Giurisprudenza – CORTE DI CASSAZIONE – Sentenza 17 marzo 2021, n. 7529

Licenziamento per giustificato motivo obiettivo, Prova
testimoniale, Assunzione di altro addetto nel posto precedentemente occupato,
Apertura della liquidazione dell’azienda speciale, Distinzione tra enti
pubblici non economici, Rapporto di lavoro era disciplinato dal diritto
privato

 

Fatti di causa

 

1. La Corte d’Appello di Catanzaro ha rigettato il
gravame proposto dall’Azienda Speciale Multiservizi Comune di S.L.V. avverso la
sentenza del Tribunale di Castrovillari che aveva accolto l’impugnativa del
licenziamento intimato nei confronti di Anna Rita M., nel gennaio 2012, per
giustificato motivo obiettivo.

La Corte territoriale rimarcava come l’Azienda non
avesse articolato prova della affermata soppressione del posto della ricorrente
e come dalla prova testimoniale svolta su impulso della lavoratrice fosse anzi
emersa l’assunzione di altro addetto nel posto precedentemente occupato dalla
M..

Inoltre, la Corte territoriale, premesso che era
infondata la pretesa dell’appellante di interruzione del processo per apertura
della liquidazione dell’Azienda, affermava che tale condizione non fosse
neanche ostativa alla disposta reintegrazione, mentre l’azzeramento del
personale e la cessazione dell’attività non erano state provate.

2. L’Azienda Speciale ha proposto ricorso per
cassazione con due motivi, resistiti da controricorso della M..

 

Ragioni della decisione

 

1. Con il primo motivo è addotta la violazione e
falsa applicazione degli artt. 115 e 116 c.p.c. «con riferimento all’art. 360 n. 5 c.p.c.», sostenendosi che
erroneamente la Corte territoriale ha ordinato la reintegra del lavoratore,
nonostante la cessazione integrale dell’attività di liquidazione alla data del
dicembre 2014.

La ricorrente in proposito assume che la «Legge di
stabilità del 2015» avrebbe imposto la chiusura delle Aziende con personale
inferiore a dieci dipendenti e, nello specifico, che con deliberazione
18.12.2014 n. 27 il Consiglio Comunale di S.L.V. aveva decretato la «messa in
liquidazione dell’Azienda Multiservice».

La sentenza d’appello era dunque criticabile, in
quanto non era corretto che l’Azienda non avesse allegato e provato la propria
messa in liquidazione e l’azzeramento del personale, sicché la reintegrazione
era stata disposta rispetto ad un’azienda che fin dal 2015 aveva dismesso ogni
tipo di attività.

Il secondo motivo censura invece la sentenza di
appello per omesso esame di fatti decisivi per il giudizio.

Esso afferma, da un primo punto di vista, che
l’onere probatorio della soppressione del posto già ricoperto dalla M. era da
aversi per assolto sulla base della relazione redatta dal Commissario
Straordinario, da cui emergeva l’estinzione della figura dell’addetto di
segreteria, in ragione della riorganizzazione aziendale e della situazione
finanziaria dell’Azienda.

D’altra parte, aggiungeva la ricorrente, lo stretto
nesso funzionale e strumentale esistente tra l’ente pubblico di riferimento e
l’azienda speciale faceva venire meno, data la natura pubblicistica dell’ente,
l’onere datoriale di dimostrare la riferibilità del licenziamento ad effettive
ragioni di carattere produttivo organizzativo, così come di fornire prova
dell’impossibilità di utilizzare il lavoratore in mansioni equivalenti a quelle
esercitate prima della ristrutturazione aziendale, in ragione dei principi di
buon andamento ed imparzialità di cui all’art. 97
Cost.

In ogni caso, non era vero che dall’istruttoria
fosse emerso che le mansioni della M. fossero state poi affidate, dopo il suo
licenziamento, ad altro addetto, in quanto i testimoni avevano soltanto detto
di averlo visto nei luoghi ove la medesima lavorava ed il Commissario,
ascoltato come teste, aveva escluso che «ufficialmente il Sindaco» avesse «mai
sollecitato il licenziamento».

2. I motivi possono essere esaminati congiuntamente,
data la loro stressa connessione.

2.1 In ordine logico la prima questione attiene alle
caratteristiche ed alla disciplina del licenziamento oggetto di causa.

E’ indubbio che la procedura seguita dall’Azienda
Speciale non sia stata per nulla quella propria delle riorganizzazione degli
enti pubblici non economici, nella sua proiezione lavoristica (art. 33 d. Igs. 165/2001),
quanto quella propria del licenziamento per ragioni riorganizzative proprio dei
datori di lavoro soggetti al diritto privato.

E’ altresì noto che la distinzione tra enti pubblici
non economici, cui si applica la disciplina del d.
Igs. 165/2001 ed enti pubblici economici, soggetti alle regole proprie del
diritto privato anche per quanto riguarda i licenziamenti (art. 1 L. 604/1966 e art. 37 L. 300/1970), è
rimessa alla ricostruzione del regime legale e statutario volta a volta
destinato alle diverse figure nella loro connotazione concreta.

Ciò posto e ribadito che l’intero contenzioso si è
mosso palesemente lungo le linee del diritto del lavoro privato, è evidente
come il secondo motivo, nella parte in cui con esso si intenderebbe riportare
la fattispecie ad un (peraltro non meglio definito) regime di specialità
giuridica indotto dalla connessione dell’Azienda con l’ente territoriale di
riferimento, è inammissibile, perché esso è formulato senza che sia apportato
alcun concreto elemento fattuale idoneo a far trasmigrare la qualificazione
giuridica da quella, come detto propria dei rapporti di lavoro soggetti alla
disciplina privatistica, lungo la quale si è dipanato il contenzioso nei gradi
di merito.

Deve quindi aversi per acquisito che il rapporto di
lavoro era disciplinato dal diritto privato, così come che quello posto in
essere è un licenziamento per ragioni riorganizzative (soppressione) del posto,
da riportare all’ipotesi del recesso per giustificato motivo obiettivo di cui
all’art. 3 L. 604/1966,
sicché non vi è alcuna ragione perché, a differenza di quanto sostenuto
dall’Azienda, gli oneri probatori restino in alcun modo alterati da quelli
tradizionalmente propri dell’ipotesi privatistica cui si riporta l’oggetto del
contendere.

2.2 Su tali presupposti, il secondo motivo, nella
parte in cui assume che le ragioni riorganizzative sarebbero state provate
dalla relazione del Commissario Straordinario è parimenti inammissibile perché
il contenuto concreto di tale relazione non è stato trascritto nel ricorso per
cassazione.

La formulazione del motivo si pone dunque in
contrasto con i presupposti di specificità di cui all’art. 366, co. 1, c.p.c. (Cass. 24 aprile 2018, n.
10072) e di autonomia del ricorso per cassazione (Cass., S.U., 22 maggio 2014,
n. 11308) che la predetta norma nel suo complesso esprime, con riferimento in
particolare, qui, ai nn. 4 e 6 della stessa disposizione, da cui si desume la
necessità che la narrativa e l’argomentazione siano idonee, riportando anche la
trascrizione esplicita dei passaggi degli atti e documenti su cui le censure si
fondano, a manifestare pregnanza, pertinenza e decisività delle ragioni di
critica prospettate, senza necessità per la S.C. di ricercare autonomamente in
tali atti e documenti i corrispondenti profili ipoteticamente rilevanti (v.
ora, sul punto, Cass., S.U., 27 dicembre 2019, n. 34469).

Così come inammissibile, perché finalizzata ad una
mera rilettura dell’istruttoria e quindi ad un’attività propria del giudizio di
merito e non consona al processo di cassazione (Cass. 4 agosto 2017, n. 19547; Cass., S.U., 25 ottobre 2013, n. 24148; Cass. 9
agosto 2007, n. 17477), è quella parte del medesimo motivo con la quale si
prospetta una diversa valutazione dei dati istruttori testimoniali in relazione
al fatto che non vi sarebbe stata adibizione di altro addetto al posto già
coperto dalla M..

2.3 In ordine logico, segue quindi la questione
sulla liquidazione o cessazione dell’attività dell’ente, quali fatti ostativi
alla reintegrazione disposta nel primo grado di giudizio e confermata in
appello.

L’apertura di una fase di liquidazione dell’Azienda,
in forme non meglio specificate in ricorso, non è di per sé ragione contraria
alla pronuncia della reintegrazione.

La fase di liquidazione ha lo scopo di definire i
rapporti ancora pendenti presso il soggetto ad essa interessato e dunque in sé
non significa necessariamente che l’attività non prosegua medio tempore, anche al
fine del raggiungimento dei fini della liquidazione stessa (Cass. 19 giugno 2018, n. 16136; Cass. 7 febbraio 2011, n. 2983).

E’ invece certamente ostativa alla reintegrazione la
cessazione dell’attività economica (Cass. 28
gennaio 2020, n. 1888).

Tuttavia, rispetto a tale decisiva circostanza,
anche nel giudizio di cassazione non sono apportati elementi tangibili che
dimostrino l’erroneità della sentenza impugnata sul punto.

Viene in proposito richiamata, del tutto
genericamente i la «Legge di stabilità del 2015», che avrebbe imposto la
chiusura delle Aziende e si fa riferimento ad una delibera comunale
conseguente, che avrebbe «decretato la messa in liquidazione dell’Azienda
Multiservice».

Ma già si è detto dell’insufficienza della mera
apertura di una procedura di liquidazione e comunque anche tale delibera non è
trascritta, sicché anche in questo caso si determina quella già segnalata
carenza di specificità che rende inammissibile il motivo (v. viceversa, Cass. 1888/2020, ove difesa analoga a quella qui
esaminata fu accolta, appunto sul presupposto della compiuta trascrizione degli
atti a tal fine rilevanti).

L’impreciso richiamo alla “Legge di stabilità
del 2015”, senza indicazione di una norma o di una esatta fattispecie in
essa regolata, per giunta rispetto ad un effetto (la “chiusura” delle
Aziende Speciali) del tutto indefinito e cui avrebbe fatto seguito l’apertura di
una liquidazione (e quindi, non ancora o non necessariamente, una cessazione di
attività) sono affermazioni eccessivamente generiche per comportare una valida
devoluzione al giudizio di cassazione dell’apprezzamento delle ragioni
giuridiche che da esse si intenderebbero desumere.

3. In definitiva il ricorso è nel suo insieme
inammissibile e va pertanto disatteso, con regolazione secondo soccombenza
delle spese del grado.

 

P.Q.M.

 

dichiara inammissibile il ricorso e condanna la
ricorrente al pagamento in favore della controparte delle spese del giudizio di
legittimità che liquida in euro 5.000,00 per compensi ed euro 200,00 per
esborsi, oltre spese generali ed accessori di legge.

Ai sensi dell’art. 13 comma 1 quater del d.p.r. 115
del 2002, dà atto della sussistenza dei presupposti processuali per il
versamento, da parte della ricorrente, dell’ulteriore importo a titolo di
contributo unificato pari a quello previsto per il ricorso, a norma del comma
1-bis, dello stesso articolo 13,
se dovuto.

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