Giurisprudenza – CORTE DI CASSAZIONE – Sentenza 15 febbraio 2021, n. 5794
Infortunio sul lavoro, Decesso, Negligenza, imprudenza, imperizia ed inosservanza delle norme per la
prevenzione degli infortuni sul lavoro, Macchina non dotata di sistemi di
protezione atti ad eliminare i rischi meccanici, lllogicità della motivazione
apprezzabile come vizio denunciabile, Spessore tale da risultare percepibile
ictu oculi, Sindacato di legittimità limitato a rilievi di macroscopica
evidenza
Ritenuto in fatto
1. Con sentenza n. 338/2017 in data 30/05/2017, il
GIP del Tribunale di Busto Arsizio, all’esito del giudizio abbreviato,
condannava C.F.M. alla pena di anni uno di reclusione poiché ritenuta
responsabile del delitto di cui agli artt. 589,
commi 1 e 2, e 40, comma 2, c.p., per avere, in
qualità di Presidente del C.d.A. della ditta “T.V. S.r.l.”, datore di
lavoro dell’infortunato e, pertanto, soggetto giuridico sul quale incombeva
l’onere di impedire l’evento, cagionato per colpa il decesso di G. M.. Emerge
dall’imputazione che il G., dipendente della ditta “T.V. S.r.l.”, con
la qualifica di operaio tessitore, al momento dell’infortunio si trovava in
corrispondenza della macchina “Ispezionatrice/Arrotolatrice/Misuratrice
-Tipo: LAFRA 2cc/GR/GR- Matr. N. 5190” e, precisamente, fra “il
gruppo ballerino di avvolgimento” e (“‘avvolgitore” (sono
entrambe sezioni della macchina, costituite essenzialmente da cilindri rotanti
aventi, rispettivamente, la funzione di favorire lo scorrimento del tessuto in
lavorazione proveniente dalla bobina originaria); il G. veniva a contatto con
la bobina di tessuto in rotazione sul cavalletto dell’avvolgitore e rimaneva
intrappolato, inizialmente con una mano, poi con il resto del corpo, fra la
bobina stessa e il tessuto in fase di avvolgimento. La colpa dell’imputata
sarebbe consistita in negligenza, imprudenza, imperizia ed inosservanza delle
norme per la prevenzione degli infortuni sul lavoro, in nesso di causa con l’infortunio
in quanto ne hanno determinato l’accadimento. In particolare: inosservanza
degli artt. 71 comma 1 e 87 comma 2, lettera c) D.Lgs. 81/08
in quanto avrebbe messo a disposizione dei lavoratori attrezzature non conformi
ai requisiti di cui all’art. 70,
inidonee ai fini della salute e sicurezza e non adeguate al lavoro da svolgere,
e non utilizzate conformemente alle disposizioni legislative di recepimento
delle direttive comunitarie. Più nel dettaglio, la macchina
“Ispezionatrice/Arrotolatrice/Misuratrice LAFRA” su cui è avvenuto
l’infortunio del G., non sarebbe stata dotata di sistemi di protezione atti ad
eliminare i rischi meccanici (nello specifico, rischi di trascinamento ed
intrappolamento) dovuti agli elementi mobili della macchina (rulli) ed al
materiale di processo in corso di avvolgimento; inosservanza degli artt. 28, comma 2, lettera a), e
55, comma 4, D.lgs. 81/08, in
quanto non avrebbe provveduto a redigere una relazione sulla valutazione di
tutti i rischi per la salute e la sicurezza dei lavoratori durante l’attività
lavorativa. Nella fattispecie non sarebbe stata fatta alcuna menzione dei
rischi derivanti dalle attività svolte con la macchina
“Ispezionatrice/Arrotolatrice/Misuratrice – LAFRA” su cui è avvenuto
l’infortunio del G.. Inoltre, non sarebbe stato valutato il rischio derivante
dallo svolgimento dell’attività lavorativa in periodo notturno da parte di un
unico lavoratore; inosservanza degli artt. 28, comma 2, lettere b) e
c) e 55, comma 3, D.lgs. 81/08,
in quanto il Documento di Valutazione dei Rischi prodotto non conteneva
l’indicazione delle misure di prevenzione e protezione attuate e dei
dispositivi di protezione individuali adottati e, conseguentemente, il
programma delle misure ritenute opportune per garantire il miglioramento nel
tempo dei livelli di sicurezza; inosservanza degli artt. 37 comma 1, e 55, comma 5, lettera c), D.lgs.
