Prassi – AGENZIA DELLE ENTRATE – Risposta 18 marzo 2021, n. 195

Scioglimento dell’impresa familiare, comunione de residuo e
abuso del diritto

 

Con l’istanza di interpello specificata in oggetto,
è stato esposto il seguente

 

Quesito

 

L’Istante fa presente che:

– ha contratto matrimonio con il signorX titolare di
un’impresa individuale (un’azienda artigianale) gestita esclusivamente dallo
stesso, aderendo al regime patrimoniale della comunione legale;

– in data successiva, i coniugi hanno costituito tra
loro un’impresa familiare ai sensi dell’articolo
230-bis del codice civile e dell’articolo
5, comma 4, del TUIR;

– ha prestato, come collaboratrice dell’impresa
familiare, la propria attività di lavoro nell’impresa in modo continuativo,
percependo gli utili maturati di sua spettanza;

– i coniugi hanno costituito la società s.r.l.,
attualmente inattiva, le cui quote (55 per cento del coniuge e 45 per cento
dell’Istante) sono rimaste escluse dalla comunione legale dei beni ai sensi
dell’articolo 179, lettera f), del codice civile
(in quanto acquistate con il prezzo del trasferimento di beni personali) e sono
di proprietà esclusiva dei singoli soci.

I coniugi intendono:

– sciogliere l’impresa familiare regolando i diritti
patrimoniali dell’Istante quale collaboratore dell’impresa;

– stipulare ai sensi dell’articolo
191, comma 1, del codice civile, convenzione di mutamento del regime
patrimoniale matrimoniale da comunione legale a regime di separazione ex articolo 215 codice civile;

– regolare, ai sensi dell’articolo
194 del codice civile, i diritti patrimoniali spettanti all’Istante sul
valore della comunione de residuo (ai sensi dell’articolo
178 del codice civile), in considerazione dell’esistenza dell’azienda
artigianale costituita dal marito in data successiva al matrimonio e gestita da
sempre ed esclusivamente dallo stesso;

– successivamente, il coniuge intende conferire
l’impresa individuale nella s.r.l., procedendo all’aumento del capitale sociale
ed avvalendosi del regime di neutralità fiscale di cui all’articolo 176, comma 1, del TUIR.
Tale operazione è finalizzata, secondo quanto affermato dall’Istante, a
contenere i rischi di impresa nell’ambito della responsabilità limitata propria
delle s.r.l., nonché a favorire il futuro ingresso nel capitale e nella
gestione dell’impresa da parte dei figli dei coniugi.

Successivamente al menzionato conferimento,
l’Istante verrebbe assunta presso la s.r.l. come lavoratrice dipendente. I
coniugi intendono, altresì, consentire in futuro l’ingresso nel capitale
sociale della s.r.l. dei figli, mediante operazioni di aumento del capitale
sociale con sovraprezzo (sulla base del valore della società al momento
dell’ingresso), ovvero di cessione o donazione agli stessi di quote societarie.

È affermato nell’istanza che i coniugi non hanno
intenzione di cedere a terzi le proprie quote di partecipazione nella s.r.l.,
salvo il caso in cui si presentasse un’adeguata opportunità di mercato.

Ciò posto, l’istante chiede di conoscere la natura
fiscale, ai fini delle imposte dirette e indirette, delle somme che percepirà:

1) in qualità di collaboratore dell’impresa
familiare a seguito dello scioglimento dell’impresa nonché della liquidazione
della quota di reddito a favore della stessa maturata alla data di scioglimento
dell’impresa familiare;

2) in qualità di titolare del diritto di credito sul
valore della comunione del residuo ex articolo 178
del codice civile dell’impresa individuale del coniuge per effetto dello
scioglimento della comunione legale. L’Istante chiede se il concatenarsi delle
operazioni di scioglimento dell’impresa familiare, di mutamento del regime
patrimoniale da comunione legale a regime di separazione ex articolo 215 del codice civile e successivo
conferimento dell’impresa individuale da parte del coniuge nella s.r.l., possa
configurare un abuso del diritto.

In particolare, chiede se ai fini delle imposte
dirette e indirette l’effettuazione dell’operazione di conferimento, in regime
di neutralità fiscale, dell’unica azienda del coniuge nella s.r.l., anche nella
prospettiva di una eventuale cessione delle quote ai figli o delle
partecipazioni a terzi qualora si presentasse l’opportunità di mercato,
rappresenti o meno una fattispecie di abuso del diritto, ai sensi dell’articolo 10-bis della legge n. 212 del
2000, ai fini delle imposte dirette ed indirette.

 

Soluzione interpretativa
prospettata dal contribuente

 

Con riferimento al primo quesito, l’Istante ritiene
che le somme liquidate (come collaboratrice “uscente”) per effetto
dello scioglimento dell’impresa familiare (costituita a…) non assumano
rilevanza come componenti negativi di reddito per l’impresa, non ricorrendo per
esse il requisito dell’inerenza (articolo
109, comma 5, TUIR). Pertanto, tali somme non sono da assoggettare a
tassazione IRPEF in capo al percipiente (cioè all’Istante).

Ai fini dell’imposta di registro nel caso in cui
l’importo liquidato venga indicato nell’atto di scioglimento dell’impresa,
sconterà l’imposta in misura fissa e l’atto di scioglimento sarà soggetto a
registrazione. Nel caso in cui l’importo da liquidare fosse regolato con
scrittura privata, diversa rispetto all’atto di scioglimento dell’impresa
familiare, invece, la stessa sarà soggetta a registrazione solo in caso d’uso e
sconterà l’imposta di registro in misura fissa. La quota di reddito imputabile
all’Istante quale collaboratrice nell’impresa familiare alla data dello
scioglimento, va calcolata sulla base della situazione economica dell’impresa a
tale data.

Tale quota di reddito verrebbe attribuita
all’Istante, in proporzione all’attività lavorativa svolta e,comunque, nel
limite massimo del 49 per cento, in sede di dichiarazione dei redditi dell’anno
2020 (modello Redditi 2021), che verrà presentata dal titolare dell’impresa
(….); detto reddito verrebbe regolarmente assoggettato a tassazione IRPEF in
capo all’Istante

Con riferimento al secondo quesito, l’Istante
ritiene che la somma che le verrà liquidata sulla comunione “de
residuo”, per effetto dello scioglimento della comunione legale, non
rientri all’interno delle tipologie di reddito previste dal TUIR, e risulti
pertanto non tassabile per la percipiente (e correlativamente non deducibile
come componente reddituale negativo in capo all’impresa).

Ai fini dell’imposta di registro nel caso in cui
l’importo liquidato all’istante venga indicato nell’atto di convenzione
matrimoniale che stabilisce lo scioglimento della comunione legale e il
passaggio al regime della separazione dei beni, sconterà l’imposta in misura
fissa. Nel caso in cui l’importo da liquidare fosse regolato con scrittura
privata, diversa rispetto all’atto di convenzione che modifica il regime
patrimoniale coniugale, nella quale saranno altresì regolate altre posizioni di
credito e debito dei coniugi rispetto alla massa comunale (ex art. 192 del codice civile), lo stesso sarà
soggetto a registrazione solo in caso d’uso e scontando l’imposta in misura
fissa.

L’istante ritiene che le operazioni sopra descritte
non costituiscano un’ipotesi di abuso del diritto, in quanto una volta sciolta
l’impresa familiare e la comunione legale, l’impresa individuale potrà essere
legittimamente conferita nella s.r.l., ai sensi dell’articolo 176 del TUIR in regime di
neutralità fiscale (ai fini IRPEF e IRAP).

Né costituiranno abuso del diritto, secondo
l’Istante:

– l’eventuale successivo ingresso nel capitale
sociale dei figli per mezzo di operazioni di aumento del capitale sociale con
sovraprezzo, ovvero cessione o donazione delle quote, con valori di transazione
determinati sulla base della stima della società nel momento in cui si
verificherà tale evento;

– l’eventuale cessione delle partecipazioni a terzi
qualora si presentasse l’opportunità di mercato.

