La delibera con cui una cooperativa di lavoro, nell’ambito di un piano di crisi, riduce i minimi delle retribuzioni dei soci lavoratori, senza stabilire la temporaneità della misura, è annullabile e non nulla.
Nota a Cass. (ord.) 8 febbraio 2021, n. 2967
Silvia Rossi
In considerazione della peculiare struttura societaria ispirata a finalità di cooperazione e mutualità (ai sensi dell’art. 45 Cost.), oltre che dell’esigenza di stabilità (e rapidità) delle deliberazioni societarie, nel caso in cui una cooperativa di lavoro proceda alla riduzione non temporanea (sotto i minimi sanciti dalla contrattazione collettiva di settore) della retribuzione dei soci lavoratori, non si applica la sanzione della nullità ma quella della annullabilità di cui all’art. 2377 c.c.
Lo afferma la Corte di Cassazione (ord. 8 febbraio 2021, n. 2967), riformando la sentenza della Corte di Appello di Genova che aveva dichiarato nulla, per mancanza di temporaneità del piano di crisi, la riduzione retributiva applicata dalla cooperativa.
La Cassazione muove dall’analisi delle disposizioni legislative che consentono la suaccennata riduzione retributiva, richiamando:
a) l’art. 3, co.1, n. 142/2001,secondo cui: “Fermo restando quanto previsto dalla L. 20 maggio 1970, n. 300, art. 36, le società cooperative sono tenute a corrispondere al socio lavoratore un trattamento economico complessivo proporzionato alla quantità e qualità del lavoro prestato e comunque non inferiore ai minimi previsti, per prestazioni analoghe, dalla contrattazione collettiva nazionale del settore o della categoria affine, ovvero, per i rapporti di lavoro diversi da quello subordinato, in assenza di contratti o accordi collettivi specifici, ai compensi medi in uso per prestazioni analoghe rese in forma di lavoro autonomo”;
b) l’art. 6, co.1, lett. d) ed e) L. n. 142/2001, per il quale il socio lavoratore di cooperativa, nella sottoscrizione del contratto associativo, aderisce alle disposizioni stabilite dal regolamento interno, fra cui la possibilità per la società, nell’ipotesi di crisi aziendale, di deliberare una riduzione temporanea dei trattamenti economici integrativi (lett. d)) e di prevedere altresì forme di apporto anche economico da parte del socio lavoratore al solo fine di superare la difficoltà economica in cui versa l’impresa (lett. e));
c) l’art. 6, co. 2, L. cit. che, nello stabilire il principio generale dell’inderogabilità “in pejus” del trattamento economico minimo di cui all’art. 3, co.1, prevede esplicitamente alcune eccezioni, fra cui quelle conseguenti alla deliberazione del “piano di crisi aziendale”.
Nello specifico, la Corte rimarca il principio per il quale il trattamento retributivo dei soci delle cooperative di produzione e lavoro per le prestazioni erogate in favore della società: a) va proporzionato alla qualità e quantità del lavoro svolto; b) deve essere sufficiente ad assicurare un’esistenza libera e dignitosa ai soci e alle loro famiglie (ex art. 36 Cost.); c) va coordinato “alla funzione sociale della cooperazione, ispirata allo scopo di mutualità, dovendo procedersi ad un bilanciamento di interessi che involga anche la tutela dei diritti protetti dall’art. 45 Cost.” (v. Cass. n. 17250/2004).
Tuttavia, la delibera, nell’ambito di un piano di crisi aziendale, di una riduzione temporanea dei trattamenti economici integrativi del socio lavoratore e di forme di apporto anche economico da parte di questi, consente (ai sensi della L. n. 142/2001, art. 6, co. 1, lett. d) ed e)), “in deroga al principio generale del divieto di incidenza “in pejus” del trattamento economico minimo previsto dalla contrattazione collettiva, di cui all’art. 3 della predetta legge, è condizionata alla necessaria temporaneità dello stato di crisi e, quindi, all’essenziale apposizione di un termine finale ad esso” (v. Cass. n. 19096/2018; Cass. n. 19832/2013).
Pertanto, la fattispecie di delibere societarie contrassegnate dalla mancanza della apposizione di un limite temporale in deroga dei principi vigenti in tema di trattamento economico spettante al socio lavoratore va inquadrata nella categoria della invalidità.
Nondimeno, la carenza del requisito di temporaneità della riduzione dei compensi spettanti ai soci al di sotto dei minimi sanciti dalla contrattazione collettiva di settore non determina la nullità dell’atto stesso, ma (in linea con la giurisprudenza consolidata in tema di invalidità delle deliberazioni dell’assemblea delle società di capitali), con un’inversione dei criteri regolatori del diritto negoziale (artt. 1418, 1441 c.c.), è annullabile (ex art. 2377 c.c.) (v. fra tante, Cass. n. 15721/2005; Cass. n. 3457/1999), mentre la previsione della nullità è limitata ai soli casi, disciplinati dall’art. 2379 c.c., di impossibilità o illiceità dell’oggetto.
Conclusivamente, precisa la Corte, “non appare congrua l’applicabilità della sanzione della nullità sancita dall’art. 2379 c.c., non essendo ravvisabile, nelle delibere societarie che avevano prorogato la riduzione dei compensi spettanti ai soci in ragione del protrarsi della crisi negli anni 2011-2013, una violazione di tale gravità da essere assimilata ad una ipotesi di illiceità dell’oggetto per violazione di norme volte ad impedire deviazioni dallo scopo economico-pratico del rapporto di società” (v. Cass. n. 19235/2008 e Cass. n. 16390/2007).