Giurisprudenza – CORTE DI CASSAZIONE – Sentenza 08 marzo 2021, n. 6319

Licenziamento illegittimo, Reintegrazione del lavoratore,
Periodo compreso tra la data del licenziamento illegittimo e la data della
reintegrazione, Assimilazione a periodo di lavoro effettivo ai fini della
determinazione del diritto alle ferie annuali

 

Fatti di causa

 

1. C.C., dipendente della I. Banca spa, veniva
licenziata con lettera dell’11.7.2002 all’esito della procedura di mobilità
avviata il 1° marzo 2002 e conclusasi il 24 maggio 2002.

2. Con ordinanza del 4 settembre 2003 il Tribunale
di Roma ordinava la reintegrazione della ricorrente la quale riprendeva
servizio in data 6 ottobre 2003 ma, contestualmente, veniva sospesa dalla
società che avviava la procedura ex art. 5 legge n. 300 del 1970 per
l’accertamento della idoneità fisica all’espletamento delle mansioni assegnate.

3. Con lettera del 13 ottobre/15 novembre 2003 la I.
Banca spa recedeva nuovamente dal rapporto, con effetto immediato ed esonerando
la lavoratrice dal prestare attività nel periodo di preavviso.

4. I due atti di licenziamento sono stati entrambi
dichiarati illegittimi con provvedimenti divenuti definitivi.

5. La C. veniva riammessa in servizio a partire dal
26.9.2008 ed il rapporto di lavoro è cessato in forza di un ulteriore atto di
recesso intervenuto il 17.9.2010.

6. Nelle more, previo ricorso al Tribunale di Roma
C.C. ne otteneva il decreto n. 5529/08 con il quale veniva ingiunto alla I.
Banca spa il pagamento della somma di euro 3.521,00 oltre accessori, a titolo
di importo dovuto per 30,5 giorni di ferie e 5 di permessi per festività
soppresse maturate e non godute per l’anno 2003 (fino al 15 novembre 2003).

7. Il Tribunale di Roma, a seguito di opposizione,
con sentenza n. 10952/2010, revocava il decreto ingiuntivo opposto e condannava
la I. Banca spa al pagamento della somma lorda di euro 3.784,82, oltre spese,
per la causale richiesta, limitatamente al periodo antecedente la data di
irrogazione del secondo licenziamento.

8. Previo ulteriore ricorso al Tribunale di Roma,
C.C. ne otteneva anche il decreto n. 6882/09 con cui veniva ingiunto alla I.
Banca spa il pagamento della somma di euro 2.596,16, oltre accessori, a titolo
di importo dovuto per giorni 27 di ferie e 5 di permessi per festività
soppresse maturate e non godute per l’anno 2004.

9. Il Tribunale di Roma, a seguito di opposizione,
con sentenza n. 10951/2010 revocava il decreto ingiuntivo opposto e condannava
C.C. al pagamento delle spese.

10. Avverso le predette sentenze la C. proponeva
appello e, riuniti i gravami, la Corte di appello di Roma rigettava le
impugnazioni evidenziando che: a) l’eccezione di inammissibilità degli appelli,
sollevata dalla società, era infondata; b) l’indennità sostitutiva delle ferie
e dei permessi, che in ipotesi di licenziamento illegittimo sarebbero maturate
nell’arco temporale tra il recesso e la reintegrazione, non spettavano perché
erano legate necessariamente al mancato riposo che, nel caso de quo, non era
ravvisabile in quanto la dipendente non aveva lavorato; c) la esclusione della
natura reale del preavviso aveva determinato la immediata cessazione del
rapporto con la conseguenza della non computabilità del preavviso non lavorato
nella base di calcolo delle ferie, delle mensilità supplementari e del
trattamento di fine rapporto; d) infondata era anche la pretesa di vedersi
liquidare le indennità sino al 15.11.2003 al netto e non al lordo.

