Giurisprudenza – CORTE DI CASSAZIONE – Sentenza 15 marzo 2021, n. 7221

Prassi aziendale, Compimento del trentesimo anno di anzianità
aziendale, Consegna di orologio ai dipendenti, Fonte eteronoma del contratto
individuale, Trasferimento d’azienda, Diritto riconosciuto dall’uso aziendale
non sopravvive al mutamento della contrattazione collettiva

 

Fatto

 

1. Con sentenza del 16 luglio 2012, la Corte
d’appello di Torino rigettava l’appello proposto da F. s.p.a. avverso la
sentenza di primo grado, che l’aveva condannata al pagamento, in favore di M.C.
(suo dipendente con qualifica di operaio dal 1° ottobre 1997, a seguito di
successivi scorpori e cessioni del contratto, dopo essere stato assunto il 18
settembre 1974 da F. s.p.a. ed avere lavorato alle dipendenze di I. s.p.a. dal
1° gennaio 1979), della somma di € 2.500,00 (pari al valore di acquisto
dell’orologio d’oro G.P. corrisposto da dette società per il trentesimo anno di
anzianità aziendale) oltre rivalutazione ed interessi, nonché
all’accantonamento ai fini di T.f.r. (per inclusione in esso di quanto
corrispostogli per premio di anzianità, di compenso per festività cadenti la
domenica, permessi individuali non fruiti e lavoro straordinario)
dell’ulteriore somma di € 1.272,75, oltre rivalutazioni di legge.

2. Investita della sola impugnazione della condanna
al pagamento, la Corte territoriale ribadiva che la prassi aziendale (di
consegna del suindicato orologio ai dipendenti al compimento del trentesimo
anno di anzianità aziendale), in uso presso F. s.p.a. e le società succedute
nel rapporto di lavoro in questione, era stata mantenuta anche da F. s.p.a.

3. Sebbene normalmente essa, in quanto fonte
eteronoma del contratto individuale (e non sua clausola integrativa
eventualmente più favorevole), qualora sia prevista dal cedente ma non dal
cessionario, non si conservi nel trasferimento d’azienda, per la sostituzione
della contrattazione collettiva nazionale e aziendale applicata dal secondo
anche se più sfavorevole, tuttavia era stata riconosciuta anche da F. s.p.a.
con l’accordo integrativo aziendale del 5 giugno 2008. Questo aveva, infatti,
stabilito l’assorbimento di qualsiasi trattamento o uso analogo applicato
presso la società, con particolare riguardo a quanto previsto in materia di
“orologio, premio di anzianità e fedeltà”, per l’istituzione, con
decorrenza dal 1° luglio 2008, di un “Premio Esperienza” di anzianità
aziendale migliorativo: pertanto con valore ricognitivo della prassi vigente e
disponendo (solo) per il futuro.

4. Sicché, il lavoratore aveva maturato il diritto
al valore economico (solo genericamente contestato) del “premio
orologio”, avendo compiuto il trentesimo anno di anzianità il 18 settembre
2004, alle dipendenze di F. s.p.a. (cessionaria del suo contratto dal 1°
ottobre 1997, senza alcuna contestazione in primo grado, ma soltanto in
appello, tardivamente).

5. Con atto notificato il 15 gennaio 2013, la
società ricorreva per cassazione con due motivi, cui il lavoratore resisteva
con controricorso.

 

Motivi della decisione

 

1. Con il primo motivo, la ricorrente deduce
violazione e falsa applicazione degli artt. 2077,
2112 c.c. ed omessa, insufficiente o
contraddittoria motivazione su punto decisivo della controversia, per avere la
Corte territoriale ritenuto il mantenimento dell’uso aziendale di F. s.p.a. di
consegna di un orologio d’oro al compimento del trentesimo anno di servizio dei
dipendenti anche da F. s.p.a., sull’erroneo presupposto della cessione del
rapporto di lavoro di Cinato, all’atto del trasferimento del ramo d’azienda,
nel 1997 anziché nel 2004 (per essere stata la proprietà azionaria della
cessionaria mantenuta da F. s.p.a. e ceduta soltanto sette anni dopo a E.
s.p.a.: come riferito dal legale rappresentante), senza alcuna prova di ciò dal
lavoratore onerato; comunque non essendo la società tenuta al rispetto dell’uso
aziendale siccome non integrante clausola più favorevole del contratto
individuale e pertanto diritto da conservare, a norma dell’art. 2112, primo comma c.c. e sostituendosi la
contrattazione collettiva nazionale e aziendale applicata dalla cessionaria,
anche se più sfavorevole, a quella della cedente.

