Prassi – FONDAZIONE STUDI CDL – Approfondimento 25 febbraio 2021

I buoni pasto per i lavoratori agili: presupposti civilistici
e riflessi fiscali

 

INTRODUZIONE

 

Il lavoro agile, introdotto nel nostro ordinamento
dal capo II della legge n. 81 del 22 maggio 2017,
ha registrato una diffusione senza precedenti a seguito dell’emergenza
epidemiologica da Covid-19. Tale modalità di attuazione della prestazione di
lavoro subordinata è stata utilizzata dal legislatore emergenziale quale principale
strumento, senza costi diretti per la finanza pubblica, per consentire il
lavoro da qualsiasi abitazione:

il D.P.C.M
del 1° marzo 2020, all’art. 4 c. 1 lett. a) prevedeva come tale modalità
lavorativa potesse essere applicata per la durata dello stato d’emergenza dai
datori di lavoro ad ogni rapporto di lavoro subordinato, nel rispetto dei
principi della L. n. 81/2017 anche in assenza
degli accordi individuali richiesti dalla norma stessa. Spetterà poi al decreto
Rilancio (D.L. n. 34/2020) istituzionalizzare,
all’articolo 90 comma 3, le
modalità semplificate del lavoro agile emergenziale, legandone l’applicabilità
proprio allo stato di emergenza. La diffusione esponenziale del lavoro agile,
unita all’assenza degli accordi individuali e di regolamenti aziendali volti a
disciplinarne l’utilizzo, ha spesso portato ad una deregolazione di questo
istituto in ordine a molteplici aspetti: la dotazione della strumentazione di
lavoro, l’orario di lavoro, l’applicabilità delle maggiorazioni per lavoro
straordinario e, non ultimo, la disciplina dei cosiddetti buoni pasto. Il
recente interpello dell’Agenzia delle Entrate n. 956-2631/2020, pubblicato con risposta n. 123/2021 il 22 febbraio scorso, offre
lo spunto, proprio in merito alla regolamentazione del lavoro agile, per
prevedere una riforma che ne faciliti l’utilizzo a tutela dei lavoratori e
delle imprese, in chiave di efficientamento e rispetto delle condizioni di
conciliazione fra vita lavorativa e privata.

 

1. IL PRESUPPOSTO CIVILISTICO DEI BUONI PASTO

 

All’interno delle forme di retribuzioni in natura
(c.d. fringe benefit), una delle più diffuse è quella dei buoni pasto il cui
inquadramento fiscale sarà di seguito preso in analisi. Nel nostro ordinamento
i ticket restaurant trovano un’indiretta definizione nella disciplina
regolatoria degli appalti dove, all’art. 144 c. 3 del D.Lgs. n. 50/2016,
l’emissione di buoni pasto viene definita quale “attività finalizzata a rendere
per il tramite di esercizi convenzionati il servizio sostitutivo di mensa
aziendale” secondo le modalità pratiche dettate dal decreto
del Ministero dello Sviluppo Economico n. 122 del 7 giugno 2017 dove, fra
gli altri principi, all’art. 4
è stabilito che i buoni pasto non sono cedibili, né cumulabili oltre il limite
di otto al giorno, e che gli stessi non sono commercializzabili o convertibili
in denaro e utilizzabili esclusivamente dal titolare. Tale sistema di regole
non individua mai una fattispecie di ‘obbligò di erogazione dei ticket, frutto
della libera iniziativa del datore di lavoro. Costui li potrà concedere
unilateralmente attraverso un regolamento aziendale, in sede di contratto di
lavoro del singolo dipendente, oppure come spesso accade in contesti di piccole
dimensioni avviando una prassi priva di qualsiasi documento condiviso con i
lavoratori. Ad inquadrare più correttamente la derivazione civilistica dei
buoni pasto nel nostro ordinamento è intervenuta più volte la giurisprudenza
(NOTA 1) ribadendo un principio sintetizzato in tempi recenti anche dalla Corte
di Cassazione, sez. Civile con l’ordinanza n.
16135 del 28 luglio 2020. Secondo la Cassazione la natura dei buoni pasto
non li configura come elemento della retribuzione “normale”, bensì alla stregua
di un’agevolazione di carattere assistenziale collegata al rapporto di lavoro
da un nesso meramente occasionale, pertanto al di fuori del trattamento
retributivo in senso stretto. Da tale presupposto deriva che il regime
regolatorio della loro erogazione può essere variato anche unilateralmente dal
datore di lavoro, qualora la loro elargizione non si inserisca all’interno di
un accordo sindacale.

