Giurisprudenza – CORTE DI CASSAZIONE – Ordinanza 02 marzo 2021, n. 5640
Cartelle esattoriali, Mancato pagamento di contributi per
sgravi indebitamente e assegni familiari indebitamente conguagliati,
Autorizzazione ANF richiesta, Assegni familiari erogati per figli occupati
quali apprendisti o che si trovino nell’assoluta e permanente impossibilità di
svolgere qualsiasi attività lavorativa o ancora per i genitori a carico, Vero
e proprio obbligo del datore di lavoro di anticipare con denaro proprio gli
assegni familiari ai suoi dipendenti una volta maturate le condizioni
Rilevato in fatto
che, con sentenza depositata il 15.1.2015, la Corte
d’appello dell’Aquila ha confermato la pronuncia di primo grado che aveva
rigettato l’opposizione proposta da S.D. & C. s.a.s. e altri litisconsorti
avverso le cartelle esattoriali con cui era stato loro contestato il mancato
pagamento di contributi per sgravi indebitamente fruiti nonché per assegni
familiari indebitamente conguagliati;
che avverso tale pronuncia S.D. & C. s.a.s. e
gli altri litisconsorti indicati in epigrafe hanno proposto ricorso per
cassazione, deducendo tredici motivi di censura, successivamente illustrati con
memoria; che l’INPS, anche quale mandatario di S.C.C.I. s.p.a., ha resistito
con controricorso;
che la società concessionaria dei servizi di
riscossione ha resistito con altro controricorso;
Considerato in diritto
che, con il primo motivo, i ricorrenti denunciano
violazione e falsa applicazione dell’art. 8, comma 4-bis, I. n.
223/1991, per avere la Corte di merito ritenuto, al pari del giudice di
primo grado, che le rispettive imprese costituissero un’unica realtà
imprenditoriale riconducibile ai fratelli D., senza considerare che, con
sentenza penale del Tribunale di Vasto, i fratelli S. e A.D. erano stati
assolti dall’imputazione di truffa finalizzata ad ottenere le agevolazioni
previste dalla legge n. 223/1991; che, con il
secondo motivo, i ricorrenti lamentano violazione e falsa applicazione dell’art. 2094 c.c. per avere la Corte territoriale
ritenuto che anche i rapporti di lavoro apparentemente riconducibili a
fattispecie di tirocinio dovessero considerarsi alla stregua di rapporti di
lavoro subordinato, senza indagare la sussistenza dei presupposti di tale
ultima fattispecie;
che, con il terzo motivo, i ricorrenti evidenziano
la nullità della sentenza e del procedimento per violazione degli artt. 115
c.p.c.e 24 e 111 Cost.,
per avere la Corte di merito trascurato, senza motivazione, prove testimoniali
decisive in favore di altre emergenze processuali, desunte dal verbale
ispettivo, che pure avrebbero necessitato di essere valutate congiuntamente
alle prime;
che, con il quarto motivo, i ricorrenti si dolgono
di violazione e falsa applicazione dell’art. 8, commi 4 e 4-bis, I. n. 223/1991,
e dell’art. 18, I. n. 196/1997,
per avere la Corte territoriale ritenuto la nullità dei contratti di tirocinio
siccome sprovvisti di causa formativa in ragione delle pregresse abilità
conseguite dalle lavoratrici coinvolte in settori e attività lavorative affini;
che, con il quinto motivo, i ricorrenti deducono
violazione e falsa applicazione dell’art. 2697 c.c.
per avere la Corte di merito ritenuto che gravasse su di loro la prova della
validità dei tirocini, mentre, trattandosi di fatto impeditivo del diritto agli
sgravi, andava provato dall’INPS;
che, con sesto motivo, i ricorrenti denunciano
nullità della sentenza e del procedimento per avere la Corte territoriale reso
una motivazione affatto apparente in merito alla nullità del tirocinio
intercorso con la lavoratrice S.C.; che, con il settimo motivo, i ricorrenti si
dolgono di violazione e falsa applicazione dell’art.