2. Con il secondo, essa deduce violazione e falsa
applicazione degli artt. 1340, 1362, 1363 c.c. ed
omessa, insufficiente o contraddittoria motivazione su punto decisivo della
controversia, per la non condivisa statuizione della Corte d’appello,
interpretativa dell’accordo aziendale integrativo 5 giugno 2008 come
modificativo in pejus, anziché migliorativo (secondo la reciproca attestazione
delle parti in esso del nuovo “Premio Esperienza … nel complesso
migliorativo rispetto a qualsiasi trattamento o uso analogo applicato presso
F., con particolare riguardo a quanto previsto in materia di orologio, premio
anzianità e fedeltà, che pertanto sono integralmente assorbiti e
sostituiti”) dell’uso aziendale, avente natura di mera fonte sociale e
pertanto ben modificabile dall’accordo aziendale integrativo, non soltanto per
il futuro.

3. I due motivi, congiuntamente esaminabili per
ragioni di stretta connessione, sono inammissibili.

4. Premessa la novità della circostanza, relativa al
tempo di trasferimento da F. s.p.a. a E. s.p.a. della proprietà azionaria di F.
s.p.a., cessionaria del ramo d’azienda cui era addetto il lavoratore, non
avendone trattato la sentenza (che ha comunque rilevato la tardività della
contestazione della cessione del contratto di lavoro a F. s.p.a. il 1° ottobre
1997, in quanto per la prima volta in appello: al secondo capoverso di pg. 6
della sentenza), né avendo la ricorrente assolto l’onere di allegarne
l’avvenuta deduzione dinanzi al giudice di merito (Cass. 28 luglio 2008, n.
20518; Cass. 13 giugno 2018, n. 15430; Cass. 24
gennaio 2019, n. 2038), essa è comunque del tutto irrilevante.

4.1. E’ ben noto, infatti, che le società, in
particolare di capitali, abbiano una soggettività giuridica distinta da quella
dei soci, per l’autonomia inerente alla personalità giuridica comportante la
netta separazione tra il patrimonio sociale e quello personale dei soci (Cass.
8 settembre 2005, n. 17938; Cass. s.u. 24 dicembre
2009, n. 27346; Cass. 14 febbraio 2012, n.
2087).

4.2. Le doglianze consistono in una mera
contestazione dell’accertamento in fatto compiuto dalla Corte territoriale in
ordine al difetto di prova da parte del lavoratore dell’applicazione da F.
s.p.a. della prassi in materia di “orologio, premio di anzianità e
fedeltà”, più che adeguatamente giustificato sulla scorta in particolare
della dichiarazione testimoniale di G.C., altro suo dipendente, pertanto
insindacabile in sede di legittimità, salva la verifica di logicità e congruità
delle ragioni esposte dal giudice di merito (Cass.
30 marzo 2006, n. 7546; Cass. 6 maggio 2011,
n. 10015; Cass. 24 luglio 2018, n. 19632),
nel caso di specie ricorrente per l’argomentazione congrua (per le ragioni
esposte al primo capoverso di pg. 7 della sentenza), esente da vizi logici né
giuridici.

4.3. Deve poi essere ribadito il principio di
diritto, secondo cui, nell’ipotesi di trasferimento d’azienda, si applica la
contrattazione integrativa aziendale del cessionario e non già del cedente:
posto che il contratto integrativo aziendale, così come il diritto riconosciuto
dall’uso aziendale (parificabile ad esso sul piano dell’efficacia nei rapporti
individuali, quale fonte di un obbligo unilaterale di carattere collettivo del
datore di lavoro, sostitutivo delle clausole contrattuali e collettive in
vigore con quelle proprie più favorevoli, a norma dell’art. 2077, secondo comma c.c.), non sopravvive al
mutamento della contrattazione collettiva conseguente al trasferimento di
azienda (anche se quella applicata dall’impresa cessionaria sia più sfavorevole:
Cass. 23 gennaio 2019, n. 1840); sicché, operando come una contrattazione
integrativa aziendale, subisce la stessa sorte dei contratti collettivi
applicati dal precedente datore di lavoro e non è più applicabile presso la
società cessionaria dotata di una propria contrattazione (integrativa (Cass. 13
agosto 2009, n. 18300; Cass. 11 marzo 2010, n.
5882; Cass. 18 giugno 2018, n. 16037).