 

2. LAVORO AGILE E BUONI PASTO NELLA PIÙ RECENTE
GIURISPRUDENZA

 

Il Jobs Act del Lavoro Autonomo (L. n. 81/2017) all’interno del quale è contenuta
all’art. 18 e ss. la
disciplina del lavoro agile, non si configura quale norma regolatoria complessa
ma, nel caso dello smart working, come legge istitutiva che lascia ampio spazio
di azione alle organizzazioni sindacali e soprattutto alle imprese nel regolare
tale istituto.

Particolare attenzione viene dedicata alle esigenze
organizzative interne, con alcuni principi di tutela per i lavoratori quali, ad
esempio, il diritto alla disconnessione (ex art. 19 c. 1) che viene
enunciato senza però alcun indizio sulla sua effettiva caratterizzazione pratica
all’interno del contesto aziendale. Di particolare interesse, ai fini della
disciplina in esame, è l’articolo
20, comma 1 della citata L. n. 81/2017 il quale statuisce che “il
lavoratore che svolge la prestazione in modalità di lavoro agile ha diritto ad
un trattamento economico e normativo non inferiore a quello complessivamente
applicato, in attuazione dei contratti collettivi di cui all’articolo 51 del decreto legislativo
15 giugno 2015, n. 81, nei confronti dei lavoratori che svolgono le
medesime mansioni esclusivamente all’interno dell’azienda”. Tale principio di
non discriminazione fra lavoratori in presenza e lavoratori agili elegge quale
termine di paragone del trattamento economico non quello globale, risultante da
policies, regolamenti e prassi aziendali, ma esclusivamente quello radicato in
applicazione dei contratti collettivi di qualsiasi livello (nazionale,
territoriale o aziendale). Tale assetto normativo, non stringente ma dai
principi regolatori chiari, può porre gli operatori del mercato del lavoro di
fronte un problema di natura pratica: ai dipendenti che, lavorando nella sede
aziendale, guadagnavano il diritto al buono pasto spetta anche in regime di
lavoro agile tale diritto? L’interrogativo, alla luce dei principi esposti in
precedenza, va risolto prestando attenzione alla fonte del benefit del buono
pasto, evitando di cedere alla tentazione di deregolazione sempre più duratura
che la legislazione emergenziale ha consentito per il lavoro agile. Nel caso di
contratti collettivi che prevedano l’erogazione del buono pasto dovranno essere
ricercate le condizioni e i presupposti per il relativo godimento. Si tratta
proprio del caso già trattato dalla giurisprudenza di merito, in particolare
dalla sentenza n. 1069 dell’8 luglio 2020 del
Tribunale di Venezia. Nel caso specifico i lavoratori del Comune di Venezia si
erano visti negare, nei giorni di lavoro agile, il diritto al ticket
restaurant: il caso di specie è stato risolto nel primo livello di giudizio
andando a esaminare la fonte che aveva introdotto i buoni pasto, vale a dire
gli artt. 45 e 46 del CCNL del 14 settembre 2000, dove il diritto al ticket era
subordinato a determinati requisiti. Questi consistevano nel fatto che l’orario
di lavoro dovesse essere organizzato con specifiche scadenze orarie e che il
lavoratore dovesse consumare il pasto al di fuori dell’orario di servizio. Il
Tribunale di Venezia ha rilevato come tali presupposti, nel caso del lavoro
agile in esame, venissero a mancare determinando così la non spettanza dei
buoni pasto proprio ai sensi del CCNL applicato.

