Le registrazioni per provare il mobbing e il demansionamento non richiedono il consenso dell’interessato.
Nota a Trib. Nola 28 dicembre 2020, n. 3799
Fabrizio Girolami
Il licenziamento per giusta causa intimato al lavoratore – che ha effettuato una registrazione fonografica, senza il consenso degli interessati, riproducendola su supporto magnetico (CD) al fine di provare in giudizio una condotta di demansionamento e di mobbing attuata a suo danno – è da considerare di natura ritorsiva in quanto adottato a fronte del legittimo esercizio di un diritto e, come tale, è nullo.
Lo ha affermato il Tribunale di Nola, sez. lav., con la sentenza n. 3799 del 28 dicembre 2020, in accoglimento del ricorso presentato dal dipendente.
Nel caso di specie, il lavoratore aveva agito in giudizio per il riconoscimento del demansionamento e del mobbing attuato nei suoi confronti, con conseguente richiesta di risarcimento del danno, producendo, come elemento di prova, alcune registrazioni fonografiche trascritte su supporto magnetico (CD) di dialoghi avuti con i propri superiori gerarchici.
Il datore di lavoro – nel costituirsi in giudizio – aveva chiesto il rigetto del ricorso eccependo che il lavoratore era stato licenziato per giusta causa (ai sensi dell’art. 2119 c.c.) in quanto la produzione in giudizio di registrazioni fonografiche acquisite senza il consenso degli interessati concretizzerebbe una grave violazione della normativa nazionale in materia di protezione dei dati personali (D.LGS. 30 giugno 2003, n. 196, c.d. Codice della privacy, come da ultimo modificato dal D.LGS. 10 agosto 2018, n. 101) tale da determinare una significativa lesione del vincolo fiduciario alla base del rapporto di lavoro.
Il giudice – uniformandosi alla consolidata giurisprudenza della Cassazione in materia di legittimità delle registrazioni audiovisive e fonografiche per finalità di tutela dei propri diritti e riprendendo la definizione di “licenziamento discriminatorio” anch’essa elaborata dalla giurisprudenza di legittimità – ha respinto le eccezioni formulate dal datore di lavoro, rilevando quanto segue:
- il trattamento dei dati personali, ammesso di norma in presenza del consenso dell’interessato, può essere eseguito anche in assenza del consenso dell’interessato, se è volto – come stabilisce l’art. 24, co. 1, lett. f), del Codice della privacy – a far “valere o difendere un diritto in sede giudiziaria o per svolgere le investigazioni difensive previste dalla legge n. 397/2000 e ciò a condizione che i dati siano trattati esclusivamente per tale finalità per il periodo strettamente necessario al loro perseguimento”. Pertanto è da escludere, nel caso di specie, la configurabilità di “ogni rilevanza penale della condotta imputata al ricorrente”, sussistendo “l’ipotesi derogatoria, rispetto alla necessità di acquisire il consenso dei soggetti privati interessati alle registrazioni, integrata dalla finalità del lavoratore di documentare e dimostrare in giudizio il demansionamento e il mobbing fatti valere”;
- il licenziamento ritorsivo “costituisce l’ingiusta e arbitraria reazione ad un comportamento legittimo del lavoratore colpito o di altra persona ad esso legata e pertanto accomunata nella reazione, con conseguente nullità del licenziamento medesimo, quando il motivo ritorsivo sia stato l’unico determinato e sempre che il lavoratore ne abbia fornito prova, anche con presunzioni”;
- nel caso di specie, il licenziamento per giusta causa comminato al dipendente “è risultato fondato su un motivo del tutto pretestuoso, essendo la condotta contestata priva del carattere dell’antigiuridicità ed anzi integrante l’esercizio di un diritto” e, come tale, totalmente privo di fondamento giuridico.
Alla luce delle suesposte considerazioni, il giudice, con la sentenza in commento, ha dichiarato la natura ritorsiva del licenziamento e la sua conseguente nullità, condannando, per l’effetto, il datore a reintegrare immediatamente il lavoratore nel posto di lavoro precedentemente occupato, nonché a corrispondergli un’indennità risarcitoria commisurata all’ultima retribuzione globale di fatto maturata dal giorno del licenziamento sino a quello dell’effettiva reintegrazione, oltre al ristoro delle spese di lite.