Giurisprudenza – CORTE DI CASSAZIONE – Ordinanza 25 febbraio 2021, n. 5144

Ordinanza ingiunzione, Sanzione per omessa comunicazione
all’Inail dei codici fiscali di nuovi dipendenti, Natura subordinata dei
rapporti di lavoro, Sole dichiarazioni rese dai lavoratori interessati
contenute nei verbali dell’ispettorato, Fede privilegiata non estesa alla
verità sostanziale delle dichiarazioni ovvero alla fondatezza di apprezzamenti
o valutazioni del verbalizzante, Libero apprezzamento del giudice

 

Rilevato che

 

la Corte d’appello di Caltanissetta, a conferma
della sentenza del Tribunale di Enna, ha rigettato l’opposizione proposta dalla
Società B. s.r.l. avverso l’ordinanza ingiunzione con cui l’Ispettorato del
Lavoro di Enna aveva comminato alla stessa una sanzione dell’ammontare di Euro
178,81, per omessa comunicazione all’Inail dei codici fiscali di tre nuovi
dipendenti (art. 14, co.2, d.lgs. n.
38/2000);

la Corte territoriale ha accertato la legittimità
dell’ingiunzione, rilevando la natura subordinata dei rapporti di lavoro, sì
come desunta dalle dichiarazioni rese a verbale agli ispettori del lavoro da
parte degli interessati, dalle quali si evinceva l’appropriatezza delle
concrete modalità di svolgimento della prestazione rispetto al tipo legale, non
adeguatamente contrastate dalla società mediante diversa prospettazione;

la cassazione della sentenza è domandata dalla
Società B. s.r.l. sulla base di due motivi, illustrati da successiva memoria;

l’Ispettorato provinciale del lavoro di Enna ha
depositato controricorso; è stata depositata proposta ai sensi dell’art. 380-bis cod. proc. civ., ritualmente
comunicata alle parti unitamente al decreto di fissazione dell’adunanza in
camera di consiglio.

 

Considerato che

 

col primo motivo, formulato ai sensi dell’art. 360, co. 1, n.3 cod. proc. civ., la
ricorrente deduce “Falsa applicazione dell’art.
2094 c.c. – Violazione degli artt. 99 e 112 c.p.c.”;

parte ricorrente sostiene che la Corte d’appello
avrebbe erroneamente accertato l’esistenza di rapporti di lavoro subordinati
nonostante l’insufficienza delle allegazioni fornite dall’amministrazione;
deduce che la Corte territoriale avrebbe qualificato la natura subordinata dei
rapporti in base al contenuto delle sole dichiarazioni rese dai lavoratori
interessati contenute nei verbali dell’ispettorato; richiama al dovere del
giudice del merito di compiere un’indagine basata sulle concrete modalità di
svolgimento del rapporto al fine di sussumere la fattispecie nell’ambito di un
determinato tipo contrattuale;

col secondo motivo, formulato ai sensi dell’art. 360, co. 1, n.3 cod. proc. civ., denuncia
“Violazione dell’art. 2697 c.c. e degli artt. 115 e 116 c.p.c.”;

la Corte territoriale sarebbe incorsa nell’errore di
invertire l’onere probatorio in danno della ricorrente, in luogo di verificare
essa stessa, in sede di contraddittorio, le dichiarazioni dei lavoratori, non
potendosi ritenere sufficiente, ai fini del raggiungimento della prova della
natura subordinata dei rapporti di lavoro, la mera produzione documentale dei
verbali ispettivi;

i due motivi, esaminati congiuntamente per evidente
connessione, sono inammissibili;

è pur vero che, secondo quanto affermato dalla
consolidata giurisprudenza di questa Corte, i verbali redatti dagli ispettori
del lavoro o dai funzionari degli enti previdenziali (al pari di quelli redatti
dagli altri pubblici ufficiali) fanno piena prova, fino a querela di falso,
unicamente dei fatti attestati nel verbale di accertamento come avvenuti alla
presenza del pubblico ufficiale o da lui compiuti, mentre la fede privilegiata
certamente non si estende alla verità sostanziale delle dichiarazioni ovvero
alla fondatezza di apprezzamenti o valutazioni del verbalizzante (cfr., ex
aliis, Sez. Un. n. 12545 del 1992 e Cass. n. 17355 del 2009);

