Giurisprudenza – CORTE DI CASSAZIONE – Ordinanza 03 marzo 2021, n. 5816

Ergonomia della postazione di lavoro e microclima ambientale,
Malattia professionale, Lesione dell’integrità psicofisica, Risarcimento del
danno, Nesso causale con l’ambiente di lavoro, Malattia non di natura
professionale e non inserita nell’elenco delle malattie la cui origine
lavorativa è di elevata probabilità

 

Considerato in fatto

 

1. La Corte d’appello di Trento ha confermato la
sentenza del Tribunale di Bolzano di rigetto della domanda di D.D., dipendente
della Cassa di Risparmio di Bolzano fin dal 1981 , volta ad ottenere
l’accertamento della responsabilità della datrice di lavoro per la malattia
professionale da cui era affetta con conseguente risarcimento del danno.

La Corte ha esposto che la ricorrente , in servizio
dal 1995 presso la filiale di Sinigo, lamentava che l’ergonomia della
postazione di lavoro nonché il microclima ambientale, determinato dal getto
dell’aria condizionata durante il periodo primaverile /estivo, avevano causato
la lesione dell’integrità psicofisica provocando cervico-dorso lombalgia
…scoliosi toracica destra e lombare sinistra, discopatia lombare
degenerativa, contrattura della muscolatura, nevralgia, omalgia; asma a genesi
allergica , disturbo dell’adattamento d’ansia di media gravità, e che il datore
di lavoro aveva omesso di adottare le cautele volte a garantire l’integrità
della salute psico-fisica della lavoratrice .

La Corte territoriale, all’esito di una nuova CTU ,
ha affermato l’insussistenza dei presupposto per configurare la responsabilità
ex art 2087 cc, dovendosi escludere la
riconducibilità delle patologie denunciate alla pretesa condotta colpevole
della datrice di lavoro .

La Corte ha esposto che il CTU aveva affermato che
la ricorrente era affetta da sindrome fibromialgica alla quale erano
riconducibili tutte le malattie denunciate ad esclusione della tendinopatia
cronica della spalla e che non vi era nesso causale tra tale fibromialgia e
l’ambiente di lavoro. Ha osservato altresì che trattandosi di malattia non
tabellata ai sensi della normativa Inail la prova della derivazione della
malattia da lavoro doveva essere fornita dal lavoratore e che nella specie tale
prova non era stata fornita.

La Corte ha osservato, con riferimento ai fattori
nnicroclimatici che avrebbero contribuito ad acuire i sintomi fisici e
psicologici, che doveva escludersi la sussistenza di danni permanenti derivanti
dai disturbi accertati e la genericità della prova per testi non consentiva di
accertare l’influenza in concreto determinata dal microclima difettando di
elementi sufficientemente oggettivi e circostanziati da consentire di
quantificare in concreto le conseguenze dannose per la ricorrente; con
riferimento alla tendinite alla spalla doveva escludersi l’origine
professionale non essendo la lavoratrice addetta a compiti ripetitivi; in
relazione alle mansioni ha precisato che la D. era sportellista con esclusione
invece di attività continuativa di videoterminalista.

2. Avverso la sentenza ha proposto ricorso in
cassazione la D. con 5 motivi . Resiste la Cassa di Risparmio di Bolzano nonché
l’Inail , chiamato in causa dalla Cassa fin dal primo grado.

 

Ritenuto in diritto

 

3. Con il primo motivo la ricorrente denuncia
violazione degli artt. 132 e 161 cpc, nonché nullità della sentenza per omessa
sottoscrizione del giudice. Il motivo è infondato avuto riguardo
all’apposizione sulla sentenza impugnata della firma del presidente ,
dell’estensore e del cancelliere in forma digitale essendo avvenuto il suo
depositato con modalità telematiche nel fascicolo informatico.

4. Con il secondo motivo si denuncia violazione
dell’art 132 cpc , nullità della sentenza per
mancanza di motivazione , illogicità manifesta avendo la Corte escluso
l’incidenza dell’ambiente di lavoro in relazione alla fibromialgia, pur avendo
rilevato che il microclima aveva contributo ad acuire i sintomi.

5. Con il terzo motivo ,in relazione all’art 360 n 5, denuncia omesso esame di fatto
decisivo , violazione dell’art. 132 cpc per
aver omesso la valutazione di un fatto storico rappresentato dalla malattia
riscontrata e dipesa dalle condizioni di lavoro sia in relazione al microclima
ambientale, sia in relazione alla non ergonomicità della postazione lavorativa
.

6. Con il quarto motivo denuncia violazione dell’art 132 cpc , degli artt.1218
e 2087 e 2697 cc,
richiama le tabelle Inail ed il DM 27/4/2004
lamentando che la Corte non aveva posto a carico del datore di lavoro l’onere
di provare l’insussistenza del nesso causale tra la malattia e l’ambiente
lavorativo, nesso che doveva presumersi in quanto nelle tabelle citate erano
inclusi” i microtraumi e posture incongrue a carico degli arti superiori
per attività eseguite con ritmi continui e ripetitivi per almeno la metà del
tempo del turno di lavoro” e “disfunzioni dell’organizzazione del
lavoro ( costrittività organizzative)”

7.Con il quinto motivo denuncia violazione degli artt 115, 116 e 132 cpc con riferimento all’art 2697 cc dolendosi della mancata ammissione
della prova .

8. I motivi , congiuntamente esaminati stante la
loro connessione, sono infondati.

9. Preliminarmente va rilevato che ciascun motivo
contiene plurime e non chiare censure in relazione all’art. 360 n 3,4 o 5 cpc in assenza di una specifica
indicazione delle parti della sentenza censurata in relazione a ciascun vizio
denunciato e l’individuazione precisa per ciascuna censura della norma violata.

10. Va , altresì, rilevato che il ricorso, ove
denuncia in relazione all’art. 360 n 5 cpc
l’omesso esame di fatto decisivo per il giudizio oggetto di discussione tra
le  parti , è inammissibile non
presentando alcuno dei requisiti richiesti dall’art.
360, primo comma, n. 5 cod. proc. civ. nella nuova formulazione ( così come
interpretato da SU n. n. 8053 del 07/04/2014)
finendo: a) con il lamentare non l’omesso esame di un fatto inteso nella sua
accezione storico-fenomenica , cioè un fatto principale o primario (ossia
costitutivo, impeditivo, estintivo o modificativo del diritto azionato) o
secondario (cioè un fatto dedotto in funzione probatoria), bensì l’omessa o
carente valutazione di risultanze istruttorie; b) con il criticare la
sufficienza del ragionamento logico posto alla base dell’interpretazione di
determinati atti del processo, e dunque un caratteristico vizio motivazionale,
in quanto tale non più censurabile (si veda la citata Cass., S.U., n. 8053/14 secondo cui il controllo
della motivazione è ora confinato sub specie nullitatis, in relazione al n. 4
dell’art. 360 cod. proc. civ. il quale, a sua
volta, ricorre solo nel caso di una sostanziale carenza del requisito di cui
all’art. 132, n. 4, cod. proc. civ., esclusa
qualunque rilevanza del semplice difetto di ‘sufficienza’ della motivazione).

11. La ricorrente ,in definitiva, pur denunciando la
violazione di numerose norme, pretende una nuova valutazione degli elementi
probatori e dei risultati della CTU sollecitando questa Corte ad una
rivisitazione del merito non consentita in questa sede.

Ed infatti, è stato in più occasioni affermato dalla
giurisprudenza di legittimità che la valutazione delle emergenze probatorie,
come la scelta, tra le varie risultanze, di quelle ritenute più idonee a
sorreggere la motivazione, involgono apprezzamenti di fatto riservati al
giudice del merito, il quale nel porre a fondamento della propria decisione una
fonte di prova con esclusione di altre, non incontra altro limite che quello di
indicare le ragioni del proprio convincimento, senza essere tenuto a discutere
ogni singolo elemento o a confutare tutte le deduzioni difensive (cfr, e
plurimis, Cass. n. 16056 del 02/08/2016 Cass. n. 17097 del 21/07/2010; Cass. n.
12362 del 24/05/2006;  Cass. n. 11933 del 07/08/2003). Nella specie la
Corte territoriale ha spiegato, in maniera esaustiva e niente affatto
perplessa, le ragioni della decisione che escludono la fondatezza delle pretese
della ricorrente .

12. Circa la mancata ammissione della prova
testimoniale, erroneamente ricondotta dalla ricorrente al vizio di cui all’art. 360 n 5 cpc, va rilevato che essa costituisce
un potere tipicamente discrezionale del giudice di merito adeguatamente
motivato dalla Corte territoriale, la quale ha sostanzialmente affermato
l’irrilevanza della prova sottolineando la genericità delle allegazioni
contenute nell’atto introduttivo e pertanto la genericità della prova con
riferimento alle medesime circostanze (v pag 34/35 della motivazione”
essendo state evidenziate solo vagamente la rilevante sofferenza fisica e
psicologica, manifestata con umore depresso e sintomi ansiosi….le precarie
condizioni di salute …le frequenti crisi di pianto ,isolamento ed umore
depresso…le gravi limitazioni funzionali ..l’impossibilità di svolgere
attività sportive e di svago…essendo impossibilitata ad eseguire
movimentazione del rachide …), circostanze non inquadrabili temporalmente e
che, secondo la Corte territoriale, non consentivano di apprezzare né
l’intensità dei fenomeni dolorosi, né le concrete conseguenze dannose, né in
quale misure fossero da imputare ragionevolmente all’uso improprio
dell’impianto di condizionamento, dati neppure desumibili dalla documentazione
medica.

13. Rsultano poi inappropriati i richiami sia all’art. 2697 c.c., sia agli artt. 115 e 116 c.p.c.,
per il primo aspetto la violazione dell’art. 2697
c.c. è censurabile per cassazione ai sensi dell’art.
360, co. 1, n. 3 c.p.c., soltanto nell’ipotesi in cui il giudice abbia
attribuito l’onere della prova ad una parte diversa da quella che ne fosse
onerata secondo le regole di scomposizione delle fattispecie basate sulla
differenza tra fatti costitutivi ed eccezioni e non invece ove oggetto di
censura sia la valutazione che il giudice abbia svolto delle prove proposte
dalle parti (Cass. n. 15107 del 2013; Cass. n. 13395 del 2018);per l’altro
aspetto, in tema di valutazione delle prove, il principio del libero
convincimento, posto a fondamento degli artt. 115
e 116 c.p.c., opera interamente sul piano
dell’apprezzamento di merito, insindacabile in sede di legittimità.

14. Quanto infine ai richiami alla normativa Inail
ed ai dubbi sollevati dal ricorrente in ordine all’individuazione della parte
onerata della prova dell’origine professionale della malattia appare invero
sufficiente richiamare quanto esposto nella sentenza che ha escluso la
riconducibilità delle accertate patologie alla pretesa condotta colpevole del
datore di lavoro. Ha rilevato, infatti, che tutte le malattie denunciate erano
da ricondursi alla fibromialgia,che detta malattia non era di natura
professionale e che essa non era inserita nell’elenco delle malattie la cui
origine lavorativa è di elevata probabilità, né nell’elenco delle malattie la
cui origine lavorativa è di limitata probabilità. Nella decisione impugnata si
è anche specificato, quanto ai fattori microclimatici, che gli stessi non
avevano prodotto danni di natura permanente né inciso sulla sindrome
fibromialgica e, quanto alla tendinite, si è esclusa la sua origine
professionale non essendo l’attività lavorativa caratterizzata dallo
svolgimento di compiti ciclici ripetitivi o attività continuativa ai
videoterminali per più di 20 ore .

15. Deve, pertanto, essere ribadito che in caso di
malattia non tabellata, incombe sul lavoratore l’onere di provare il nesso
causale tra la malattia e ambiente lavorativo ( ad esempio per tutte , Cass n
8773/2018), prova che l’impugnata sentenza ha escluso .

16. In conclusione il ricorso deve essere rigettato
e la ricorrente condannata a pagare le spese nei confronti della Cassa . Non si
deve provvedere alla liquidazione delle spese a favore dell’Inail . La notifica
del ricorso nei confronti dell’istituto da parte della D. ,soccombente in
appello che non ha formulato alcuna domanda nei confronti dell’Istituto
chiamato in causa dalla Cassa , non ha valore di “vocatio in ius” ,ma
di mera “litis denuntiatio “, sicché l’Istituto non diventa, per ciò
solo, parte del giudizio. Non sussistono, pertanto, i presupposti per la
condanna della ricorrente al pagamento delle spese di lite a favore dell’Inail
, in assenza di impugnazione incidentale di quest’ultimo, atteso che, ai sensi
dell’art. 91 c.p.c., detta pronuncia presuppone
la qualità di parte nonché la soccombenza.

17. Avuto riguardo all’esito del giudizio ed alla
data di proposizione del ricorso sussistono i presupposti di cui all’art 13 , comma 1 quater, dpr n
115/2002.

 

P.Q.M.

 

Rigetta il ricorso e condanna la ricorrente a pagare
alla Cassa di Risparmio le spese di lite liquidate in Euro 5.000,00, oltre 15%
per spese generali ed accessori di legge, nonché Euro 200,00 per esborsi

Ai sensi dell’art 13 , comma 1 quater del dpr n 115
del 2002, dà atto della sussistenza dei presupposti processuali per il
versamento , da parte del ricorrente dell’ulteriore importo a titolo di
contributo unificato pari a quello per il ricorso a norma del comma 1 bis ,
dello stesso art 13.

Giurisprudenza – CORTE DI CASSAZIONE – Ordinanza 03 marzo 2021, n. 5816
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