Giurisprudenza – CORTE DI CASSAZIONE – Sentenza 08 marzo 2021, .n. 6314

Società consortile di autotrasportatori, Differenze
contributive, Variazione dell’inquadramento da quello artigiano al settore
industriale, Classe trasporto

 

Fatti di causa

 

1. Con sentenza n. 541/2014, la Corte d’appello di
Bologna ha parzialmente accolto l’impugnazione proposta dall’INPS avverso la
sentenza di primo grado che aveva accolto integralmente le opposizioni alle
cartelle esattoriali con le quali l’INPS aveva chiesto a C.A.F. soc.coop.
a.r.l., società consortile di autotrasportatori, le differenze di
contribuzione, relative al periodo compreso tra il gennaio 2001 ed aprile 2006,
derivanti dalla variazione dell’inquadramento da quello artigiano al settore
industriale – classe trasporto.

2. La Corte territoriale, disattesa l’eccezione di
inammissibilità dell’appello, rilevava che ai sensi dell’art. 6 della legge n. 443 del 1985,
i consorzi tra imprese artigiane, per iscriversi nella sezione separata
dell’albo delle imprese artigiane, devono essere costituiti esclusivamente da
imprese di tale natura, laddove la C.A.F. s.c.a.r.l. era composta da 22 imprese
artigiane e 4 non artigiane. Inoltre, la procedura di accertamento espletata ai
sensi dalla legge n. 63 del 1993, vincolante
anche ai fini previdenziali ed assistenziali ed impugnabile attraverso le
procedure previste dalla legge n.
443 del 1985 art. 7, non impediva al giudice del merito, in caso di
contestazione, di verificare l’effettiva sussistenza dei presupposti di fatto
relativi ai requisiti richiesti.

Confermato, dunque, l’inquadramento nel settore
industriale alla luce della accertata natura mista del consorzio, la Corte
territoriale ha, tuttavia, affermato che la data di decorrenza del nuovo
inquadramento, contrariamente all’assunto dell’INPS basato sull’art.3, ottavo comma, I. n. 335 del
1995, doveva essere fissata dalla data di notifica del verbale di
accertamento (10 aprile 2006), ciò in quanto l’INPS era a conoscenza
dell’inquadramento del consorzio nel settore artigiano, disposto dalla
Commissione Provinciale per l’Artigianato su richiesta della stessa società, e
della sua composizione mista.

3. Avverso tale sentenza ricorre per cassazione il
consorzio C.A.F. s.c.a.r.l sulla base di cinque motivi successivamente
illustrati da memoria.

Resiste l’INPS con controricorso.

 

Ragioni della decisione

 

4. Con il primo motivo di ricorso si denuncia la
violazione degli artt. 111 Cost. e 132 c.p.c, in relazione all’art. 360, primo comma n. 4), c.p.c., lamentando la
nullità della sentenza per difetto di motivazione, posto che la stessa si era
limitata a ricalcare un precedente di legittimità (Cassazione
n. 2418 del 2012) basato su fattispecie solo apparentemente analoga. Tale
tecnica di relazione ad atto esterno al processo renderebbe impossibile la
verifica dell’identità tra la due cause ed il presupposto fattuale e probatorio
della causa relativa al precedente richiamato.

5. Con il secondo motivo, sempre con riferimento all’art. 360, primo comma n. 4) c.p.c., si denuncia la
violazione dell’art. 434 c.p.c. per genericità
dei motivi dell’atto d’appello, posto che gli stessi non avevano svolto alcuna
censura specifica quanto alle affermazioni della sentenza impugnata,
limitandosi a riproporre gli argomenti già spesi in primo grado.

6. Con il terzo motivo di ricorso si deduce la
violazione degli artt. 112, 324, 345 e 437 c.p.c. in quanto la sentenza di primo grado
aveva riconosciuto come pacifica la circostanza dell’iscrizione del consorzio
in separata sezione dell’albo delle imprese artigiane, come previsto dall’art. 6, comma 1, I. n. 443 del 1985,
cosi sancendo almeno implicitamente che il consorzio possedesse i requisiti di
legge per l’iscrizione, mentre i motivi d’appello non avevano riguardato la
questione del possesso dei requisiti per l’iscrizione in separata sezione
dell’albo delle imprese artigiane ma solo il profilo degli effetti
dell’iscrizione predetta ai fini previdenziali, determinando su tale aspetto il
conseguente formarsi del giudicato interno.

7. Con il quarto motivo di ricorso, sostanzialmente
reiterando il ragionamento di cui al motivo precedente, si denuncia la
violazione degli artt. 113 c.p.c. e  7,
comma 5, I. n. 443 del 1985 in quanto l’accertamento della iscrizione nella
sezione del settore artigiano era stato accertato in primo grado e non
impugnato in appello.

8. Con il quinto motivo si deduce la violazione
degli artt. 113 c.p.c. e 5 e 6, commi 1, 2 e 5, I. n. 443 del
1985 e dell’art. 13 I. reg.
Emilia Romagna 29 ottobre 2001 n. 32, in ragione del carattere costitutivo
della iscrizione alla sezione speciale dell’albo delle imprese artigiane ex art. 6 cit. e della sua
definitività a seguito del giudicato formatosi sulla sentenza di primo grado.

Ad avviso della ricorrente, dall’entrata in vigore
della legge n. 63 del 1993 la circostanza che
l’iscrizione abbia assunto efficacia vincolante anche ai fini previdenziali ed
assistenziali, come più volte affermato dalla giurisprudenza di legittimità,
avrebbe dovuto indurre la Corte d’appello – divenuto definitivo l’accertamento
della stessa iscrizione – a trarre la conclusione della correttezza
dell’inquadramento nel settore artigiano. Peraltro, la legge regionale Emilia Romagna n.32 del 2001 aveva
parificato le società consortili tra imprese artigiane e quelle miste, ai fini
dell’iscrizione nella separata sezione dell’albo.

9. Il primo motivo è infondato. Va rilevato che la
motivazione della sentenza impugnata, seppure caratterizzata dalla estesa
riproduzione della motivazione della sentenza di questa Corte di cassazione n. 2418 del 2012, si compone
anche (pagina 4) dell’affermazione del principio secondo il quale l’art. 6 della legge n. 443 del 1985
prevede che le imprese artigiane, per poter essere iscritte nella separata
sezione dell’albo delle imprese artigiane, devono essere costituite
esclusivamente da imprese di tale natura, mentre nella fattispecie in esame il
C.A.F. risulta composto da 26 imprese, di cui 22 artigiane e 4 non artigiane.
Si tratta, all’evidenza, di una affermazione di senso compiuto che esprime in
modo razionale l’interpretazione data della disposizione richiamata, a
prescindere dalla sua correttezza. Essa è idonea ad integrare il minimum
richiesto dal dettato costituzionale di cui all’art.
111 C. e dall’art. 132 c.p.c., come inteso
dalla giurisprudenza di questa Corte di cassazione secondo la quale, in tema di
contenuto della sentenza, il vizio di motivazione previsto dall’art. 132, comma 2, n. 4, c.p.c. e dall’art. 111 Cost. sussiste quando la pronuncia riveli
una obiettiva carenza nella indicazione del criterio logico che ha condotto il
giudice alla formazione del proprio convincimento, come accade quando non vi
sia alcuna esplicitazione sul quadro probatorio, né alcuna disamina
logico-giuridica che lasci trasparire il percorso argomentativo seguito (Cass.
n. 3819 del 2020), oppure quando la motivazione è solo apparente, nel senso che
non costituisce espressione di un autonomo processo deliberativo, quale la sentenza
di appello motivata per relationem ad altra sentenza, senza alcun esame critico
delle ragioni alla stessa sottese in base ai motivi di gravame (vd. Cass. n.
27112 del 2018).

10. Il secondo motivo è inammissibile per difetto di
specificità. Questa Corte di cassazione ha più volte affermato il principio
secondo il quale la denuncia di violazione dell’art.
434 cod. proc. civ. va formulata nel rispetto degli oneri di specificazione
e di allegazione imposti dagli artt. 366 n. 6 e
369 n. 4 cod. proc. civ.

La giurisprudenza di questa Corte (da ultimo Cass.
n. 20924 del 2019), infatti, è consolidata nell’affermare che, anche qualora
venga dedotto un error in procedendo, rispetto al quale la Corte è giudice del
«fatto processuale», l’esercizio del potere/dovere di esame diretto degli atti
è subordinato al rispetto delle regole di ammissibilità e di procedibilità
stabilite dal codice di rito, in nulla derogate dall’estensione ai profili di
fatto del potere cognitivo del giudice di legittimità ( Cass. S.U. n.
8077/2012).

La parte, quindi, non è dispensata dall’onere di
indicare in modo specifico i fatti processuali alla base dell’errore denunciato
e di trascrivere nel ricorso gli atti rilevanti, non essendo consentito il
rinvio per relationem agli atti del giudizio di merito, perché la Corte di
Cassazione, anche quando è giudice del fatto processuale, deve essere posta in
condizione di valutare ex actis la fondatezza della censura e deve procedere
solo ad una verifica degli atti stessi non già alla loro ricerca (Cass. n.
15367/2014; Cass. n. 21226/2010).

