Giurisprudenza – CORTE DI CASSAZIONE – Sentenza 04 marzo 2021, n. 6080

Cooperativa, Esercizio dell’attività agricola, Costituzione
del rapporto assicurativo ope legis, Errata iscrizione, previdenziale e
contributiva, ad opera del datore di lavoro, Obbligo dell’ENPAIA di versare il
TFR nei soli limiti dei contributi versati dal datore di lavoro, Non sussiste
– lnadempimento datoriale nel versamento degli accantonamenti, Alcuna
riduzione della prestazione economica che l’Ente è tenuto ad erogare ai lavoratori

 

Fatti di causa

 

1. La Corte d’appello di Trieste, con sentenza del 4
novembre 2014, ha confermato la sentenza di primo grado che aveva rigettato
l’opposizione svolta dalla Fondazione E. avverso il decreto ingiuntivo ottenuto
dalle dipendenti della Cooperativa Agricola Andreana, attuali intimate, per il
pagamento del TFR.

2. Per la Corte territoriale la documentazione
prodotta in giudizio, proveniente da enti pubblici e presupponente l’attività
agricola della cooperativa, ne confermava la natura agricola; quanto
all’attività svolta dalle lavoratrici, la costituzione del rapporto
assicurativo ope legis privava di rilevanza l’eventuale errata iscrizione,
previdenziale e contributiva, ad opera del datore di lavoro, soggetto terzo
nella vicenda controversa; infine, le mansioni amministrative svolte erano
emerse dal testimoniale acquisito alla causa e la qualifica impiegatizia dalle
acquisizioni documentali, conseguentemente non risultavano decisivi, per
escludere la detta qualifica, il pagamento ad ore, in luogo della retribuzione
fissa, e la presenza di attrezzature o macchinari agricoli nella disponibilità
della cooperativa, in considerazione delle ulteriori attività conferite, nel
tempo, da soggetti pubblici alla società, quali cura e sviluppo del territorio montano.

3. Avverso tale sentenza ricorre la Fondazione E.,
con ricorso affidato a undici motivi, ulteriormente illustrato con memoria, cui
resistono, con controricorso, ulteriormente illustrato con memoria, B.M. ed
altre sei litisconsorti, in epigrafe indicate.

 

Ragioni della decisione

 

4. In sintesi, con i primi due motivi, deducendo
nullità della sentenza e omesso esame di un fatto decisivo per il giudizio, si
censura il mancato esame del motivo di gravame relativo alla dichiarazione del
legale rappresentante dell’INAIL che aveva espressamente negato che la
cooperativa svolgesse attività agricola.

5. Col terzo e quarto motivo si deduce l’omesso
esame della relazione del commissario liquidatore inviata alla Procura della
Repubblica, al fine di verificare l’effettivo esercizio dell’attività agricola
da parte della cooperativa, e della prova testimoniale resa dal commissario
liquidatore.

6. Col quinto mezzo si denuncia omesso esame delle
fatture della cooperativa chieste al commissario liquidatore e da questi
depositate.

7. Col sesto mezzo si denuncia nullità della
sentenza, per violazione dell’art. 112
cod.proc.civ., perché dalle fatture depositate e dai contratti sottoscritti
dalla cooperativa non risultava lo svolgimento di attività agricola dal 1998.

8. Con il settimo e ottavo motivo, denunciando
violazione dell’art. 1, co.2
d.lgs. n.228 del 2001 e dell’art. 2135 cod.civ.,
si assume che la natura agricola dell’attività della cooperativa, svolgente
invece servizi in favore di terzi, è stata erroneamente accertata alla stregua
dell’art. 2135 cod.civ. anziché alla stregua
dell’art. 1, comma secondo,
d.lgs. n.228 del 2001, disposto normativo che consente all’imprenditore
agricolo l’esercizio anche di attività turistica purché di supporto e sviluppo
dell’attività agricola.

9. Col nono mezzo si denuncia l’omesso esame della
qualifica impiegatizia.

10. Col decimo motivo si denuncia nullità della
sentenza per evidente perplessità e contraddittorietà nei dubbi palesati, nella
sentenza impugnata, in ordine alla domanda proposta dai lavoratori.

