Giurisprudenza – CORTE DI CASSAZIONE – Sentenza 23 febbraio 2021, n. 4898
lscrizione ipotecaria, Immobile conferito in fondo
patrimoniale, Debiti non inerenti ai bisogni della famiglia, Debiti
contributivi connessi alla propria attività di lavoro, Competenza del giudice
del lavoro e conversione del rito
Fatti di causa
1. L.B. conveniva in giudizio davanti al Tribunale
di Massa E.C. s.p.a. (poi E.C. s.p.a) al fine di sentir dichiarare illegittima
e cancellare l’iscrizione ipotecaria (eseguita il 31/12/2010 dal concessionario
per la riscossione, in ragione di debiti tributari e previdenziali portati da
precedente cartella di pagamento), su un proprio immobile conferito in fondo
patrimoniale. Il B. aveva dedotto che i debiti inerivano alla cessata s.n.c. di
E.M. di B. Andrea, B. Giuseppe & c. della quale era stato semplice socio e,
dunque, trattandosi di debiti non inerenti ai bisogni della famiglia, l’ipoteca
non poteva essere iscritta sui beni del fondo patrimoniale ai sensi dell’art. 167 c.c.
2. Il Tribunale, affermata la giurisdizione del
giudice ordinario per i soli crediti di natura previdenziale, rigettava il
ricorso sostenendo che i debiti contributivi, connessi alla propria attività di
lavoro, fossero riconducibili a scopi non estranei ai bisogni della famiglia
del socio.
3. Sull’impugnazione del ricorrente la Corte
d’appello di Genova, mutato il rito in quello previsto per le controversie
previdenziali, accoglieva in parte l’appello confermando il collegamento tra la
natura del credito ed il lavoro dell’artigiano, anche se reso in forma di
società di persona, ma che proprio in ragione di ciò, l’iscrizione non poteva
che limitarsi alla quota (un terzo) del debito complessivo corrispondente al
reddito tratto dal B. dall’attività societaria espletata dai tre soci.
3. Avverso tale sentenza ha proposto ricorso per
Cassazione L.B. affidandosi a sei motivi successivamente illustrati da memoria.
E.C. s.p.a. ha resistito con controricorso.
Ragioni della decisione
1. Con il primo motivo, ai sensi dell’art. 360, primo comma n. 4) c.p.c., il ricorrente
denuncia la nullità del procedimento d’appello per violazione del giudicato
interno sul rito applicabile; sostiene, ai fini della tempestività del ricorso
per cassazione, che la controversie non sarebbe soggetta al rito del lavoro
avendo ad oggetto esclusivamente la questione della legittimità dell’iscrizione
di ipoteca su bene personale, conferito in fondo patrimoniale, di un socio di
società di persone per debiti della medesima società; il ricorrente quindi
afferma che la Corte territoriale non avrebbe potuto ritenere la competenza del
giudice del lavoro e disporre la conversione del rito ai sensi dell’art. 439 c.p.c. anche perché sul punto, attesa la
statuizione implicita del giudice civile di primo grado, si era formato il
giudicato interno.
Da ciò la nullità dell’intero procedimento che aveva
determinato anche la circostanza della proposizione del ricorso per cassazione
nel rispetto della sospensione de termini feriali.
2. Con il secondo motivo di ricorso, si deduce la
violazione e falsa applicazione delle norme sulla competenza, per essere, al
contrario di quanto stabilito dalla Corte d’appello, competente il Giudice civile
e non quello del lavoro e della previdenza.
3. Con il terzo motivo si rileva l’esistenza di un
giudicato sopravvenuto in identica materia e tra le stesse parti a seguito
dello sviluppo dell’opposizione proposta contro l’iscrizione d’ipoteca in
ragione dei debiti di natura tributaria.
4. Con il quarto motivo si deduce la violazione e o
falsa applicazione degli artt. 170, 2291 e 2267 c.c.
per essere stata iscritta l’ipoteca sul bene conferito in fondo patrimoniale,
in assenza dei presupposti di legge, erroneamente valutati dal giudice
d’appello.
5. Con il quinto motivo si denuncia la violazione e
o falsa applicazione del D.P.R.
n. 602 del 1973, art. 77 e degli artt.167, 169 e 170 c.c. in
relazione all’art. 360 c.p.c., comma 1, n. 3;
in particolare si deduce che il giudice d’appello aveva erroneamente
considerato non estranei ai bisogni della famiglia i debiti contratti
nell’esercizio dell’attività artigiana e la conoscenza da parte del creditore
di tale estraneità.
6. Con il sesto motivo di ricorso si denuncia la
violazione e o falsa applicazione degli artt. 2043,
2056, 2059 e 1226 c.c., degli artt.
2, 4, 15 e 42 della Carta Costituzionale, per avere il
giudice d’appello negato la risarcibilità del danno conseguente all’iscrizione
ipotecaria.
7. La controricorrente ha eccepito la tardività del
ricorso per violazione del termine previsto dall’art.
