Nota a Trib. Milano 21 gennaio 2021, n. 2551
Francesco Belmonte
Il patto di prova apposto successivamente all’inizio di fatto del rapporto di lavoro deve ritenersi nullo. Nel caso di licenziamento del lavoratore in prova, se il recesso sia riconducibile alla negativa congiuntura economica generata dalla pandemia, esso si considera nullo, con conseguente applicazione della tutela reale c.d. forte.
A stabilirlo è il Tribunale di Milano (21 gennaio 2021, n. 2551) in una fattispecie concernente il licenziamento durante la crisi epidemiologica di un lavoratore in prova, impiegato nel settore turistico-alberghiero.
In particolare, il giudice è stato adito dal dipendente per accertare e dichiarare la nullità del patto di prova, perché sottoscritto successivamente all’instaurazione del rapporto di lavoro e la nullità del successivo licenziamento, in quanto intimato in violazione del divieto introdotto dalla legislazione emergenziale.
Circa la nullità del patto di prova, il Tribunale accoglie la richiesta del ricorrente, essendo emerso dalle prove documentali che il rapporto lavorativo era stato instaurato in data antecedente all’apposizione della clausola accessoria.
In relazione al recesso, il giudice ritiene con alta probabilità che la “reale” ragione sottesa alla volontà datoriale sia riconducibile ad un giustificato motivo oggettivo di licenziamento, ex art. 3, L. n. 604/66 (nella specie, la crisi del settore ricettivo).
Tale fattispecie risolutiva, come noto, è stata temporaneamente inibita durante la crisi sanitaria generata dal Covid-19, a partire dal Decreto Cura Italia (art. 46, D.L. 17 marzo 2020, n. 18, conv. con modif. dalla L. 24 aprile 2020, n. 27). Il successivo art. 80, D.L. n. 34/2020 ha esteso, a decorrere dal 17 maggio 2020, la portata temporale dell’art. 46 predetto da 60 giorni a 5 mesi. Il blocco dei licenziamenti è stato, poi, prorogato con ulteriori provvedimenti legislativi fino ad arrivare all’attuale termine ultimo (ma in attesa di essere ulteriormente posticipato dal Governo) del 31 marzo 2021.
Da ciò ne discende che il recesso per motivo oggettivo intimato, come nel caso di specie, durante il periodo di vigenza della normativa emergenziale, deve ritenersi nullo per contrarietà ad una norma imperativa (ex art. 1418, co. 1, c.c.), quale appunto l’art. 46, D.L. Cura Italia.
Sul piano sanzionatorio, la nullità comporta la reintegrazione del dipendente nel posto di lavoro, unitamente al pagamento di un’indennità risarcitoria (non inferiore a 5 mensilità) ed al versamento dei contributi previdenziali ed assistenziali (c.d. tutela reale forte, ai sensi degli artt. 18, co. 1-3, Stat. Lav. e 2, D.LGS. n. 23/2015).
In tema, si v., in q. sito, il focus sul patto di prova.