per quanto concerne, in particolare, la verità di
dichiarazioni rese da terzi al pubblico ufficiale, la legge non attribuisce al
verbale alcun valore probatorio precostituito, neppure di presunzione semplice,
sicché il materiale raccolto dal verbalizzante deve essere liberamente
apprezzato dal giudice, il quale può valutarne l’importanza ai fini della
prova, ma non può mai attribuirgli il valore di vero e proprio accertamento
addossando l’onere di fornire la prova contraria al soggetto sul quale non
ricade (Cass. n. 1786 del 2000, n. 6110 del 1998;
n. 3973 del 1998; n. 6847 del 1987); dunque,
l’idoneità probatoria dei verbali ispettivi sussiste soltanto nei limiti
anzidetti, e le dichiarazioni raccolte dai pubblici ufficiali non possono
essere accolte o disattese nella loro interezza, senza alcuna possibilità di
quel differenziato vaglio critico che va comunque compiuto da parte del giudice
del merito(cfr. anche Cass. n. 9251 del 2010; cfr., anche Cass. n. 17702 del 2015);

richiamati gli orientamenti di questa Suprema Corte
circa il valore probatorio delle dichiarazioni rese nei verbali ispettivi, va,
tuttavia, rilevato come, nel caso in esame, il giudice dell’appello, lungi
dall’operare un acritico rimando a dette dichiarazioni, così come sostenuto nei
motivi in esame, ha effettuato una completa e dettagliata indagine circa le
modalità di svolgimento della prestazione sulla base degli indici sintomatici
comunemente adoperati dagli interpreti (sede della società quale luogo della
prestazione, svolgimento della stessa con materiali e attrezzature proprie
della datrice e con modalità tipiche della subordinazione in relazione alle
caratteristiche delle mansioni), affermando come, fin dal giudizio di primo
grado, la B. s.r.l. non si fosse adoperata per offrire elementi di prova della
sua opposta prospettazione, se si esclude la deduzione circa la natura di
lavoro a progetto riguardante uno dei lavoratori e di prestazione occasionale
circa uno degli altri, circostanze, queste ultime, disattese fin dal primo
grado in quanto ritenute logicamente incompatibili con l’accertamento di fatto
svolto in quella sede;

in più punti, la sentenza gravata ha ribadito come
nel corso del giudizio di merito non fossero emerse ragioni di segno opposto
per dissentire dalla ricostruzione operata dagli ispettori e sottesa al titolo
impugnato, ragione per la quale si ritiene che l’accertamento di merito, lungi
dal risolversi in un acritico rinvio alle dichiarazioni rese a verbale dagli
interessati agli ispettori del lavoro, abbia svolto una valutazione critica
circa le modalità di svolgimento della prestazione ai fini della qualificazione
giuridica dei rapporti di lavoro oggetto di contestazione, sebbene con esito
contrario alle prospettazioni dell’odierna ricorrente;

in conclusione, le critiche rivolte al provvedimento
gravato deducono solo apparentemente una violazione di legge, là dove mirano,
in realtà, alla rivalutazione dei fatti operata dal giudice di merito;

va, pertanto, nel caso in esame, data attuazione al
costante orientamento di questa Corte, che reputa “…inammissibile il
ricorso per cassazione con cui si deduca, apparentemente, una violazione di
norme di legge mirando, in realtà, alla rivalutazione dei fatti operata dal
giudice di merito, così da realizzare una surrettizia trasformazione del giudizio
di legittimità in un nuovo, non consentito, terzo grado di merito.” (Cass. n.18721 del 2018; Cass. n.8758 del 2017);
in definitiva, il ricorso va dichiarato inammissibile; le spese, come liquidate
in dispositivo, seguono la soccombenza; in considerazione del rigetto del
ricorso, sussistono i presupposti processuali per il versamento, da parte della
ricorrente, dell’ulteriore importo a titolo di contributo unificato pari a
quello, ove dovuto, per il ricorso.

 

P.Q.M.

 

Dichiara inammissibile il ricorso. Condanna la
ricorrente al rimborso delle spese del giudizio di legittimità in favore del
controricorrente, che liquida in Euro 200 per esborsi, Euro 600 a titolo di
compensi professionali, oltre spese generali nella misura forfetaria del 15 per
cento ed accessori di legge.

Ai sensi dell’art. 13, comma 1-quater, del d.P.R. n.
115 del 2002, nel testo introdotto dall’art.1, comma 17 della I. n.228 del
2012, dà atto della sussistenza dei presupposti processuali per il
versamento da parte della ricorrente, dell’ulteriore importo a titolo di
contributo unificato pari a quello, ove dovuto, per il ricorso, a norma del
comma 1 -bis dello stesso art. 13.

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