327 c.p.c., posto che il ricorso per cassazione è stato notificato a mezzo
p.e.c., ai sensi della legge n. 53 del 1994, in data 2 febbraio 2015 mentre la
sentenza impugnata è stata pubblicata in data 20 giugno 2014, e dunque oltre il
termine di sei mesi previsto dal citato art. 327
c.p.c.
8. Il ricorrente, verosimilmente al fine di
anticipare l’eccezione di tardività del ricorso per cassazione, nei primi due
motivi invoca la nullità del procedimento laddove la sentenza impugnata ha
ritenuto la competenza del giudice del lavoro ed ha disposto la conversione del
rito. Da tale nullità, dunque, discenderebbe l’applicazione della disciplina
delle impugnazioni prevista per il rito civile ed in particolare la soggezione
del termine previsto dall’art. 327 c.p.c. alla
sospensione dei termini nel periodo feriale, secondo il regime previsto dalla L. 7 ottobre 1969, n. 742, art. 3.
9. Il ricorso per cassazione è inammissibile per
essere stato proposto con ricorso notificato il 2.2.2015, oltre il termine
semestrale di impugnazione previsto, per l’ipotesi diversa da quella di
applicabilità del termine impugnatorio breve, dall’art.
327 c.p.c., nella formulazione vigente ratione temporis.
10. Non colgono nel segno i rilievi proposti dal
ricorrente nella memoria, laddove ritengono che la questione dedotta in causa
appartenga alla competenza del giudice ordinario, con la conseguente nullità
dell’attività processuale successiva alla conversione del rito ed applicabilità
della sospensione feriale ai termini processuali, con riflessi sulla
tempestività del ricorso per cassazione, proposto nel rispetto del termine
ordinario di impugnazione.
11. Ed invero, deve al riguardo osservarsi che la
scelta del rito applicabile va effettuata con riguardo alla qualificazione che
il giudice, a torto o a ragione, abbia esplicitamente od implicitamente
assegnato alla procedura a cui si riferiscono gli atti da compiere.
Ne consegue che, se una causa soggetta al rito
speciale del lavoro sia stata iniziata nelle forme ordinarie, essa è regolata
sotto ogni aspetto dal rito ordinario, e viceversa. Ciò vale finché non
intervenga in termini espliciti una diversa qualificazione, giusta o sbagliata
che sia, (in questo senso cfr. Cass. 21.5.2012 n. 8723). Ove pure non si
trattasse di controversia riguardante un rapporto compreso tra quelli indicati
dall’art. 409 c.p.c. o dall’art. 442 c.p.c., ma trattata con il rito del
lavoro, non sarebbe comunque applicabile il regime della sospensione dei
termini di impugnazione nel periodo feriale, giacché il rito adottato dal
giudice assume una funzione enunciativa della natura della controversia,
indipendentemente dall’esattezza della relativa valutazione, e perciò detto
rito costituisce per le parti criterio di riferimento anche ai fini del computo
dei termini per la proposizione dell’impugnazione, secondo il regime previsto
dalla L. 7 ottobre 1969, n. 742,
art. 3 (S.U. 10978 del 2001, Cass. n. 24649 del 2007, Cass. n. 218 del 2018).
12. Ed ancora, a conferma dell’inapplicabilità della
sospensione feriale dei termini processuali validi per il rito ordinario, è
stato affermato che ove una controversia sia stata erroneamente trattata in
primo grado con il rito ordinario, anziché con quello speciale del lavoro, le
forme del rito ordinario debbono essere seguite anche per la proposizione dell’appello,
che, dunque, va proposto con citazione ad udienza fissa. Se, invece, la
controversia sia stata trattata con il rito del lavoro anziché con quello
ordinario, la proposizione dell’appello segue le forme della cognizione
speciale. Ciò, in ossequio al principio della ultrattività del rito, che –
quale specificazione del più generale principio per cui l’individuazione del
mezzo di impugnazione esperibile deve avvenire in base al principio
dell’apparenza, cioè con riguardo esclusivo alla qualificazione, anche
implicita, dell’azione e del provvedimento compiuta dal giudice – trova
specifico fondamento nel fatto che il mutamento del rito con cui il processo è
erroneamente iniziato compete esclusivamente al giudice (Cfr., ex multis, Cass.
11.7.2014 n. 15897, Cass. 6.2.2015, n. 2265, Cass.
22.10.2015 n. 21520).
13. In definitiva, il ricorso va dichiarato
inammissibile. Le spese del presente giudizio vanno poste, per il principio
della soccombenza, a carico del ricorrente, nella misura liquidata in
dispositivo.
P.Q.M.
Dichiara il ricorso inammissibile; condanna il
ricorrente al pagamento delle spese del giudizio di legittimità che liquida in
Euro 4000,00 per compensi, oltre ad Euro 200,00 per esborsi, spese forfetarie
nella misura del 15% e spese accessorie di legge.
Ai sensi del D.P.R. n. 115 del 2002, art. 13,
comma 1 quater, dà atto della sussistenza dei presupposti processuali per il
versamento, da parte del ricorrente, dell’ulteriore importo a titolo di
contributo unificato pari a quello, previsto per il ricorso, a norma dello
stesso art. 13, comma 1-bis,
ove dovuto.