11. Nei confronti della decisione di secondo grado
ha proposto ricorso per cassazione C.C. affidato a 5 motivi.

12. L’I. Banca spa ha resistito con controricorso.

13. All’esito della discussione del giudizio in
pubblica udienza, con ordinanza interlocutoria n. 451 del 2019 questa Corte,
previa sospensione del processo, ha rimesso alla Corte di Giustizia dell’Unione
Europea la seguente questione pregiudiziale: “Se l’art. 7 par. 2 della direttiva 2003/88
e l’art. 31 punto 2 della Carta dei
diritti fondamentali dell’Unione Europea, anche separatamente considerati,
debbano essere interpretati nel senso che ostino a disposizioni o prassi
nazionali in base alle quali, cessato il rapporto di lavoro, il diritto al
pagamento di una indennità pecuniaria per le ferie maturate e non godute (e per
un istituto giuridico quale le cd. “Festività soppresse” equiparabile
per natura e funzione al congedo annuale per ferie) non sia dovuto in un
contesto in cui il lavoratore non abbia potuto farlo valere, prima della
cessazione, per fatto illegittimo (licenziamento accertato in via definitiva
dal giudice nazionale con pronuncia comportante il ripristino retroattivo del
rapporto lavorativo) addebitale al datore di lavoro, limitatamente al periodo
intercorrente tra la condotta datoriale e la successiva reintegrazione”.

14. La Corte di Lussemburgo (Prima Sezione), con sentenza del 25.6.2020 (cause riunite C-762/18 e
C-37/19), ha così dichiarato: “1) L’articolo 7, paragrafo 1, della direttiva
2003/88/CE del Parlamento Europeo e del Consiglio, del 4 novembre 2003,
concernente taluni aspetti dell’organizzazione dell’orario di lavoro, deve
essere interpretato nel senso che esso osta a una giurisprudenza nazionale in
forza della quale un lavoratore illegittimamente licenziato e successivamente
reintegrato nel suo posto di lavoro, conformemente al diritto nazionale, a
seguito dell’annullamento del suo licenziamento mediante una decisione
giudiziaria, non ha diritto a ferie annuali retribuite per il periodo compreso
tra la data del licenziamento e la data della sua reintegrazione nel posto di
lavoro, per il fatto che, nel corso di detto periodo, tale lavoratore non ha
svolto un lavoro effettivo al servizio del datore di lavoro; 2) l’articolo 7, paragrafo 2, della
direttiva 2003/88 deve essere interpretato nel senso che esso osta ad una
giurisprudenza nazionale in forza della quale, in caso di cessazione di un
rapporto di lavoro verificatasi dopo che il lavoratore interessato sia stato
illegittimamente licenziato e successivamente reintegrato nel suo posto di
lavoro, conformemente al diritto nazionale, a seguito dell’annullamento del suo
licenziamento mediante una decisione giudiziaria, tale lavoratore non ha
diritto a un’indennità pecuniaria a titolo delle ferie annuali retribuite non
godute nel corso del periodo compreso tra la data del licenziamento illegittimo
e quella della sua reintegrazione nel posto di lavoro”.

15. Con istanza del 21.9.2020, notificata il
24.9.2020 il giudizio è stato riassunto ad iniziativa di C.C., nel cui
interesse è stata depositata memoria ex art. 378
c.p.c..

 

Ragioni della decisione

 

16. Con il primo motivo la ricorrente ha censurato
la violazione dell’art. 360 n. 3 e n. 5 c.p.c.,
per motivazione insufficiente e contraddittoria in relazione ad alcuni punti
decisivi della controversia tra le parti sotto il profilo della ricostruzione
dei fatti, in particolare in ordine alla sospensione cautelare disposta da I.
Banca nei suoi confronti nel mese di ottobre 2003 (a seguito della
reintegrazione nel posto di lavoro) e al secondo licenziamento disposto con
lettera del 13.10.2003 con riguardo all’aspetto di una pretesa violazione del
divieto del “ne bis in idem”, per essere i recessi fondati sulla
stessa causa.

17. Con il secondo motivo è stata contestata, con
riguardo all’istituto del preavviso relativo ai licenziamenti collettivi ex lege n. 223 del 1991 e DM 157 (Settore
Federcasse), la violazione della norma relativa ai licenziamenti collettivi da
parte di I. Banca spa, degli artt.
86 e 84 del CCNL del 7.12.2000
nonché dell’art. 4 comma 9
della legge n. 223 del 1991, in relazione all’art.
360 n. 3 c.p.c., con riferimento all’obbligo del preavviso, all’illegittimo
reiterato licenziamento collettivo con lettera del 13.10.2003, ricevuta il
15.11.2003, per non avere valutato la Corte di merito la condotta di I. Banca
la quale, in relazione al citato licenziamento, aveva ritenuto risolto il
rapporto e corrisposto la indennità sostitutiva del preavviso, nonostante il
dissenso alla dispensa manifestato dalla lavoratrice, non coincidente peraltro
con l’importo effettivamente dovuto da riferire al periodo di sette mesi (come
previsto dal CCNL) decorrente dalla data di ricezione del licenziamento
(novembre 2003) al giugno 2004 (termine poi prorogato all’esito della malattia
al 28.2.2005): il tutto aderendo alla natura di efficacia reale (e non
obbligatoria dell’istituto del preavviso).