 Dal principio
di diritto discende che, qualora, come nella fattispecie, il ricorrente assuma
che l’appello doveva essere dichiarato inammissibile per difetto della
necessaria specificità dei motivi di impugnazione, la censura potrà essere
scrutinata a condizione che vengano riportati nel ricorso, nelle parti
essenziali, la motivazione della sentenza di primo grado e l’atto di appello.
Tale specificazione è del tutto carente, essendo il motivo impostato
esclusivamente sul richiamo di precedenti di questa Suprema Corte relativi alla
necessaria specificità dei motivi d’appello, senza alcun concreto riferimento
ai contenuti della sentenza di primo grado e dell’atto d’appello.

11. Il terzo ed il quarto motivo, da trattarsi
congiuntamente in quanto connessi, sono infondati. Non è corretta la tesi
sostenuta dalla ricorrente secondo la quale si sarebbe formato il giudicato interno
in ordine alla vincolatività ai fini previdenziali ed assistenziali
dell’iscrizione della C.A.F. s.c.a.r.l. nella sezione separata dell’albo delle
imprese artigiane, come previsto dall’art. 6, comma 1, I. n. 443 del 1985,
per effetto della mancata specifica impugnazione dell’accertamento della stessa
iscrizione. In particolare, va fatta applicazione della consolidata
giurisprudenza di questa Corte secondo la quale, al fine di selezionare le
questioni suscettibili di devoluzione e, per converso, di giudicato interno se
non censurate nel grado successivo, utilizza la locuzione ” minima unità
suscettibile di acquisire la stabilità del giudicato interno”, che
consiste nella sequenza ” fatto – norma effetto giuridico”,
giurisprudenza che afferma altresì che l’impugnazione relativa anche soltanto
ad uno di tali segmenti impedisce la formazione del giudicato ( ex aliis v.
anche se non tutte massimate, Cass. n. 1422/21; Cass. n. 56/21; Cass. n. 23796/19; Cass. n. 10760/19; Cass. n.
24783/18; Cass. n. 16853/18; Cass. n. 12202/17; Cass. n. 2217/16; Cass. n.
6698/14; Cass. n. 16583/12; Cass. n. 16808/2011; Cass. n. 14421/99; Cass. n.
10832/98; Cass. n. 6769/98).

Quindi, nel caso di specie, non c’era né poteva
esservi giudicato interno sulla mera constatazione in fatto che il consorzio
era iscritto in separata sezione dell’albo delle imprese artigiane.

Né poteva essersi formato giudicato alcuno sulla
deduzione- sostenuta da parte ricorrente- che il dare atto dell’iscrizione
equivalesse ad implicito riconoscimento da parte del primo giudice del possesso
dei requisiti per l’iscrizione medesima: ciò sia detto non solo e non tanto per
la (arbitraria) inferenza in sé, quanto per il rilievo che proprio il possesso
dei requisiti era stato investito dall’impugnazione.

12. Anche il quinto motivo di ricorso è infondato.
Questa Corte di cassazione ha affermato che l’impresa che chiede nei confronti
dell’INPS l’accertamento della sua natura artigiana per ottenere il
corrispondente inquadramento ai fini contributivi ha l’onere di provare la
sussistenza degli elementi richiesti per tale inquadramento, senza poter
limitarsi ad invocare l’iscrizione nell’albo delle imprese artigiane che ha
valore meramente indiziario e che, anche quando acquisisce valore costitutivo
per effetto della L. n. 443 del
1985, art. 5 può essere contestata a fini specifici, quale quello della
classificazione dell’impresa agli effetti del regime previdenziale.” (v.
Cass. Sez. Lav., n. 2090 del 26/2/1998; Cass. n. 24555 del 2016).

13. In particolare, Cass. n. 20443 del 2006 ha
ripercorso l’evoluzione normativa in materia di effetti che l’iscrizione della
impresa nell’albo delle imprese artigiane determina nei riguardi dell’Inps, e
quindi sul piano prettamente previdenziale, sia per quanto riguarda la
posizione dei titolari, sia per quanto riguarda il regime relativo ai
contributi da versare per i lavoratori dipendenti.

In tale occasione si è negato che la mancata
impugnazione da parte dell’Inps del provvedimento della commissione regionale
che ha confermato la iscrizione all’albo delle imprese artigiane, emesso dalla
commissione regionale competente, renda intangibile per l’azienda
l’inquadramento in questo settore ed intangibile per i soci la iscrizione nella
gestione Inps degli artigiani.

Il sistema che regola l’obbligo di pagamento della
contribuzione previdenziale è improntato al carattere meramente ricognitivo dei
provvedimenti di classificazione dei datori di lavoro, ossia della loro
inclusione o iscrizione nell’uno o nell’altro settore sulla cui si base si
determina il regime assicurativo, giacché a detti provvedimenti è estranea ogni
discrezionalità da parte di qualunque autorità pubblica.

