Giurisprudenza – CORTE DI CASSAZIONE – Ordinanza 08 febbraio 2021, n. 2967

Rapporto di lavoro subordinato del socio di cooperativa,
Deliberazione di riduzione temporanea dei trattamenti economici integrativi e
di forme di apporto anche economico del socio lavoratore, Temporaneità dello
stato di crisi, Necessità, Omessa apposizione di un termine finale,
Conseguenze, Nullità della delibera, Esclusione, Annullabilità e relativo
regime delle impugnazioni, Configurabilità, Fondamento

 

Rilevato che

 

C.O. adiva il Tribunale di Massa ed esponeva di
essere socio lavoratore della Cooperativa L.V. a r.l.;

deduceva che con una serie di delibere la società
aveva disposto la riduzione della retribuzione al di sotto dei minimi sanciti
dalla contrattazione collettiva di settore; nel rilevare la invalidità degli
atti, conveniva in giudizio la società chiedendone la condanna al pagamento
della somma di euro 4.544,38 a titolo differenze retributive.

Ritualmente instaurato il contraddittorio, il
Tribunale respingeva il ricorso.

Detta pronunzia veniva riformata dalla Corte
d’Appello di Genova che accoglieva integralmente il ricorso.

La Corte distrettuale perveniva a tale convincimento
argomentando, in estrema sintesi, in ordine alla invalidità delle delibere
inerenti al piano di crisi e con le quali era stata prevista la decurtazione
delle retribuzioni dei soci; rimarcava che al fine di impedire abusi ai danni
dei lavoratori in materia di retribuzione minima, secondo i principi affermati
dalla giurisprudenza di legittimità, il piano di crisi doveva fondarsi su una
effettiva difficoltà aziendale di natura temporanea, e palesare uno stretto
nesso di causalità fra lo stato di crisi e l’applicabilità ai soci lavoratori
degli interventi pianificati.

Nello specifico il requisito mancante nella
complessiva pianificazione dello stato di crisi aziendale era quello della
temporaneità, posto che dopo due anni di proroga del piano, implicante una non
trascurabile riduzione delle retribuzioni, nel giugno 2013 era stata di nuovo
proposta una proroga del piano medesimo.

In tale prospettiva, l’atto deliberativo doveva
considerarsi affetto da nullità radicale ai sensi dell’art. 1418 c.c. per illiceità dell’oggetto.

Avverso tale decisione interpone ricorso per cassazione
la società cooperativa sulla base di unico motivo.

Resiste la parte intimata con controricorso
successivamente illustrato da memoria.

 

Considerato che

 

1. Con unico articolato motivo si denuncia
“violazione e falsa applicazione degli artt.
2377 e 2379 c.c., degli artt. 3 e 6 l. 142/2001” in relazione
all’art. 360 comma primo n.3 c.p.c. nonché
“omessa e insufficiente motivazione circa una eccezione decisiva per il
giudizio” ex art. 360 comma primo n.5 c.p.c.

Si criticano gli approdi ai quali è pervenuta la
Corte di merito laddove ha acclarato la nullità delle delibere assembleari
scrutinate; si osserva al riguardo che i casi di nullità previsti dall’art. 2379 c.c. sono tassativi e comprendono le
ipotesi di impossibilità ed illiceità dell’oggetto della delibera, alle quali
non può certamente assimilarsi l’indeterminatezza sotto il profilo temporale,
dell’oggetto della delibera e la conseguente solo sopravvenuta illegittimità
del piano di crisi aziendale ex art.
6 l. 142/2001.

La non conformità delle delibere in esame ai
principi che governano la predisposizione del piano di crisi e ne determinano
la legittimità – e cioè l’aderenza dello strumento ai requisiti posti dalla l. 142/2001 – giustificherebbe la sanzione della
annullabilità e non quella della nullità.

Nell’ottica descritta si rimarca la carenza di fondo
del diritto azionato dal lavoratore, il quale ha omesso di impugnare le
delibere in questione entro il termine sancito dall’art.
2379 c.c.

2. Il motivo è fondato e va accolto per le ragioni
di seguito esposte.

Non può sottacersi, ai fini di corretto iter
motivazionale, che meritevole di condivisione è la statuizione con la quale i
giudici del gravame hanno scrutinato la conformità delle» delibere inerenti al
piano aziendale rispetto ai principi sanciti dall’art. 6 l. 142/2001, pervenendo
ad un convincimento negativo, per la violazione del principio di naturale e
necessaria temporaneità dello strumento previsto dalla menzionata disposizione.