18. Con il terzo motivo la ricorrente ha denunziato
la violazione dell’art. 360 n. 3 c.p.c., in
relazione al combinato disposto degli artt. 41
Cost. e 2103 e 2087
cc, perché la Corte di merito, non riconoscendo alla lavoratrice il
preavviso e la cd. natura reale del preavviso stesso, ha di fatto negato il
diritto a fruire dei periodi di ferie maturati e non godute per colpa di
società dell’I. Banca spa la quale non aveva ottemperato all’ordine di
reintegra ponendo la ricorrente nell’impossibilità di espletare l’attività
lavorativa da cui conseguiva il diritto a godere delle ferie per il periodo dal
13.10.2003 al 28.2.2005.

19. Con il quarto motivo la ricorrente si è
lamentata della violazione e falsa applicazione degli artt. 36 Cost., 909,
2099, 2103, 1218, 1223, 1226, 1322, 1362 e ss, 1372, 1375 cc, in relazione al CCNL
2000 per i Quadri, gli impiegati, i commessi e gli ausiliari delle Aziende
di credito, dell’art. 6 D.l. n.
333/92, convertito in legge n. 369/1992, con riferimento all’art. 360 n. 3 e n. 5 c.p.c., nonché omessa,
insufficiente, illogica e contraddittoria motivazione nella sentenza n. 7697 del 4.10.2013 della Corte di
appello ed omesso esame di punti decisivi. Sostiene la C. che la Corte di
merito, sotto II profilo delle retribuzioni, non aveva adeguatamente motivato
avendo inquadrato il credito vantato come indennità sostitutiva di preavviso;
inoltre, obietta che i giudici di seconde cure non avevano mai detto che si
trattava di un licenziamento collettivo; che vi erano state altre pronunce
della Corte di appello di Roma nelle quali veniva ribadita l’efficacia reale
del preavviso con il riconoscimento delle retribuzioni fino al febbraio 2005 e
che era stato male interpretato l’art. 2118 cc
attribuendo efficacia obbligatoria al preavviso e che comunque ad essa
spettavano tutti i diritti retributivi maturati nel corso del periodo di
preavviso.

20. Con il quinto motivo si è dedotta la violazione
e falsa applicazione dell’art.
18 comma 4 della legge n. 300 del 1970, nel testo modificato dalla legge n. 108 del 1990, in riferimento all’art. 360 n. 3 e n. 5 c.p.c., nonché l’omessa,
insufficiente, illogica e contraddittoria motivazione circa un punto decisivo
della controversia e la violazione di due sentenze passate in giudicato (n.
22495/2004 e n. 1030/2008), in relazione alla
reintegra della C. in data 26.9.2008, per non avere tenuto conto la sentenza
impugnata del fatto che la C. non aveva accettato dall’I. Banca spa, con
lettera del 15.11.2003, l’indennità sostitutiva ed anzi aveva offerto la
propria prestazione lavorativa così determinando una fattispecie di mora
accipiendi del datore di lavoro che le aveva impedito, altresì,
illegittimamente il suo ingresso in azienda; eccepisce, inoltre, un errato
calcolo della retribuzione globale di fatto posta a base del risarcimento del
licenziamento che in altra sede era stato dichiarato illegittimo.

21. Questo Collegio, in sede di rinvio pregiudiziale
alla CGUE, ha già precisato che la pretesa, oggetto del presente giudizio,
essendo stato già riconosciuto il diritto ad ottenere il pagamento delle ferie
e dei permessi maturati e non goduti con riferimento al periodo 1° gennaio/ 14
novembre 2003 ed essendo stato dichiarato illegittimo anche il licenziamento
intimato il 15.11.2003, come riferito in modo incontestato dalle parti in sede
di memorie illustrative, era limitata, quindi, all’accertamento del diritto in
relazione al successivo periodo 15 novembre 2003/ 31 dicembre 2004. In
particolare, con il terzo motivo del ricorso per cassazione, superata la
problematica della natura obbligatoria o reale del «preavviso» in
considerazione, come detto, dell’accertata illegittimità del recesso del
novembre 2003, è stata posta la questione dell’accertamento se spetti o meno al
lavoratore, nell’ipotesi appunto di licenziamento dichiarato illegittimo,
l’indennità sostitutiva delle ferie e dei permessi che, ove il lavoratore non
fosse stato estromesso dall’azienda, sarebbero maturati nell’arco temporale
compreso tra il recesso e la reintegrazione.