L’istante ritiene che l’operazione di conferimento
dell’unica azienda e l’eventuale cessione delle partecipazioni della s.r.l.
(che sarà tassata ai sensi dell’art.
176, comma 2-bis, del TUIR), non genera un vantaggio fiscale indebito.

Ai fini dell’imposta di registro la tassazione del
conferimento dell’impresa individuale nella s.r.l. è tassata in misura fissa
anche se nell’ambito delle attività aziendali è compreso un fabbricato
strumentale.

Ai fini IVA il conferimento dell’azienda non è
considerata cessione di beni ed è pertanto operazione esclusa da tale imposta.

 

Parere dell’Agenzia delle
entrate

 

L’articolo
5 del d.P.R. 22 dicembre 1986, n 917 (TUIR), comma 4, richiamando l’articolo 230 bis del codice civile prevede che i
redditi delle imprese familiari «limitatamente al 49 per cento dell’ammontare
risultante dalla dichiarazione dei redditi dell’imprenditore, sono imputati a
ciascun familiare, che abbia prestato in modo continuativo e prevalente la sua
attività di lavoro nell’impresa, proporzionalmente alla sua quota di
partecipazione agli utili».

L’articolo
60 del TUIR (rubricato “spese per prestazioni di lavoro”)
stabilisce che «non sono ammesse in deduzione a titolo di compenso del lavoro
prestato o dell’opera svolta dall’imprenditore, dal coniuge, dai figli,
affidati o affiliati minori di età o permanentemente inabili al lavoro e dagli
ascendenti, nonché dai familiari partecipanti all’impresa di cui al comma 4
dell’art. 5» (vale a dire
all’impresa familiare di cui al citato articolo 230
bis del codice civile).

Con riferimento all’impresa familiare, la risoluzione del 10 giugno 2008, n. 233/E ha
chiarito che, sebbene il trattamento dei redditi delle imprese familiari sia
collocata nell’ambito dell’articolo
5, comma 4, del TUIR (rubricato “redditi prodotti in forma
associata”), non significa che nel caso di impresa familiare si tratti di
reddito prodotto in forma associata, ma solamente che si applica a tali redditi
il principio di trasparenza, in forza del quale il reddito prodotto è imputato
a ciascun avente diritto indipendentemente dall’effettiva percezione. La citata
risoluzione ha, altresì, chiarito che l’unico soggetto in una impresa
familiare, ex articolo 230-bis del codice civile,
avente la qualifica di imprenditore è il titolare dell’impresa stessa.

Sempre con riguardo all’impresa familiare, la risoluzione 28 aprile 2008, n. 176 ha chiarito
che, in base alle normativa di riferimento, il reddito dell’impresa è
dichiarato nel suo ammontare complessivo dall’imprenditore, che è l’unico
titolare dell’impresa, il quale può imputare parte del suo reddito ai familiari
per un ammontare non superiore al 49 per cento.

Al riguardo, si rileva che i redditi imputati a tali
soggetti, in proporzione delle rispettive quote di partecipazione, non
rappresentano costi nella determinazione del reddito dell’impresa familiare,
bensì una ripartizione dell’utile dell’impresa stessa. Ciò significa che nella
contabilità dell’imprenditore non viene iscritto il “costo” del
lavoro del collaboratore ma lo stesso viene remunerato come quota di utile che
diminuisce il reddito del titolare in dichiarazione dei redditi.

La citata risoluzione, inoltre, dopo aver precisato
che l’impresa familiare ha natura individuale, ha chiarito che la
partecipazione del familiare all’impresa ha una rilevanza meramente interna nei
rapporti tra l’imprenditore ed i suoi familiari in quanto il fondamento di tale
istituto va ravvisato nella solidarietà che deve risiedere nei rapporti
familiari e nell’esigenza di tutela e valorizzazione del lavoro prestato dai
componenti della famiglia che hanno dato il loro contributo all’impresa, così
come stabilito dall’art. 230-bis del codice civile.

Per effetto di tale disposizione, l’imprenditore
deve devolvere parte del suo reddito ai componenti della famiglia che
collaborano nell’impresa, e deve liquidare al familiare il diritto di
partecipazione nell’ipotesi in cui cessi di lavorare nell’impresa. A
quest’ultimo proposito, la risoluzione citata ha chiarito che la liquidazione
al coniuge del diritto di partecipazione all’impresa familiare, in caso di
recesso, afferisce alla sfera personale dei soggetti del rapporto in questione
e pertanto non è riconducibile a nessuna delle categorie reddituali previste
dal TUIR; l’importo attribuito non va pertanto assoggettato ad IRPEF in capo al
soggetto percipiente, né è deducibile dal reddito di impresa, per mancanza del
requisito di inerenza previsto dall’articolo
109, comma 5, del TUIR.

Con riferimento al caso di specie, i coniugi
intendono sciogliere l’impresa familiare regolando i diritti patrimoniali
dell’Istante quale collaboratore dell’impresa. Ne consegue che, nel caso di
specie, tornano applicabili i chiarimenti forniti con i documenti di prassi
sopra richiamati e che pertanto, con riferimento al quesito n. 1) e alle
imposte dirette, la quota di reddito maturata alla data di scioglimento
dell’impresa familiare deve essere regolarmente assoggettata a tassazione Irpef
in capo all’istante, mentre le somme liquidate all’istante in qualità di
collaboratore dell’impresa familiare e per effetto dello scioglimento della
stessa non assumono rilevanza fiscale. Ai fini delle imposte indirette e con
riferimento allo scioglimento dell’impresa familiare, si osserva che è
necessario formalizzare la cessazione con una scrittura privata autenticata o
con atto pubblico per provare con atto avente data certa la cessazione della
produzione del reddito da parte del collaboratore. L’atto di scioglimento
sconterà l’imposta in misura fissa ai sensi dell’art. 4 lettera c) della Tariffa,
parte prima allegata al d..P.R n. 131 del 1986 (TUR).

Anche la convenzione con la quale le parti determinano
la quota di liquidazione della collaboratrice ai sensi dell’art. 230-bis del codice civile va registrata in
misura fissa ai sensi dell’art.
4 lettera c) della Tariffa , parte prima allegata al TUR.

Con riferimento al quesito 2), concernente la natura
fiscale, ai fini delle imposte dirette, delle somme che verranno liquidate
all’Istante quale quota spettante del valore de residuo (ex articolo 178 del codice civile ) dell’impresa
individuale del coniuge al momento dello scioglimento della comunione legale,
si osserva in via preliminare che, in base alle norme del codice civile, ove i
coniugi provvedano congiuntamente all’esercizio dell’impresa, entrambi
acquisteranno la qualifica di imprenditori e si applicherà la comunione
immediata ex 177, comma 1, lettera d), del codice
civile, mentre in assenza di cogestione, come nel caso di specie, la
qualifica di imprenditore spetterà solamente al titolare dell’impresa e troverà
applicazione il successivo articolo 178 del codice
civile secondo cui i «beni destinati all’esercizio dell’impresa di uno dei
coniugi costituita dopo il matrimonio e gli incrementi dell’impresa costituita
anche precedentemente si considerano oggetto della comunione solo se sussistono
al momento dello scioglimento di questa» (cd. comunione “de
residuo”).

Come chiarito dalla Corte di Cassazione con sentenza
6 marzo 2019, n. 6459, «lo scioglimento della comunione apre, invero, la fase
di liquidazione della stessa, potendo ciascuno dei coniugi realizzare la
propria quota, pari alla metà dei diritti già acquisiti e dei proventi delle
attività separate non consumati” (compresi i beni destinati all’esercizio
dell’impresa di uno dei coniugi ex articolo 178 del
codice civile). Con successiva ordinanza 11 novembre 2020, n. 25415, la
Cassazione ha chiarito incidentalmente che «Anche la disposizione contenuta
nell’ultimo periodo dell’art. 4,
lett. a), [del Tuir] risulta in linea con il principio della capacità
contributiva, poiché stabilisce che il criterio dell’imputazione ripartita non
opera per i redditi che derivano dall’attività separata, professionale o
imprenditoriale, di ciascun coniuge; infatti, i proventi di questa attività
separata sono imputati al coniuge che esercita quell’attività, in perfetta
coerenza con quanto dispone l’art. 177 c.c.,
comma 1, lett. c), secondo il quale i frutti dell’attività separata
appartengono alla comunione de residuo, il che comporta che gli stessi
diventeranno oggetto di condivisione da parte dei coniugi solo al momento in
cui si scioglierà la comunione, se non consumati;

ciò significa che, quando si verificherà lo
scioglimento della comunione e qualora dovessero far parte della comunione de
residuo i redditi dell’attività separata del coniuge, già tassati in capo a
questi, l’imputazione di tali frutti all’altro coniuge, per la sua quota di
comunione de residuo, sarà atto che non avrà rilevanza dal punto di vista
reddituale, ma dovrà essere inquadrato tra gli atti di trasferimento di
carattere patrimoniale».

Con riferimento al caso di specie, posto che l’atto
con il quale i coniugi provvedono alla divisione dei beni ha natura
dichiarativa (cfr. circolare 29 maggio 2013 n.
18/E, paragrafo 2.2.1), si ritiene che la somma che verrà liquidata all’Istante
sulla comunione de residuo (ex. art. 178 c.c.),
in sede di divisione, attenga ai rapporti interni tra i coniugi e non rientri
fra delle tipologie di reddito previste dal TUIR.

Tale somma risulterà, quindi, non tassabile per la
percipiente e non deducibile in capo all’impresa, in quanto diretta a
soddisfare esigenze estranee alla finalità e alla logica d’impresa e non
collegabile all’esercizio dell’attività imprenditoriale. Ai fini delle imposte
indirette e per quanto riguarda il mutamento del regime patrimoniale e il
passaggio dalla comunione legale alla separazione, si osserva che l’atto
contenente la sola determinazione dei coniugi di mutare il proprio regime
patrimoniale deve essere assoggettato ad imposta di registro in misura fissa ai
sensi dell’art. 11 della
Tariffa, parte prima, allegata al TUR.

La natura di comunione senza quote della comunione
legale dei coniugi permane, sino al momento del suo scioglimento, allorquando i
beni cadono in comunione ordinaria (cfr. Cass. Sez. 1, 05/04/2017, n. 8803). Lo
scioglimento della comunione apre, invero, la fase di liquidazione della
stessa, potendo ciascuno dei coniugi realizzare la propria quota, pari alla
metà dei diritti già acquisiti e dei proventi delle attività separate non
consumati (compresi i beni destinati all’esercizio dell’azienda di uno dei
coniugi).

Pertanto, l’atto con il quale i coniugi provvedono
alla divisione dei beni dovrà essere assoggettato all’imposta di registro nella
misura dell’1%, ai sensi dell’articolo
3 della Tariffa, parte prima, allegata al TUR, in quanto atto di natura
dichiarativa. Anche i rimborsi, le restituzioni ed i prelievi di beni
costituiscono operazioni di natura dichiarativa comprese fra quella di
divisione. In via preliminare, si rappresenta che, per richiedere il parere
dell’Agenzia delle Entrate in ordine alla abusività di una determinata
operazione o fattispecie, le istanze di interpello, come specificato con la circolare n. 9/E del 1° aprile 2016, devono, fra
l’altro, indicare:

– il settore impositivo rispetto al quale
l’operazione pone il dubbio applicativo;

– le puntuali norme di riferimento, comprese quelle
passibili di una contestazione in termini di abuso del diritto con riferimento
all’operazione rappresentata.

Per le ragioni che si andranno ad esporre, si
ritiene che, ai fini delle imposte dirette, l’operazione di conferimento
preceduta dallo scioglimento dell’impresa familiare e dal mutamento del regime
di comunione tra i coniugi, non costituisca, ai fini delle imposte dirette,
un’operazione abusiva ai sensi dell’articolo
10-bis della legge 27 luglio 2000, n. 212, non consentendo la realizzazione
di alcun vantaggio fiscale indebito.

La fattispecie di seguito analizzata consta in:

– scioglimento dell’impresa familiare;

– mutamento del regime patrimoniale matrimoniale da
comunione legale a regime di separazione ex articolo
215 codice civile, ai sensi dell’articolo 191,
comma 1, del codice civile;

– conferimento dell’impresa individuale nella
s.r.l., procedendo all’aumento del capitale sociale ed avvalendosi del regime
di neutralità fiscale di cui all’articolo
176, comma 1, del TUIR.

In particolare, l’Istante evidenzia che tale
operazione è finalizzata a contenere i rischi di impresa nell’ambito della
responsabilità limitata propria delle s.r.l., nonché a favorire il futuro
ingresso nel capitale e nella gestione dell’impresa da parte dei figli dei
coniugi (operazioni non ancora realizzate al momento della presentazione
dell’istanza qui in esame).

In linea di principio, l’operazione di conferimento
è fiscalmente neutrale, ai sensi dell’articolo 176 del TUIR, e il
passaggio del patrimonio non determina la fuoriuscita degli elementi trasferiti
dal regime ordinario d’impresa.

In particolare, i plusvalori relativi ai componenti
patrimoniali trasferiti alla società conferitaria, mantenuti provvisoriamente
latenti dall’operazione in argomento, concorreranno alla formazione del reddito
secondo le ordinarie regole impositive vigenti al momento in cui i beni
fuoriusciranno dalla cerchia dei beni relativi all’impresa, ossia, verranno
ceduti a titolo oneroso, diverranno oggetto di risarcimento (anche in forma
assicurativa) per la loro perdita o danneggiamento, verranno assegnati ai soci,
ovvero destinati a finalità estranee all’esercizio dell’impresa.

Sulla base delle dichiarazioni e delle affermazioni
dell’Istante nonché dell’analisi delle argomentazioni contenute nell’istanza di
interpello, si ritiene che l’operazione di conferimento preceduta dallo
scioglimento dell’impresa familiare e dal mutamento del regime di comunione tra
i coniugi, non comporti il conseguimento di alcun vantaggio fiscale
“indebito”, costituito da “benefici, anche non immediati,
realizzati in contrasto con le finalità delle norme fiscali o con i principi
dell’ordinamento tributario”, risultando fisiologici rispetto
all’obiettivo dichiarato dall’istante.

Non avendo riscontrato la sussistenza del requisito
dell’indebito risparmio d’imposta, non si procede all’analisi degli ulteriori
requisiti previsti dall’articolo
10-bis della legge n. 212 del 2000 ai fini del richiamato comparto
impositivo.

Ai fini delle imposte indirette, si osserva che il
conferimento di azienda è, ai sensi dell’art. 2, comma 3 d.P.R. 26 ottobre 1972,
n. 633, operazione esclusa da IVA.

L’atto di conferimento dell’impresa individuale
nella s.r.l. sarà soggetto a registrazione in termine fisso ed assoggettato
all’imposta in misura fissa di 200 euro ai sensi dell’articolo 4 n. 3 della Tariffa,
parte prima, allegata al TUR.

Il presente parere viene reso sulla base degli
elementi e dei documenti presentati, assunti acriticamente così come illustrati
nell’istanza di interpello, nel presupposto della loro veridicità e concreta
attuazione del contenuto e prescinde dalla correttezza delle valutazioni e/o
quantificazioni contabili e fiscali operate in sede e per effetto delle
operazioni straordinarie rappresentate in istanza, suscettibili di essere
verificate nelle competenti sedi accertative.

Si ribadisce che resta impregiudicato, ai sensi
dell’articolo 10-bis della legge
n.212 del 2000, ogni potere di controllo dell’Amministrazione finanziaria
volto a verificare se lo scenario descritto in interpello, per effetto di
eventuali altri atti, fatti o negozi ad esso collegati e non rappresentati in
istanza, possa condurre ad identificare un diverso censurabile disegno abusivo.

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