Consentita la proroga di ammissione alla CIGO per “carenza di commesse”
Nota a TAR Puglia 27 gennaio 2021, n. 157
Maria Novella Bettini e Flavia Durval
In caso di evento transitorio determinato da carenza di commesse è ammissibile la richiesta di proroga di cassa integrazione guadagni ordinaria (CIGO).
Questo, il principio espresso dal TAR Puglia (27 gennaio 2021, n. 157), in relazione al ricorso di un’impresa che impugnava il diniego da parte dell’INPS della proroga della concessione della CIGO (Cassa integrazione guadagni ordinaria). L’istituto aveva infatti rilevato l’insussistenza dei presupposti e la carenza di prova circa la temporaneità della crisi, ritenendo che la stessa aveva natura strutturale immanente all’organizzazione produttiva e che, nel quadro di un fatturato che indicava un incremento, la difficoltà derivante dal recupero crediti non poteva essere prevista come “causa integrabile” per la corresponsione diretta delle somme da CIGO, possibile invece solo nelle diverse previste ipotesi eccezionali fissate dalla legge.
Il Tribunale osserva che il trattamento integrativo ordinario, nella sua duplice funzione di continuità del salario e di tutela dei livelli occupazionali: a) comporta l’erogazione di un’indennità da parte dell’INPS (ex art. 38 Cost.) che permette al prestatore di lavoro di non perdere il proprio sostentamento, mentre il datore di lavoro è sollevato dal costo correlato al versamento (totale o parziale) della retribuzione; b) nella fattispecie, consente la proroga di ammissione alla CIGO per “carenza di commesse”, evento che si appalesa come transitorio, legato cioè “ad una situazione temporanea del mercato, peraltro avendo l’istante espressamente indicato la data della ripresa dell’attività aziendale, in vista della consegna dei lavori, prevista per fine aprile 2017, di un appalto aggiudicato”.
Al riguardo, come noto, il D.LGS. n. 148/2015, all’art. 11, prevede specifiche causali per il ricorso alla CIGO, stabilendo che: “1. Ai dipendenti delle imprese indicate all’articolo 10, che siano sospesi dal lavoro o effettuino prestazioni di lavoro a orario ridotto è corrisposta l’integrazione salariale ordinaria nei seguenti casi:
a) situazioni aziendali dovute a eventi transitori e non imputabili all’impresa o ai dipendenti, incluse le intemperie stagionali;
b) situazioni temporanee di mercato”.
Tale decreto è stato poi integrato dal DM. n. 95442/2016, dal Msg INPS n. 2908/2016, nonché dalla Circ. INPS n. 139/2016.
La normativa in questione ha chiarito i requisiti di “transitorietà”; “non imputabilità” della situazione oggettiva aziendale di crisi, che legittima l’intervento di CIGO; “mancanza di lavoro o di commesse”; e “crisi di mercato”. Nello specifico:
1) “la ‘transitorietà’ di crisi della situazione aziendale o della situazione di mercato sussiste quando è prevedibile, al momento della presentazione della domanda di CIGO, che l’impresa riprenda la normale attività lavorativa (a dimostrazione, sulla base di elementi oggettivi, che l’impresa continua a operare sul mercato, alla domanda di CIGO va acclusa una relazione tecnica dettagliata, elaborata dall’impresa (ai sensi dell’art. 47, DPR. n. 445/2000), con l’indicazione delle ragioni che hanno determinato la sospensione o la riduzione dell’attività lavorativa, (art. 2, co.1, prima parte, DM. n. 95442/2016, cit.). Questi elementi possono essere supportati da documentazione sulla solidità finanziaria dell’impresa o da documentazione tecnica concernente la situazione temporanea di crisi del settore, le nuove acquisizioni di ordini o la partecipazione qualificata a gare di appalto, l’analisi delle ciclicità delle crisi e l’indicazione della CIGO già concessa (art. 2, co.1, seconda parte, DM. n. 95442/2016, cit.);
2) la ‘non imputabilità’ all’impresa o ai lavoratori della situazione di crisi consiste nella involontarietà e nella non riconducibilità a imperizia o negligenza delle parti della stessa” (art. 1, co. 2 e 3, DM. n. 95442/2016, cit).
