Giurisprudenza – CORTE DI CASSAZIONE – Sentenza 01 marzo 2021, n. 5547
Dipendente turnista, Diritto alla erogazione dei buoni pasto
– Diritto alla mensa identificato con il diritto alla pausa, Dipendenti che
effettuavano un orario di lavoro giornaliero eccedente le 6 ore, Buono pasto,
Nessuna natura retributiva ma erogazione di carattere assistenziale, collegata
al rapporto di lavoro da un nesso meramente occasionale
Fatto di causa
1. Con sentenza in data 18 dicembre 2018 nr. 906 la
Corte d’Appello di Messina confermava la sentenza del Tribunale della stessa
sede, che aveva accolto la domanda proposta da P. Q., dipendente turnista della
Azienda Ospedaliera P.P. (in prosieguo: Azienda Ospedaliera), accertando il suo
diritto alla erogazione dei buoni pasto per ogni turno lavorativo eccedente le
sei ore e condannando la Azienda Ospedaliera al risarcimento del danno.
2. La Corte territoriale osservava che l’articolo 29, comma 2, CCNL
integrativo comparto Sanità, del 20 settembre 2001, doveva essere
interpretato in combinato disposto con l’articolo 8 D.Lgs. nr. 66/2003; da
tali norme derivava che il diritto alla mensa doveva essere identificato con il
diritto alla pausa. Il diritto alla mensa doveva, dunque, riconoscersi a tutti
i dipendenti che effettuavano un orario di lavoro giornaliero eccedente le 6
ore.
3. Il Q. – i cui turni seguivano lo schema 7/13,
13/20, 20/7 – svolgeva nel turno pomeridiano un orario di sette ore e nel turno
notturno un orario di undici ore. Egli non avrebbe potuto usufruire del
servizio di mensa istituito dalla Azienda Ospedaliera perché non poteva essere
sospeso il servizio di assistenza e non vi era un servizio di mensa serale.
Pertanto, doveva riconoscersi il suo diritto ai
buoni pasto.
4. Doveva altresì confermarsi il capo della sentenza
del Tribunale sul risarcimento del danno, per avere l’appellato provveduto a
proprie spese al pasto.
5. Ha proposto ricorso per la cassazione della sentenza
la Azienda Ospedaliera, articolato in un unico motivo, cui P. Q. ha resistito
con controricorso.
6. La Azienda Ospedaliera ha depositato memoria.
Ragioni della decisione
1. Con l’unico motivo di ricorso la Azienda
Ospedaliera ha dedotto— ai sensi dell’articolo 360
nr. 3 cod.proc.civ.— violazione e falsa applicazione dell’articolo 29, comma 2, CCNL Comparto
sanità del 7 aprile 1999, modificato ed integrato dal CCNL in data 20.9.2001 nonché dell’articolo 8 D.Lgs. nr. 66/2003, per
avere la sentenza impugnata erroneamente identificato il diritto alla pausa con
il diritto alla mensa.
2. Ha dedotto che a tenore della norma contrattuale
il criterio per riconoscere il diritto alla mensa era la impossibilità, in
relazione alla articolazione dell’orario di lavoro, di pranzare fuori
dall’ambiente di lavoro.
3. Il Q. poteva provvedere alla consumazione del
pasto prima di iniziare il turno pomeridiano ed il turno notturno. La norma
dell’articolo 8 D.Lgs. nr. 66/2003
non attribuiva il diritto alla mensa ma disciplinava esclusivamente il diritto
alla pausa, essendo soltanto una possibilità quella di consumare il pasto
durante la pausa.
4. La proposta interpretazione trovava conferma nel
disposto dell’articolo 45 CCNL 14.9.2000, a tenore del quale possono usufruire
della mensa i dipendenti che prestano attività lavorativa di mattino con
prosecuzione nelle ore pomeridiane.