Deve considerarsi che la L. n. 142 del 2001, art. 3,
comma 1, prevede che “Fermo restando quanto previsto dalla L. 20 maggio 1970, n. 300, art.
36, le società cooperative sono tenute a corrispondere al socio lavoratore
un trattamento economico complessivo proporzionato alla quantità e qualità del
lavoro prestato e comunque non inferiore ai minimi previsti, per prestazioni
analoghe, dalla contrattazione collettiva nazionale del settore o della
categoria affine, ovvero, per i rapporti di lavoro diversi da quello
subordinato, in assenza di contratti o accordi collettivi specifici, ai
compensi medi in uso per prestazioni analoghe rese in forma di lavoro
autonomo”.

Deve poi, rimarcarsi, che secondo la disciplina
speciale prevista dalla L. n. 142 del 2001, il
socio lavoratore di cooperativa, nel momento della sottoscrizione del contratto
associativo, aderisce alle disposizioni stabilite dal regolamento interno, tra
le quali la possibilità per la società, in caso di crisi aziendale, di
deliberare una riduzione temporanea dei trattamenti economici integrativi (L. n. 142 del 2001, art. 6,
comma 1, lett. d)) e di prevedere altresì forme di apporto anche economico da
parte del socio lavoratore al solo scopo di superare la difficoltà economica in
cui versa l’impresa (L. n. 142
del 2001, art. 6, comma 1, lett. e)).

Al riguardo va, poi, richiamata anche la
disposizione contenuta nell’art.
6, comma 2, della Legge in esame la quale, nello stabilire il principio
generale dell’inderogabilità in pejus del trattamento economico minimo di cui
all’art. 3 comma 1, prevede
esplicitamente alcune eccezioni, tra cui proprio quelle conseguenti alla
deliberazione del “piano di crisi aziendale”.

In tal senso la Corte di merito ha bene evidenziato
che detto meccanismo normativo risulta disciplinato dall’art. 6 comma 2, altresì
rimarcando che il principio secondo cui la retribuzione in favore dei soci
delle cooperative di produzione e lavoro per le prestazioni erogate in favore
della società, deve essere proporzionata alla qualità e quantità del lavoro
svolto e sufficiente ad assicurare un’esistenza libera e dignitosa ai soci e
alle loro famiglie, ai sensi dell’art. 36 Cost.,
va coordinato anche alla funzione sociale della cooperazione, ispirata allo
scopo di mutualità, dovendo procedersi ad un bilanciamento di interessi che
involga anche la tutela dei diritti protetti dall’art.
45 Cost. (cfr. Cass. 28/8/2004 n. 17250).

Così definito il thema decidendum, deve ritenersi
che congruamente il giudice del gravame abbia anche richiamato i principi
affermati da questa Corte ed ai quali va data continuità, secondo cui in tema
di società cooperative, la deliberazione, nell’ambito di un piano di crisi
aziendale, di una riduzione temporanea dei trattamenti economici integrativi
del socio lavoratore e di forme di apporto anche economico da parte di questi,
ex art. art.6, comma 1, lett. d)
ed e), della I. n. 142 del 2001, in deroga al principio generale del
divieto di incidenza “in pejus” del trattamento economico minimo
previsto dalla contrattazione collettiva, di cui all’art.3 della predetta legge, è
condizionata alla necessaria temporaneità dello stato di crisi e, quindi,
all’essenziale apposizione di un termine finale ad esso (cfr. Cass. 18/7/2018 n.19096, Cass. 28/8/2013 n. 19832).

Si condividono, dunque, gli approdi ai quali è
pervenuto il giudice del gravame laddove ha inquadrato nella categoria della
invalidità, la fattispecie di delibere societarie contrassegnate dalla mancanza
della apposizione di un limite temporale, in deroga dei principi vigenti in
tema di trattamento economico spettante al socio lavoratore.

3. Ciò che non si condivide, sono invece le ricadute
della carenza del requisito di temporaneità della riduzione dei compensi
spettanti ai soci al di sotto dei minimi sanciti dalla contrattazione
collettiva di settore, che la Corte di merito ha indirizzato nel senso della
nullità degli atti ritenuti viziati.

Ed invero, secondo la consolidata giurisprudenza di
questa Corte, in tema di invalidità delle deliberazioni dell’assemblea delle
società di capitali si ha un’inversione dei criteri regolatori del diritto
negoziale, in quanto per esse vige il principio in virtù del quale la regola
generale è quella dell’annullabilità (art. 2377
c.c.).