81/08, in quanto il datore di lavoro non avrebbe assicurato che ciascun
lavoratore, ivi compreso il G., ricevesse una formazione sufficiente ed
adeguata in materia di salute e sicurezza, con particolare riferimento ai
concetti di rischio, danno, prevenzione, protezione, organizzazione della
prevenzione aziendale, diritti e doveri dei vari soggetti aziendali, e
soprattutto, ai rischi riferiti alle mansioni ed ai possibili danni ed alle
conseguenti misure di prevenzione e protezione caratteristici del settore o
comparto di appartenenza dell’azienda.
Fatti occorsi in Olgiate Olona (VA) il 6 maggio
2014.
1.1. Con la sentenza n. 229/19 del giorno
14/01/2019, la Corte di Appello di Milano, adita dall’imputata, confermava la
sentenza di primo grado.
2. Avverso tale sentenza d’appello propone ricorso
per cassazione C.F.M., a mezzo del proprio difensore, lamentando (in sintesi
giusta il disposto di cui all’art. 173, comma 1,
disp. att. cod. proc. pen.):
I) violazione di legge e vizi motivazionali in
relazione all’art. 71, comma 1,
D.LGS. 81/2008 e ai rilievi del consulente del pubblico ministero nonché
all’illogica ricostruzione delle dinamiche operative del macchinario e alla
imprevedibilità delle scelte dell’infortunato, non prevenibili. Deduce che la
motivazione si rivela inficiata da un evidente vizio di contraddittorietà
processuale, in ragione del contrasto con le emergenze dibattimentali, del
travisamento delle risultanze probatorie nonché del travisamento degli atti per
invenzione. Sostiene che l’art. 1 dell’all. 1 alla direttiva macchine
2006/42/CE prevede, tra l’altro, che il fabbricante garantisca una valutazione
dei rischi per stabilire i requisiti di sicurezza e di tutela della salute che
concernono la macchina, la quale deve essere progettata e costruita tenendo
conto dei risultati della valutazione dei rischi. Afferma che il modello di
macchina in questione era in commercio da oltre vent’anni e se il problema
individuato come fonte di responsabilità fosse stato tanto evidente sarebbe
emerso, sarebbe stato segnalato da almeno uno delle centinaia di acquirenti,
direttamente al fabbricante; quest’ultimo sarebbe intervenuto per rimediare,
segnalando il problema ai precedenti acquirenti; gli stessi tecnici ASL, oggi
ATS, che hanno certamente visionato la macchina in precedenti occasioni, nulla
hanno segnalato. Sostiene che assumere -come fa la Corte territoriale- che la
zona critica sia ampiamente accessibile è assolutamente errato ed è smentito
dalle stesse dinamiche operative del macchinario, che i Giudici di merito non
hanno mai compiutamente esaminato. Assume che il passaggio, nel punto in cui è
avvenuto, non costituiva uso corretto- si trattava di un comportamento anomalo:
non previsto né prevedibile; in trenta anni di uso, infatti, non si è mai
verificato alcun infortunio.
II) violazione di legge e vizi motivazionali in
relazione agli artt. 29,
comma 5, 28, comma 2, lett.
A), B) e C), e 55, comma 4,
D.Lgs. 81/2008. Deduce che il DVRI esisteva ed era stato predisposto in
ossequio a quanto consentito, per le imprese con meno di dieci dipendenti,
dall’art. 6, comma 8, lett.
f); l’art. 29, comma 5, D.lgs.
