo il consolidato
orientamento di questa Corte (Cass. n. 22569 del 2013; n. 4605 del 2013, n.
16003 del 2011) fuoriesce dal travisamento rilevante ogni errore che attinga la
interpretazione del quadro processuale che esso denunziava, in coerenza con una
scelta che deve lasciar fermo il valore costituzionale della insindacabilità
delle valutazioni di fatto e di diritto della Corte di legittimità.

9. Inoltre non è idoneo ad integrare un errore
revocatorio l’ipotizzato travisamento, da parte della Corte di cassazione, di
dati giuridico-fattuali acquisiti attraverso la mediazione delle parti e
l’interpretazione dei contenuti espositivi degli atti del giudizio, e dunque
mediante attività valutativa, insuscettibile in quanto tale – quand’anche
risulti errata – di revocazione (Cass. n. 14108 del 2016; Cass, n. 13181 del
2013).

10. In particolare resta fuori dell’area del vizio
revocatorio la sindacabilità di errori formatisi sulla base di una pretesa
errata valutazione o interpretazione di fatti, documenti e risultanze
processuali che investano direttamente la formulazione del giudizio sul piano
logico-giuridico, perché siffatto tipo di errore,, ove pure in astratta ipotesi
fondato, costituirebbe un errore di giudizio e non un errore di fatto (cfr.
Cass. 14 aprile 2017, n. 9673 e la più recente Cass., Sez. U., 27 dicembre
2017, n. 30994). Così, ad esempio, è stato escluso l’errore revocatorio per:
l’inesatta considerazione degli effetti di una specifica riforma normativa
(Cass. 3 giugno 2002, n. 8023); la mancata applicazione di jus superveniens
(Cass., Sez. U., 23 gennaio 2009, n. 1666); l’applicazione di una normativa
piuttosto che di un’altra (Cass. 29 marzo 2006, n. 7127); l’erronea
comprensione del contenuto giuridico-concettuale delle difese (Cass. 22 marzo
2005, n. 6198) e l’inesatta qualificazione dei fatti ivi esposti (Cass. 10
giugno 2009, n. 13367); l’omesso rilievo del litisconsorzio necessario (Cass. 5
aprile 2001, n. 5055); l’inesatta applicazione dell’art.
149 cod. proc. civ. (Cass. 30 novembre 2005, n. 26074); l’erronea
presupposizione del giudicato (Cass., Sez. U., 10 novembre 2005, n. 21830)
ovvero l’omesso rilievo di un giudicato interno (Cass. 20 giugno 2017, n.
15346); la violazione del diritto comunitario (Cass. 10 novembre 2005, n.
21830); il mancato rilievo di nullità della notifica del ricorso (Cass. 15
novembre 2013, n. 25654); l’errato apprezzamento di un motivo di ricorso (Cass.
15 giugno 2017, n. 14937).

11. Alla luce dei suindicati principi il ricorso per
revocazione deve ritenersi inammissibilmente proposto.

Ciò che viene lamentato con questo ricorso è il
preteso errore in cui sarebbe incorsa l’ordinanza impugnata nell’avere riferito
erroneamente il momento di sottoscrizione dei contratti litigiosi – data
rilevante ai fini dell’applicazione della norma “invocata” – a un
tempo successivo all’entrata in vigore della disciplina applicata, che invece
al 22 gennaio 2009 e al 5 maggio 2009, secondo la prospettazione del
ricorrente, non era ancora in vigore.

12. In realtà l’ordinanza impugnata, al contrario,
enuncia esplicitamente la data di entrata in vigore della disciplina legale
applicata al caso di specie, individuandola al 22 ottobre 2008, per trarne la
conclusione della sua applicabilità ai contratti per cui è causa, stipulati in
data successiva.

13. Non si lamenta in realtà da parte del ricorrente
un’errata percezione del fatto processuale, ossia della data di stipulazione
dei contratti in questione, ma l’errata individuazione della data di entrata in
vigore della disciplina applicata, ciò che involge un giudizio di diritto,
sicché il ricorso mira soltanto ad ottenere la diversa affermazione – in punto
di diritto – secondo la quale la disciplina legale in base alla quale il
ricorso in cassazione è stato deciso non sarebbe in realtà stata applicabile
ratione temporis. Il che è incompatibile con la prospettazione d’un preteso
errore revocatorio.

14. Il ricorso deve, pertanto, come anticipato,
essere dichiarato inammissibile.

15. Non avendo il fallimento intimato svolto
attività difensiva in questa sede non c’è luogo a liquidazione di spese.

16. Ai sensi dell’art. 13 comma 1 quater del D.P.R. n.
115 del 2002, sussistono i presupposti processuali per il versamento, da
parte del ricorrente, di un ulteriore importo a titolo di contributo unificato
pari a quello previsto per il ricorso, a norma del comma 1 -bis dello stesso art. 13, se dovuto.

 

P.Q.M.

 

Dichiara inammissibile il ricorso.

Ai sensi dell’art. 13 comma 1 quater del D.P.R. n.
115 del 2002, dà atto della sussistenza dei presupposti processuali per il
versamento, da parte del ricorrente, di un ulteriore importo a titolo di
contributo unificato pari a quello previsto per il ricorso, a norma del comma 1
-bis dello stesso art. 13, se
dovuto.

Giurisprudenza – CORTE DI CASSAZIONE – Sentenza 22 febbraio 2021, n. 4687
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