Nell’ambito dell’autonoma disciplina dell’invalidità
delle deliberazioni dell’assemblea delle società (per azioni) vi è, dunque, una
inversione dei principi comuni (artt. 1418, 1441 cod. civ. per cui la regola generale è quella
dell’annullabilità (art. 2377 cod. civ.), la
previsione della nullità essendo limitata ai soli casi, disciplinati dall’art. 2379 cod. civ., di impossibilità o illiceità
dell’oggetto. »

I casi contemplati da tale ultima disposizione,
ricorrono quando il contenuto della deliberazione contrasta con norme dettate a
tutela degli interessi generali, che trascendono l’interesse del singolo socio,
dirette ad impedire deviazioni dallo scopo economico-pratico del rapporto di
società, con la conseguenza che la violazione di norme di legge, anche di
carattere imperativo, in materia societaria, e la violazione di norme poste a
tutela di soci o gruppi di soci (vedi Cass. 15/11/2000 n.14799) comporta la
mera annullabilità della delibera (ex plurimis, Cass.
27/7/2005 n. 15721; Cass. 9/4/1999 n. 3457, arg. da Cass. 24/3/2014
n.6882); e ciò in virtù di una regola diretta a bilanciare l’interesse alla
gestione ordinata dell’impresa sociale e l’esigenza di stabilità (e rapidità)
delle deliberazioni societarie (in questi sensi vedi Cass. 24/7/2007 n.16390,
cui adde Cass. 11/7/2008 n.19235).

Conclusivamente, è bene rammentare che
l’applicabilità anche al socio lavoratore del canone della retribuzione
proporzionata e sufficiente sancita dalla legge n.
142 del 2001 – e già evocata in epoca anteriore in virtù della evoluzione
normativa nel senso di una “tendenza espansiva della legislazione
giuslavoristica” in materia (C. Cost. n. 451
del 1998) che aveva già creato un contesto favorevole all’applicazione
diretta per il socio lavoratore, del principio della retribuzione proporzionata
e sufficiente – involve comunque un giudizio di valore che importi il
coordinamento con quella che è la funzione sociale della cooperazione a
finalità di mutualità (art. 45 c. 1 Cost.,
secondo cui la Repubblica riconosce là funzione sociale della cooperazione a
carattere di mutualità e senza fini di speculazione privata e la legge ne
promuove e favorisce l’incremento con i mezzi più idonei e ne assicura, con gli
opportuni controlli, il carattere e le finalità).

Nell’ottica descritta, e pur volendo esprimere una
più accentuata sensibilità – nell’esercizio della cennata attività valutativa
degli interessi in gioco – per i valori tutelati dall’art.36 cost., non appare congrua l’applicabilità
della sanzione della nullità sancita dall’art.2379
c.c., non essendo ravvisabili nelle delibere societarie che avevano
prorogato la riduzione dei compensi spettanti ai soci in ragione del protrarsi
della crisi negli anni 2011-2013, una violazione di tale gravità da essere
assimilata ad una ipotesi di illiceità dell’oggetto, per violazione di norme
volte ad impedire deviazioni dallo scopo economico-pratico del rapporto di
società (vedi Cass. cit. n.19235/2008, Cass.
n.16390/2007).

E ciò proprio considerando la peculiarità della
struttura societaria ispirata a finalità di cooperazione e mutualità, oltre che
la ricordata esigenza di stabilità (e rapidità) delle deliberazioni societarie,
che la applicata sanzione della nullità non appare appropriata alla fattispecie
considerata, dovendo farsi invece applicazione della categoria della
annullabilità delle delibere societarie di cui all’art.
2377 e del relativo regime di impugnazione.

Al lume delle superiori argomentazioni, il ricorso
va pertanto accolto, la sentenza impugnata va cassata con rinvio alla Corte
d’appello designata in dispositivo che, decidendo anche in ordine alle spese
del presente giudizio, provvederà a scrutinare la fattispecie alla luce dei
principi innanzi enunciati.

 

P.Q.M.

 

Accoglie il ricorso, cassa la sentenza impugnata e
rinvia alla Corte d’Appello di Genova in diversa composizione, cui demanda di
provvedere anche in ordine alle spese del presente giudizio.

Giurisprudenza – CORTE DI CASSAZIONE – Ordinanza 08 febbraio 2021, n. 2967
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