5. Il ricorso è infondato.
6. Per consolidata giurisprudenza di questa Corte,
il diritto alla fruizione del buono pasto non ha natura retributiva ma
costituisce una erogazione di carattere assistenziale, collegata al rapporto di
lavoro da un nesso meramente occasionale, avente il fine di conciliare le
esigenze di servizio con le esigenze quotidiane del lavoratore (Cass. 28.11.2019 nr. 31137 e giurisprudenza ivi
citata); proprio per la suindicata natura il diritto al buono pasto è
strettamente collegato alle disposizioni della contrattazione collettiva che lo
prevedono ( da ultimo, Cass. 21 ottobre 2020 nr.
22985).
7. Nella fattispecie di causa viene dunque in
rilievo l’art. 29 del CCNL 20
settembre 2001, integrativo del CCNL del 7
aprile 1999, a tenore del quale:
“1. Le aziende, in relazione al proprio assetto
organizzativo e compatibilmente con le risorse disponibili, possono istituire
mense di servizio o, in alternativa, garantire l’esercizio del diritto di mensa
con modalità sostitutive.
2. Hanno diritto alla mensa tutti i dipendenti, ivi
compresi quelli che prestano la propria attività in posizione di comando, nei
giorni di effettiva presenza al lavoro, in relazione alla particolare
articolazione dell’orario.
3. Il pasto va consumato al di fuori dell’orario di
lavoro. Il tempo impiegato per il consumo del pasto è rilevato con i normali
mezzi di controllo dell’orario e non deve essere superiore a trenta minuti.
4. Il costo del pasto determinato in sostituzione
del servizio mensa non può superare L. 10.000. Il dipendente è tenuto a
contribuire in ogni caso nella misura fissa di L. 2000 per ogni pasto. Il pasto
non è monetizzabile.
5. Sono disapplicati il D.P.R. n. 270 del 1987, art.
33 e D.P.R. n. 384 del 1990, art. 68, comma 2.”
8. Tale disposizione è stata poi modificata, nei
commi 1 e 4, dall’articolo 4 del
CCNL del 31 luglio 2009 ( biennio economico 2008-2009), nei seguenti sensi:
“1. Le aziende, in relazione al proprio assetto
organizzativo e compatibilmente con le risorse disponibili, possono istituire
mense di servizio o, in alternativa, garantire l’esercizio del diritto di mensa
con modalità sostitutive. In ogni caso l’organizzazione e la gestione dei
suddetti servizi, rientrano nell’autonomia gestionale delle aziende, mentre
resta ferma la competenza del CCNL nella definizione delle regole in merito
alla fruibilità e all’esercizio del diritto di mensa da parte dei lavoratori.
4. Le Regioni, sulla base di rilevazioni relative al
costo della vita nei diversi ambiti regionali e al contesto socio-sanitario di
riferimento, possono fornire alle aziende indicazioni in merito alla
valorizzazione – nel quadro delle risorse disponibili – dei servizi di mensa
nel rispetto della partecipazione economica del dipendente finora prevista. Nel
caso di erogazione dell’esercizio del diritto di mensa con modalità
sostitutive, queste ultime non possono comunque avere un valore economico
inferiore a quello in atto ed il dipendente è tenuto a contribuire nella misura
di un quinto del costo unitario del pasto. Il pasto non è monetizzabile. “
9. Non è invece conferente al giudizio la norma
dell’articolo 45 CCNL 14.9.2000, richiamata dalla Azienda Ospedaliera, in
quanto relativa al diverso comparto Regioni ed Autonomie Locali.
10. Così esposte le previsioni contrattuali, la
questione di causa consiste nello stabilire quale sia la «particolare
articolazione dell’orario» che, ai sensi del comma 2 del richiamato articolo 29 CCNL Integrativo
Sanità, attribuisce il diritto alla mensa ai dipendenti presenti in servizio.
11. L’articolo
26 del CCNL Sanità 1998/2001, del 7.4.1999, sull’orario di lavoro, non
contiene utili indicazioni sul punto, in quanto si limita a stabilire un orario
di lavoro settimanale di 36 ore ed a fissare i criteri generali per la sua
distribuzione.