81/2008, prevede che “i datori di lavoro che occupano fino a 10
lavoratori effettuano la valutazione dei rischi di cui al presente articolo
sulla base delle procedure standardizzate di cui all’articolo 6, comma 8, lettera
f)”. Sostiene, inoltre, che Mario G. era stato ritenuto idoneo al turno di
notte perché chi aveva il compito di segnalare problematiche connesse al suo
stato di salute, non lo aveva fatto; non era stato, infatti, comunicato che il
lavoratore assumesse farmaci capaci di alterare il suo stato sotto il profilo
della capacità di determinarsi, di reagire, di orientarsi, di comprendere il
pericolo, ossia l’assunzione di dosi rilevanti di farmaci ansiolitici; solo
tale circostanza è in grado di spiegare la sua assurda condotta.
III) vizi motivazionali in relazione agli artt. 192 e 546 c.p.p.
Deduce che la Corte di Appello di Milano, fonda la propria decisione su
apodittiche asserzioni in merito all’operatività del macchinario, trascurando
le valutazioni del consulente del Pubblico Ministero, effettuando improprie
deduzioni in ordine a emergenze di segno inverso rispetto a quello ritenuto,
pretermettendo una compiuta valutazione di una circostanza essenziale, ossia
l’assunzione di psicofarmaci da parte dell’infortunato. Sostiene che il
giudicante non può limitarsi, come ha fatto il Giudice di merito, a scegliere
un’ipotesi ricostruttiva del fatto e ad enunciare le prove che la confermano,
ma deve anche indicare le ragioni che lo hanno portato ad escludere le ipotesi
antagoniste ed a ritenere non attendibili le prove contrarie addotte.
IV) violazione di legge e vizi motivazionali in
relazione agli artt. 40, comma 2, e 41, comma 2, c.p. Deduce che la sentenza impugnata
si fonda sull’aprioristica convinzione circa l’irrilevanza della condotta del
lavoratore nel determinismo causale dell’evento, muovendo da una idea
preconcetta ed errata (macroscopica pericolosità della macchina, incompatibile
con l’oggettività dell’assenza di pregressi infortuni), omettendo ogni
valutazione di emergenze
dibattimentali di segno contrario alle conclusioni
dei giudicanti: 1) la scarsa lucidità del G. riscontrata dalle dichiarazioni
del collega M., inequivoche; 2) le condizioni dell’infortunato non note al
datore di lavoro; 3) le mansioni che l’infortunato avrebbe dovuto espletare non
presentavano rischi particolari; 4) il rispetto delle consuete dinamiche
operative sul macchinario avrebbe annullato qualsivoglia rischio, come attesta
l’assenza di precedenti infortuni; 5) le modalità dell’occorso si rivelano
dimostrative di scelte operative anomale, imprevedibili e idonee a superare i
presidi di sicurezza all’uopo predisposti.
V) violazione di legge e vizi motivazionali in
relazione all’art. 589, commi 1 e 2, c.p.
Deduce che non sussistono né risultano, provati alla luce di quanto esposto, i
profili oggettivi e soggettivi del reato contestato. Sostiene che il Giudice
non può prescindere, nel pronunciare la sentenza di condanna, dall’accertamento
della regola cautelare violata e del comportamento materiale difforme
contestato all’agente e, nel caso di specie, le emergenze dibattimentali consentono
di affermare l’assoluta sicurezza del macchinario se usato seguendo le normali
procedure, rispetto alle quali il comportamento del lavoratore si è sostanziato
in una condotta anomala ed esorbitante dalle direttive aziendali. Afferma che,
rispetto alla verifica circa la sussistenza dell’elemento soggettivo richiesto
dalla fattispecie in contestazione, la sentenza impugnata è totalmente silente.
Rimarca che la Corte territoriale ha del tutto omesso di trattare la
problematica relativa all’obbligo del medico aziendale di segnalare al datore
di lavoro, le problematiche mediche riscontrate al dipendente.
2.1. Con memoria depositata il 13/01/2020, si sono
costituite, le parti civili R.P., G.A. e G.A., a mezzo del proprio difensore,
svolgendo argomentazioni avversative.