11. Infine, con l’undicesimo motivo, denunciando
violazione degli artt. 4 e 7 legge n.1655 del 1962, si
assume che alla stregua del periodo finale del secondo comma dell’art. 7 del d.lgs. n.1655 del 1962,
l’E. non versa tutto il TFR non corrisposto, ma solo quanto ancora dovuto e non
versato, e che tanto si evince anche dall’art. 4 del d.lgs. n.1655 cit.
che fa decorrere la prescrizione quinquennale dell’azione per riscuotere i
contributi, dovuti all’ente dal datore di lavoro, dall’ultimo giorno dell’anno
solare entro il quale doveva eseguirsi il versamento, con la conseguenza che,
decorso il quinquennio, il TFR da corrispondere ai lavoratori dovrà essere
decurtato dei versamenti mancanti.

12. Il ricorso è da rigettare.

13. I primi due mezzi sono inammissibili per la
contraddittoria deduzione, per profili diversi, di due mezzi tra loro
inconciliabili sulla stessa censura – o la Corte di merito non ha esaminato un
motivo di gravame devoluto ha omesso l’esame di un fatto decisivo – e per di
più in intrinseca contraddizione con la dedotta irrilevanza dell’iscrizione
INAIL agli effetti della prova della natura amministrativa dell’attività.

14. Del pari inammissibile è il terzo motivo con il
quale si pretende collocare, nel paradigma del novellato vizio di motivazione,
la relazione del commissario liquidatore alla Procura della Repubblica, non
attinente, all’evidenza, a fatti primari o secondari.

15. Vale al riguardo ricordare che le Sezioni unite
di questa Corte, con la sentenza n. 8053 del 2014,
hanno chiarito, quanto ai limiti della denuncia di omesso esame di una quaestio
facti, che il nuovo testo dell’art. 360, primo
comma, n. 5, cod. proc. civ. consente tale denuncia nei limiti dell’omesso
esame di un fatto storico, principale o secondario, la cui esistenza risulti dal
testo della sentenza o dagli atti processuali, che abbia costituito oggetto di
discussione tra le parti e abbia carattere decisivo (vale a dire che, se
esaminato, avrebbe determinato un esito diverso della controversia).

16. Inoltre, se con il termine punto (rilevante agli
effetti della precedente formulazione del vizio di motivazione) era possibile
individuare qualunque fatto, elemento, questione, situazione o circostanza in
ordine alla quale la motivazione potesse essere viziata, il concetto di fatto,
più specifico, dal punto di vista naturalistico e giuridico in ordine al quale
assume rilievo il vizio di motivazione compendia i fatti principali, ossia i
fatti costitutivi, impeditivi, modificativi o estintivi del diritto controverso
come individuati dall’art. 2697 cod.civ., e
giammai, dopo la riforma del vizio di motivazione, può considerarsi equivalente
a questione o argomentazione, dovendo per fatto intendersi un preciso
accadimento ovvero una precisa circostanza da intendersi in senso
storico-naturalistico (cfr., ex multis, Cass. n. 21152 del 2014).

17. Inoltre, le Sezioni unite della Corte (sentenza n. 8053 del 2014 cit. e altre numerose
successive) hanno anche precisato che l’omesso esame di elementi istruttori non
integra di per sé iI vizio di omesso esame di un fatto decisivo, se il fatto
storico rilevante in causa sia stato comunque preso in considerazione dal
giudice, benché la sentenza non abbia dato conto di tutte le risultanze
probatorie.

18. Ne consegue che in sede di legittimità non è
data ora (come del resto non era altrimenti data allora, vigente il testo
precedente del n. 5 dell’art. 360 cod.proc.civ.)
la possibilità di censurare che la prova di un dato fatto sia stata tratta o
negata dall’apprezzamento o dalla obliterazione di un determinato elemento
istruttorio, atteso che una tale critica ha ad oggetto non già un fatto
storico, ma la stessa attività di valutazione del corredo probatorio, che solo
al giudice di merito compete.

19. Segue, per quanto appena detto,
l’inammissibilità anche dei motivi quarto, quinto, sesto, perché si risolvono
nella richiesta di un inammissibile apprezzamento di merito e delle risultanze
istruttorie.

20. Le censure svolte con il settimo e ottavo motivo
non colgono nel segno perché si assume un’attività, turistica, concorrente con
l’attività agricola, all’uopo invocando la relativa disciplina che stabilisce
una connessione tra attività in termini di supporto e sviluppo per l’attività
agricola, senza che tuttavia emerga, in alcun modo, dalla motivazione della
sentenza impugnata, una concorrente attività, insistentemente evocata, invece,
nell’illustrazione del mezzo, come attività di servizi e, dunque, neanche turistica
in senso stretto.

