È illecita e demansionante l’assegnazione di mansioni, seppur di indubbio rilievo oggettivo, in ragione della loro non congruenza rispetto alle competenze proprie del lavoratore.

Nota a Cass. 13 gennaio 2021, n. 434

Pamela Coti

Il demansionamento del lavoratore si configura anche quando allo stesso, sin dal suo inserimento in azienda, vengono affidati compiti rilevanti quanto le mansioni indicate nell’atto di assunzione, ma, in concreto, estranei alla sua professionalità specifica.

Questo, il principio affermato dalla Corte di Cassazione (13 gennaio 2021, n. 434) relativamente al caso di un dipendente che lamentava di aver subito un comportamento mobbizzante finalizzato a indurlo a dimettersi dal posto di lavoro.
I giudici di merito avevano accolto le domande del lavoratore accertando la non adeguatezza delle mansioni assegnategli in costanza di rapporto e condannando la società resistente al risarcimento dei danni patrimoniali e non da lui subiti. La Cassazione, nel  respingere il ricorso proposto dalla società, ha confermato il percorso motivazionale seguito dalla corte territoriale, precisando che:

  • è da ritenersi demansionante l’assegnazione di mansioni rilevanti come, nel caso di specie, quelle di responsabile amministrativo e responsabile finanziario, in quanto non rispondenti alle competenze proprie del lavoratore, oltre che per l’esiguità dei periodi di loro effettiva assegnazione. Infatti, “le continue modifiche delle mansioni, anziché agevolare un arricchimento della professionalità del lavoratore, avrebbero causato una dispersione della sua professionalità specifica mai realmente messa a frutto”;
  • l’onere probatorio ricade in capo al datore di lavoro, dovendo egli dimostrare non solo l’equivalenza oggettiva delle mansioni e la loro congruenza rispetto alle capacità e al patrimonio professionale del lavoratore, ma anche di aver esercitato lo ius variandi nel legittimo esercizio dei propri poteri imprenditoriali oltre che di aver tenuto conto delle capacità professionali medio tempore acquisite dal dipendente;
  • in tema di risarcimento del danno patrimoniale da dequalificazione, la relativa quantificazione può avvenire, in via equitativa, sulla base della prova, anche presuntiva, in relazione a elementi di fatto relativi alla qualità e quantità dell’esperienza lavorativa pregressa, al tipo di professionalità colpita, alla durata del demansionamento, all’esito finale della dequalificazione e alle altre circostanze del caso concreto.
Le mansioni non coerenti con la professionalità del lavoratore devono esser considerate dequalificanti
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