22. La Corte di appello di Roma, per quello che
interessa, come già evidenziato, ha respinto la pretesa richiamando precedenti
giurisprudenziali della Corte Suprema di Cassazione (Cass. 8.7.2008 n. 18707; Cass. 23.10.2000 n. 13953; Cass. 5.5.2000 n. 5624)
in cui si affermava che era necessario, ai fini del riconoscimento del suddetto
diritto, la circostanza dello svolgimento dell’attività lavorativa non essendo
rilevante che questa fosse stata impedita dal rifiuto della prestazione
addebitabile al datore di lavoro.

23. La C., con il suddetto terzo motivo del ricorso
per cassazione, ha -in sostanza- contestato tale statuizione e, in sede di
ricorso in riassunzione del 21.9.2020 (pag. 6) ha chiarito espressamente che la
domanda oggetto del procedimento è circoscritta all’accertamento del suo
diritto ad ottenere l’indennità sostitutiva delle ferie, dei permessi e delle
festività non goduti in relazione al periodo che va dal 15.11.2003 al
31.12.2004.

24. Orbene, preliminarmente, osserva il Collegio che
il primo, il secondo, il quarto ed il quinto motivo vanno dichiarati
inammissibili.

25. Invero, dato atto della perimetrazione del thema
decidendum, operata dalla ricorrente con la riassunzione del giudizio, va
considerato che le censure formulate nei predetti motivi: a) prospettano
problematiche che non si confrontano la ratio decidendi della gravata
pronuncia; b) riguardano altre vicende, estranee al giudizio in esame, che sono
state trattate in differenti procedimenti intercorsi tra le parti e definite
con provvedimenti di cui si è segnalato, tra l’altro, il passaggio in
giudicato.

26. Si tratta, quindi, di doglianze non conferenti
all’iter logico-giuridico seguito dalla gravata pronuncia.

27. Il terzo motivo è, invece, fondato relativamente
al profilo del diritto al riconoscimento della indennità sostitutiva delle
ferie, dei permessi e delle festività non godute, per il periodo sopra
indicato, maturate e non potute fruire a causa di un licenziamento, poi
dichiarato illegittimo, nell’arco temporale compreso tra il recesso e la
reintegrazione.

28. La Corte di Giustizia dell’Unione Europea (prima
Sezione), con la sentenza del 25.6.2020 emessa nelle cause riunite C-762/18 e
C- 37/19, adita in sede di rinvio pregiudiziale nell’ambito del presente
giudizio, ha dichiarato, invece, che: “1) L’articolo 7, paragrafo 1, della
direttiva 2003/88/CE del Parlamento Europeo e del Consiglio, del 4 novembre
2003, concernente taluni aspetti dell’organizzazione dell’orario di lavoro,
deve essere interpretato nel senso che esso osta a una giurisprudenza nazionale
in forza della quale un lavoratore illegittimamente licenziato e
successivamente reintegrato nel suo posto di lavoro, conformemente al diritto
nazionale, a seguito dell’annullamento del suo licenziamento mediante una
decisione giudiziaria, non ha diritto a ferie annuali retribuite per il periodo
compreso tra la data del licenziamento e la data della sua reintegrazione nel
posto di lavoro, per il fatto che, nel corso di detto periodo, tale lavoratore
non ha svolto un lavoro effettivo al servizio del datore di lavoro; 2) l’articolo 7, paragrafo 2, della
direttiva 2003/88 deve essere interpretato nel senso che esso osta ad una
giurisprudenza nazionale in forza della quale, in caso di cessazione di un
rapporto di lavoro verificatasi dopo che il lavoratore interessato sia stato
illegittimamente licenziato e successivamente reintegrato nel suo posto di lavoro,
conformemente al diritto nazionale, a seguito dell’annullamento del suo
licenziamento mediante una decisione giudiziaria, tale lavoratore non ha
diritto a un’indennità pecuniaria a titolo delle ferie annuali retribuite non
godute nel corso del periodo compreso tra la data del licenziamento illegittimo
e quella della sua reintegrazione nel posto di lavoro”.

