Giurisprudenza – CORTE COSTITUZIONALE – Sentenza 23 marzo 2021, n. 45

Riconoscimento o disconoscimento di giornate lavorative
intervenuti dopo la compilazione e la pubblicazione dell’elenco nominativo
annuale, Notifica in via telematica ai lavoratori interessati del provvedimento
– Gravoso onere di venire a conoscenza del provvedimento amministrativo di
cancellazione, Non sussiste

 

Ritenuto in fatto

 

1.- Con tre ordinanze (iscritte al registro
ordinanze 2020 con i numeri 135, 136 e 140), emanate in data 16 giugno 2020, la
Corte di appello di Reggio Calabria solleva questioni di legittimità
costituzionale, in riferimento agli artt. 24 e 117, primo comma, della Costituzione, in relazione
all’art. 47 della Carta dei diritti
fondamentali dell’Unione europea (CDFUE), proclamata a Nizza il 7 dicembre 2000
e adattata a Strasburgo il 12 dicembre 2007,
dell’art. 38, comma 7, del
decreto-legge 6 luglio 2011, n. 98 (Disposizioni urgenti per la
stabilizzazione finanziaria), convertito, con modificazioni, nella legge 15 luglio 2011, n. 111, nella parte in cui
prevede che «[i]n caso di riconoscimento o di disconoscimento di giornate
lavorative intervenuti dopo la compilazione e la pubblicazione dell’elenco
nominativo annuale, l’INPS provvede alla notifica ai lavoratori interessati
mediante la pubblicazione, con le modalità telematiche previste dall’articolo 12-bis del regio decreto 24
settembre 1940, n. 1949, di appositi elenchi nominativi trimestrali di
variazione».

Ad avviso della Corte rimettente, la modalità di
notifica in via telematica ai lavoratori interessati del provvedimento di
riconoscimento/disconoscimento delle giornate lavorative, contemplata dalla
disposizione censurata, pone a carico del lavoratore agricolo il gravoso onere
di venire a conoscenza del provvedimento amministrativo di cancellazione
dall’elenco nominativo trimestrale; conoscenza dalla quale decorre il termine
per la contestazione del provvedimento, con conseguenti effetti negativi
sull’esercizio del diritto di difesa, volto a conseguire le prestazioni
previdenziali, correlate all’iscrizione stessa, negate dall’Istituto nazionale
della previdenza sociale (INPS).

In tal modo la disposizione violerebbe l’art. 117, primo comma, Cost., «per mancata
conformazione del diritto interno ai vincoli derivanti dall’ordinamento
comunitario», in relazione all’art.
47 CDFUE e al principio di effettività, rendendo eccessivamente difficile
l’esercizio del diritto di difesa del lavoratore attraverso la tempestiva
impugnazione del provvedimento, ritenuto lesivo della sua situazione giuridica
soggettiva; e, contestualmente l’art. 24 Cost.,
determinando una «irragionevole compressione del diritto di agire in giudizio
per la tutela dei propri diritti e interessi legittimi».

1.1.- La questione è sorta nell’ambito di giudizi di
appello relativi a controversie in materia di indennità di disoccupazione per i
lavoratori agricoli a tempo determinato.

1.1.1.- La prima ordinanza (reg. ord. n. 135 del
2020) è stata pronunciata nell’ambito del giudizio volto alla riforma della
sentenza del Tribunale di Palmi, sezione lavoro, 12 ottobre 2017, n. 1337.

La Corte rimettente riferisce che il giudizio di
primo grado è stato instaurato separatamente da C. G. e C. S. con atti
depositati il 20 gennaio 2014. Nel lamentare ciascuno il mancato riconoscimento
dell’indennità di disoccupazione agricola per l’anno 2011, in relazione
all’attività lavorativa espletata per 102 giornate, di cui 51 per la
cooperativa G. R. e 51 per la cooperativa F. R. i ricorrenti chiedevano la
condanna dell’INPS all’erogazione della denegata prestazione previdenziale.

Il Tribunale adito, non ammessa la prova per testi
richiesta dai ricorrenti, aveva rigettato le domande ritenendo non dimostrata
la prestazione lavorativa: in relazione all’annualità 2010 aveva rilevato la
mancanza di prova dell’iscrizione negli elenchi dei lavoratori agricoli per
l’anno 2010; per l’annualità 2011, aveva riscontrato l’iscrizione per sole 51
giornate.

Il giudice a quo rappresenta che in sede di
impugnazione i ricorrenti hanno chiesto di provare l’effettività dei periodi
lavorativi legittimanti la prestazione previdenziale richiesta e che l’INPS ha
riproposto l’eccezione, già sollevata in primo grado, di inammissibilità della
domanda «per essere i ricorrenti incorsi nella decadenza ex art. 22 comma 1 D.L. 7 del 1970,
che impone al lavoratore di proporre l’azione giudiziaria entro 120 giorni
dalla presa di conoscenza del provvedimento di cancellazione dagli elenchi».
Ciò in quanto l’Istituto ha affermato di aver notificato le cancellazioni
attraverso la pubblicazione sul proprio sito internet del terzo elenco
trimestrale di variazione dal 15 al 31 dicembre 2013, come previsto dall’art. 38, comma 7, del d.l. n. 98 del
2011 e che, pertanto, al momento della proposizione dell’azione giudiziaria
il predetto termine decadenziale era decorso.

La Corte di appello di Reggio Calabria rappresenta,
altresì, che i ricorrenti hanno affermato di «non avere mai avuto conoscenza di
queste cancellazioni e di conseguenza contestano di essere incorsi in
decadenza», e che, prospettata, in ogni caso, la illegittimità costituzionale
del citato art. 38, comma 7, del
d.l. n. 98 del 2011, hanno insistito per ottenere l’accertamento in via
giudiziale della prestazione.

1.1.2.- La seconda ordinanza (reg. ord. n. 136 del
2020) è intervenuta nel corso del giudizio instaurato dall’INPS avverso la
sentenza del Tribunale di Locri, sezione lavoro, 21 dicembre 2016, n. 1087.

Il giudice rimettente riferisce che in primo grado
la ricorrente I. M. – premesso di aver lavorato quale bracciante alle
dipendenze di un’azienda agricola per 102 giornate nel 2008, venendo iscritta
negli elenchi dei lavoratori agricoli del comune di Bovalino – lamentava che
l’INPS, con lettera notificata il 24 marzo 2015, le aveva richiesto la
restituzione di 1.215,03 euro per disoccupazione agricola relativa all’anno
2008, ritenendo non spettante la prestazione per avvenuta cancellazione dagli
elenchi. Pertanto la ricorrente chiedeva di dichiararsi l’illegittimità della
cancellazione e conseguentemente l’esistenza del titolo per l’erogazione
dell’importo ripetuto dall’INPS.

Costituitosi l’ente previdenziale nel giudizio di
primo grado, il Tribunale adito, esperita la prova testimoniale, in
accoglimento della domanda attorea, aveva annullato la cancellazione
dall’elenco e disposto la reiscrizione della lavoratrice, dichiarando non
dovute le somme richieste dall’Istituto.

La Corte di appello calabrese prosegue
rappresentando che, nell’impugnare la predetta sentenza, l’INPS aveva dedotto
che il Tribunale era entrato direttamente nel merito, senza esaminare la
preliminare eccezione di decadenza dall’impugnazione della cancellazione dagli
elenchi, e che la appellata, nel resistere al gravame, aveva sul punto ribadito
quanto già dedotto in primo grado, ovvero «di avere avuto conoscenza della
cancellazione non prima del 24 marzo 2015, sicché il ricorso giudiziale
proposto il 3 luglio sarebbe ampiamente tempestivo».

Il rimettente espone, altresì, che «[l]’INPS aveva
tuttavia evidenziato di avere notificato il provvedimento con le forme previste
dall’art. 38 comma 7 D.L. 98 del
2011, conv. legge 111/2011, attraverso la
pubblicazione telematica del terzo elenco trimestrale di variazione 2013 sul
proprio sito dal 15 al 31 dicembre 2013», e che, pertanto, rispetto a tale
notifica il termine decadenziale era ampiamente decorso.

La lavoratrice, resistendo nel giudizio di appello,
aveva contestato l’efficacia della predetta notifica, confutando tuttavia solo
genericamente l’adempimento degli oneri procedimentali a carico dell’Istituto,
e comunque negando che la disciplina dell’art. 38, comma 7, potesse
esserle applicata.

1.1.3.- La terza ordinanza (reg. ord. n. 140 del
2020) è stata pronunciata nel corso del giudizio promosso da I. M. avverso la
sentenza pronunciata dal Tribunale di Locri, sezione lavoro, 21 dicembre 2016,
n. 1088.

Il giudizio di primo grado era stato instaurato da
I. M. con ricorso depositato il 27 luglio 2015, nel quale, premesso di avere
lavorato quale bracciante alle dipendenze di un’azienda agricola per 102
giornate nel 2009, venendo iscritta negli elenchi dei lavoratori agricoli del
comune di Bovalino, lamentava che l’INPS, con lettera notificata il 24 marzo
2015, le aveva richiesto la restituzione di 1.215,03 euro per disoccupazione
agricola relativa all’anno 2008, assumendo che la prestazione non spettava per
avvenuta cancellazione dagli elenchi. La ricorrente chiedeva, pertanto,
dichiararsi l’illegittimità della cancellazione, con condanna alla
reiscrizione, e conseguentemente accertarsi l’esistenza di un titolo per
l’erogazione dell’importo di cui l’INPS chiedeva la ripetizione.

Costituitosi l’INPS, il giudice di primo grado aveva
dichiarato la domanda improcedibile per mancato espletamento del procedimento
amministrativo prodromico.

Nel rappresentare che in sede di appello la
lavoratrice ha lamentato l’errata applicazione da parte del Tribunale dell’art. 443 del codice di procedura civile «che non
prevede la dichiarazione diretta di improcedibilità ma l’assegnazione di un
termine», la Corte di appello di Reggio Calabria afferma che, ritenendo
«[p]alesemente fondata questa argomentazione», «deve sostituirsi al primo
giudice nella valutazione dell’insieme delle domande».

La Corte rimettente riferisce altresì: che «[l]’Inps
aveva evidenziato di avere notificato il provvedimento con le forme previste
dall’art. 38 comma 7 D.L. 98 del
2011, conv. legge 111/2011, attraverso la
pubblicazione telematica del terzo elenco trimestrale di variazione 2013 sul
proprio sito dal 15 al 31 dicembre 2013», sicché rispetto a tale notifica il
termine decadenziale era ampiamente decorso; ma che sul punto la appellata si è
difesa sostenendo di avere avuto conoscenza della cancellazione non prima del
24 marzo 2015, con la conseguenza che il ricorso giudiziale proposto il 3
luglio «sarebbe ampiamente tempestivo». In ogni caso la ricorrente contesta
l’efficacia della notifica telematica, «confutando solo genericamente
l’adempimento degli oneri procedimentali a carico dell’istituto ma negando che
la disciplina dell’art. 38 comma 7 possa esserle applicata».

2.- A sostegno della questione di legittimità
costituzionale sollevata nei confronti della disposizione in esame, è addotto
nelle tre ordinanze un identico ordine di considerazioni.

Premesse le fonti normative applicabili alla
fattispecie e la loro consolidata interpretazione giurisprudenziale, il giudice
a quo rappresenta che «[n]el diritto vivente espresso dalla consolidata
interpretazione giurisprudenziale, il termine di 120 giorni previsto dall’art. 22 D.L. 7 del 1970 conv. legge 83 del 1970 per impugnare i provvedimenti
definitivi in tema di iscrizione alle liste dei lavoratori agricoli ha natura
sostanziale, in quanto relativo al compimento di un atto di esercizio di un
diritto soggettivo, ed è insuscettibile di sanatoria», e che «l’iscrizione alle
liste costituisce, ai sensi del R.D. 1949 del 1940,
presupposto sostanziale indefettibile per ottenere prestazioni previdenziali in
agricoltura, non bastando a tal fine neanche l’accertamento giudiziale
dell’effettività del rapporto di lavoro, ove non accompagnato dall’iscrizione».

Il rimettente ricorda che «[a] mente del previgente art. 17 D.L. 7/70, convertito
in legge 83/70, anche dopo le modifiche
apportate dal D.L. 510 conv. legge 608 del 1996 e dal D.Lgs. 375 del 1993, la decorrenza del termine
decadenziale per l’impugnazione dei provvedimenti di cancellazione partiva dal
momento in cui il provvedimento era comunicato personalmente all’interessato, a
mezzo di messo comunale o del servizio postale». In proposito richiama la
sentenza della Corte di cassazione, sezione lavoro, 16 gennaio 2007, n. 813,
nella parte in cui afferma che «La speciale disciplina che compiutamente regola
la materia dell’accertamento dei lavoratori agricoli dipendenti […] si
caratterizza per essere l’iscrizione negli elenchi nominativi, come pure la non
iscrizione ovvero la cancellazione oggetto di provvedimenti espressi (il primo
collettivo, gli altri individuali) e tutti comunicati agli interessati mediante
notifica (eseguita, per l’iscrizione, con l’affissione dell’elenco nell’albo
pretorio del comune di residenza ovvero personalmente al lavoratore in caso di
mancata iscrizione, totale o parziale, o di cancellazione)».

Nell’evidenziare che tale soluzione è stata
costantemente ribadita dalla successiva giurisprudenza di legittimità, la Corte
di appello di Reggio Calabria afferma che «la notifica personale non è stata
invece mai ritenuta necessaria in relazione ai provvedimenti di iscrizione,
bastando pertanto, ai fini della decorrenza dei termini di decadenza, la
pubblicazione dell’elenco, quale comunicazione collettiva e impersonale ma
sufficientemente efficace».

Il descritto quadro normativo è stato, dunque,
modificato dal censurato art. 38,
comma 7, del d.l. n. 98 del 2011, secondo cui la notifica dei provvedimenti
avviene con le modalità telematiche stabilite dall’art. 12-bis del r.d. 29 settembre
1940, n. 1949, introdotto dal comma 6 del medesimo art. 38 del d.l. n. 98 del 2011.

In particolare la disposizione stabilisce che con
riferimento alle giornate di occupazione successive al 31 dicembre 2010, dichiarate
dal datore di lavoro e comunicate all’INPS ai sensi dell’art. 6 del decreto legislativo 11
agosto 1993, n. 375, recante «Attuazione dell’art. 3, comma 1, lettera aa),
della L. 23 ottobre 1992, n. 421, concernente razionalizzazione dei sistemi
di accertamento dei lavoratori dell’agricoltura e dei relativi contributi», per
gli operai agricoli a tempo determinato, per i compartecipanti familiari, e per
i piccoli coloni, gli elenchi nominativi annuali di cui all’art. 12 sono notificati ai
lavoratori interessati mediante pubblicazione telematica effettuata dall’INPS
nel proprio sito internet entro il mese di marzo dell’anno successivo secondo
specifiche tecniche stabilite dall’Istituto stesso.

Per effetto della disposizione sospettata di
illegittimità costituzionale, dunque, secondo la Corte rimettente, «non è più
prevista una notificazione individuale al lavoratore interessato, bensì
l’inserimento della cancellazione del singolo lavoratore in un elenco di
variazione pubblicato telematicamente dall’INPS nel proprio sito, secondo
specifiche tecniche stabilite dall’Istituto stesso».

In tal modo, prosegue il rimettente, la previsione
«pone sul soggetto iscritto nell’elenco dei lavoratori agricoli un onere di
consultazione degli elenchi trimestrali di variazione pubblicati periodicamente
sul sito on line dell’INPS, secondo modalità che – tra l’altro – non sono
fissate per legge ma rinviate alle specifiche tecniche stabilite
dall’Istituto», che vi ha provveduto con la circolare
14 giugno 2012, n. 82 (Disposizioni in materia di contenzioso previdenziale
ed assistenziale. Articolo 38,
commi 6 e 7: pubblicazione degli elenchi nominativi dei lavoratori
dell’agricoltura), disponendo che: gli elenchi di variazione verranno
pubblicati secondo il seguente calendario: entro il 15 giugno primo elenco di
variazione; entro il 15 settembre secondo elenco di variazione; entro il 15
dicembre terzo elenco di variazione; entro il 10 marzo dell’anno successivo
quarto elenco di variazione; i suddetti elenchi saranno pubblicati sul sito
internet dell’Istituto accessibile all’indirizzo www.inps.it, nella sezione
“Avvisi e Concorsi”, sotto la voce “Avvisi”, e rimarranno in pubblicazione per
quindici giorni consecutivi; la consultazione sarà possibile mediante libero
accesso e senza utilizzo del P.I.N.; decorsi quindici giorni consecutivi dalla
pubblicazione gli elenchi non saranno più visualizzabili; la pubblicazione
degli elenchi avrà, ad ogni effetto di legge, valore di notifica alla parte
interessata e, pertanto, al lavoratore non verrà inviata la notifica
individuale della variazione di giornate; gli elenchi saranno consultabili per
singola Provincia e singolo Comune e ognuno di essi sarà accompagnato da un
frontespizio riportante il periodo di validità, il numero dei lavoratori
contenuti, i riferimenti normativi e procedurali a base delle variazioni,
l’organo e i termini per gli eventuali ricorsi amministrativi.

Il Collegio a quo evidenzia che né la legge, ma
neanche le circolari dell’INPS, «indicano delle date precise nelle quali essi
vanno pubblicati, ma solo i termini entro i quali ciò va fatto, sicché non è
prevedibile a priori con certezza, ma solo in termini approssimativi, quando
cadranno i quindici giorni durante i quali gli stessi resteranno pubblicati sul
sito dell’Istituto».

Ciò comporta che grava sul lavoratore agricolo
l’onere «di un costante controllo sul sito on line dell’istituto sulle
pubblicazioni degli elenchi di variazione che potrebbero – in ipotesi come
quella in esame – contenere la cancellazione della sua iscrizione risalente
anche ad anni precedenti, verifica che – tra l’altro, per effetto della
rimessione all’INPS delle modalità di pubblicazione – va condotta, quantomeno,
con cadenza quindicinale, posto che quella è la durata della pubblicazione di
ogni singolo elenco».

In ordine alla rilevanza della questione il
rimettente afferma che l’applicazione della disposizione censurata è decisiva
per la definizione dei giudizi a quibus, in quanto interviene «a monte, sulla
stessa configurabilità del diritto alla prestazione e, pertanto, confermando la
natura indebita della stessa».

Quanto alla non manifesta infondatezza, la Corte di
appello calabrese svolge diffuse argomentazioni a sostegno della dedotta
violazione dei parametri evocati.

Riguardo alla lesione dell’art. 117, primo comma, Cost., in relazione all’art. 47 CDFUE, il rimettente,
premesso che tale articolo sancisce il cosiddetto principio di effettività,
riconoscendo che «Ogni individuo i cui diritti e le cui libertà garantiti dal
diritto dell’Unione siano stati violati ha diritto a un ricorso effettivo
dinanzi a un giudice…», afferma che «dunque, il sistema dell’Unione Europea
intende garantire a ogni cittadino una tutela effettiva dei propri diritti, che
rimuova ostacoli di ordine processuale che rendano eccessivamente oneroso
l’esercizio del diritto di difesa» e che «sulla medesima linea si muove la
giurisprudenza della Corte Costituzionale, che ha costantemente utilizzato,
quale parametro alla cui stregua valutare la legittimità delle norme
processuali, la idoneità delle stesse a rendere effettiva la possibilità di
esercizio del diritto cui esse si riferiscono, non frapponendo ostacoli che
producano eccessive e irragionevoli difficoltà» (viene ricordata in particolare
la sentenza n. 44 del 2016).

Il giudice rimettente rappresenta che il «medesimo
parametro di valutazione è stato utilizzato anche per scrutinare la conformità
a costituzione di norme che impongono termini per l’esercizio del diritto,
statuendosi il principio secondo cui l’incongruità del termine rilevante sul
piano della violazione degli indicati parametri costituzionali si registra solo
qualora esso sia non idoneo a rendere effettiva la possibilità di esercizio del
diritto cui si riferisce e di conseguenza tale da rendere inoperante la tutela
accordata al cittadino (Corte Cost. n. 94/2017, così in motivazione)».

In ordine alla specifica problematica che assume
rilievo nel giudizio a quo, ossia la verifica della ragionevolezza
dell’adozione del sistema di comunicazione attraverso pubblicazione di atti, il
rimettente evidenzia che sia la giurisprudenza costituzionale che quella di
legittimità hanno declinato il medesimo criterio dell’eccessiva difficoltà
dell’esercizio del diritto di difesa. Vengono richiamate, rispettivamente, la
sentenza della Corte costituzionale n. 223 del 1993 e la sentenza della Corte
di cassazione, sezioni unite, 10 maggio 1996, n. 4394.

Ad avviso del rimettente, nella fattispecie in esame
la rilevata esigenza di garantire l’effettività dell’esercizio del diritto di
difesa si ripropone «con ancora maggiore pregnanza».

Ciò in quanto «il lavoratore agricolo sa solo di
essere iscritto negli elenchi dei lavoratori agricoli, ma non è necessariamente
a conoscenza di eventuali accertamenti ispettivi e del loro esito, essendo
tutt’altro che infrequenti i casi di indagini ispettive su aziende agricole
compiute senza assumere informazioni dai lavoratori interessati e anche a
distanza di anni da quando il rapporto di lavoro agricolo si è svolto. Il
lavoratore dunque non soltanto non conosce i tempi dell’emissione del
provvedimento di cancellazione che farà scattare il termine di impugnazione, ma
neppure ha motivo di ritenere che un simile provvedimento verrà mai in essere e
non ha perciò motivo di tenersi costantemente aggiornato».

La Corte d’appello di Reggio Calabria assume che «la
menomazione del diritto di difesa – già rinvenibile per il solo fatto di far
decorrere il dies a quo per impugnare dal momento della pubblicazione
telematica degli elenchi di variazione senza comunicazione individuale ai
singoli braccianti interessati dalla cancellazione – è ulteriormente aggravata
dal fatto che, secondo la circolare INPS 82/2012
sopra citata, le variazioni restano pubblicate per soli quindici giorni,
decorsi i quali gli eventuali interessati non avranno possibilità di venire a
conoscenza delle rispettive cancellazioni».

In proposito, il giudice a quo deduce che «dalle due
fasi nelle quali si sviluppa l’attività che è chiamata a svolgere la parte
interessata a proporre ricorso avverso la cancellazione – quella percettiva,
consistente nel prendere cognizione dell’atto da impugnare, e quella volitiva,
consistente nella elaborazione e predisposizione dell’atto di impugnazione – la
prima finisce per soggiacere non al termine fissato dalla legge (come
avverrebbe se, conformemente all’id quod plerumque accidit, l’atto, una volta
pubblicato, restasse a disposizione a tempo indefinito), bensì al minor termine
di 15 giorni stabilito dall’Istituto previdenziale, con evidente, irragionevole
compressione del diritto di difesa, non potendosi conculcare il diritto
dell’interessato a usufruire dell’intero termine di legge anche per la presa di
conoscenza del provvedimento, nulla escludendo che lo stesso possa predisporre
il ricorso tempestivamente nell’imminenza della scadenza».

Il rimettente confuta poi che la diffusione
dell’utilizzo degli strumenti telematici possa giustificare la previsione
censurata poiché «quel che rende eccessivamente oneroso l’esercizio del diritto
di difesa rispetto all’osservanza del termine di decadenza è la stessa
necessità di un controllo periodico, frequente e con cadenza non
preventivamente stabilita con esattezza del sito dell’INPS, volto a verificare
l’eventuale adozione di provvedimenti che potrebbero riguardare anche annualità
risalenti e che sarebbero destinati a incidere non su un’aspettativa, ma su un
diritto, quello all’iscrizione negli elenchi dei lavoratori agricoli, già
entrato a far parte del patrimonio del soggetto».

Sul punto evidenzia che «non risultano
nell’ordinamento, del resto, ipotesi di pubblicazione generalizzata per casi in
cui il provvedimento incida su situazioni giuridiche già entrate nel patrimonio
di un soggetto, che si trovi dunque in posizione di mera difesa», non potendosi
invocare la previsione dell’art.
32, comma 1, della legge 18 giugno 2009, n. 69 (Disposizioni per lo sviluppo
economico, la semplificazione, la competitività nonché in materia di processo
civile), secondo cui «a far data dal 1° gennaio 2010, gli obblighi di
pubblicazione di atti e provvedimenti amministrativi aventi effetto di
pubblicità legale si intendono assolti con la pubblicazione nei propri siti
informatici da parte delle amministrazioni e degli enti pubblici obbligati».

Il giudice a quo ritiene che la riportata
disposizione deve, difatti, essere interpretata quale «forma di agevolazione
per le amministrazioni che debbano portare a conoscenza di una generalità di
soggetti non preventivamente identificati e potenzialmente interessati (bandi
di gara, concessioni etc.), non quando si tratta di atti che incidono
direttamente sulla singola posizione giuridica di soggetti determinati», come,
del resto, affermato dalla giurisprudenza amministrativa (viene richiamata la
sentenza del Tribunale amministrativo regionale per la Lombardia, sezione
quarta, 13 dicembre 2011, n. 3148, secondo cui l’articolo sopra citato «[…]
appare inequivoco nel determinare una presunzione assoluta di conoscenza in
capo ai soggetti interessati all’emanazione di atti da parte delle pubbliche
amministrazioni, qualora gli stessi non debbano ricevere una comunicazione
individuale legata alla loro peculiare posizione»).

Inoltre, rappresenta che «l’esigenza di una
utilizzazione restrittiva delle forme di pubblicazione telematica è stata
avvertita anche dal Consiglio di Stato [sezione terza, sentenza 28 settembre
2018, n. 5570], che pure si occupava non di un atto direttamente lesivo di
singole posizioni giuridiche, bensì di un provvedimento amministrativo rispetto
al quale vi era una platea indifferenziata di potenziali interessati». In tale
decisione si afferma, difatti, che «…le norme in tema di pubblicazione
telematica degli atti devono essere applicate con particolare cautela e,
quindi, sottostare ad un canone di interpretazione restrittiva, in particolare
modo nel momento in cui si tratta di determinare (in via interpretativa) gli
effetti di conoscenza legale associabili o meno a siffatta tipologia di
esternazione comunicativa».

Il giudice rimettente ritiene dunque che la norma in
questione non garantisce l’effettivo esercizio del diritto di difesa, «reso
eccessivamente difficoltoso, sotto il profilo della gravosità di un costante
controllo telematico degli elenchi (inesigibile per se stesso e reso ancor più
gravoso dal fatto che – secondo le disposizioni adottate dall’INPS, cui la
norma rinvia, tali elenchi restano pubblicati solo per quindici giorni, senza
che l’interessato sia in grado di conoscere con precisione la collocazione
cronologica dei periodi di pubblicazione), onde evitare che diventi definitivo
un provvedimento che può portare alla perdita di diritti patrimoniali anche rilevanti
(si pensi alle ripercussioni che una cancellazione può avere sul requisito
contributivo ai fini pensionistici), e ciò oltretutto, come sovente accade, con
riguardo a iscrizioni negli elenchi risalenti a molti anni prima».

Da ultimo, il rimettente conclude escludendo la
possibilità un’interpretazione adeguatrice della norma in questione alla luce
del suo tenore letterale e del richiamato diritto vivente.

3.- Nei tre giudizi si è costituito l’INPS con atti
depositati il 22 ottobre 2020, di identico contenuto.

3.1.- Preliminarmente, l’Istituto solleva plurime
eccezioni in ordine alla ammissibilità della questione: per difetto di
motivazione sulla rilevanza; per carenze motivazionali in ordine alle norme
processuali o di diritto sostanziale in ipotesi violate e alle ragioni che
impedirebbero all’interessato di ricorrere in via giudiziale; per omesso
esperimento, da parte del giudice a quo, dell’effettuazione «anche solo in via
ipotetica, una possibile interpretazione costituzionalmente conforme della
norma censurata»; per irrilevanza della questione a seguito della intervenuta
abrogazione della disposizione censurata ad opera dell’art. 43, comma 7, del decreto-legge
16 luglio 2020, n. 76 (Misure urgenti per la semplificazione e
l’innovazione digitale), convertito, con modificazioni, nella legge 11 settembre 2020, n. 120.

3.2.- Nel merito, L’INPS assume la (manifesta)
infondatezza della questione, poiché «appare evidente che la novella
legislativa di cui all’art. 38,
commi 6 e 7, del D.L. n. 98/2011 si pone in perfetta armonia con una
generale tendenza all’informatizzazione della P.A. iniziata già dagli anni ‘90
– cfr. l’art. 2, comma 1, lett. m), della L. n. 412/1992; il D.Lgs. n.
397/1993; l’art. 15, comma 2
della L. n. 59/1997 – e poi proseguita con sempre maggiore enfatizzazione
nei decenni successivi».

Secondo l’Istituto «la evidente ratio della norma
sospettata di illegittimità costituzionale – facilmente individuabile nelle
estese dimensioni di un fenomeno variegato e complesso anche per la sua
parcellizzazione soggettiva e topografica, e, quindi, nella oggettiva necessità
di esternare giuridicamente gli aggiornamenti in tempi ragionevoli e, comunque,
compatibili con la tutela concreta delle situazioni connesse a dette
variazioni, la pone, per la sua chiara specificità, al riparo da astratte
censure di irrazionalità e/o irragionevolezza portate in emersione, fra
l’altro, in uno scenario epocale a sua volta avulso dalla realtà quotidiana
che, contrariamente a quanto opinato dal rimettente, vede lo strumento della
comunicazione via internet tutt’altro che abnorme».

L’ente previdenziale afferma che «il legislatore,
con le disposizioni normative censurate, ha dunque solo introdotto una
variazione delle modalità di pubblicazione che tiene conto delle innovazioni
tecnologiche, alle quali l’onere informativo dei lavoratori, già previsto in
precedenza, deve necessariamente adeguarsi», evidenziando che «il lavoratore
agricolo era, infatti, già onerato di un controllo relativo alla pubblicazione
degli elenchi secondo la normativa precedente, in quanto nel sistema delineato
dal D.L. n. 510/96, convertito in legge n. 608/96, era previsto che la notifica agli
interessati degli elenchi annuali di cui all’art. 12 R.D. n. 1949/1940
avvenisse mediante affissione degli elenchi stessi per 15 giorni consecutivi
all’albo pretorio del comune di residenza dei lavoratori interessati».

Nel rappresentare che «la novella in materia non ha
apportato alcuna modifica alle norme di carattere sostanziale e/o processuale
del nostro ordinamento giuridico in materia di azioni giudiziali a tutela del
lavoro agricolo e rimette all’Istituto previdenziale l’indicazione delle sole
“specifiche tecniche” in ordine alla pubblicazione telematica», l’INPS deduce
che del resto la «valutazione circa le modalità di conoscenza da parte degli
interessati di atti e provvedimenti della P.A., in prospettiva di una maggiore
efficienza e semplificazione dell’azione ed attività amministrativa, non può
che essere rimessa alla scelta discrezionale del legislatore, che tenga conto,
come nella specie, del contemperamento dei diversi interessi in gioco».

Ad avviso della difesa dell’ente, dunque, «con
l’introduzione della modalità telematica della notifica delle variazioni trimestrali
il lavoratore agricolo non può ritenersi defraudato né del diritto di azionare
in sede giudiziale le tutele apprestatogli dall’ordinamento (ove lo stesso si
ritenga leso dai provvedimenti adottati dall’amministrazione relativi
all’iscrizione/cancellazione dagli elenchi), né, tantomeno, del diritto di
difesa, sia in caso di eventuale ricorso in sede amministrativa, che in sede
giudiziaria».

Viene, poi, confutato l’assunto del giudice
rimettente relativo alla onerosità per il lavoratore agricolo del costante
controllo sul sito dell’Istituto, «dal momento che la pubblicazione telematica
è prevista sia per far conoscere al lavoratore l’avvenuta iscrizione negli
elenchi, sia per far conoscere la sua avvenuta cancellazione, con l’ovvia
conseguenza che se la suddetta modalità di notificazione consente al lavoratore
agricolo di venire a conoscenza della sua iscrizione negli elenchi annuali, non
appare comprensibile perché la suddetta modalità di conoscenza diventi
impraticabile, particolarmente difficoltosa e addirittura costituzionalmente
illegittima ove il lavoratore agricolo debba successivamente verificare la sua
permanenza negli elenchi stessi, al fine di poter conseguire le connesse
prestazioni previdenziali a carico dell’Istituto».

L’Istituto afferma, inoltre, che «quanto sopra
appare tanto più incomprensibile ove si consideri che la cancellazione dagli
elenchi, contrariamente a quanto ritenuto nell’ordinanza di rimessione, avviene
spesso a seguito di accertamento ispettivo da parte dell’INPS, all’esito del
quale emerge la non corrispondenza tra quanto denunciato dal datore di lavoro
(ai fini dell’iscrizione negli elenchi) e la riscontrata “fittizietà” dei
rapporti di lavoro subordinato dichiarati dallo stesso; “fittizietà” che di
certo non può ritenersi sconosciuta al presunto lavoratore agricolo».

La modalità di notificazione mediante pubblicazione
telematica degli elenchi non sarebbe, pertanto, penalizzante, «in
considerazione della ormai notoria diffusività degli strumenti informatici e
delle relative conoscenze, nonché della semplicità di effettuazione della
consultazione (non sono richieste nemmeno credenziali di accesso); al
contrario, tale modalità, appare apportare significativi vantaggi agli
interessati, sia in termini di rapidità che di costi, non richiedendo
spostamenti fisici e potendo consentire la consultazione anche in orari di
chiusura degli Uffici al pubblico (vantaggio non irrilevante per i lavoratori).
Le modalità di verifica sono altresì agevolate, oltre che dalla possibilità di
avvalersi di intermediari qualificati (Enti di patronato, associazioni
sindacali, CAF e simili) che apprestano gratuitamente attività di assistenza e
consulenza ai cittadini che alle medesime si rivolgano, anche dalla permanenza
di quindici giorni della pubblicazione degli elenchi sul sito internet
dell’Istituto».