21. In ogni caso non si evince dal ricorso se
trattasi di censura già introdotta nei gradi di merito.

22. Anche il nono mezzo risente, per quanto detto
nei paragrafi che precedono, dell’inadeguata collocazione nel paradigma del
novellato vizio di motivazione dell’omesso esame della qualifica impiegatizia,
dunque di un’espressione qualificatoria, tanto più che l’argomentare della
Corte di merito si dipana con una mera supposizione che l’attività della
cooperativa si svolgesse solo con l’ausilio di dipendenti impiegati e non anche
operai.

23. Il decimo motivo si palesa inammissibile perché
volto a censurare un’argomentazione della sentenza impugnata svolta ad
abundantiam, e, pertanto, non costituente ratio decidendi della medesima (v.,
fra le tante, Cass. n. 23635 del 2010 e i precedenti ivi richiamati).

24. L’undicesimo motivo, fondato sull’obbligo
dell’ENPAIA di versare il TFR nei soli limiti dei contributi versati dal datore
di lavoro, detratti i versamenti mancanti, non è fondato.

25. Partendo dall’origine dell’ente di previdenza
che ne occupa, vale ricordare che l’attuale Fondazione, sorta in virtù
dell’accordo collettivo stipulato il 4 settembre 1936 dalle Confederazioni
degli Agricoltori e dei lavoratori agricoli, ottenne, con regio decreto 14
luglio 1937, n.1485, il riconoscimento giuridico come Cassa Nazionale di
Assistenza per gli Impiegati agricoli e forestali, successivamente trasformata,
con legge n. 1655 del 1962, in Ente nazionale
di previdenza ed assistenza per gli impiegati dell’agricoltura, ente pubblico
soggetto alla vigilanza del Ministero del lavoro.

26. L’iniziale assetto della Cassa, per cui le
tutele assicurative e i mezzi di finanziamento trovavano la fonte nei contratti
collettivi e nei regolamenti di attuazione adottati dal comitato direttivo
della Cassa, con i quali venivano disciplinate le forme di previdenza, è stato
ampliato con la citata legge del 1962 che ha
recepito l’ordinamento previdenziale precedente demandando la regolamentazione
di ciascuna forma di previdenza ai regolamenti adottati dal Consiglio di
Amministrazione dell’Ente e definitivamente poi approvati dal competente
Ministero del Lavoro e della Previdenza Sociale.

27. Con legge n. 833 del
1978, di riforma ed istituzione del Servizio Sanitario Nazionale, l’Ente ha
perso la gestione dell’assicurazione contro le malattie, così connotandosi come
Ente gestore di previdenza.

28. Il decreto
legislativo n.509 del 1994 ha, quindi, incluso l’ENPAIA tra gli Enti
previdenziali privatizzati; con regolamento di attuazione seguito a delibera
del Consiglio di amministrazione in data 23 giugno 1995, approvato con decreto
interministeriale del 2 gennaio 1996, sono stati regolamentati finanziamenti e
prestazioni della Fondazione E.

29. E’ bene ricordare che l’art. 1 del citato d.lgs. n. 509
del 1994 ha assoggettato a trasformazione in associazioni o in fondazioni
di diritto privato molteplici enti pubblici gestori, regolando tale processo di
privatizzazione con la previsione di apposita deliberazione dei competenti
organi di ciascun ente, imponendo l’assenza di finanziamenti pubblici o altri
sostegni pubblici di carattere finanziario.

30. Le sentenze della
Corte costituzionale, 18 luglio 1997, n. 248 e 5
febbraio 1999, n. 15, hanno precisato che tale processo di trasformazione
non ha dato luogo ad una privatizzazione sostanziale, essendo rimasto immutato
il carattere pubblicistico dell’attività istituzionale svolta dagli enti
privatizzati, «articolandosi sul diverso piano di una modifica degli strumenti
di gestione e della differente i qualificazione giuridica dei soggetti stessi».

31. Dal 1996 sono, poi, confluite nell’E., in
qualità di Gestioni separate, le Casse di previdenza obbligatoria dei Periti
Agrari e degli Agrotecnici, istituite ai sensi del d.lgs.
n. 103 del 1996.