2094 c.c., nonché di nullità della sentenza e del procedimento ex artt. 115 c.p.c., 24
e 111 Cost., per avere la Corte di merito
avvalorato la ricostruzione dei fatti rassegnata dalla lavoratrice di cui al
sesto motivo in occasione delle dichiarazioni da lei rese in sede ispettiva,
ignorando quanto ella stessa e altri testimoni avevano dichiarato in sede di
escussione testimoniale e valorizzando, ai fini del giudizio sulla sussistenza
del vincolo di subordinazione, circostanze fattuali all’uopo inidonee; che, con
l’ottavo motivo, i ricorrenti lamentano violazione e falsa applicazione dell’art. 1218 c.c. e/o dell’art.
2043 c.c. e comunque dell’art. 96 c.p.c.,
nonché nullità della sentenza e del procedimento per violazione dell’art. 115 c.p.c. o comunque violazione dell’art. 2697 c.c., per avere la Corte territoriale
ritenuto che la reiterazione della notifica delle cartelle opposte nelle more
del processo di primo grado, che li aveva costretti a proporre altrettante
opposizioni, non costituisse condotta processuale passibile di valutazione in
termini di mala fede o colpa grave e comunque imputabile alla società
concessionaria ai fini del risarcimento dei danni; che, con il nono motivo, i
ricorrenti deducono nullità della sentenza e del procedimento in relazione agli
artt. 112 e 96
c.p.c., per avere la Corte di merito eluso la pronuncia sulla questione di
cui al motivo precedente; che, con il decimo motivo, i ricorrenti rilevano
nullità della sentenza e del procedimento in relazione agli artt. 91 e 92 c.p.c.
per avere la Corte territoriale ritenuto la correttezza della statuizione
giudiziale di primo grado che, una volta rigettate le opposizioni alle
cartelle, li aveva condannati a rifondere all’INPS le spese, compensandole
viceversa nei confronti della società concessionaria, sull’erroneo presupposto
che fosse l’unica legittimata a resistere rispetto alla doglianza concernente
la duplicazione delle cartelle di pagamento e trascurando, comunque, che era
rimasta sul punto soccombente;
che, con l’undicesimo motivo, i ricorrenti si
dolgono di violazione e falsa applicazione dell’art. 112, comma 8, lett. b), I. n.
388/2000, per avere la Corte di merito ritenuto che le somme aggiuntive
andassero calcolate sul presupposto che si trattasse di evasione e non di
omissione contributiva; che, con il dodicesimo motivo, i ricorrenti eccepiscono
nullità della sentenza e del procedimento in relazione agli artt. 115 c.p.c., 24
e 111 Cost., per avere la Corte territoriale
rassegnato una motivazione affatto apparente in ordine alla doglianza
concernente l’indebito conguaglio degli assegni familiari alla lavoratrice
M.T.P.; che, con il tredicesimo motivo, i ricorrenti lamentano violazione e
falsa applicazione degli artt.
11, 24 e 47, d.P.R. n. 797/1955, per
avere la Corte di merito ritenuto che il conguaglio degli assegni familiari
corrisposti alla lavoratrice di cui al dodicesimo motivo fosse indebito,
siccome non preceduto dall’autorizzazione dell’INPS; che, con riguardo ai primi
sette motivi, va premesso che la Corte di merito, nel condividere la
ricostruzione dei fatti operata dal primo giudice, ha affermato, da un lato, la
sussistenza di «indici chiari, univoci e concordanti, sufficienti a ricostruire
i rapporti tra le predette imprese in termini di effettiva comunanza di
interessi e, segnatamente, quali articolazioni di un’unica realtà
imprenditoriale riconducibile ai fratelli D.», e, dall’altro, che le «attività
impiegatizie (per lo più inserimento dati al computer riguardanti di volta in
volta polizze assicurative, pratiche assicurative, pratiche automobilistiche)
sempre svolte dalle […] lavoratrici – prima durante e dopo i contratti di
tirocinio formativo per le diverse imprese appellanti – con le medesime
modalità di tempo (con riguardo agli orari di lavoro), luogo (con riguardo allo
stesso ambiente di lavoro condiviso, trattandosi di uffici ubicati nello stesso
locale) e direzione (chiedendo “chiarimenti” a D. S. o a D.A.) oltre
che con la stessa retribuzione», deponevano univocamente per la configurazione
dei tirocini «come veri e propri rapporti di lavoro subordinato, tenuto conto