3) la “mancanza di lavoro o di commesse” è integrata dalla sospensione o riduzione dell’attività lavorativa derivante dalla significativa riduzione di ordini e commesse;
4) e la “crisi di mercato” è determinata “dalla sospensione o riduzione dell’attività lavorativa per mancanza di lavoro o di commesse derivante dall’andamento del mercato o del settore merceologico a cui appartiene l’impresa, di cui costituiscono indici il contesto economico produttivo del settore o la congiuntura negativa che interessa il mercato di riferimento” (art. 3, co. 1 e 3, DM. n. 95442/2016, cit.).
Con particolare riguardo poi alla domanda di proroga, l’INPS (Msg. 2908/2016) ha chiarito che anch’essa, in quanto domanda distinta, tale da manifestare “il perdurare delle ragioni di integrazione presentate nella prima istanza”, deve essere accompagnata da apposita “relazione tecnica” (anche integrativa della precedente) che contenga valide motivazioni, le quali non dissimulino “immotivati intenti dilatori volti a procrastinare in modo indeterminato lo stato di crisi; talché appaiono incompatibili con detto istituto le sole proroghe immotivate e reiterate senza soluzione di continuità”.
Nella fattispecie, secondo i giudici, l’azienda ha presentato stime non approssimative ed inadeguate di ripresa dell’attività, bensì una domanda di proroga supportata dalla documentazione richiesta dalla normativa di attuazione e dalla prassi amministrativa. Essa evidenzia, infatti, la persistenza di “un periodo di contrattura” del mercato di riferimento, stante la “mancanza di ordini e di commesse”, ed afferma che “la necessità di ricorrere a una proroga dell’integrazione salariale esula dalla politiche di gestione aziendale e risulta necessaria in un momento di mancanza di commesse”. Mentre, la relazione tecnica allegata alla domanda dà atto della ripresa della piena attività in correlazione della avvenuta aggiudicazione di un appalto.
Infine, per quanto concerne la possibilità di pagamento diretto delle somme spettanti da parte della sede dell’I.N.P.S. “in presenza di serie e documentate difficoltà finanziarie dell’impresa, su espressa richiesta di questa”, la direttiva dell’Istituto stesso (Msg. 29223/2009) precisa che, stante l’attuale periodo di crisi, le situazioni che legittimano tale “pagamento diretto” consistono non solo nella sottoposizione a procedure concorsuali, nella cessazione delle aziende e nella comprovata crisi finanziaria delle stesse – già individuate con il Msg 7 ottobre 2005 n. 33735 – ma anche nelle “difficoltà aziendali dovute a carenza di liquidità”; difficoltà accertate quando “il parametro oggettivo, uniforme e notorio impiegato come principale indicatore del livello di salute finanziaria di un’impresa è costituito dell’indice di liquidità corrente (I.L.C.), corrispondente al rapporto tra l’attivo circolante e le passività correnti, come risultanti dall’ultimo bilancio approvato o dal bilancio provvisorio infra-annuale”.
Dalla definizione appena riportata discende che “la misura ideale dell’I.L.C. deve considerarsi pari o superiore a uno”, in quanto, in tal caso, “le disponibilità attive correnti iscritte in bilancio sono in grado di coprire o sopravanzare le corrispondenti passività di breve periodo” (T.A.R. Campania, sez. I, 19 gennaio 2017 n. 422). E, come rileva il Collegio, l’azienda ha presentato un’apposita relazione a firma del legale rappresentante, recante l’indicazione della liquidità differita e corrente dell’impresa e delle relative passività correnti, evidenziando un I.L.C. pari a 0,02, ossia pari quasi a zero e, dunque, inferiore alla misura ideale dell’indice di liquidità corrente e tale da attestare in modo oggettivo la sussistenza del presupposto richiesto per il c.d. pagamento diretto, consistente nella presenza di una situazione di grave difficoltà aziendale dovuta a carenza di liquidità.