L’Istituto prosegue affermando che la disciplina in
oggetto deve essere valutata in un’ottica di bilanciamento di valori
costituzionali, tenendo presente le esigenze di assicurare una maggiore
speditezza dell’azione amministrativa, di deflazionare il contenzioso in
materia, di prevenire abusi e indebiti previdenziali conseguenti alla
difficoltà di notifica al singolo operaio agricolo, a motivo della sua
reperibilità, e che in tale contesto «la progressiva attività di
informatizzazione della pubblica amministrazione e dell’attività della stessa,
nella prospettiva di una sempre maggiore efficienza dei servizi e delle
prestazioni (e della tempestività della erogazione delle medesime) offerte al
cittadino ed al lavoratore, è ormai tale che – proprio con specifico
riferimento, in particolare, all’INPS – per gran parte delle domande volte ad
ottenere il riconoscimento di un diritto o la liquidazione di una indennità, è
prescritto per legge l’utilizzo della sola modalità telematica, con esclusione
della modalità “cartacea” anche per ciò che concerne le relative
comunicazioni».

Altresì infondata sarebbe la censura svolta dal
rimettente in ordine all’asserita discrezionalità dell’INPS circa i tempi e i
modi cui realizzare tale notifica, in quanto «le relative specifiche tecniche
di cui alla circolare n. 82/2012
dell’Istituto, sono improntate in modo tale da prevenire proprio il rischio di
eccessiva discrezionalità nella tempistica».

Riguardo alla conoscibilità da parte del lavoratore
del provvedimento attraverso la notifica telematica, la difesa dell’ente
previdenziale sostiene che stante il chiaro dettato normativo il lavoratore
agricolo è ben edotto che la notifica delle variazioni trimestrali avviene
mediante pubblicazione telematica sul sito internet dell’INPS e vi rimarranno
in pubblicazione per quindici giorni consecutivi e che la pubblicazione dei
citati elenchi di variazione avrà, ad ogni effetto di legge, valore di notifica
alla parte interessata.

Ancora, l’Istituto previdenziale rileva che «d’altra
parte non mancano nel nostro ordinamento norme relative alla attribuzione di
legale conoscenza alla pubblicazione di atti con decorrenza dei relativi
termini (cfr., ad esempio, l’art. 15 del D.P.R n. 484/1987 in tema di
pubblicazione di graduatorie, l’art.
58 del D.L. n. 112/2008 in tema di pubblicazioni di elenchi immobiliari; l’art. 47 del D.L. n. 269/2003);
nonché disposizioni in materia di notificazioni e comunicazione di atti e
provvedimenti che riconducono gli effetti alla “presunzione di conoscenza” da
parte dei diretti interessati (ad esempio artt. 140
e 150 c.p.c )».

Quanto al richiamo operato dal giudice rimettente
all’art. 47 CDFUE e ai relativi
principi come delineati nella giurisprudenza della Corte di Giustizia,
l’Istituto ne assume la non pertinenza e la non suscettibilità «ad essere
assunto a parametro di comparazione nella questione all’esame concernente la
legittimità costituzionale della notifica telematica di provvedimenti
amministrativi».

Ciò perché «il principio di “equivalenza” e di
“effettività” in cui si sostanzia, secondo l’interpretazione della Corte di
giustizia, il dettato di cui all’art.
47 della Carta dei diritti fondamentali dell’Unione Europea, attengono alle
modalità “procedurali dei ricorsi” che devono essere tali da non rendere
impossibile la tutela giurisdizionale dei diritti e libertà garanti dal diritto
dell’Unione e/o dal diritto interno»; la giurisprudenza della Corte di
Lussemburgo ritiene, inoltre, che tali principi «si applicano alle domande
destinate a garantire l’esercizio di un diritto conferito ad un soggetto dal
diritto dell’Unione ed ai ricorsi giurisdizionali intesi a garantire la tutela
di un diritto siffatto».

Nel richiamare in proposito alcune decisioni della
Corte di Giustizia europea, la difesa dell’INPS conclude affermando che «la
norma censurata, in quanto diretta a disciplinare la sola modalità di
notificazione telematica delle variazioni nominative degli elenchi, non appare
in alcun modo idonea a porsi in contrasto con l’art. 47 della Carta dei diritti
fondamentali dell’Unione Europea, né con norme di rango costituzionale», tanto
più «in assenza di una disciplina comunitaria in materia di notificazione e
comunicazione degli atti e provvedimenti amministrativi».

3.3.- In prossimità dell’udienza, la difesa
dell’Istituto previdenziale ha depositato nei tre giudizi memorie nelle quali
ha ribadito quanto già argomentato in ordine alla inammissibilità delle
questioni per difetto di rilevanza e, comunque, alla loro infondatezza.

4.- È intervenuto in giudizio il Presidente del
Consiglio dei ministri, rappresentato e difeso dall’Avvocatura generale dello
Stato, con atti in data 26/27 ottobre 2020 del medesimo tenore.

In riferimento alla violazione dell’art. 117 Cost., la difesa statale ne eccepisce
l’inammissibilità «in quanto nella fattispecie non rilevano profili di diritto
eurounitario trattandosi di controversia relativa a diritti riconosciuti
dall’ordinamento nazionale. Né d’altronde vengono evidenziati tali profili
nella ordinanza di rimessione».

Quanto alla prospettata lesione dell’art 24 Cost., ne viene affermata l’insussistenza.

L’Avvocatura generale sostiene che «la dichiarata
finalità della norma de qua, onde realizzare una maggiore economicità
dell’azione amministrativa (comma 1), risponde allo scopo di semplificazione ed
informatizzazione dell’attività amministrativa, considerata l’ampia
discrezionalità del Legislatore nello stabilire specifiche modalità tecniche di
comunicazione degli atti mediante pubblicazione telematica con effetti di
pubblicità legale», e che la previsione normativa di comunicazione telematica è
del tutto coerente con la generale disposizione di cui all’art. 32 della legge n. 69 del 2009.

Rileva poi che, se «non può sottacersi che, seppure
alcune categorie di lavoratori o di soggetti deboli possono avere difficoltà
nell’utilizzo degli strumenti informatici», tuttavia «l’ordinamento vigente
prevede che apposite istituzioni (Enti di patronato, associazioni sindacali,
CAF e simili) apprestino gratuitamente attività di assistenza e consulenza ai
cittadini che alle medesime si rivolgano», e, inoltre, «il lavoratore può in
ogni momento consultare il proprio estratto conto individuale che riporta la
situazione aggiornata a seguito della pubblicazione degli elenchi».

In conclusione, la difesa statale afferma che «la
norma non appare affatto irragionevole avendo il legislatore contemperato le
contrapposte esigenze di celerità/semplificazione ed informatizzazione
dell’attività amministrativa con quella di conoscenza da parte del lavoratore
interessato» e che «di conseguenza, la conoscibilità legale assicurata dalla
norma non pare costituire alcuna irragionevole compressione del diritto di
difesa degli amministrati avverso provvedimenti di variazione degli elenchi
trimestrali».

 

Considerato in diritto

 

1.- Con le tre ordinanze indicate in epigrafe
(iscritte al registro ordinanze 2020 con i numeri 135, 136 e 140), la Corte di
appello di Reggio Calabria solleva questioni di legittimità costituzionale, in
riferimento agli artt. 24 e 117, primo comma, della Costituzione, quest’ultimo
in relazione all’art. 47 della
Carta dei diritti fondamentali dell’Unione europea (CDFUE), proclamata a Nizza
il 7 dicembre 2000 e adattata a Strasburgo il 12
dicembre 2007, dell’art. 38,
comma 7, del decreto-legge 6 luglio 2011, n. 98 (Disposizioni urgenti per
la stabilizzazione finanziaria), convertito, con modificazioni, nella legge 15 luglio 2011, n. 111, nella parte in cui
prevede che «[i]n caso di riconoscimento o di disconoscimento di giornate
lavorative intervenuti dopo la compilazione e la pubblicazione dell’elenco
nominativo annuale, l’INPS provvede alla notifica ai lavoratori interessati
mediante la pubblicazione, con le modalità telematiche previste dall’articolo 12-bis del regio decreto 24
settembre 1940, n. 1949 di appositi elenchi nominativi trimestrali di
variazione».