29. In particolare, la Corte di Giustizia ha
preliminarmente affermato che il diritto alle ferie annuali retribuite non solo
riveste la qualità di principio del diritto sociale dell’Unione, come emerge
dalla direttiva 2003/88, la cui attuazione da parte delle autorità nazionali
competenti può essere effettuata solo nei limiti esplicitamente indicati nella
direttiva stessa (sentenza 29.11.2017, King C-216/16 EU:C: 2017: 914 punto 32 e
giurisprudenza ivi citata), ma è anche espressamente sancito all’articolo 31, paragrafo 2 della
Carta, cui l’art. 6 paragrafo 1 TUE riconosce il medesimo valore giuridico dei
Trattati (sentenza del 21 giugno 2012 ANGED,
C-78/11, EU:C:2012:372 punto 17 e giurisprudenza ivi citata).

30. Inoltre, è stato dichiarato che il diritto alle
ferie annuali retribuite non può essere interpretato in senso restrittivo (sentenza del 30.6.2016, Sobczyszyn, C-178/15,
EU:C:2016:502, punto 21 e giurisprudenza ivi citata) e che il diritto ad una
indennità finanziaria non è sottoposto, dalla direttiva
2003/88 ad alcuna condizione diversa da quella relativa, da un lato, alla
cessazione del rapporto di lavoro e, dall’altro, al mancato godimento da parte
del lavoratore di tutte le ferie annuali a cui aveva diritto alla data in cui
detto rapporto è cessato (sentenza del 6 novembre 2018, Kreuziger, C-619/16,
EU:C:2018:872, punto 31).

31. Pur avendo il diritto alle ferie una duplice
finalità, ossia di consentire al lavoratore, da un lato, di riposarsi rispetto
alla esecuzione dei compiti attribuitigli in forza del suo contratto di lavoro
e, dall’altro, di beneficiare di un periodo di distensione e di relazione (sentenza del 20.7.2016, Maschek, C-341/15, EU:
2016:576, punto 34 e giurisprudenza ivi citata), la Corte di Giustizia con la
su indicata pronuncia del 25.6.2020 (punto 59) ha sottolineato che in talune
situazioni specifiche, nelle quali il lavoratore non è in grado di adempiere
alle proprie funzioni, il diritto alle ferie annuali retribuite non può essere
subordinato da uno Stato membro all’obbligo di avere effettivamente lavorato (sentenza del 24.1.2012, Dominguez, C- 282/10
EU:C:2012:33, punto 20 e giurisprudenza ivi citata).

32. Non permettendo la direttiva
2003/88 agli Stati membri la possibilità di precludere la nascita del
diritto alle ferie retribuite ovvero di prevedere che tale diritto di un
lavoratore al quale è stato impedito di esercitarlo si estingua allo scadere
del periodo di riferimento e/o di un periodo di riposo fissato dal diritto
nazionale (sentenza del 29.11.2017, King, C-214/16
EU:C:2017:914, punto 51 e giurisprudenza ivi citata), la Corte di Giustizia ha
equiparato (punto 67 della pronuncia del 25.6.2020) la situazione di cui al
presente processo a quella della sopravvenienza di una inabilità al lavoro per
causa di malattia (trattandosi di contesti imprevedibili e indipendenti dalla
volontà del lavoratore), di talché il periodo compreso tra la data del
licenziamento illegittimo e la data della reintegrazione del lavoratore nel suo
impiego deve essere assimilato ad un periodo di lavoro effettivo ai fini della
determinazione dei diritti alle ferie annuali.

33. Alla stregua di quanto sopra precisato, il terzo
motivo, relativamente alla censura come delimitata, deve essere accolto per
quanto di ragione, non risultando, peraltro, che la C. abbia occupato, nel
periodo di riferimento, un altro posto di lavoro.

34. La gravata sentenza deve essere, pertanto, cassata
in relazione al suddetto motivo in parte qua ed essendo necessari ulteriori
accertamenti in fatto, onde verificare se le suddette indennità siano state
nelle more esattamente già corrisposte (cfr. seconda memoria ex art. 378 c.p.c.), la causa va rinviata alla Corte
di appello di Roma, in diversa composizione, che procederà ad un nuovo esame e
alle dovute verifiche attenendosi ai principi sopra esposti e provvederà
altresì sulle spese di giudizio.

 

P.Q.M.

 

Accoglie il terzo motivo per quanto di ragione,
inammissibili gli altri; cassa la sentenza in parte qua e rinvia alla Corte di
appello di Roma, in diversa composizione, cui demanda di provvedere anche sulle
spese di giudizio.

Giurisprudenza – CORTE DI CASSAZIONE – Sentenza 08 marzo 2021, n. 6319
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