32. In tale cornice normativa, la cui evoluzione è
al passo con le trasformazioni di analoghe Casse categoriali previdenziali,
l’obbligazione di pagamento del trattamento economico per la cessazione del
rapporto di lavoro dei dirigenti e impiegati in agricoltura, ora TFR, in
origine indennità di anzianità, è sempre stata a carico della Cassa, ora Ente
previdenziale, così come l’obbligazione contributiva, per predisporne gli
accontamenti e la provvista, è sempre stata a carico del datore di lavoro in
via esclusiva, vale a dire senza onerare il lavoratore di alcun contributo a
suo carico.

33. Le fonti normative sono, al riguardo, l’articolo 2 della citata legge del
1962 che, nel disciplinare l’obbligazione contributiva ripartita, in misura
percentuale, fra i datori di lavoro e i lavoratori, in riferimento alle
prestazioni erogate dall’Ente, ha con chiarezza disposto che l’obbligazione per
«il contributo per il fondo di accantonamento dell’indennità di anzianità è
stabilito nella vigente misura dell’8 per cento della retribuzione ed è posto
ad esclusivo carico dei datori di lavoro».

34. Le prestazioni erogate dall’Ente risultano
enucleate nell’articolo 7 della
richiamata legge del 1962, con disposizione che recita: «L’Ente corrisponde
all’assicurato o ai suoi aventi causa le prestazioni dell’assicurazione contro
le malattie e dell’assicurazione contro gli infortuni, in pure la parte del
fondo di previdenza afferente ai rischi di morte e di invalidità permanente
totale ed assoluta anche nei casi in cui, al verificarsi degli eventi tutelati,
il datore di lavoro risulti moroso in tutto o in parte nel versamento dei
contributi dovuti. In particolare, qualora intervenga la risoluzione del
rapporto d’impiego mentre il datore di lavoro risulti moroso nel versamento dei
contributi dovuti, l’Ente liquida all’assicurato, o ai suoi aventi causa, gli
importi accantonati alla data di risoluzione del rapporto medesimo,
rispettivamente nel conto individuale del fondo di previdenza, e nel fondo di
accantonamento dell’indennità di anzianità, maggiorati degli importi dei
contributi dovuti e non ancora versati per gli stessi titoli dal datore di lavoro».

35. Il cenno fatto dalla norma al datore di lavoro
moroso, parzialmente o totalmente, copre ogni condotta inadempiente del
soggetto obbligato e disvela l’intenzione del legislatore di coprire ogni
evento protetto a prescindere dalla provvista contributiva e dal puntuale
adempimento, da parte del datore di lavoro, dell’obbligazione contributiva, in
particolare, poi, se il titolo risiede negli accantonamenti per trattamenti
economici alla cessazione del rapporto di lavoro (si rinvia a Cass. n. 18571 del 2003, per l’affermazione del
diritto dell’assicurato di ricevere le indennità previste dalla legge nella
misura dovuta anche nel caso di omissioni contributive totali o parziali, in
fattispecie relativa al versamento di minori contributi in riferimento alla
qualifica del lavoratore).

36. Anche le successive fonti regolatrici della
prestazione che ne occupa, in esito alla privatizzazione dell’Ente, nel
disciplinare finanziamento e prestazioni della Fondazione Enpaia hanno ribadito
e riaffermato che l’obbligazione contributiva per il fondo di accantonamento
del trattamento di fine rapporto, stabilito nella misura del 6,50 per cento
della retribuzione, è a totale carico dei datori di lavoro e che gli stessi
potranno direttamente trattenere la quota di cui all’articolo 3, comma 16, della legge 29
maggio 1982 n. 297 in quanto dovuta per il lavoratore stesso (art. 2, co. 1 lett. b) regolamento
di attuazione cit.).

37. Questa Corte, con specifico riferimento al
contributo per il fondo di accantonamento per l’indennità di anzianità, con la
sentenza n. 5307 del 1987 ha già posto in risalto che l’obbligo di pagamento
ricade direttamente non sul datore di lavoro bensì sull’E., in caso di morosità
dei datori di lavoro nel versamento dei contributi; che l’E. liquida
l’indennità di anzianità computandoveli, svolgendo un ruolo di garante per
l’integrale pagamento che spetta al lavoratore, col diritto di rivalsa verso il
datore di lavoro, desumendo argomenti a sostegno di tale interpretazione dalla
sanzione della rivalutazione dei contributi non versati, riferita unicamente al
credito senza alcun riferimento al soggetto obbligato.