4.4. E deve pure essere tenuto fermo il principio
generale, secondo cui il contrasto fra contratti collettivi, come è anche il
contratto aziendale, di diverso livello e ambito territoriale vada risolto non
in base a principi di gerarchia e di specialità proprie delle fonti
legislative, ma sulla base della effettiva volontà delle parti operanti in area
più vicina agli interessi disciplinati, da desumersi attraverso il
coordinamento delle varie disposizioni della contrattazione collettiva, aventi
tutte pari dignità e forza vincolante; sicché anche i contratti territoriali
possono, in virtù del principio dell’autonomia negoziale di cui all’art. 1322 c.c., prorogare l’efficacia dei
contratti nazionali e derogarli, anche in pejus senza che osti il disposto
dell’art. 2077 c.c., fatta salva solamente la
salvaguardia dei diritti già definitivamente acquisiti nel patrimonio dei
lavoratori, che non possono ricevere un trattamento deteriore in ragione della
posteriore normativa di eguale o diverso livello (Cass.
19 aprile 2006, n. 9052; Cass. 18 maggio 2010,
n. 12098; Cass. 1 luglio 2016, n. 13525; con applicazione anche al rapporto
di pubblico impiego privatizzato: Cass. 9 luglio 2018, n. 17966).

4.5. Ebbene, nel caso di specie il lavoratore ha
maturato il diritto all'(equivalente pecuniario dell’)orologio, quale premio di
anzianità e fedeltà, in epoca anteriore (il 18 settembre 2004, data di
compimento del trentesimo anno di anzianità di servizio) alla decorrenza
dell’accordo integrativo aziendale 5 giugno 2008 fissata dal Io luglio 2008.

4.6. Per giunta, la Corte territoriale ha inteso
l’accordo in questione (esaminato all’ultimo capoverso di pg. 7 della sentenza)
nel senso del suo valore ricognitivo di una prassi aziendale esistente anche
presso F. s.p.a. (al primo capoverso di pg. 8 della sentenza), sulla base di
un’interpretazione insindacabile, in quanto congruamente motivata, in sede di
legittimità.

4.7 Né essa è stata correttamente denunciata con
l’indicazione dei canoni interpretativi violati, senza neppure la
specificazione delle ragioni né del modo in cui l’asserita inosservanza si
sarebbe realizzata (Cass. 14 giugno 2006, n. 13717;
Cass. 21 giugno 2017, n. 15350): trattandosi poi di un’interpretazione
assolutamente plausibile, nemmeno essendo necessario che essa sia l’unica
possibile o la migliore in astratto (Cass. 22 febbraio 2007, n. 4178; Cass. 28
novembre 2017, n. 28319; Cass. 27 giugno 2018, n. 16987) e, come detto,
congruamente argomentata; sicché, la ricorrente ha meramente contrapposto la
propria ad essa, insindacabile in sede di legittimità e pertanto
inammissibilmente (Cass. 10 maggio 2018, n. 11254).

5. Dalle superiori argomentazioni discende allora
l’inammissibilità del ricorso (sulla identica questione avendo questa Corte già
assunto analoga decisione: Cass. 28 febbraio 2019,
n. 5987), con la regolazione delle spese del giudizio secondo il regime di soccombenza
e distrazione al difensore anticipatario, secondo la sua richiesta, senza
raddoppio del contributo unificato, per l’inizio del procedimento in data
anteriore (anno 2010) al trentesimo giorno dall’entrata in vigore dell’art. 13 comma 1 quater del d.p.r. n.
115 del 2002 (1° gennaio 2013).

 

P.Q.M.

 

Dichiara inammissibile il ricorso e condanna la
società alla rifusione, in favore del controricorrente, delle spese del
giudizio, che liquida in € 200,00 per esborsi e € 2.000,00 per compensi
professionali, oltre rimborso per spese generali 15% e accessori di legge, con
distrazione al difensore anticipatario.

Giurisprudenza – CORTE DI CASSAZIONE – Sentenza 15 marzo 2021, n. 7221
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