della descrizione delle mansioni […] sulla base delle dichiarazioni rese
dalle lavoratrici agli ispettori INPS che consentono di affermare lo stabile
inserimento delle medesime nell’organizzazione aziendale e […]
l’assoggettamento al potere direttivo dei fratelli D.» (così la sentenza
impugnata, pagg. 5-6), precisando poi, con specifico riguardo alla posizione
della lavoratrice S.C., i cui contratti di tirocinio sono stati parimenti
ritenuti dissimulanti altrettanti rapporti di lavoro subordinato, che l’INPS
aveva «debitamente assolto il relativo onere della prova sulla base delle
stesse dichiarazioni della lavoratrice di aver svolto le medesime mansioni
[…] senza alcuna interruzione lavorativa dall’aprile 2006 fino a novembre
2007, con le stesse modalità […] anche durante i tre contratti di tirocinio»
(ibid., pagg. 6-7); che, pertanto, appare evidente che i giudici di merito, una
volta ravvisato nelle imprese di cui sono formalmente titolari le odierne parti
ricorrenti un’unica realtà imprenditoriale riconducibile ai fratelli D., hanno
ritenuto la nullità dei tirocini stipulati con lavoratrici formalmente
provenienti da altre imprese facenti capo alla medesima realtà, siccome
sprovvisti di alcuna causa formativa in ragione delle abilità conseguite
nell’ambito della stessa realtà imprenditoriale, e – argomentando dalle
identiche modalità con cui i loro rapporti si erano svolti prima, durante e
dopo la stipula dei tirocini – hanno concluso per l’unicità dei relativi
rapporti di lavoro, l’insussistenza del diritto agli sgravi ex art. 8, I. n. 223/1991, e –
per la lavoratrice C. – delle agevolazioni fruite in relazione alla stipula dei
contratti di tirocinio; che, tanto premesso, deve ricordarsi che, per costante
orientamento di questa Corte di legittimità, il vizio di violazione di legge
consiste nella deduzione di un’erronea ricognizione, da parte del provvedimento
impugnato, della fattispecie astratta recata da una norma di legge e implica
necessariamente un problema interpretativo della stessa, mentre l’allegazione
di un’erronea ricognizione della fattispecie concreta a mezzo delle risultanze
di causa è esterna all’esatta interpretazione della norma e inerisce alla
tipica valutazione del giudice di merito, sottratta al sindacato di legittimità
se non nei ristretti limiti dell’art. 360 n. 5
c.p.c. (cfr. tra le più recenti Cass. nn. 24155 del 2017 e 3340 del 2019);
che, nella specie, il primo e il secondo motivo di
censura incorrono precisamente nella confusione dianzi chiarita, dal momento
che, pur essendo formulati con riguardo a presunte violazioni delle
disposizioni di legge richiamate nella rubrica, pretendono in realtà di
revocare in dubbio l’accertamento di fatto compiuto dai giudici di merito in
ordine alla sussistenza dei presupposti per la loro applicazione, vale a dire
la sussistenza di un’unica realtà imprenditoriale e la configurazione dei
rapporti precorsi con le lavoratrici coinvolte nei tirocini in termini di
rapporti di lavoro subordinato;
che, al riguardo, deve ribadirsi che, ai fini della
qualificazione di un rapporto lavorativo in termini di prestazione di lavoro
subordinato, ove le prestazioni dedotte in contratto siano elementari,
ripetitive e predeterminate nelle modalità di esecuzione, sì da rendere
scarsamente apprezzabile il criterio discretivo dell’assoggettamento del
prestatore all’esercizio del potere direttivo, organizzativo e disciplinare,
ben può il giudice di merito far ricorso a criteri distintivi sussidiari, quali
la continuità e la durata del rapporto, le modalità di erogazione del compenso
e la regolamentazione dell’orario di lavoro, tutti denotando l’assenza di una
qualunque organizzazione imprenditoriale e di un effettivo potere di
autorganizzazione in capo al prestatore e, a contrario, la stabilità del suo
inserimento nell’altrui organizzazione aziendale;
che nemmeno è possibile riqualificare i motivi di
censura sub specie di omesso esame circa un fatto decisivo per il giudizio, ex art. 360 n. 5 c.p.c., ostandovi in specie la
preclusione della c.d. doppia conforme in fatto (art.
348-ter, ult. co., c.p.c.);
che del pari inammissibile è il terzo motivo,
essendo parimenti consolidato il principio secondo cui la censura relativa alla
violazione e falsa applicazione dell’art. 115
c.p.c. non può avere ad oggetto l’erronea valutazione del materiale
istruttorio compiuta dal giudice di merito, ma solo il fatto che questi abbia
posto a base della decisione prove non dedotte dalle parti o disposte d’ufficio
al di fuori dei limiti legali, ovvero abbia disatteso, valutandole secondo il
suo prudente apprezzamento, delle prove legali, o abbia considerato come
facenti piena prova, recependoli senza apprezzamento critico, elementi di prova
soggetti invece a valutazione (cfr., fra le più recenti, Cass. nn. 1229 del
2019, 4699 e 26769 del 2018, 27000 del 2016), restando conseguentemente escluso
che il vizio possa concretarsi nella censura di apprezzamenti di fatto difformi
da quelli propugnati da una delle parti (Cass. n. 18665 del 2017) o, in più in
generale, nella denuncia di un cattivo esercizio del potere di apprezzamento
delle prove non legali, non essendo tale vizio inquadrabile né nel paradigma
dell’art. 360 n. 5 c.p.c., né in quello del
precedente n. 4, che, per il tramite dell’art. 132,
n. 4, c.p.c., attribuisce rilievo unicamente all’anomalia motivazionale che
si tramuti in violazione di legge costituzionalmente rilevante (Cass. n. 11892
del 2016);
che altrettanto inammissibile, per estraneità al
decisum, è il quarto motivo, non avendo la sentenza impugnata affermato né che
la validità dei tirocini era condizione di legittimità della fruizione degli
sgravi né che detta nullità fosse imputabile all’avvenuto svolgimento delle
medesime mansioni, ma avendo piuttosto tratto argomento dalle concrete modalità
con cui i rapporti di lavoro alle dipendenze delle varie imprese si erano
svolti prima, durante e dopo la stipula dei tirocini per desumerne la
sostanziale simulazione, così dovendo propriamente qualificarsi la causa della
loro radicale inidoneità a produrre effetti giuridici;
che tali ultime considerazioni privano di rilievo la
censura di cui al quinto motivo, che resta pertanto assorbito;
che il sesto motivo è inammissibile, dovendo
ribadirsi che di motivazione apparente, ai fini di cui al combinato disposto
degli artt. 132 n. 4 e 360 n. 4 c.p.c., può legittimamente farsi
questione quando la pronuncia riveli una obiettiva carenza nella indicazione
del criterio logico che ha condotto il giudice alla formazione del proprio
convincimento, come accade quando non vi sia alcuna esplicitazione sul quadro
probatorio né alcuna disamina logico-giuridica che lasci trasparire il percorso
argomentativo seguito (così da ult. Cass. n. 3819
del 2020), non anche quando – come nella specie – ci si dolga della sua
insufficienza sul piano della ricostruzione fattuale e giuridica (Cass. S.U. n. 8053 del 2014);
che il settimo motivo è del pari inammissibile,
tornando a veicolare, ad onta del riferimento a supposte violazioni di legge
sostanziale e processuale, richieste di rivalutazione del materiale probatorio
sulla scorta del quale i giudici territoriali hanno ritenuto la nullità
(rectius, simulazione) dei tirocini conclusi con la lavoratrice S.C.; che, con
riguardo all’ottavo motivo, va anzitutto ribadito che, se è vero che ai fini
della condanna per responsabilità aggravata ex art.
96 c.p.c. non occorre necessariamente la consapevolezza dell’attore del
proprio torto al momento della proposizione della domanda, essendo all’uopo
sufficiente la colpa grave, che si concreta nel mancato doveroso impiego di
quella diligenza che consenta di avvertire facilmente l’ingiustizia della
propria domanda, non è meno vero che l’accertamento della ricorrenza di tale
colpa grave, implicando un apprezzamento di fatto, è insindacabile in questa
sede di legittimità se non nei ristretti limiti di cui all’art. 360 n. 5 c.p.c. (Cass. n. 3032 del 1978 e
innumerevoli successive conformi);
che, nella specie, avendo i giudici di merito
escluso che nella condotta della società concessionaria dei servizi di
riscossione (ascritta alla circostanza che l’ufficiale postale non le aveva
riconsegnato gli avvisi di ricevimento relativi alla precedente notificazione
delle cartelle esattoriali: così la sentenza impugnata, pag. 7) fossero
ravvisabili i caratteri della malafede o della colpa grave e non potendo
dubitarsi della correttezza di tale affermazione, la censura si rivela infondata,
non essendosi da parte ricorrente debitamente prospettato l’omesso esame di un
qualche fatto altrimenti decisivo (nel senso indicato da Cass. S.U. n. 8053 del 2014, già cit.);
che a non diverse conclusioni induce l’invocazione
degli artt. 1218 e 2043
c.c., dal momento che la responsabilità processuale aggravata di cui all’art. 96 c.p.c., pur costituendo una species della
responsabilità civile, ha suoi propri presupposti di fatto che, nel caso di
specie, sono stati ritenuti affatto insussistenti;
che il nono motivo resta conseguentemente assorbito;
che il decimo motivo è infondato, essendo consolidato, nella giurisprudenza di
questa Corte di legittimità, il principio secondo cui l’art. 91 c.p.c., nel collegare l’onere delle spese
alla soccombenza, impedisce soltanto che le stesse siano poste a carico della
parte totalmente vittoriosa, avuto riguardo all’esito definitivo della lite,
mentre non è sindacabile in sede di legittimità l’apprezzamento del giudice di
merito che, nel predetto caso, non abbia ritenuto di addivenire ad una totale o
parziale compensazione (Cass. n. 2907 del 1962 e innumerevoli succ. conf.);
che, salvo quanto si dirà infra sul tredicesimo motivo, infondato è anche
l’undicesimo motivo, avendo la sentenza impugnata fatto corretta applicazione
del principio secondo cui l’omessa o infedele denuncia mensile all’INPS circa i
rapporti di lavoro e le retribuzioni erogate, integra un’evasione contributiva
ex art. 116, comma 8, lett. b), I.
n. 388/2000, e non la meno grave omissione contributiva di cui alla lettera
a) della medesima disposizione, dovendosi presumere la finalità datoriale di
occultamento dei dati e gravando sul datore di lavoro l’onere di provare
l’assenza d’intento fraudolento (così, tra le più recenti, Cass. nn. 17119 del 2015, 5281 del 2017 e, con riferimento a lavoratori
adibiti ad attività ordinaria ma denunciati con rapporti speciali, come in
specie il tirocinio, Cass. n. 5773 del 2012),
e restando irrilevante quanto altrimenti disposto nelle circolari dell’IINPS
(peraltro insuscettibili di esame diretto da parte di questa Corte, non
contenendo norme di diritto), non potendo esse derogare alla disciplina legale
in materia previdenziale o comunque disporre di posizioni giuridiche soggettive
garantite dalla legge e sottratte alla disponibilità dell’ente previdenziale
(così, tra le tante, Cass. n. 17530 del 2005);
che ancora infondato è il dodicesimo motivo,
individuando puntualmente la sentenza impugnata nella mancanza della
«necessaria autorizzazione» al conguaglio la ragione dell’infondatezza della
pretesa delle odierne parti ricorrenti di conguagliare gli assegni familiari
corrisposti alla lavoratrice P. (cfr. pag. 8 della sentenza impugnata);
che, nondimeno, tale ultima affermazione – come
giustamente rilevato nel tredicesimo motivo di censura – risulta errata in
diritto, l’anzidetta autorizzazione essendo richiesta, a norma dell’art. 47, d.P.R. n. 797/1955,
soltanto qualora gli assegni familiari siano erogati per figli che siano
occupati quali apprendisti o che si trovino nell’assoluta e permanente
impossibilità di svolgere qualsiasi attività lavorativa o ancora per i genitori
a carico, ed essendo per contro consolidato il principio secondo cui, in
considerazione del disposto degli artt. 11 e 24, d.P.R. n. 797/1955, cit.,
sussiste al di fuori di tali casi un vero e proprio obbligo del datore di
lavoro di anticipare con denaro proprio gli assegni familiari ai suoi
dipendenti una volta maturate le condizioni per la prestazione previdenziale,
salvo il diritto al conguaglio (così già Cass. n. 601 del 1971);
che, pertanto, in accoglimento del tredicesimo
motivo, la sentenza impugnata va cassata e la causa rinviata alla Corte
d’appello di Roma, che provvederà anche sulle spese del giudizio di cassazione;
P.Q.M.
Accoglie il tredicesimo motivo di ricorso, rigettati
gli altri. Cassa la sentenza impugnata in relazione al motivo accolto e rinvia
la causa alla Corte d’appello di Roma, che provvederà anche sulle spese del
giudizio di cassazione.