Considerato in diritto
3. Il ricorso è manifestamente infondato.
4. Innanzitutto va evidenziato che, nel caso di c.d.
“doppia conforme”, le motivazioni della sentenza di primo grado e di
appello, fondendosi, si integrano a vicenda, confluendo in un risultato
organico ed inscindibile al quale occorre in ogni caso fare riferimento per
giudicare della congruità della motivazione.
4.1. Occorre, inoltre, rimarcare che la ricorrente
ignora le analitiche ragioni esplicitate dal giudice di appello per rigettare
analoghi motivi di gravame.
4.2. La Corte territoriale ha, in vero, fornito
adeguata spiegazione del ragionamento posto a base della propria sentenza
procedendo alla coerente e corretta disamina di ogni questione di fatto e di
diritto.
4.3. Sul punto va ricordato che il controllo del
giudice di legittimità sui vizi della motivazione attiene alla coerenza
strutturale della decisione di cui si saggia la oggettiva tenuta sotto il
profilo logico argomentativo, restando preclusa la rilettura degli elementi di
fatto posti a fondamento della decisione e l’autonoma adozione di nuovi e
diversi parametri di ricostruzione e valutazione dei fatti (tra le varie, cfr.
Sez. 4, n. 31224 del 16/06/2016).
4.4. Ancora, la giurisprudenza ha affermato che
l’illogicità della motivazione per essere apprezzabile come vizio denunciabile,
deve essere evidente, cioè di spessore tale da risultare percepibile ictu
oculi, dovendo il sindacato di legittimità al riguardo essere limitato a
rilievi di macroscopica evidenza, restando ininfluenti le minime incongruenze e
considerandosi disattese le deduzioni difensive che, anche se non espressamente
confutate, siano logicamente incompatibili con la decisione adottata, purché
-come nel caso in esame- siano spiegate in modo logico e adeguato le ragioni
del convincimento (cfr. Sez. 3, n. 35397 del 20/6/2007; Sez. Unite n. 24 del
24/11/1999, Spina, Rv. 214794). Più di recente è stato ribadito come ai sensi
di quanto disposto dall’art. 606 c.p.p., comma
1, lett. e), il controllo di legittimità sulla motivazione non attiene né alla
ricostruzione dei fatti né all’apprezzamento del giudice di merito, ma è
circoscritto alla verifica che il testo dell’atto impugnato risponda a due
requisiti che lo rendono insindacabile: a) l’esposizione delle ragioni
giuridicamente significative che lo hanno determinato; b) l’assenza di difetto
o contraddittorietà della motivazione o di illogicità evidenti, ossia la
congruenza delle argomentazioni rispetto al fine giustificativo del provvedimento,
(cfr. Sez. 2, n. 21644 del 13/2/2013, Badagliacca e altri, Rv. 255542).
4.5. Il sindacato demandato a questa Corte sulle
ragioni giustificative della decisione ha dunque, per esplicita scelta
legislativa, un orizzonte circoscritto. Non c’è, in altri termini, come
richiesto nel ricorso in scrutinio, la possibilità di andare a verificare se la
motivazione corrisponda alle acquisizioni processuali. Il giudice di
legittimità non può procedere ad una rinnovata valutazione dei fatti ovvero ad
una rivalutazione del contenuto delle prove acquisite, trattandosi di
apprezzamenti riservati in via esclusiva al giudice del merito.
4.6. In realtà la ricorrente, sotto il profilo del
vizio di motivazione e dell’asseritamente connessa violazione nella valutazione
del materiale probatorio, tenta di sottoporre a questa Corte di legittimità un
nuovo giudizio di merito. In sostanza, in tema di motivi di ricorso per
cassazione, non sono deducibili censure attinenti a vizi della motivazione
diversi dalla sua mancanza, dalla sua manifesta illogicità, dalla sua
contraddittorietà (intrinseca o con atto probatorio ignorato quando esistente,
o affermato quando mancante), su aspetti essenziali ad imporre diversa
conclusione del processo; per cui sono inammissibili tutte le doglianze che
“attaccano” la persuasività, l’inadeguatezza, la mancanza di rigore o
di puntualità, così come quelle che sollecitano una differente comparazione dei
significati probatori da attribuire alle diverse prove o evidenziano ragioni in
fatto per giungere a conclusioni differenti sui punti dell’attendibilità, della
credibilità, dello spessore della valenza probatoria del singolo elemento (cfr.