Le questioni sono sorte nell’ambito di giudizi di
appello relativi a controversie in materia di indennità di disoccupazione
agricola. I rispettivi ricorrenti hanno contestato la loro cancellazione dagli
elenchi dei lavoratori agricoli, che ha comportato la perdita del diritto alla
indennità di disoccupazione per effetto del mancato riconoscimento delle
giornate lavorative utili alla prestazione, nonché l’obbligo di restituire quanto
già indebitamente percepito a tale titolo.

In tutti i giudizi l’Istituto nazionale della
previdenza sociale (INPS) ha opposto l’intervenuta decadenza dalla possibilità
di promuovere l’azione giudiziaria essendo decorso il termine, previsto dall’art. 22 del decreto-legge 3
febbraio 1970, n. 7 (Norme in materia di collocamento e accertamento dei
lavoratori agricoli), convertito, con modificazioni, nella legge 11 marzo 1970, n. 83, di centoventi giorni
dalla notifica agli interessati del provvedimento di cancellazione, avvenuta,
ai sensi della disposizione impugnata, con la pubblicazione sul sito internet
dell’Istituto.

Per contro, i ricorrenti hanno affermato di non aver
avuto conoscenza dei provvedimenti in oggetto e negato di essere pertanto
incorsi nella decadenza eccepita dall’ente previdenziale.

1.1.- Va premesso che l’art. 12 del regio decreto 24
settembre 1940, n. 1949 (Modalità di accertamento dei contributi dovuti
dagli agricoltori e dai lavoratori dell’agricoltura per le associazioni
professionali, per l’assistenza malattia, per l’invalidità e vecchiaia, per la
tubercolosi, per la nuzialità e natalità per l’assicurazione obbligatoria degli
infortuni sul lavoro in agricoltura e per la corresponsione degli assegni
familiari, e modalità per l’accertamento dei lavoratori dell’agricoltura),
richiamato dalla disposizione impugnata, nel prevedere la compilazione di elenchi
nominativi dei lavoratori in agricoltura, stabilisce che ogni tre mesi possono
essere compilati elenchi suppletivi con le variazioni che riportano
l’indicazione della data di decorrenza della iscrizione o cancellazione di
ciascun nominativo.

A sua volta, l’art. 12-bis del medesimo regio
decreto, inserito dall’art. 38,
comma 6, del d.l. n. 98 del 2011, e richiamato dalla disposizione
impugnata, stabilisce che «[c]on riferimento alle giornate di occupazione
successive al 31 dicembre 2010, dichiarate dai datori di lavoro e comunicate
all’Istituto nazionale della previdenza sociale (INPS) ai sensi dell’articolo 6, commi 1, 3 e 4, del
decreto legislativo 11 agosto 1993, n. 375, per gli operai agricoli a tempo
determinato, per i compartecipanti familiari e per i piccoli coloni, gli
elenchi nominativi annuali di cui all’articolo 12 sono notificati
ai lavoratori interessati mediante pubblicazione telematica effettuata
dall’INPS nel proprio sito internet entro il mese di marzo dell’anno successivo
secondo specifiche tecniche stabilite dall’Istituto stesso».

1.2.- La Corte rimettente ritiene che la modalità di
notifica ai lavoratori interessati tramite la pubblicazione sul sito dell’INPS
degli elenchi nominativi trimestrali di variazione del provvedimento di
riconoscimento/disconoscimento delle giornate lavorative, prevista dalla
disposizione sospettata di illegittimità costituzionale, renda eccessivamente
difficoltoso l’esercizio del diritto di difesa.

Ciò perché porrebbe a carico dei lavoratori il
gravoso onere di un costante controllo telematico degli elenchi, al fine di
evitare che decorra il termine perentorio per contestare il provvedimento e
promuovere il giudizio volto a conseguire le prestazioni previdenziali negate
dall’Istituto.

In tal modo la disposizione impugnata violerebbe l’art. 117, primo comma, Cost. «per mancata
conformazione del diritto interno ai vincoli derivanti dall’ordinamento
comunitario», in relazione all’art.
47 CDFUE e al principio di effettività, nonché contestualmente l’art. 24 Cost., determinando una «irragionevole
compressione del diritto di agire in giudizio per la tutela dei propri diritti
e interessi legittimi».

1.3.- Nel merito, la Corte di appello di Reggio
Calabria rileva che l’onere posto a carico del lavoratore dalla modalità di
notificazione telematica contemplata dalla disposizione censurata rende
difficoltoso il tempestivo esercizio del diritto di difesa attraverso
l’impugnazione del provvedimento ai sensi dell’art. 22 del d.l. n. 7 del 1970,
come convertito, ed è tanto più grave in quanto, nella fattispecie, l’esercizio
dell’azione giudiziale è rivolto a far valere situazioni giuridiche soggettive
concernenti diritti a prestazioni previdenziali.

Il rimettente ritiene che la gravosità di un tale
onere è ulteriormente accentuata dalle previsioni della circolare 14 giugno 2012, n. 82 (Disposizioni in
materia di contenzioso previdenziale ed assistenziale. Articolo 38, commi 6 e 7:
pubblicazione degli elenchi nominativi dei lavoratori dell’agricoltura) con cui
l’INPS, in attuazione della disposizione censurata, ha dettato le “specifiche
tecniche” della pubblicazione in modalità telematica; in particolare, la
previsione della circolare secondo cui «decorsi quindici giorni consecutivi
dalla pubblicazione, i medesimi elenchi non saranno più visualizzabili»
compromette in modo irragionevole il diritto di difesa, non potendosi inibire
il diritto dell’interessato a utilizzare l’intero termine di legge previsto per
l’impugnazione anche per la conoscenza del provvedimento. Ciò perché il
lavoratore ben potrebbe predisporre il ricorso comunque tempestivamente
nell’imminenza della scadenza del termine stesso; il lavoratore interessato non
ha di norma conoscenze giuridiche adeguate, né ragione di farsi assistere da un
legale; la diffusione dell’utilizzo agli strumenti telematici non giustifica
l’utilizzo della modalità di notificazione in esame, che costituisce una
eccezione nell’ordinamento.

2.- L’identità delle questioni prospettate nei tre
giudizi promossi dalla Corte di appello di Reggio Calabria ne comporta la
riunione.

3.- Vanno preliminarmente esaminate le plurime
eccezioni di inammissibilità delle questioni sollevate dall’INPS e quella
prospettata dalla difesa statale.

3.1.- Nessuna delle eccezioni avanzate dall’Istituto
previdenziale è meritevole di accoglimento.

3.1.1.- In punto di rilevanza, l’INPS eccepisce che
il giudice a quo non avrebbe in alcun modo motivato circa la ritenuta «idoneità
della norma censurata a porre nel nulla gli esiti dell’istruzione svolta in
primo grado, intervenendo a monte sulla stessa configurabilità del diritto alla
prestazione e pertanto confermando la natura indebita della stessa».

L’assunto non è fondato, poiché le motivazioni
addotte dal giudice rimettente risultano plausibili e, dunque, idonee a
superare il vaglio di ammissibilità.

In tutte e tre le vicende la Corte di appello
prospetta, difatti, che la intervenuta decadenza dalla possibilità per il
lavoratore interessato di promuovere l’azione giudiziaria essendosi compiuto il
termine decadenziale, decorrente dalla pubblicazione in via telematica dei
rispettivi provvedimenti di variazione degli elenchi, precluderebbe lo stesso
esame nel merito in ordine alla sussistenza del diritto alle prestazioni
richieste. Ciò pertanto anche nei casi di cui alle ordinanze n. 136 e n. 140,
in cui si controverte, altresì, del diritto dell’INPS a ripetere il preteso
indebito previdenziale, con la conseguenza che la rilevata preclusione verrebbe
meno in caso di declaratoria di illegittimità costituzionale della disposizione
censurata, aprendo la strada alla verifica nel merito della sussistenza dei
requisiti per il conseguimento delle prestazioni previdenziali in oggetto.

3.1.2.- È altresì infondata l’eccezione di
inammissibilità sollevata dall’INPS in riferimento alle asserite carenze in cui
sarebbe incorso il rimettente circa la indicazione delle norme processuali e di
diritto asseritamente violate.

Risulta, difatti, con chiarezza che il giudice
rimettente censura la disposizione impugnata in quanto viene a fissare il
momento (notifica all’interessato del provvedimento di variazione dell’elenco)
da cui decorre il termine per ricorrere all’autorità giudiziaria, ai sensi
dell’art. 22 del d.l. n. 7 del
1970.

3.1.3.- Ancora, l’INPS eccepisce l’omesso
esperimento del tentativo di interpretazione costituzionalmente orientata della
disposizione censurata da parte della Corte rimettente.

L’eccezione non è accoglibile in quanto il giudice a
quo ha dato atto di avere escluso la possibilità di esperire un tale tentativo
esegetico in considerazione del tenore letterale della disposizione normativa e
della giurisprudenza in materia. In particolare ha osservato che «la
giurisprudenza di merito formatasi dopo l’entrata in vigore dell’art. 38 comma 7, vincolata dalla
inequivocabile formulazione legislativa, ha «costantemente ritenuto che, una
volta completata la procedura ora descritta, l’interessato ha legale conoscenza
della cancellazione e che da quel momento decorre il termine per l’impugnazione
amministrativa, ai sensi dell’art.
11 D.Lgs. 375/1993, in assenza della quale il provvedimento diventa
definitivo, con conseguente applicazione del termine di centoventi giorni per
l’introduzione del giudizio innanzi al tribunale».

Le argomentazioni così addotte dal giudice
rimettente consentono dunque di ritenere assolto l’onere di previo esperimento
del tentativo di interpretazione conforme della disposizione censurata.

3.1.4.- Da ultimo, la difesa dell’Istituto eccepisce
la irrilevanza della questione a seguito della abrogazione della norma
censurata intervenuta successivamente alla emanazione delle ordinanze in esame
da parte della Corte di appello di Reggio Calabria.

Anche tale eccezione non è fondata.

L’art.
43, comma 7, del decreto-legge 16 luglio 2020, n. 76 (Misure urgenti per la
semplificazione e l’innovazione digitale), convertito, con modificazioni, nella
legge 11 settembre 2020, n. 120, ha disposto:
«[a]ll’articolo 38, comma 7, del
decreto-legge 6 luglio 2011, n. 98, convertito, con modificazioni, dalla legge 15 luglio 2011, n. 111, al secondo periodo,
le parole da “l’INPS” a “di variazione” sono sostituite dalle seguenti: “l’INPS
provvede alla notifica ai lavoratori interessati mediante comunicazione
individuale a mezzo raccomandata, posta elettronica certificata o altra modalità
idonea a garantire la piena conoscibilità” e il terzo periodo è soppresso».

La novella normativa ripristina, dunque, la notifica
mediante comunicazione individuale al lavoratore agricolo del provvedimento di
riconoscimento o di disconoscimento di giornate lavorative intervenuto dopo la
compilazione e pubblicazione dell’elenco nominativo annuale, ma la norma non è
retroattiva, sicché permane l’interesse alla pronuncia di illegittimità
costituzionale della disposizione censurata.

3.2.- Merita invece accoglimento l’eccezione di
inammissibilità della questione sollevata dalla difesa statale per la dedotta
violazione dell’art. 117, primo comma, Cost. in
relazione all’art. 47 CDFUE.

Difatti nella problematica in esame non emergono
aspetti riferibili al diritto eurounitario in quanto la controversia attiene a
situazioni giuridiche soggettive riconosciute dall’ordinamento nazionale tanto
che le argomentazioni dedotte dal rimettente in riferimento a tale parametro
risultano svolgere una funzione meramente integrativa e di supporto alla
violazione dell’art. 24 Cost., avente carattere
decisamente prioritario nell’iter argomentativo del rimettente stesso.

4.- Nel merito la questione in riferimento all’art. 24 Cost. non è fondata.

4.1.- La normativa in materia di prestazioni a
sostegno del reddito, come l’indennità di disoccupazione, ha caratteristiche di
specificità, conseguenti alla natura dell’attività lavorativa con riguardo: al
suo accentuato carattere stagionale, alla esposizione a fenomeni metereologici,
alla stessa sede in cui essa è prestata, e al correlato, non infrequente
riscontro della natura fittizia dei rapporti di lavoro dichiarati.

Esemplificative di tale accentuata peculiarità sono
proprio le disposizioni secondo cui le prestazioni previdenziali in oggetto dei
lavoratori agricoli a tempo determinato richiedono, oltre allo svolgimento
effettivo dell’attività per un numero minimo di giornate coperte da
contribuzione, l’iscrizione dei lavoratori stessi negli appositi elenchi
nominativi previsti dall’art.
12 del r.d. n. 1949 del 1940.

La Corte di cassazione ha stabilito che tale
iscrizione espleta «una funzione di agevolazione probatoria che viene meno una
volta che l’Inps, a seguito di un controllo, disconosca l’esistenza del
rapporto di lavoro ai fini previdenziali, esercitando una propria facoltà (che
trova conferma nell’art. 9 del
D.Lgs. n. 375 del 1993), con la conseguenza che […] il lavoratore ha, in
tal caso, l’onere di provare l’esistenza, la durata e la natura onerosa del
rapporto dedotto a fondamento del diritto all’iscrizione – e/o di ogni altro
diritto consequenziale di carattere previdenziale – fatto valere in giudizio» (sezione lavoro, sentenza 19 maggio 2003, n. 7845).

Contro i provvedimenti di cancellazione il lavoratore
interessato può proporre ricorso in sede amministrativa, ai sensi dell’art. 11 del decreto legislativo
11 agosto 1993, n. 375, recante «Attuazione dell’art. 3, comma 1, lettera aa),
della L. 23 ottobre 1992, n. 421, concernente razionalizzazione dei sistemi
di accertamento dei lavoratori dell’agricoltura e dei relativi contributi».

Avverso il provvedimento che abbia assunto carattere
di definitività, l’art. 22 del
d.l. n. 7 del 1970 prevede la possibilità di promuovere azione giudiziaria
entro il termine di decadenza di centoventi giorni dalla notifica del
provvedimento definitivo o, comunque, dal momento in cui l’interessato ne abbia
avuto conoscenza.

La Corte di cassazione ha evidenziato che tale
peculiare sistema è funzionale e coerente con la specificità del settore
agricolo in ragione delle esigenze di celerità della procedura di accertamento
e definizione delle controversie (ex plurimis, sezione lavoro, ordinanza 21
novembre 2014, n. 24901 e sentenza 26 luglio 2009, n. 15814).

Anche questa Corte ha rilevato la specificità del
lavoro agricolo, nel dichiarare la compatibilità con gli artt. 3 e 38, secondo
comma, Cost. (evocati in quel giudizio) del sistema degli elenchi e del
regime della decadenza previsto dal citato art. 22 del d.l. n. 7 del 1970.
In particolare, ha affermato che la finalità della decadenza «è da rinvenire
nella esigenza di accertare nel più breve tempo possibile la sussistenza del
diritto all’iscrizione ed alle conseguenti prestazioni, avuto riguardo alla circostanza
che l’atto di iscrizione negli elenchi costituisce presupposto per l’accesso
alle prestazioni previdenziali collegate al solo requisito assicurativo, quali
la indennità di malattia o di maternità, e titolo per l’accredito, per ciascun
anno, dei contributi corrispondenti al numero di giornate di iscrizione negli
elenchi stessi» (sentenza n. 192 del 2005).

4.2.- Ora, va ricordato che, fino all’entrata in
vigore della disposizione censurata l’INPS, in caso di riconoscimento o di
disconoscimento di giornate lavorative, intervenuti dopo la compilazione e
pubblicazione dell’elenco nominativo annuale, doveva provvedere alla «diretta
notifica al lavoratore interessato», ai sensi dell’art. 9-quinquies, comma
4, del decreto-legge 1° ottobre 1996, n. 510 (Disposizioni urgenti in
materia di lavori socialmente utili, di interventi a sostegno del reddito e nel
settore previdenziale), convertito, con modificazioni, nella legge 28 novembre 1996, n. 608.

L’art.
38 del d.l. n. 98 del 2011, nel sopprimere gli elenchi nominativi
trimestrali previsti dal comma 2 del medesimo art. 9-quinquies del d.l.
n. 510 del 1996, ha dunque sostituito la comunicazione individuale con la
pubblicazione telematica sul sito Internet dell’INPS sia dell’elenco annuale,
sia delle sue variazioni trimestrali, prevedendo che essa valga come
notificazione agli interessati del provvedimento: il comma 6 in relazione agli
elenchi annuali, il comma 7 – che è la previsione specificatamente censurata
dal rimettente – in relazione agli elenchi nominativi trimestrali di variazione
conseguenti al riconoscimento o disconoscimento di giornate lavorative
intervenuti dopo la compilazione e pubblicazione dell’elenco nominativo
annuale.

A sua volta, come già si è rilevato, la censurata
previsione dell’art. 38, comma 7,
del d.l. n. 98 del 2011 è stata, successivamente all’emanazione delle
ordinanze di esame, novellata dall’art.
43, comma 7, del d.l. n. 76 del 2020, nel senso di reintrodurre la
notifica, al lavoratore interessato, tramite comunicazione individuale, dei
provvedimenti di variazione intervenuti dopo la compilazione e la pubblicazione
dell’elenco nominativo annuale.

5.- Il thema decidendum del presente giudizio è, dunque,
costituito dalla verifica della compatibilità con il diritto di difesa,
assicurato dall’art. 24 Cost., della modalità
di notifica tramite la pubblicazione del provvedimento in questione sul sito
internet dell’INPS, contemplato dalla disposizione censurata. Ciò sotto il
profilo della concreta possibilità per il lavoratore interessato di venire a
conoscenza del provvedimento stesso e, dunque, di agire tempestivamente per il
riconoscimento delle prestazioni previdenziali negate dall’Istituto.

5.1.- Questa Corte ha riconosciuto al legislatore
un’ampia discrezionalità nella conformazione degli istituti processuali (sentenze n. 44 del 2016 e n. 23 del 2015) con il
limite della manifesta irragionevolezza della disciplina ogni qual volta emerga
un’ingiustificata compressione del diritto ad agire (sentenza
n. 335 del 2004), costituito dal sostanziale impedimento all’esercizio del
diritto di azione (sentenza n. 117 del 2012) o dall’aver reso oltremodo
difficoltosa la tutela giurisdizionale.

Ha chiarito che è parte integrante del diritto di
difesa che i soggetti interessati abbiano tempestiva conoscenza degli atti
impugnabili, in modo che possano essere utilizzati nella loro interezza i
termini di decadenza previsti per l’esperimento del gravame (sentenza n. 3 del
2015).

Ha, altresì, specificato che l’interessato deve
essere, quindi, posto in condizione di conoscere la decorrenza del termine
senza l’imposizione di oneri eccedenti la normale diligenza (ex plurimis,
sentenza n. 446 del 1997).

5.2.- La giurisprudenza amministrativa ha avuto modo
di pronunciarsi sugli effetti della pubblicazione telematica degli atti
amministrativi, ove sia prevista e prescritta da specifiche disposizioni
normative, stabilendo che essa costituisce una forma di pubblicità idonea ad
integrare gli estremi della conoscenza erga omnes dell’atto e far decorrere il
termine decadenziale di impugnazione, privilegiando, «in presenza di dubbi
esegetici aventi effetti sul regime decadenziale dall’azione impugnatoria,
l’opzione meno sfavorevole per l’esercizio del diritto di difesa e, quindi,
maggiormente conforme ai principi costituzionali espressi dagli artt. 24, 111 e 113 Cost., nonché al principio di effettività
della tutela giurisdizionale» (Consiglio di Stato, sezione terza, sentenza 28
settembre 2018, n. 5570).

6.- Alla luce dell’illustrato quadro normativo e
giurisprudenziale la disposizione censurata risulta immune da vizi di
legittimità costituzionale, laddove le censure del giudice rimettente investono
la circolare n. 82 del 2012 (relative sia alla
pubblicazione degli elenchi annuali che di quelli trimestrali di variazione),
con la quale l’INPS ha definito, in attuazione della disposizione censurata, le
“specifiche tecniche” della pubblicazione in modalità telematica, con
particolare riferimento alla previsione secondo cui «[d]ecorsi quindici giorni
consecutivi dalla pubblicazione, i medesimi elenchi non saranno più
visualizzabili». Ciò perché, nell’argomentazione del giudice a quo, è tale
previsione a compromettere in modo irragionevole il diritto di difesa, in quanto
incide sul diritto dell’interessato a utilizzare l’intero termine di legge
previsto per l’impugnazione anche per la conoscenza del provvedimento, potendo
egli predisporre il ricorso comunque tempestivamente nell’imminenza della
scadenza del termine stesso.

Il predetto ristretto ambito temporale non è difatti
previsto dalla disposizione di legge impugnata né la sua indicazione,
contrariamente a quanto affermato dalla difesa dell’Istituto, è necessario
effetto del rinvio operato dal ricordato art. 12-bis del r.d. n. 1949 del 1940
al precedente art. 12,
poiché tale ultimo articolo è richiamato non già per la procedura di
notificazione, ma solo con riferimento agli elenchi nominativi annuali.

Ne consegue che i dubbi espressi dal rimettente
circa l’irragionevole compressione del diritto di difesa dedotta dal rimettente
vanno riferiti alle modalità con le quali la circolare
INPS n. 82 del 2012 ha definito le specifiche tecniche di notificazione
agli interessati tramite pubblicazione sul proprio sito Internet degli elenchi
di variazione trimestrali.

In effetti il legislatore ha rimesso a tale atto
amministrativo la composizione degli interessi coinvolti, in funzione del nuovo
strumento tecnologico individuato, contemperando in modo equilibrato le diverse
esigenze: da un lato, la necessità di assicurare efficienza e speditezza
dell’attività della pubblica amministrazione, che è la ragione ispiratrice
della disposizione sospettata di illegittimità costituzionale, dall’altro, la
garanzia di un’adeguata conoscibilità del provvedimento impugnabile da parte
del lavoratore interessato, assicurando tempi ragionevoli per poter acquisirne la
conoscenza tramite la visione del sito istituzionale. E ciò tenendo anche conto
che tali provvedimenti incidono su diritti relativi a prestazioni previdenziali
e, dunque, su situazioni giuridiche soggettive di rilievo costituzionale (art. 38 Cost.), connotate da alta sensibilità
sociale.

A questo fine, l’amministrazione competente deve
porre particolare attenzione all’esigenza di cautela che, come evidenziato dal
Consiglio di Stato nella richiamata sentenza n. 5570 del 2018, impronta il
ricorso alla pubblicazione attraverso strumenti informatici di atti e
provvedimenti della pubblica amministrazione, esigenza tanto più forte, nel
caso di specie, per le ragioni innanzi evidenziate.

Pertanto, spetta, eventualmente, alla competente
sede giudiziaria valutare gli eventuali profili di illegittimità della circolare INPS n. 82 del 2012 con cui l’Istituto
ha definito le specifiche tecniche della peculiare modalità di notifica
prevista dalla disposizione censurata.

7.- Conclusivamente deve escludersi che la
disposizione censurata possa essere considerata ex se lesiva dell’art. 24 Cost.

 

P.Q.M.

 

Riuniti i giudizi,

1) dichiara inammissibile la questione di
legittimità costituzionale dell’art.
38, comma 7, del decreto-legge 6 luglio 2011, n. 98 (Disposizioni urgenti
per la stabilizzazione finanziaria), convertito, con modificazioni, nella legge 15 luglio 2011, n. 111, nella parte in cui,
nel testo previgente alla modifica recata dall’art. 43, comma 7, del decreto-legge
16 luglio 2020, n. 76 (Misure urgenti per la semplificazione e l’innovazione
digitale), convertito, con modificazioni, nella legge
11 settembre 2020, n. 120, prevede che «[i]n caso di riconoscimento o di
disconoscimento di giornate lavorative intervenuti dopo la compilazione e la
pubblicazione dell’elenco nominativo annuale, l’INPS provvede alla notifica ai
lavoratori interessati mediante la pubblicazione, con le modalità telematiche
previste dall’articolo 12-bis del
regio decreto 24 settembre 1940, n. 1949 di appositi elenchi nominativi
trimestrali di variazione», sollevata – in riferimento all’art. 117, primo comma, della Costituzione, in
relazione all’art. 47 della Carta
dei diritti fondamentali dell’Unione europea (CDFUE), proclamata a Nizza il
7 dicembre 2000 e adattata a Strasburgo il 12
dicembre 2007 – dalla Corte di appello di Reggio Calabria con le tre
ordinanze indicate in epigrafe.

2) dichiara non fondata la questione di legittimità
costituzionale dell’art. 38,
comma 7, del d.l. n. 98 del 2011, nella parte in cui, nel testo previgente
alla modifica recata dall’art.
43, comma 7, del d.l. n. 76 del 2020, prevede che «[i]n caso di
riconoscimento o di disconoscimento di giornate lavorative intervenuti dopo la
compilazione e la pubblicazione dell’elenco nominativo annuale, l’INPS provvede
alla notifica ai lavoratori interessati mediante la pubblicazione, con le
modalità telematiche previste dall’articolo
12-bis del regio decreto 24 settembre 1940, n. 1949 di appositi elenchi
nominativi trimestrali di variazione», sollevata, in riferimento all’art. 24 Cost., dalla Corte di appello di Reggio
Calabria con le tre ordinanze indicate in epigrafe.

 

Provvedimento pubblicato nella G.U. della Corte Costituzionale 24
marzo 2021, n. 12

Giurisprudenza – CORTE COSTITUZIONALE – Sentenza 23 marzo 2021, n. 45
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