14. In altri termini, continua la sentenza citata
“[…] poichè l’inquadramento del datore di lavoro, e quindi il regime
assicurativo applicabile è regolato esclusivamente dalla legge, la quale
richiede la esistenza di determinati presupposti in fatto per includere il
datore nell’uno o nell’altro settore (industria, artigianato, terziario ecc.),
tutti i provvedimenti di classificazione o inquadramento sono pienamente
sindacabili in sede giudiziale. E’ stato infatti già ritenuto da numerose precedenti
pronunzie (Cass. n. 2090 del 26 febbraio 1998, n. 2630 del 20 marzo 1999, n.
3792 del 15 marzo 2001 n. 4607 del 6 marzo 2004)
che dall’entrata in vigore della L. 17 marzo 1993,
n. 63 (di conversione, con modificazioni, del D.L.
15 gennaio 1993, n. 6), la iscrizione all’albo delle imprese artigiane ha
efficacia vincolante anche ai fini previdenziali ed assistenziali, ed è
impugnabile attraverso le procedure previste dalla L. n. 443 del 1985, art. 7
(ricorso alla Commissione Regionale; impugnazione del relativo provvedimento
davanti al Tribunale competente per territorio, che decide in Camera di Consiglio,
sentito il Pubblico Ministero), senza tuttavia che ciò impedisca al giudice del
merito, a fronte della contestazione formulata in giudizio dal convenuto e
della prova offerta dal medesimo, di verificare se sussistono tutti i requisiti
di legge per la qualifica artigiana, e di disapplicare, in caso di
insussistenza dei requisiti medesimi, l’atto di iscrizione, ancorchè non
impugnato in sede amministrativa e poi giudiziaria con la procedura di cui alla
L. n. 443 del 1985, citato art. 7.
Si tratta infatti di atti di certazione a contenuto interamente vincolato, che
possono essere sindacati “incidenter tantum” dal giudice ordinario e
disapplicati in quanto non conformi a legge, atteso che il giudice ha il potere
di verificare l’esistenza dei requisiti per il sorgere del regime pertinente,
indipendentemente dall’accertamento compiutone in sede amministrativa.”

15. Peraltro, questa Corte ha pure anche di recente
( Cass. n. 1167 del 2018 ed in precedenza Cass. n. 2418 del 2012) affermato che i consorzi
di imprese artigiane possono iscriversi nella separata sezione dell’albo delle
imprese artigiane previsto dall’art.
5 della I. n. 443 del 1985 e possono godere delle agevolazioni contributive
previste dall’art. 49, lett.
b), della I. n. 88 del 1989, a differenza dei consorzi misti, composti da imprese
artigiane e industriali, i quali possono usufruire delle sole agevolazioni
eventualmente previste dalle regioni, e a condizione che le imprese industriali
presenti al loro interno non siano in numero superiore a un terzo.

16. Il tenore lessicale della rubrica e del testo
dell’art. 6 rendono chiaro
che sia l’iscrizione negli elenchi di cui alla legge
n. 463 del 1959, prevista per i titolari dell’impresa, sia il regime
contributivo per i dipendenti (legge
n. 88 del 1989, art. 49, lett. b)) vengono riservati esclusivamente alle
imprese che hanno le caratteristiche indicate dalla legge per la configurazione
come artigiane, ed anche, logicamente, alle forme associative tra le imprese
del medesimo tipo, ossia a consorzi e società consortili di imprese artigiane,
mentre tradirebbe lo spirito di tutta la normativa sull’artigianato,
l’applicazione di detto regime a soggetti non rispondenti alla tipizzazione
della legge, come avverrebbe ove si considerasse artigiano un consorzio di cui
fa parte anche una sola impresa diversa.

17. Il motivo va, quindi rigettato, giacchè i
Giudici di merito ben potevano disapplicare il provvedimento della commissione
regionale di iscrizione dell’impresa nell’albo delle imprese artigiane e non
potevano accertare il diritto all’inquadramento nel settore artigiani in
presenza, incontestata, di consorzio composto da 22 imprese artigiane e 4 non
artigiane.

18. In definitiva, il ricorso va rigettato. Le spese
seguono la soccombenza nella misura liquidata in dispositivo.

 

P.Q.M.

 

rigetta il ricorso. Condanna la ricorrente al
pagamento delle spese del presente giudizio nella misura di Euro 11.000,00 per compensi,
oltre ad Euro 200,00 per esborsi, oltre spese forfetarie al 15% ed accessori di
legge.

Ai sensi del D.P.R. 30 maggio 2002, n. 115, art. 13,
comma 1 quater, dà atto della sussistenza dei presupposti processuali per il
versamento, da parte della ricorrente, dell’ulteriore importo a titolo di
contributo unificato pari a quello previsto per il ricorso, a norma dello
stesso art. 13, comma 1 bis,
ove dovuto.

Giurisprudenza – CORTE DI CASSAZIONE – Sentenza 08 marzo 2021, .n. 6314
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