Sez. 2, n. 38393 del 20/07/2016; Sez. 6, n. 13809 del 17/03/2015, Rv. 262965).
4.7. Non va, infine, pretermesso che, in tema di
motivi di ricorso per cassazione, il vizio di travisamento della prova,
desumibile dal testo del provvedimento impugnato o da altri atti del processo
purché specificamente indicati dal ricorrente, è ravvisabile ed efficace solo
se l’errore accertato sia idoneo a disarticolare l’intero ragionamento
probatorio, rendendo illogica la motivazione per la essenziale forza
dimostrativa del dato processuale /probatorio, fermi restando il limite del
“devolutum” in caso di cosiddetta “doppia conforme” e
l’intangibilità della valutazione nel merito del risultato probatorio (cfr. Sez. 6, Sentenza n. 5146 del 16/01/2014 Ud. -dep.
03/02/2014- Rv. 258774): ipotesi che, nella specie, deve escludersi.
5. Ciò posto, in replica alle doglianze dedotte in
ricorso -da trattarsi congiuntamente poiché logicamente avvinte- occorre
rammentare che la eventuale responsabilità del costruttore, nel caso in cui
l’evento dannoso sia provocato dall’inosservanza delle cautele infortunistiche
nella progettazione e fabbricazione della macchina, non esclude la
responsabilità del datore di lavoro che il macchinario impieghi, gravando su
quest’ultimo l’obbligo di eliminare le fonti di pericolo per i lavoratori
dipendenti che debbano utilizzare la predetta macchina e di adottare
nell’impresa tutti i più moderni strumenti che la tecnologia offre per
garantire la sicurezza dei lavoratori; a detta regola può farsi eccezione nella
sola ipotesi in cui l’accertamento di un elemento di pericolo nella macchina o
di un vizio di progettazione o di costruzione di questa sia reso impossibile
per le speciali caratteristiche della macchina o del vizio, impeditive di
apprezzarne la sussistenza con l’ordinaria diligenza (v. anche Sez. 4, n. 48792
del 17/11/2016; Sez. 4.,n.22249 del 14/03/2014, Enne, Rv. 259229; Sez. 4, n. 26247 del 20/05/2013, Magrini, Rv.
256948, Sez. 4, n. 16941 del 20 aprile 2010,
Dall’Asta). Inoltre, quanto alla disposizione cautelare violata, l’art. 71 D.Lgs. 81/2008, fa
obbligo al datore di lavoro -o al suo delegato alla sicurezza- di verificare la
sicurezza delle macchine introdotte nella propria azienda e di rimuovere le
fonti di pericolo per i lavoratori addetti all’utilizzazione di una macchina, a
meno che questa non presenti un vizio occulto (v. anche Sez. 4, n. 4549 del
29/01/2013); e, nella specie, è pacifico che la macchina era sprovvista di
dispositivi di protezione idonei. L’assunto secondo cui la macchina aveva
funzionato senza cagionare problemi per oltre vent’anni non esime da
responsabilità la ricorrente, atteso che l’utilizzazione di un macchinario non
conforme alle disposizioni a tutela della sicurezza, ancorché protratta nel
tempo senza incidenti e anche qualora sia risultata esente da censure in
occasione di precedenti ispezioni, non esime da responsabilità il datore di
lavoro o il soggetto cui è demandata nell’ambito dell’impresa la cura della
prevenzione degli infortuni sul lavoro (si rinvia, in tal senso, a Sez. 4, n.
4513 del 03/02/2016; Sez. 4, Sentenza n. 32128 del 06/05/2011 Ud. -dep.
17/08/2011- Rv. 251456).
5.1. Nella specie, la Corte del merito ha fatto buon
uso dei principi surriportati, affermando che grava sul datore di lavoro il
dovere di «controllare e verificare con la massima attenzione, che
l’apparecchiatura non possa cagionare danni fisici di alcun tipo, agli addetti
a quella macchina […] Nel caso che occupa […] il macchinario era altamente
pericoloso, per l’espressa grave violazione delle norme di cui al D.L.vo n. 81/2008 […] Pericolosità rilevabile
“ictu oculi”, e non previsto […] neppure nel DUVRI della ditta “T.V.
