Giurisprudenza – CORTE DI CASSAZIONE – Ordinanza 18 marzo 2021, n. 7683

Licenziamento disciplinare, Assenze ingiustificate
documentalmente provate e altre infrazioni, Risarcimento del danno, Abuso del
processo, Condanna d’ufficio, Sanzione di carattere pubblicistico, autonoma
ed indipendente rispetto alle ipotesi di responsabilità aggravata

 

Rilevato che

 

P.P. domanda la cassazione della sentenza della
Corte d’appello di Torino la quale, in sede di reclamo, ha confermato la
legittimità del licenziamento disciplinare intimato alla stessa da CNA Servizi
per assenze ingiustificate documentalmente provate e altre infrazioni;

la Corte territoriale ha altresì condannato la
reclamante a corrispondere alla reclamata una somma a titolo di risarcimento
del danno ai sensi dell’art. 96, co. 3 cod. proc.
civ., per abuso del processo;

P.P. ha affidato le proprie ragioni a sei motivi;

la CNA servizi s.r.l. ha depositato tempestivo
controricorso;

entrambe le parti hanno depositato memoria in
prossimità dell’adunanza camerale;

è stata depositata proposta ai sensi dell’art. 380-bis cod. proc. civ., ritualmente
comunicata alle parti unitamente al decreto di fissazione dell’adunanza in
camera di consiglio.

 

Considerato che

 

col primo motivo, formulato ai sensi dell’art. 360, co.1, n. 3 cod. proc. civ., parte
ricorrente contesta “Violazione degli artt.
115 e 116 c.p.c. e dell’art. 2697 c.c. nonché dell’art.1460 c.c. per avere la Corte d’appello
travisato, nella motivazione, i fatti posti a fondamento della presente vicenda
giudiziaria, omettendo di attribuire rilevanza, ai fini della decisione, o,
comunque, ai fini dell’ammissione dei mezzi istruttori, all’avvenuto deposito
delle note autorizzate il 14.01. 2019, con le quali è stata contestata
puntualmente la ricostruzione delle vicende intercorse tra le parti ed
omettendo di compiere qualsivoglia disamina in ordine alle specifiche ragioni
di giustificatezza dell’assenza addotte dalla ricorrente, al fine di ritenere
integrata l’ipotesi di legittimo rifiuto della prestazione ex art. 1460 cod. civ.”;

col secondo motivo, formulato ai sensi dell’art. 360, co.1, n. 3 cod. proc. civ., denuncia
“Violazione di legge in relazione agli artt.
1460, 2697 e 2087
c.c. ed in relazione all’art. 2119 cod. civ.
per aver la Corte d’appello di Torino proceduto alla valutazione della sola
questione ritenuta “liquida”, in applicazione del principio relativo
e, sulla scorta della decisione della ragione più liquida, per avere dichiarato
ingiustificata l’assenza dal lavoro della ricorrente ed insussistenti i
presupposti ex art. 1460 cod. civ. e, come conseguenza,
aver ritenuto sussistente la giusta causa, ex art.
2119 cod. civ. in relazione al solo addebito delle assenze
ingiustificate”;

col terzo motivo, formulato ai sensi dell’art. 360, co.1, n. 3 cod. proc. civ., deduce
“Violazione dell’art. 115 c.p.c., per non
avere la Corte territoriale ammesso alcuna richiesta istruttoria delle parti e,
in assenza di istruttoria, non aver posto a fondamento della decisione neppure
le circostanze allegate dalla ricorrente, e non oggetto di contestazione da
parte del datore di lavoro, determinanti ai fini della decisione”;

col quarto motivo, formulato ai sensi dell’art. 360, co.1, n. 5 cod. proc. civ.,
“Violazione di legge in relazione all’art. 18 L. 300/1970 per aver
omesso di considerare a) ai fini della declaratoria di ritorsività del
licenziamento, il rilievo da attribuirsi alla missiva del proprio legale in
data 24 gennaio 2018, alla successiva missiva in data 19 marzo 2018 e alla
minaccia di provvedimenti disciplinari in ipotesi di mancata accettazione di
una chiusura transattiva alle condizioni imposte dalla parte datoriale b) ai fini
della declaratoria di persecutorietà del licenziamento, il rilievo da
attribuirsi alle condotte mobizzanti la cui enucleazione e le cui conseguenze,
unitamente al relativo nesso causale, sono risultati dalla documentazione,
anche medica, in atti e nonché c) per aver omesso di dichiarare la
discriminatorietà del licenziamento”;

col quinto motivo, formulato ai sensi dell’art. 360, co.1, n. 3 cod. proc. civ., contesta
“Violazione degli artt. 88, 91, 96, 116 e 420 c.p.c.,
nonché 1175 c.c., per avere la Corte d’appello
di Torino, in punto di liquidazione delle spese legali, omesso qualsivoglia
statuizione in ordine al comportamento processuale della controparte che, sin
dalla memoria difensiva della fase cd. sommaria, e poi nella fase di
opposizione, si è sottratta espressamente a qualsivoglia ipotesi di
conciliazione”;