Secondo la Corte, dunque, il buono pasto è un
beneficio conseguente alle modalità concrete di organizzazione dell’orario di
lavoro che rimane al di fuori della più generale tutela del trattamento
economico dell’art. 20 della L.
n. 81/2017. Nel caso delle aziende del settore privato, spesso prive di
CCNL che dettino una regolamentazione sui ticket restaurant, andrà esaminata la
disciplina in uso per la concessione dei buoni pasto aggiornando
conseguentemente i regolamenti e le procedure aziendali e prevedendo, in sede
di accordo individuale di lavoro agile con il dipendente (che resta ad oggi
obbligatorio, con deposito sul portale telematico del Ministero del Lavoro e
delle Politiche Sociali, scaduto il periodo “deregolato” dell’emergenza
sanitaria), la spettanza o meno dello stesso.

 

3. LA DISCIPLINA FISCALE DEI BUONI PASTO: NORMATIVA
E PRINCIPALI INDICAZIONI DI PRASSI

 

L’articolo
51, comma 2, lett. c) del TUIR, novellato dalla legge
n. 160/2019 (legge di Bilancio 2020), esclude dalla formazione del reddito
ai fini fiscali: “le somministrazioni di vitto da parte del datore di lavoro
nonché quelle in mense organizzate direttamente dal datore di lavoro o gestite
da terzi; le prestazioni sostitutive delle somministrazioni di vitto fino
all’importo complessivo giornaliero di euro 4, aumentato a euro 8 nel caso in
cui le stesse siano rese in forma elettronica; le indennità sostitutive delle
somministrazioni di vitto (NOTA 2) corrisposte agli addetti ai cantieri edili,
ad altre strutture lavorative a carattere temporaneo o ad unità produttive
ubicate in zone dove manchino strutture o servizi di ristorazione fino
all’importo complessivo giornaliero di euro 5,29”.

Tale esclusione, per il noto principio di armonizzazione
della base imponibile fiscale e previdenziale del reddito di lavoro dipendente,
vale anche ai fini contributivi. Il secondo periodo della disposizione, facendo
riferimento alle “prestazioni sostitutive delle somministrazioni di vitto”
(NOTA 3), include la modalità erogativa dei buoni pasto.

Con riferimento agli aspetti riguardanti la
fiscalità d’impresa, il costo sostenuto per l’acquisto dei ticket restaurant è
integralmente deducibile per il datore di lavoro, analogamente alle spese
sostenute per il servizio sostitutivo di mensa o per una convenzione
sottoscritta con un pubblico esercizio. A tal proposito l’Agenzia delle
Entrate, con la circolare n. 6/E del 2009, ha
chiarito che i costi sostenuti dal datore di lavoro per l’acquisto di buoni
pasto o per la gestione diretta o da parte di terzi di un servizio di mensa
aziendale non sono soggetti al limite di deducibilità del 75% previsto dall’articolo 109, comma 5 del TUIR.
Secondo l’Amministrazione finanziaria tali spese riguardano l’acquisizione di
un servizio complesso non riconducibile alla semplice somministrazione di
alimenti e bevande regolata dal citato art. 109 del Testo Unico. Tali
costi sono deducibili anche ai fini IRAP (NOTA 4).

Tra i principali documenti di prassi sull’argomento
la nota circolare n. 326/E del 1997 del
Ministero delle Finanze ha innanzitutto illustrato come l’erogazione dei buoni
pasto debba coinvolgere la generalità dei lavoratori o categorie omogenee di
essi (NOTA 5) e che, ai fini dell’esclusione dall’imponibilità, si debba far
riferimento al valore nominale del ticket. La citata circolare ha inoltre
chiarito alcune peculiarità applicative della normativa, specificando che il
legislatore non ha stabilito particolari regole per indirizzare il datore di
lavoro verso una scelta univoca tra mensa aziendale, convenzione con dei
pubblici esercizi o erogazione dei buoni pasto. Vi è quindi la possibilità di
attivare un sistema ibrido per effetto del quale i ticket siano riconosciuti,
ad esempio, ai soli lavoratori che per esigenze di servizio non possono
accedere alla mensa aziendale. Peraltro è coerente con la ratio della norma il
riconoscimento dei buoni pasto a una categoria di lavoratori specifica e
l’istituzione della mensa aziendale per una diversa categoria di dipendenti.

Sistemi ibridi in questo senso non incontrano
divieti specifici nella norma. Ciò che, viceversa, non è ritenuto aderente al
dettato normativo è il riconoscimento di differenti servizi allo stesso
lavoratore per la medesima giornata, seppur nei limiti di valore indicati dal
TUIR.

La risoluzione n. 26/E
del 2010 ha fornito dei chiarimenti in merito alla rilevanza fiscale dei
buoni pasto ai fini della franchigia di esenzione dei fringe benefits. Secondo
l’Amministrazione finanziaria l’evidenziazione del valore nominale sui ticket
fa sì che gli stessi non possano essere considerati erogazioni in natura. Di
conseguenza l’importo del loro valore nominale che eccede il limite di 4 euro
(per i buoni cartacei) o 8 euro (per i buoni elettronici) non può rientrare
nella franchigia di esenzione di 258,23 euro di cui all’art. 51, comma 3, del TUIR (per il
solo anno 2020 elevata a 516,46 euro) ma concorrerà ordinariamente alla
formazione del reddito.

Con riferimento all’utilizzo combinato dei buoni
pasto l’Agenzia delle Entrate, con il principio di
diritto n. 6/2019, si è pronunciata sul trattamento tributario
dell’eventuale utilizzo di 8 buoni nello stesso giorno, chiarendo che “il
divieto di cumulo oltre il limite di otto buoni pasto previsto dalla lettera d)
del comma 1 dell’articolo 4 del
decreto ministeriale 7 giugno 2017 n. 122, non incide, ai fini Irpef, sui
limiti di esenzione dal reddito di lavoro dipendente (…) previsti dall’articolo 51, comma 2, lett. c) del TUIR”.

Dal punto di vista tributario, infatti, si deve
opportunamente distinguere tra concetto di spettanza del buono pasto in caso di
svolgimento della prestazione lavorativa e utilizzo dello stesso. L’Agenzia
ritiene, in modo condivisibile, che l’attenzione riguardo alla materia
imponibile debba concentrarsi esclusivamente sul concetto di spettanza. Tale
ragionamento, oltreché rispettoso della lettera della norma, appare logico sul
piano pratico esentando il datore di lavoro dal dover monitorare l’utilizzo che
il lavoratore fa dei buoni pasto erogatigli. Resta dunque estraneo all’aspetto
fiscale la modalità di utilizzo dei buoni pasto, congiunto o meno, da parte del
lavoratore. Esso, infatti, riguarda la sola regolamentazione delle disposizioni
in materia di servizi sostitutivi di mensa, definita dal citato D.M. n. 122/2017.

 

4. SMART WORKING E BUONI PASTO: LA RISPOSTA AD
INTERPELLO DELL’AGENZIA DELLE ENTRATE N. 956-2631/2020

 

La Direzione Regionale del Lazio dell’Agenzia delle
Entrate nell’incipit della risposta a interpello n. 956-2631/2020, pubblicato
con risposta n. 123/2021 il 22 febbraio 2021,
ribadisce alcuni principi già noti riguardanti la deroga dell’art. 51, comma 2, lett. c) del TUIR
al principio di onnicomprensività che caratterizza il reddito di lavoro
dipendente.

Tale eccezione è ispirata dalla volontà del
legislatore di detassare le erogazioni ai dipendenti che si ricollegano alla
necessità del datore di lavoro di provvedere alle esigenze alimentari del
personale durante l’orario.

L’Agenzia delle Entrate nella risposta in commento
richiama i chiarimenti forniti con la risoluzione
n. 118/E del 2006 (NOTA 6) in relazione alla portata dell’articolo 5, comma 1, lettera c), del
D.P.C.M. del 18 novembre 2005, in merito al trattamento fiscale dei buoni
pasto corrisposti da parte del datore di lavoro al personale assunto con
rapporto di lavoro parttime.

La predetta norma, in esecuzione della previsione
contenuta nella legge n. 68 del 2005, dispone che i “buoni pasto sono
utilizzati, durante la giornata lavorativa anche se domenicale o festiva,
esclusivamente dai prestatori di lavoro subordinato, a tempi pieno o parziale,
anche qualora l’orario di lavoro non prevede una pausa per il pasto, nonché dai
soggetti che hanno instaurato con il cliente un rapporto di collaborazione
anche non subordinato”.

Tale previsione normativa, introdotta quale diretta
conseguenza del mutato contesto lavorativo sempre più caratterizzato da forme
di lavoro flessibili, ha esteso la possibilità di erogare i buoni pasto anche ai
lavoratori part time con un’articolazione dell’orario di lavoro che non preveda
una pausa pranzo. Nonostante l’ambito di intervento del provvedimento in
questione non riguardi la materia tributaria, l’Agenzia delle Entrate ha voluto
trarne conseguenze anche ai fini tributari, allo scopo di coordinare le varie
discipline vigenti. Successivamente alla pubblicazione della risoluzione n. 118/E del 2006, l’INPS con la circolare n. 1/2007 ha aderito alla medesima
interpretazione anche con riferimento al trattamento previdenziale. La risoluzione del 2006 è ancora attuale dal momento
che la formulazione dell’articolo
4, comma 1, lett. c) del D.M. n. 122/2017 (NOTA 7), ricalca quella del
citato articolo 5, comma 1, lettera
c) del D.P.C.M. del 18 novembre 2005.

In sintesi, l’Amministrazione finanziaria, in
maniera condivisibile, evidenzia che:

– il D.M. n. 122/2017
tiene conto del fatto che le modalità di svolgimento dell’attività lavorativa e
l’articolazione dell’orario di lavoro sono ormai sempre più flessibili;

– la normativa tributaria non contiene una
definizione delle prestazioni sostitutive di mensa limitandosi a prevederne la
non concorrenza al reddito nei limiti disposti dal TUIR.

Per tali motivi nell’interpello in commento
l’Agenzia è dell’avviso che “l’articolo
4 del D.M. n. 122 del 2017, pur non avendo natura tributaria, assuma
rilevanza anche ai fini fiscali, atteso che l’articolo 51, comma 2, lettera c), del
TUIR fa espresso riferimento alle prestazioni sostitutive del servizio di
mensa, disciplinate dal citato decreto ministeriale”.

L’Agenzia delle Entrate, per i motivi predetti,
conclude il suo parere ritenendo che i buoni pasto riconosciuti ai lavoratori
agili non concorrano alla formazione del reddito di lavoro dipendenti ai sensi
dell’art. 51, comma 2, lettera c)
del TUIR, confortando i datori di lavoro che, a partire da marzo 2020,
hanno sempre più fatto ricorso al lavoro agile, anche nell’osservanza di quanto
previsto dal Protocollo condiviso di regolamentazione delle misure per il
contrasto e il contenimento della diffusione del virus Covid-19 negli ambienti
di lavoro siglato fra Governo e parti sociali il 24 aprile 2020.

 

Note:

(1) Cf. ex plurimis Cass. n. 20087 del 21 luglio 2008; Cass. n.
14290 dell’8 agosto 2012; Cass. n. 14388 del 14
luglio 2016 e Cass. n. 23303 del 18 settembre 2019.

(2) Cf ris. n. 41/2000, ris. n.
122/2020, ris. n. 301/2020 sui presupposti per l’accesso all’esenzione fiscale
e previdenziale dell’indennità sostitutiva delle somministrazioni di vitto.

(3) Cf. Cass. n. 460 del 14 gennaio
2020 sulla definizione di “prestazioni sostitutive” quale requisite per
l’applicazione dell’esenzione fiscale e contributiva.

(4) Cf. circ. Min. Fin. nn. 141/1998
e 148/2000.

(5) Cf. circ. Min. Fin. n. 326 del
1997, circ. Min. Fin. n. 188 del 1998, circ. n. 28/E del 2016 e circ. n. 5/E del 2018 per la definizione di
generalità dei lavoratori o categorie omogenee di essi.

(6) Con la quale è stato superato il precedente orientamento
dettato dalla risoluzione n. 153/E del 2004.

(7) Ai sensi dell’art.
4, c. 1, lett. c) del D.M. n. 122/2017 i buoni pasto “sono utilizzati
esclusivamente dai prestatori di lavoro subordinato, a tempo pieno o parziale,
anche qualora l’orario di lavoro non prevede una pausa per il pasto (…)”.

Prassi – FONDAZIONE STUDI CDL – Approfondimento 25 febbraio 2021
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