38. Quell’impostazione merita di essere chiarita, in
continuità con i principi generalmente affermati dalla giurisprudenza della
Corte, e ulteriormente ribaditi in epoca più recente, in riferimento alla
natura giuridica dei rapporti intercorrenti fra Casse previdenziali, datori di
lavoro e lavoratori, configurata come delega (da parte del datore di lavoro)
formata con l’iscrizione alla Cassa (v., in riferimento alla Cassa edile, Cass. n. 7050 del 2011 e i precedenti ivi
richiamati; v., in seguito, Cass. n. 670 del 2018
e, da ultimo, Cass. n. 10782 del 2020).

39. Tale schema prevede che non potendo la Cassa
delegata opporre ai lavoratori delegatari le eccezioni fondate sul rapporto di
provvista che avrebbe potuto opporre al datore di lavoro delegante (giusta la
previsione dell’art. 1271, secondo comma, cod.civ.),
la medesima non può eccepire ai lavoratori l’inadempimento, nei suoi confronti,
della parte datoriale, essendo legittimata a richiedere a quest’ultimo non solo
il pagamento dei contributi, dei quali è titolare, ma anche il pagamento delle
somme che il datore di lavoro avrebbe dovuto accantonare.

40. Considerato il meccanismo normativamente
previsto nel rapporto tra imprenditore, E. e lavoratori in termini di
delegazione di pagamento, il conseguente diritto dei lavoratori integra una
delegazione (ex artt. 1269 e segg. cod.civ.) e
l’ente non diventa obbligato nei confronti del lavoratore con il mero sorgere
del rapporto di lavoro, bensì solo con il pagamento, da parte del datore, delle
somme stesse.

41. Non essendo tale obbligo configurabile senza un
simmetrico diritto, ben può l’E. esigere dal datore di lavoro il pagamento
delle somme dovute e tale complesso meccanismo che presiede al funzionamento
dell’Ente si spiega da un lato con l’esigenza di assicurare la disponibilità di
somme necessarie allo svolgimento delle attività previdenziali ed assistenziali
assolte dall’ente e, dall’altro lato, con lo scopo di garantire ai lavoratori
beneficiari l’effettività del pagamento delle prestazioni coerentemente con la
funzione previdenziale svolta dall’Ente.)

42. Risulta, per quanto appena detto, non incrinata
l’impostazione fin qui illustrata dall’argomento, speso dall’Ente, con
riferimento alla previsione del termine prescrizionale per l’azione di recupero
per corroborare la tesi difensiva secondo cui decorso il quinquennio l’effetto
estintivo del credito contributivo si riverberebbe sulla misura della
prestazione da erogare.

43. Non solo non può ritenersi utile la disciplina
dell’effetto estintivo dell’obbligazione per affermare o negare l’esistenza
stessa dell’obbligazione ma l’azione di recupero dei contributi omessi, da
esercitare nel termine di prescrizione quinquennale, è posta a presidio proprio
della autonoma capacità di finanziamento dell’ente in funzione della erogazione
delle prestazioni alle quali è tenuto e coerentemente con l’ormai pacificamente
e legislativamente riconosciuta funzione previdenziale dell’E.

44. In definitiva, l’inadempimento datoriale nel
versamento degli accantonamenti non riduce la prestazione economica che l’Ente
è tenuto ad erogare ai lavoratori, a titolo di trattamento di fine rapporto,
nella misura integrale, ben potendo e dovendo l’ente previdenziale azionare,
entro congruo tempo, nei confronti del datore di lavoro, il credito per gli
accantonamenti non versati.

45. Il ricorso va, pertanto, rigettato.

46. Le spese di lite si liquidano come in
dispositivo e seguono la soccombenza.

47. Ai sensi dell’art. 13, co.1-quater, d.P.R. n.
115/2002, sussistono i presupposti processuali per il versamento, a carico
della parte ricorrente, dell’ulteriore importo, a titolo di contributo
unificato, pari a quello per il ricorso ex art. 13,co. 1, se dovuto.

 

P.Q.M.

 

Rigetta il ricorso; condanna il ricorrente al
pagamento delle spese, liquidate in euro 200,00 per esborsi, euro 3.500,00 per
compensi professionali, oltre accessori di legge e rimborso forfetario del 15
per cento. Ai sensi dell’art. 13,
co.1-quater, d.P.R. n. 115/2002, sussistono i presupposti processuali per
il versamento, a carico della parte ricorrente, dell’ulteriore importo, a
titolo di contributo unificato, pari a quello per il ricorso ex art. 13, co. 1, se dovuto.

Giurisprudenza – CORTE DI CASSAZIONE – Sentenza 04 marzo 2021, n. 6080
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