12. Un chiaro indice interpretativo si trae,
comunque, dalla disposizione del comma 3 del medesimo articolo 29 CCNL Integrativo
20.9.2001, a tenore del quale il pasto va consumato al di fuori dell’orario
di lavoro ed il tempo a tal fine impiegato è rilevato con i normali strumenti
di controllo dell’orario e non deve essere superiore a 30 minuti.
13. Da tale norma si ricava che la fruizione del
pasto— ed il connesso diritto alla mensa o al buono pasto— è prevista
nell’ambito di un intervallo non lavorato; diversamente, non potrebbe
esercitarsi alcun controllo sulla sua durata.
14. Si può dunque convenire sul fatto che la
«particolare articolazione dell’orario di lavoro» è quella collegata alla
fruizione di un intervallo di lavoro.
15. Di qui il rilievo del D.Lgs.
8 aprile 2003 nr. 66 (Attuazione delle direttive
93/104/CE e 2000/34/CE concernenti taluni
aspetti dell’organizzazione dell’orario di lavoro), articolo 8, a tenore del
quale il lavoratore deve beneficiare di un intervallo per pausa qualora
l’orario di lavoro giornaliero ecceda il limite di sei ore, ai fini del
recupero delle energie psicofisiche e della eventuale consumazione del pasto;
le modalità e la durata della pausa sono stabilite dai contratti collettivi di
lavoro ed, in difetto di disciplina collettiva, la durata non è inferiore a
dieci minuti e la collocazione deve tener conto delle esigenze tecniche del
processo lavorativo.
16. Anche nel testo legislativo, dunque, la
consumazione del pasto è collegata alla pausa di lavoro ed avviene nel corso
della stessa.
17. La stessa difesa di parte ricorrente lega il
diritto alla mensa ad una obbligatoria sosta lavorativa ma assume che la norma
contrattuale richiederebbe, altresì, che la attività lavorativa sia prestata
«nelle fasce orarie normalmente destinate alla consumazione del pasto»; una
eventuale volontà della parti sociali in tal senso sarebbe stata, tuttavia,
chiaramente espressa, con l’ indicazione di fasce orarie di lavoro che danno
diritto alla mensa, fasce che non sono, invece, previste.
18. La interpretazione esposta, secondo cui il
diritto alla mensa ex articolo 29,
comma 2, CCNL Integrativo Sanità 20.9.2001 è legato al diritto alla pausa,
è coerente con i principi già enunciati da questa Corte, con sentenza 28 novembre 2019 nr. 31137, in relazione
alle previsioni dell’articolo 40
CCNL 28 maggio 2004 del Comparto Agenzie Fiscali.
19. Il giudice del merito ha dunque correttamente
interpretato la disposizione contrattuale, con conseguente rigetto
dell’impugnazione.
20. Le spese del giudizio di cassazione, liquidate
in dispositivo, seguono la soccombenza.
21. Trattandosi di giudizio instaurato
successivamente al 30 gennaio 2013 sussistono le condizioni per dare atto- ai
sensi dell’art.1 co 17 L.
228/2012 (che ha aggiunto il comma 1 quater all’art. 13 DPR 115/2002) – della sussistenza
dei presupposti processuali dell’obbligo di versamento da parte del ricorrente
dell’ulteriore importo a titolo di contributo unificato pari a quello previsto
per la impugnazione integralmente rigettata, se dovuto (Cass. SU 20 febbraio
2020 n. 4315).
P.Q.M.
rigetta il ricorso. Condanna la parte ricorrente al
pagamento delle spese, che liquida in € 200 per spese ed € 5.000 per compensi
professionali, oltre spese generali al 15% ed accessori di legge.
Ai sensi dell’art. 13 co. 1 quater del DPR 115 del
2002 dà atto della sussistenza dei presupposti processuali per il
versamento, da parte del ricorrente dell’ulteriore importo a titolo di
contributo unificato pari a quello previsto per il ricorso a norma del comma 1
bis dello stesso articolo 13,
se dovuto.