col sesto ed ultimo motivo, formulato ai sensi dell’art. 360, co.1, n. 3 cod. proc. civ., contesta
“Violazione di legge nonché contraddittorietà in relazione all’art. 96 c.p.c. per avere la Corte d’appello di
Torino, contraddittoriamente accolto la domanda della reclamata di condanna
della reclamante ex art. 96, commi 1 e 2 c.p.c.
condannando, però, la reclamante ex officio ex art.
96 comma 3° c.p.c., stante l’assenza dei presupposti per l’accoglimento
della domanda della reclamata e per la condanna ex art.
96 comma 3° c.p.c.”;

i primi quattro motivi di ricorso, evidentemente
connessi, vanno esaminati congiuntamente;

essi sono inammissibili;

le prospettazioni della ricorrente deducono solo
apparentemente una violazione di legge, là dove mirano, in realtà, alla
rivalutazione dei fatti operata dal giudice di merito;

nel caso in esame, deve pertanto darsi attuazione al
costante orientamento di questa Corte, che reputa “…inammissibile il
ricorso per cassazione con cui si deduca, apparentemente, una violazione di
norme di legge mirando, in realtà, alla rivalutazione dei fatti operata dal
giudice di merito, così da realizzare una surrettizia trasformazione del
giudizio di legittimità in un nuovo, non consentito, terzo grado di
merito.” (Cass. n.18721 del 2018; Cass.
n.8758 del 2017);

il rilievo formulato nel terzo motivo, secondo cui
la sentenza d’appello non avrebbe posto a fondamento della decisione neppure le
circostanze allegate dalla ricorrente, sì come determinanti ai fini della
decisione e non oggetto di contestazione da parte del datore di lavoro, è
inammissibilmente dedotto in violazione degli obblighi di specificità e di
allegazione;

il rilievo sarebbe in ogni caso privo di pregio,
atteso che la non contestazione dei fatti non costituisce prova legale, bensì
rappresenta un mero elemento di prova in base al quale il giudice di appello,
qualora nuovamente investito dell’accertamento dei medesimi con specifico
motivo d’impugnazione, è chiamato a compiere una valutazione discrezionale
della condotta processuale tenuta dal convenuto nel primo grado del giudizio;

il quinto motivo è parimenti inammissibile;

la statuizione sulle spese consegue all’esito del
giudizio e costituisce corretta attuazione del principio della soccombenza;

la ricorrente imputa alla Corte territoriale di non
aver considerato l’ipotesi della compensazione delle spese in ragione del
sottrarsi della reclamata ad ogni proposta transattiva da lei stessa avanzata
nel corso delle varie fasi del giudizio di merito;

va sul punto richiamato il consolidato orientamento
di questa Corte, secondo cui la facoltà di disporre la compensazione tra le
parti delle spese processuali rientra nel potere discrezionale del giudice di
merito, il quale non è tenuto a dare ragione, con una espressa motivazione, del
mancato uso di tale sua facoltà;

da ciò consegue che la pronuncia di condanna alle
spese seppure adottata senza prendere in esame l’eventualità di una
compensazione non possa essere censurata in cassazione, neppure sotto il
profilo della mancanza di motivazione (Così Cass. n.11329 del 2019);

il sesto ed ultimo motivo è infondato;

il potere di condanna dell’odierna ricorrente è
stato legittimamente esercitato dalla Corte territoriale ai sensi dell’art. 96, co. 3 cod. proc. civ.; detto potere è
applicabile d’ufficio in tutti i casi di soccombenza, e costituisce una
sanzione di carattere pubblicistico, autonoma ed indipendente rispetto alle
ipotesi di responsabilità aggravata ex art. 96,
commi 1 e 2, c.p.c. e con queste cumulabile; la condanna d’ufficio è un
mezzo rivolto a reprimere l’abuso dello strumento processuale, e la sua
applicazione non richiede, quale elemento costitutivo della fattispecie, il
riscontro dell’elemento soggettivo del dolo o della colpa grave, bensì investe
l’accertamento di una condotta oggettivamente valutabile alla stregua di
“abuso del processo”, qual è l’avere agito o resistito pretestuosamente
(Cfr. da ultimo Cass. n. 20018 del 2020); in definitiva, il ricorso va
rigettato; le spese, come liquidate in dispositivo, seguono la soccombenza;

va dato atto che non sussistono i presupposti per la
condanna della ricorrente ai sensi dell’art. 96
cod. proc. civ., domandata dalla società controricorrente con riferimento
al presente giudizio;

in considerazione del rigetto del ricorso,
sussistono i presupposti processuali per il versamento, da parte della
ricorrente, dell’ulteriore importo a titolo di contributo unificato pari a
quello, ove dovuto, per il ricorso.

 

P.Q.M.

 

Rigetta il ricorso. Condanna la ricorrente al
rimborso delle spese del giudizio di legittimità in favore della
controricorrente, che liquida in Euro 200 per esborsi, Euro 2.500,00 per
compensi professionali, oltre spese generali nella misura forfetaria del 15 per
cento e accessori di legge.

Ai sensi dell’art. 13, comma 1-quater, del d.P.R. n.
115 del 2002, nel testo introdotto dall’art.1, comma 17 della I. n.228 del
2012, dà atto della sussistenza dei presupposti processuali per il
versamento da parte della ricorrente, dell’ulteriore importo a titolo di
contributo unificato pari a quello, ove dovuto, per il ricorso, a norma del
comma 1-bis dello stesso art. 13.

Giurisprudenza – CORTE DI CASSAZIONE – Ordinanza 18 marzo 2021, n. 7683
%d blogger hanno fatto clic su Mi Piace per questo: