Giurisprudenza – CORTE DI CASSAZIONE – Sentenza 17 marzo 2021, n. 7515

Risarcimento del cd. danno morale, Decesso del lavoratore
dovuto a patologia contratta durante il periodo lavorativo e riconosciuta
dall’INAIL, Necessario nesso di causalità tra malattia del lavoratore ed
eventuale mancata adozione di misure atte a prevenire l’insorgere della
patologia, Nessuna valenza indiziaria e di fatto notorio, del provvedimento
INAIL

 

Fatti di causa

 

1. Il Tribunale di Taranto, con la pronuncia n. 1411
76 del 2008, ha respinto la domanda proposta da T. G., M.D., M.L. e M.M., eredi
di M. G., già dipendente della I. lamiere e T. srl, diretta ad ottenere la
condanna della società al risarcimento del cd. danno morale sofferto per il
decesso del loro dante causa dovuto a patologia da questi contratta durante il
periodo lavorativo e riconosciuta dall’INAIL.

2. La Corte di appello di Lecce, con la sentenza n.
648 del 2012, ha rigettato i gravami presentati sia dalle originarie ricorrenti
che dalla I. spa, che aveva incorporato I. Lamiere e T. srl.

3. A fondamento della decisione i giudici di seconde
cure hanno rilevato, sul presupposto che la quietanza liberatoria del 20.4.1999
sottoscritta dalla T. non conteneva alcuna rinuncia per il diritto azionato in
giudizio e che non era stato dimostrato il necessario nesso di causalità tra la
malattia del lavoratore e l’eventuale mancata adozione di misure atte a
prevenire l’insorgere della patologia che non era sufficiente – a tal fine – il
riconoscimento da parte dell’INAIL della malattia professionale che, comunque,
non era opponibile alla I. spa; inoltre, hanno evidenziato che non era stata
allegata né provata una attività illecita di qualsivoglia genere da parte del
datore di lavoro e che il possesso di un determinato status, al fine della
prova del danno non patrimoniale, era inidoneo a sorreggere la pretesa di danno
morale sofferto dai congiunti, in assenza di documentazioni che giustificassero
il rapporto con la vittima.

4. Hanno proposto ricorso per cassazione avverso
tale decisione T.G., M.D., M.L. e M.M., eredi di M.G., affidato a due motivi,
cui hanno resistito la I. spa e la F. spa.

5. Le parti hanno depositato memorie.

 

Ragioni della decisione

 

1. I motivi possono essere così sintetizzati.

2. Con il primo motivo le ricorrenti denunziano la
violazione e falsa applicazione degli artt. 2043, 2059, 2087, 2227, 2229 e 2697
cc e 115 co. 2 cpc, ai sensi dell’art. 360 co. 1 n. 3 cpc, nonché la
insufficiente motivazione su un punto decisivo della controversia, ai sensi
dell’art. 360 co. 1 n. 5 cpc, perché la Corte di appello, trascurando la
valenza del provvedimento INAIL del 7.12.1999 e del prospetto INAIL del
25.1.2000, in cui si evidenziava il riconoscimento, in favore del dante causa,
dell’inabilità lavorativa totale e permanente per avere contratto il
microcitoma polmonare, definito come malattia professionale polmonare per
inalazione di I.P.A., non aveva considerato che la dimostrazione della condotta
illecita poteva essere fornita sulla base di nozioni di fatto notorie o che rientravano
nella comune esperienza o anche sulla base di presunzioni semplici.

3. Con il secondo motivo si censura la violazione e
falsa applicazione degli artt. 2059, 2227, 2229 e 2697 cc, ai sensi dell’art.
360 co. 1 n. 3 cpp , per avere la Corte territoriale omesso di considerare che
la prova della sofferenza subita da esse eredi per la tragica scomparsa de loro
congiunto, avrebbe potuto essere desunta p anche in via esclusivamente
presuntiva, dalla stretta relazione parentale esistente tra istanti e deceduto,
dal naturale legame affettivo di coniugio e di discendenza diretta che li
legava e dalla loro abituale convivenza: elementi che risultavano tutti anche
dalla certificazione anagrafica allegata in atti.

4. Il primo motivo è inammissibile.

5. E’ opportuno sottolineare che le originarie
ricorrenti hanno agito per ottenere il riconoscimento del danno cd. morale,
iure proprio, sofferto per il decesso del proprio congiunto a cagione della
malattia contratta durante l’attività lavorativa e che la fattispecie è stata
correttamente inquadrata, dalla Corte territoriale, nell’ambito della
responsabilità ex art. 2043 cc del datore di lavoro, da parte di soggetti non
legati a questi da rapporto contrattuale.

6. Orbene, la Corte di merito ha sviluppato due
argomentazioni a sostegno del proprio decisum: la prima riguardante
l’inopponibilità alla società dell’avvenuto riconoscimento della malattia
professionale, trattandosi di accertamento posto in essere in via
amministrativa ed  estraneo ad ogni
contraddittorio con il datore di lavoro; la seconda concernente la mancanza di
allegazione e prova, su una eventuale attività illecita del datore di lavoro,
sotto il profilo omissivo e/o commissivo.

7. Il primo assunto, quello relativo alla non
opponibilità alla I. spa del provvedimento di riconoscimento della malattia
professionale da parte dell’INAIL -che è una ratio autonoma della sentenza
idonea da sola a reggere il decisum- non è stato impugnato specificamente dalle
ricorrenti.

8. La definitività di questo punto rende, pertanto,
inammissibile (in termini Cass. n. 22753 del 2011; Cass. n. 3886 del 2011) ogni
altro profilo di censura, in particolare quello di una eventuale valenza, come
presunzione semplice, di detto riconoscimento, in quanto la non opponibilità
dello stesso alla società neutralizza ogni suo valore processuale, nell’ambito
di questo giudizio, sia pure solo sotto l’aspetto meramente indiziario.

9. Va, poi, aggiunto -sempre ad avvalorare la
declaratoria di inammissibilità delle censure- che un provvedimento di riconoscimento
di malattia professionale non può rientrare neanche nella comune esperienza di
cui all’art. 115 co. 2 cpc, essendo escluse, in tale ambito, le valutazioni
che, per essere formulate, necessitano di un apprezzamento tecnico, da
acquisirsi mediante ctu o mezzi cognitivi peritali analoghi e per le quali non
si può parlare di fatti o regole di esperienza pacificamente acquisite al
patrimonio conoscitivo dell’uomo medio o della collettività con un grado di
certezza da apparire indubitabile e incontestabile (Cass. n. 15159 del
4.6.2019).

10. In altri termini, quindi, il provvedimento
dell’INAIL non può assumere, ai fini di una eventuale responsabilità del datore
di lavoro, né valenza indiziaria, stante la sua inopponibilità alla società, né
valore di fatto notorio, non potendosi giuridicamente individuare come tale.

11. La trattazione del secondo motivo resta, infine,
assorbita dal rigetto del primo perché, se risulta inammissibile
processualmente, la pretesa sul diritto al risarcimento in astratto, non si può
neanche porre il problema di individuare in concreto i possibili destinatari
del diritto stesso.

12. L’inammissibilità del primo motivo e
l’assorbimento della trattazione del secondo, per il principio della ragione
più liquida, rendono superfluo l’esame relativo alla questione della
improcedibilità/improponibilità della domanda nei confronti della I. spa ora in
amministrazione straordinaria  ai sensi
dell’art. 2 del di. n. 347 del 2003 nonché quello della valenza probatoria del
giudicato esterno formatosi tra le parti (sentenza Tribunale di Taranto n.
5413/2014), che non può incidere rispetto ad una declaratoria di
inammissibilità di tipo processuale del presente ricorso.

13. Attesa la data dell’instaurazione del giudizio
di primo grado (citazione notificata in data 29.3.2002) e del regime ratione
temporis applicabile, ritiene il Collegio che sussistano giusti motivi per
compensare tra le parti le spese del presente giudizio di legittimità, in
considerazione del mero fatto storico circa l’avvenuto riconoscimento, in altra
sede, alle odierne ricorrenti del risarcimento del danno biologico iure
hereditatis in relazione alla stessa vicenda di cui è processo.

14. Ai sensi dell’art. 13, comma 1 quater, del DPR
n. 115/02, nel testo risultante dalla legge 24.12.2012 n. 228, deve
provvedersi, ricorrendone i presupposti processuali, sempre come da
dispositivo.

 

P.Q.M.

 

dichiara inammissibile il primo motivo, assorbito il
secondo. Compensa tra le parti le spese del presente giudizio di legittimità.

Ai sensi dell’art. 13, comma 1 quater, del DPR n.
115/02 dà atto della sussistenza dei presupposti processuali per il versamento,
da parte delle ricorrenti, dell’ulteriore importo a titolo di contributo
unificato, pari a quello previsto per il ricorso, a norma dei comma 1 bis dello
stesso art. 13, se dovuto.

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