Giurisprudenza – CORTE DI CASSAZIONE – Ordinanza 25 febbraio 2021, n. 5233

Opposizione allo stato passivo, Cessazione del rapporto
successivamente alla reintegrazione del lavoratore, Negata la spettanza del
TFR richiesto, in difetto di prova, Risoluzione consensuale per il
comportamento concludente del lavoratore, Fallimento del datore di lavoro,
senza esercizio provvisorio di impresa, Rapporto di lavoro in fase di
sospensione, con conseguente venir meno dell’obbligo di corrispondere la
retribuzione in difetto dell’esecuzione della prestazione lavorativa

 

Rilevato che

 

1. con decreto 17 luglio 2017, il Tribunale di
Napoli ammetteva (in via tardiva) P.A. allo stato passivo del Fallimento P.
s.r.l. in via privilegiata ai sensi dell’art.
2751bis n. 1 c.c. per l’ulteriore credito di € 38.210,00 oltre interessi e
rivalutazione: così parzialmente accogliendone, nella contumacia della curatela
fallimentare, l’opposizione allo stato passivo, cui (a fronte di
un’insinuazione in via tardiva per € 221.261,74, di cui € 14.305,17 a titolo di
T.f.r. e il residuo per differenze retributive per superiore inquadramento
dovutogli) egli era stato ammesso in via privilegiata ai sensi dell’art. 2751bis n. 1 c.c. per il solo credito di €
13.000,00, a titolo di retribuzioni dal licenziamento, dichiarato illegittimo,
al fallimento del 23 maggio 2014;

2. negata la spettanza del T.f.r. richiesto, in
difetto di prova di cessazione del rapporto successivamente alla reintegrazione
del lavoratore per effetto della suddetta illegittimità del licenziamento, il
Tribunale riconosceva il superiore importo per la prestazione del lavoro di
autotrasportatore e di magazziniere, inquadrabili nel superiore livello (F) del
CCNL Gomma Plastica, a far data dall’anno 2008 (e non 2005 come richiesto),
sulla base delle risultanze istruttorie scrutinate;

3. con atto notificato il 11 agosto 2017, il
lavoratore ricorreva per cassazione con unico motivo, mentre la curatela
fallimentare intimata non svolgeva difese;

 

Considerato che

 

1. il ricorrente deduce violazione e falsa
applicazione degli artt. 72 I.
fall. e 1372 c.c., per erronea esclusione
(di prova) della cessazione del rapporto di lavoro, in quanto, sospeso ai sensi
dell’art. 72 I. fall., esso
era stato consensualmente risolto per il comportamento concludente del
lavoratore, in virtù dell’insinuazione allo stato passivo del credito per
T.f.r. (sull’evidente presupposto della volontà di non proseguire il rapporto),
e del curatore, anche in relazione alla cessazione dell’attività d’impresa
(unico motivo);

2. esso è infondato;

3. in caso di fallimento del datore di lavoro, ove
non vi sia esercizio provvisorio di impresa, il rapporto di lavoro entra in una
fase di sospensione, con conseguente venir meno dell’obbligo di corrispondere
la retribuzione in difetto dell’esecuzione della prestazione lavorativa (Cass. 30 maggio 2018, n. 13693), sino a quando il
curatore non decida la prosecuzione o lo scioglimento del rapporto ai sensi
dell’art. 72 I.fall.,
ratione temporis applicabile, nell’esercizio di una facoltà comunque sottoposta
al rispetto delle norme limitative dei licenziamenti individuali e collettivi,
non essendo in alcun modo sottratto ai vincoli propri dell’ordinamento
lavoristico perché la necessità di tutelare gli interessi della procedura
fallimentare non esclude l’obbligo del curatore di rispettare le norme in
generale previste per la risoluzione dei rapporti di lavoro (Cass. 11 gennaio 2018, n. 522; Cass. 28 maggio
2019, n. 14503);

3.1. il superiore principio è stato correttamente
applicato dal Tribunale, che ciò ha escluso, posto che “nel caso di
specie, a seguito dell’avvenuta reintegra, come dichiarato dallo stesso
lavoratore, nessun successivo atto di chiusura del rapporto è stato allegato e
provato” (così al terzo capoverso, seconda parte di p. 2 del decreto);

3.2. un tale accertamento, riservato esclusivamente
al giudice di merito, è insindacabile da questa Corte di legittimità, cui
neppure può essere rimesso l’apprezzamento dell’esistenza (al di là del suindicato
obbligo di rispetto delle norme limitative dei licenziamenti previste
dall’ordinamento lavoristico) di una risoluzione del rapporto di lavoro
subordinato per mutuo consenso tacito (Cass. 11
marzo 2011, n. 5887; e con specifico riferimento a contratti a tempo
determinato: Cass. 12 dicembre 2017, n. 29781; Cass. 31 maggio 2018, n. 13958);

4. per le suesposte ragioni il ricorso deve essere
rigettato, senza statuizione sulle spese, in assenza di svolgimento di difese
dalla parte vittoriosa e raddoppio del contributo unificato, ove spettante
nella ricorrenza dei presupposti processuali (conformemente alle indicazioni di
Cass. s.u. 20 settembre 2019, n. 23535);

 

P.Q.M.

 

rigetta il ricorso; nulla spese.

Ai sensi dell’art. 13 comma 1quater del d.p.r. n.
115 del 2002, dà atto della sussistenza dei presupposti processuali per il
versamento, da parte del ricorrente, dell’ulteriore importo a titolo di
contributo unificato pari a quello previsto per il ricorso, a norma del comma 1
bis, dello stesso art. 13, se
dovuto.

 

Giurisprudenza – CORTE DI CASSAZIONE – Ordinanza 25 febbraio 2021, n. 5233
%d blogger hanno fatto clic su Mi Piace per questo: