Giurisprudenza – CORTE DI CASSAZIONE – Sentenza 04 marzo 2021, n. 6083
Licenziamento per giustificato motivo oggettivo, Principi di
correttezza e buona fede nella scelta del lavoratore da licenziare, Calo di
commesse, unitamente alla situazione di crisi del mercato, Semplice flessione
dell’andamento degli affari, Manifesta insussistenza del fatto posto a base
del licenziamento, Non sussiste
Svolgimento del processo
Con ricorso al Tribunale di Palmi, G.I. impugnava il
licenziamento per g.m.o. intimatogli con lettera del 25.9.14 dalla s.r.l. U.S.
presso cui prestava servizio dal 29.4.08 quale operaio portuale IV livello
deducendo l’inesistenza del giustificato motivo, la mancata indicazione dei
motivi del licenziamento e la violazione dei principi di correttezza e buona
fede nella scelta del lavoratore da licenziare.
Nella resistenza della società U.S., che eccepiva la
decadenza del ricorso e contestava nel merito le domande avversarie, con
ordinanza resa il 30.6.2017, il giudice accoglieva parzialmente la domanda,
negando la tutela reintegratoria, in ragione della ritenuta esistenza del
giustificato motivo oggettivo, e accertava invece la violazione dei criteri di
buona fede e correttezza nella scelta dei lavoratori da licenziare,
conseguentemente dichiarando risolto il rapporto di lavoro e condannando la
società al pagamento di una indennità pari a venti mensilità dell’ultima
retribuzione.
A seguito di opposizione, proposta dal lavoratore,
il Tribunale confermava, sostanzialmente, la prima ordinanza, rilevando che il
calo di commesse, unitamente alla situazione di crisi del mercato e la
riduzione della produttività aziendale risultante dai bilanci costituissero
effettivo motivo oggettivo del licenziamento.
Riteneva invece violati i canoni di correttezza e
buona fede nella scelta dello l. come lavoratore da licenziare, osservando che
egli – appartenente al IV livello – era stato selezionato insieme a tre altri
operai di VI livello, in quanto considerato unità più costosa e in esubero,
motivazione qualificata come arbitraria dal giudice.
Avverso tale sentenza proponeva reclamo lo l.,
deducendo: che il licenziamento non poteva essere irrogato per una semplice
flessione dell’andamento degli affari, occorrendo invece una crisi
irreversibile o comunque tendenzialmente permanente; che il dato negativo,
sotto il profilo contabile, rappresentato dalla previsione di una perdita di
140.000 euro per l’anno 2014, era poco attendibile per la fonte da cui
proveniva e per il suo carattere previsionale, e comunque era contraddetto da
altri dati contabili positivi, inerenti alla crescita del valore della
produzione e al dimezzamento delle perdite di esercizio; che la quota di
fatturato che riguarda la ICO BLG era minima, che la perdita rientrava nella
normale fluttuazione del fatturato e che nessuna contrazione di affari e
annullamento dell’attività di movimentazione auto si era verificata; che la
tesi della società secondo cui vi era stata una notevole riduzione delle ore
lavorate, che erano state comunque retribuite e corrispondevano a oltre 7 unità
di lavoro in esubero, era smentita dai dati ricavabili dai LUL, secondo i quali
l’azienda nel periodo gennaio – luglio 2014 aveva fatto uso di ore di
straordinario per 300/350 mensili. Resisteva la società.
Con sentenza depositata il 29.10.18, la Corte
d’appello di Reggio Calabria rigettava il reclamo e compensava le spese.
Per la cassazione di tale sentenza propone ricorso
lo I., affidato a due motivi, cui resiste la società con controricorso.
Motivi della decisione
1 – Il lavoratore denuncia la violazione e/o falsa
applicazione degli artt. 3
e 5 della L. n. 604/66, 2697 c.c., 115, 116, 416 e 132, co.2 lett.4 c.p.c. in relazione all’art. 360, co. 1, n.3 c.p.c., nonché dell’art. 111, co.7 Cost.
Lamenta che la Corte distrettuale non valutò
correttamente gli elementi di fatto posti dalla società a fondamento del
licenziamento e non considerò che la sussistenza del giustificato motivo
obiettivo di licenziamento deve essere valutata con riferimento agli elementi
fattuali esistenti al momento del recesso.
II motivo è inammissibile, censurando accertamenti
di fatto compiuti dal giudice di merito in ordine alle risultanze dei dati di
bilancio, perdite di esercizio e previsionali, calo o meno del fatturato, etc.
ed in sostanza il connesso apprezzamento delle prove da parte della Corte
distrettuale, incensurabile in sede di legittimità alla luce del novellato n.5
dell’art. 360 co. 1. c.p.c.
2. – Con secondo motivo la ricorrente denuncia la
violazione e/o falsa applicazione degli artt. 3 e 5 della L. n. 604/66; dell’art. 18, commi 4 e 7 L. n. 300/70
(nel testo novellato dalla L. n. 92/12); degli
artt. 115, 116
ed ancora 132, co. 2 lett. 4 c.p.c.
Lamenta che la sentenza Impugnata aveva respinto la
richiesta di tutela reale di cui al comma 7 art. 18 citato (il giudice
può altresì applicare la disciplina di cui al comma 4 -reintegra- nell’ipotesi
in cui accerti la manifesta insussistenza del fatto posto a base del
licenziamento per giustificato motivo oggettivo).
Sostiene che la sentenza impugnata abbia errato nel
ritenere verificata la manifesta insussistenza del fatto posto a base del
licenziamento solo nel caso di evidenza di quest’ultima, e non nei casi, come
quello di specie, in cui la carenza del motivo oggettivo sia evinclbile da
elementi organizzativi risultanti dalle prove acquisite (es. assunzioni di
altri lavoratori; svolgimento di lavoro straordinario, etc.).
Il motivo è infondato.
Questa Corte ha già osservato che la “manifesta
insussistenza del fatto posto a base del licenziamento”, di cui all’art. 18, comma 7, st.lav.
come modificato dall’art. 1, comma
42, della I. n. 92 del 2012, è da intendersi come chiara, evidente e
facilmente verificabile assenza dei presupposti di legittimità del recesso, cui
non può essere equiparata una prova meramente insufficiente, ovvero, è il caso
si precisarlo, l’ipotesi in cui tale requisito possa semplicemente evincersi da
altri elementi di per sé opinabili o non univoci, come nel caso di specie il
ricorso ad ore di straordinario, normalmente legato ad esigenze contingenti (e
dalla Corte di merito accertate, peraltro, come riferibili al monte ore di due
soli lavoratori), cfr. Cass. n.16702/18, Cass. n. 181/19.
3. Il ricorso va dunque rigettato.
Le spese di lite seguono la soccombenza e si
liquidano come da dispositivo.
P.Q.M.
Dichiara inammissibile il primo motivo e rigetta il
secondo. Condanna il ricorrente al pagamento delle spese del presente giudizio
di legittimità, che liquida in €.200,00 per esborsi, €.5.250,00 per compensi
professionali, oltre spese generali nella misura del 15%, i.v.a. e c.p.a. Ai
sensi dell’art. 13, comma 1 quater,
del d.P.R. n. 115/02, nel testo risultante dalla L. 24.12.12 n. 228, la Corte dà atto della
sussistenza dei presupposti processuali per il versamento, da parte del
ricorrente, dell’ulteriore importo a titolo di contributo unificato, pari a
quello previsto per il ricorso, a norma del comma 1 bis dello stesso art. 13, se dovuto.