S.r.l.” […] Infatti non è vero -come sostiene la difesa- che per
avvicinarsi al 2° rullo si dovesse assumere una posizione innaturale, o ci
fosse un passaggio di soltanto 50 centimetri: come si vede perfettamente nelle
fotografie allegate alla presente sentenza per la migliore comprensione della
vicenda, accanto al grosso rullo (postaz. C) su cui si andava ad arrotolare la
stoffa proveniente dal rullo iniziale (postaz. A) che forniva il materiale
tessile alla macchina, vi era uno spazio tale da permettere il passaggio di
qualsiasi lavoratore. Ed è di pronta intuizione che nella quotidianità, i
lavoratori, invece di girare attorno all’intera linea di produzione, avrebbero
spesso e volentieri dimezzato il percorso passando attraverso quel varco».
Riportano i giudicanti distrettuali anche le disposizioni di cui all’allegato V D.Lgs. 81/08, ai cui punti 6 e 11 si
stabilisce, tra l’altro, che “Se gli elementi mobili di un’attrezzatura di
lavoro presentano rischi di contatto meccanico che possono causare incidenti, essi
devono essere dotati di protezioni o di sistemi protettivi che impediscano
l’accesso alle zone pericolose o che arrestino i movimenti pericolosi prima che
sia possibile accedere alle zone in questione”; evidenziano, quindi, altri
dati che danno contezza del gravissimo pericolo di quell’organo in movimento
posto che «il rullo della postaz. C viaggiava a velocità elevatissima (15 metri
di stoffa al minuto, equivalenti a 17/25 centimetri al secondo), e veniva a sua
volta tenuto in pressione da altro rullo (rullo pressore non motorizzato) ad
altezza variabile (a seconda della quantità di materiale arrotolato) che
esercitava a sua volta una pressione che dava al meccanismo una forza di
trazione in grado di raggiungere fino a 1000 kg. Cioè drammaticamente in grado
di trascinare il corpo di qualsiasi persona. La zona andava pertanto
attentamente segregata, con paratie eventualmente mobili, ma la cui apertura
doveva bloccare immediatamente la macchina […] Proprio per evitare questo
tipo di incidente, erano previsti dalla direttiva UNI EN ISO 00000-1 specifici
dispositivi, che però su tale macchina non erano montati (cfr. CT PM pag. 9 e
10 – non smentita in atti), o erano montati in modo assolutamente errato:
“l’arrotolatore -spiegava la relazione ASL- è dotato di un dispositivo
sensibile, costituito da un filo, ma che nel caso che occupa, non era
posizionato nel punto di trascinamento, ma sul lato opposto, dove tale rischio
non sussiste” (pag. 10) […] era chiaro che ci fosse un pericoloso
passaggio di fianco al rullo in movimento; tale passaggio non era in alcun modo
protetto o totalmente segregato e, guardando il macchinario, chiunque lo vedeva
con tutta evidenza (si richiamano nuovamente al proposito, le foto alle pagg.
14, 15 e 16) […] Nulla di occulto dunque, né alcunché che potesse trarre in
errore una dirigenza attenta alle proprie responsabilità e, soprattutto, alla
salute e alla vita dei propri lavoratori».
5.2. Quanto appena detto, consente di apprezzare
l’ulteriore affermazione della Corte territoriale, la quale valorizza le
dichiarazioni rese da altro lavoratore dell’azienda, Rossetti Fabrizio,
(secondo cui durante le mansioni di controllo del procedere della fase di
lavorazione, “se si verifica una piega sulla cimosa, si arresta la
macchina, si inserisce l’apposita molletta in prossimità della piega, e avvio
la macchina sempre a velocità bassa fino a quando ho eliminato la piega”),
per derivarne che «Risulta quindi profondamente errata l’affermazione a pag. 15
dell’atto d’appello, secondo la quale “non vi erano fattori di rischio: in
particolare non vi era necessità che egli (G.) di interfacciarsi con la
macchina”. È vero addirittura il contrario: l’avvicinarsi al rullo
(postaz. C) non era qualcosa di strano o tantomeno imprevedibile, ma faceva addirittura
parte delle mansioni dell’addetto al macchinario».
5.3. Quanto all’assunzione di farmaci da parte della
vittima, mette conto rilevare che già il lavoro notturno in solitaria
rappresenta un fattore di rischio in sé. Con l’entrata in vigore del D.Lgs. 532/99,
infatti, il prestare la propria attività lavorativa in qualità di lavoratore
notturno costituisce, ipso facto, senza necessità dell’ulteriore presenza di
altri fattori critici, un fattore di rischio; la modalità del lavoro notturno,
specie se “in solitaria”, deve, quindi, essere presa in esame in modo
specifico nella valutazione dei rischi. Sul punto, poi, non può pretermettersi
che le prescrizioni poste a tutela del lavoratore sono intese a garantire
l’incolumità dello stesso anche nell’ipotesi in cui, per stanchezza,
imprudenza, inosservanza di istruzioni, malore od altro, egli si sia venuto a
trovare in situazione di particolare pericolo (in termini, Sez. 4, n. 4917 del
01/12/2009 Ud. -dep. 04/02/2010- Rv. 246643; Sez. 4, n. 114/86, ud. 6/5/1985, RV.
171538; in materia, si veda anche Sez. 4, n. 4784 del 13/02/1991 Ud. -dep.
27/04/1991- Rv. 187538, secondo cui in tema di prevenzione degli infortuni sul
lavoro, le norme assolvono all’esigenza primaria di evitare eventi lesivi
dell’incolumità fisica dei lavoratori anche in caso di rischi derivanti da
distrazione o disaccortezza dei subordinati e la colpa dell’infortunato è
configurabile solo quando la condotta del lavoratore sia del tutto anomala,
esorbitante dal procedimenti di lavoro cui egli è addetto oppure si traduca
nell’inosservanza, da parte sua, di precise disposizioni antinfortunistiche o
di ordini esecutivi).
5.3.1. Nessun rilievo ha, quindi, l’ingestione di
“Clordemetildiazepam” “in corrispondenza dei più elevati livelli
terapeutici” (secondo consulenza tecnica medico-legale), nella eziologia
dell’evento né assume valore -in questa sede- l’eventuale violazione
dell’obbligo del medico aziendale di segnalare al datore di lavoro le
condizioni di salute del G. (al più avrebbe potuto essere oggetto di azione
civilistica da parte della odierna ricorrente). Sul punto, preme, ancora,
rammentare che nell’ambito della sicurezza sul lavoro emerge la centralità del
concetto di rischio, in un contesto preposto a governare ed evitare i pericoli
connessi al fatto che l’uomo si inserisce in un apparato disseminato di
insidie. Rispetto ad ogni area di rischio esistono distinte sfere di
responsabilità che quel rischio sono chiamate a governare; il “garante è
il soggetto che gestisce il rischio” e, quindi, colui al quale deve essere
imputato, sul piano oggettivo, l’illecito, qualora l’evento si sia prodotto
nell’ambito della sua sfera gestoria. Proprio nell’ambito in parola (quello
della sicurezza sul lavoro) il D.Lgs. n. 81 del
2008 (così come la precedente normativa in esso trasfusa) consente di
individuare la genesi e la conformazione della posizione di garanzia, e,
conseguentemente, la responsabilità gestoria che, in ipotesi di condotte
colpose, può fondare la responsabilità penale. Nel caso che occupa l’imputata
(quale onerata della “posizione di garanzia” nella materia
prevenzionale, come spiegato dai Giudici del merito) era il gestore del rischio
e l’evento si è verificato nell’alveo della sua sfera gestoria (cfr. Sez. Un.,
n. 38343 del 24/04/2014, Rv. 261108). La eventuale ed ipotetica condotta
abnorme del G. non può considerarsi interruttiva del nesso di condizionamento
poiché essa non si è collocata al di fuori dell’area di rischio definita dalla
lavorazione in corso. In altri termini la complessiva condotta del G. non fu
eccentrica rispetto al rischio lavorativo che il garante (la ricorrente) era
chiamata a governare (cfr. Sez. Un., n. 38343 del 24/04/2014, cit.); nella
condotta del G. non si possono, in vero, riscontrare i requisiti di
eccezionalità ed imprevedibilità poiché trattasi di manovra realizzata nel
contesto della lavorazione cui lo stesso era addetto e finalizzata (sia pure
imprudentemente) ad aggirare gli ostacoli alla prosecuzione del ciclo
lavorativo. Più esattamente, in tema di prevenzione antinfortunistica, perché
la condotta colposa del lavoratore possa ritenersi abnorme e idonea ad
escludere il nesso di causalità tra la condotta del datore di lavoro e l’evento
lesivo, è necessario non tanto che essa sia imprevedibile, quanto, piuttosto,
che sia tale da attivare un rischio eccentrico o esorbitante dalla sfera di
rischio governata dal soggetto titolare della posizione di garanzia, e ciò
-nella specie- non è (cfr. Sez. 4, n. 15124 del 13/12/2016 Ud. -dep. 27/03/2017-
Rv. 269603).
5.3.2. Correttamente, quindi, la Corte del merito ha
rimarcato che «È conosciuto che tali tipi di farmaci “possono” produrre (NON:
producono certamente) depressione del sistema nervoso centrale, sedazione,
ipnosi, diminuzione dell’ansia rilassamento della muscolatura scheletrica, ma
si ribadisce ancora una volta, che la presenza degli adeguati sistemi di
protezione e prevenzione degli infortuni avrebbe impedito in maniera certa e
assoluta il verificarsi della tragica morte […] la causa del funesto evento
non è certo da ritrovare nelle benzodiazepine, in un supposto stato di
alterazione del G., in una sua immaginifica condotta suicida ria, in un
comportamento asseritamente abnorme, bensì nell’assenza di tutti quegli
accorgimenti prevenzionali e antinfortunistici che devono presidiare proprio e
anche da eventuali malori o movimenti errati del lavoratore».
5.4. Mette conto, infine, ribadire che, per quel che
riguarda le valutazioni delle consulenze da parte dei giudici di merito,
costituisce giudizio di fatto, incensurabile in sede di legittimità, se
logicamente e congruamente motivato, come nel caso di specie, l’apprezzamento
delle conclusioni dei consulenti. È, inoltre, del pari certo, in sintonia con
il consolidato indirizzo interpretativo di questa Corte, che non rappresenta
vizio della motivazione, di per sé, l’omesso esame critico di ogni più minuto
passaggio delle relazioni tecniche, poiché la valutazione delle emergenze
processuali è affidata al potere discrezionale del giudice di merito, il quale,
per adempiere compiutamente all’onere della motivazione, non deve prendere in
esame espressamente tutte le argomentazioni critiche dedotte o deducibili, ma è
sufficiente che enunci con adeguatezza e logicità gli argomenti che si sono
resi determinanti per la formazione del suo convincimento (così, ex multis,
Sez. 4, n. 23146 del 17/04/2012).
6. Ai sensi dell’art.
616 c.p.p., con il provvedimento che dichiara inammissibile il ricorso, la
ricorrente deve essere condannata al pagamento delle spese del procedimento,
nonché -non ravvisandosi motivi di esclusione (cfr. Corte costituzionale sentenza n. 186 del 2000)- al pagamento a favore
della Cassa delle ammende di una somma che si stima equo determinare in €
3.000,00 nonché alla rifusione delle spese sostenute dalle parti civili R.P.,
G.A. e G.A. da liquidarsi in € 4.000,00 oltre accessori di legge.
P.Q.M.
Dichiara inammissibile il ricorso e condanna la
ricorrente al pagamento delle spese processuali e della somma di euro tremila
in favore della cassa delle ammende, nonché alla rifusione delle spese
sostenute dalle parti civili R.P., G.A. e G.A., che liquida in euro quattromila
oltre accessori di legge.