Giurisprudenza – CORTE DI CASSAZIONE – Ordinanza 17 marzo 2021, n. 7565
Percentuale di maggiorazione dell’elemento retributivo
nazionale, CCNL per il settore tessile, Addetti alle cd. Calandre, Attività
caratterizzata da un ritmo produttivo scandito da specifici tempi di consegna,
Contenuto delle informazioni sindacali rese da Confindustria, Valutazione
delle prove, Libero convincimento
Rilevato che
la Corte d’appello di Venezia, a conferma della
sentenza del Tribunale della stessa città, ha rigettato il ricorso proposto da
S.D. ed altri contro la società A.I. Italia s.r.I., diretto ad accertare il
loro diritto alla percentuale di maggiorazione dell’elemento retributivo
nazionale del 14,3 per cento prevista dall’art. 87 del CCNL per il settore
tessile a titolo cottimo misto, per essere, gli stessi, addetti alle cd.
calandre, attività caratterizzata da un ritmo produttivo scandito da specifici
tempi di consegna (per quantità di feltri prodotti), nella misura stabilita
dall’ufficio tecnico;
la Corte d’appello di Venezia ha accertato come la
lavorazione alle calandre non richiedesse un rendimento superiore tale da
giustificare il diritto alle maggiorazioni retributive, né un ritmo più
sostenuto, né imponesse determinati tempi di consegna o predeterminate quantità
di feltri da realizzare;
ha inoltre affermato che, così come riferito da
Confindustria nelle informazioni rese, non smentite dalla parte appellante, non
risultava che i lavoratori addetti alle calandre presso le altre aziende del
ramo fossero retribuiti a cottimo;
la cassazione della sentenza è domandata da S.D. e
dai suoi litisconsorti sulla base di due motivi, illustrati da successiva
memoria;
A.I. Italia s.r.l. ha depositato controricorso;
è stata depositata proposta ai sensi dell’art. 380-bis cod. proc. civ., ritualmente
comunicata alle parti unitamente al decreto di fissazione dell’adunanza in
camera di consiglio.
Considerato che
col primo motivo, formulato ai sensi dell’art. 360, co.1, n.4 cod. proc. civ., parte
ricorrente deduce “Falsa applicazione di legge – art. 115 cod. proc. civ.”;
contesta alla Corte territoriale di aver posto a
fondamento della propria decisione una circostanza (quella secondo cui non
risultavano casi di aziende in cui i lavoratori alle calandre fossero
retribuiti a cottimo) non allegata da una parte processuale, in palese
violazione della norma che stabilisce che i fatti non contestati devono essere
allegati dalle parti costituite;
col secondo motivo, formulato ai sensi dell’art. 360, co.1, n.3 cod. proc. civ., denuncia
“Violazione dell’art. 87
lett. a) del CCNL tessili- abbigliamento industria del 22 luglio 2008 a
firma SMI e FEMCA – CISL, FILTEA -CGIL, UILTA – UIL e UGL – Tessili) e
violazione di legge art. 12 preleggi e 1367 c.c.”;
afferma che la norma contrattuale prevede alla lett.
a) due fattispecie differenti a cui è collegato il diritto alla corresponsione
della maggiorazione: la lavorazione a cottimo tout court (1 comma) e la
lavorazione a flusso continuo o a catena, sempre che il sistema di retribuzione
a cottimo sia praticabile (2 comma);
i ricorrenti rilevano che se è vero che nel caso di
specie essi non lavorano né a catena né a flusso continuo, tuttavia un corretto
accertamento dell’organizzazione del lavoro in azienda – segnatamente del
vincolo dei lavoratori a rispettare un determinato ritmo produttivo e a
misurazioni dei tempi di lavorazione – avrebbe dovuto indurre la Corte
d’appello ad evitare conclusioni in contrasto col tenore testuale della norma
contrattuale, e per lo più basate sulle errate affermazioni rese da
Confindustria, per cui la maggiorazione di cottimo non sarebbe dovuta in caso
di mera sussistenza di un “…vincolo ad un determinato ritmo
produttivo” (vi è sempre in azienda il vincolo di rispetto di un
determinato ritmo produttivo), ma sia dovuta nel caso di un ritmo produttivo
legato ad una richiesta di rendimento/produzione superiore a quella del nomale
lavoro in economia, quali sono i casi (specificati al secondo paragrafo
dell’articolo in questione) di lavoro a catena o a flusso continuo, ovvero di
lavoro basato sul cd. cronometraggio ..” (p. 18 ric.);
una siffatta interpretazione priverebbe di
significato, secondo i ricorrenti, il primo comma della lettera a) dell’art. 87 CCNL violando l’art. 1367 cod. civ., il quale richiede che le
clausole contrattuali vanno interpretate nel senso in cui possono avere qualche
effetto piuttosto che nel senso per cui non ne avrebbero alcuno;
il primo motivo è inammissibile;
nell’escludere il diritto alla corresponsione della
maggiorazione contrattuale, la Corte territoriale ha accertato, sulla base dei
riscontri testimoniali, come gli appellanti, lavoratori tessili addetti alle cd.
calandre, svolgessero un’attività per la quale non è richiesto un rendimento
superiore a quello del normale lavoro a economia, che solo, secondo la norma
collettiva, giustifica l’applicazione del cottimo obbligatorio;
la stessa Corte ha, in definitiva, chiarito che la
produzione alle calandre richiede unicamente l’osservanza di direttive tecniche
relative al manufatto da realizzare e alla strumentazione a tal fine impiegata,
fornite dall’impresa datrice;
in altri termini, l’istruttoria espletata ha escluso
che gli odierni ricorrenti siano vincolati a ritmi produttivi più sostenuti
rispetto agli altri lavoratori, all’osservanza di tempi di consegna
predeterminati o alla realizzazione di determinate quantità di feltri prodotti;
in base alla costante giurisprudenza di questa
Corte, per dedurre la violazione dell’art. 115 cod.
proc. civ. occorre contestare che il giudice, contraddicendo espressamente
o implicitamente la regola da questo posta, abbia basato la decisione su prove
non introdotte dalle parti, ma disposte di propria iniziativa fuori dai poteri
officiosi riconosciutigli, non anche che il medesimo, nel valutare le prove
proposte dalle parti, abbia attribuito maggior forza di convincimento ad alcune
piuttosto che ad altre, essendo tale attività consentita dall’art. 116 cod. proc. civ. (Cass. n.26769 del 2018);
nel caso in esame il contenuto delle informazioni
sindacali rese da Confindustria non costituisce la ratio interpretativa prevalente,
se non esclusiva, della decisione gravata;
la stessa Corte territoriale, a conclusione
dell’istruttoria, ne ha richiamato il contenuto nei meri termini di
“…ulteriore riscontro fattuale di quanto sopra argomentato…” (p.
9 sent.);
in tema di valutazione delle prove, il principio
posto a fondamento degli artt. 115 e 116 cod. proc. civ., costituisce nel libero
convincimento, il quale opera interamente sul piano dell’apprezzamento di merito,
insindacabile in sede di legittimità, sicché la denuncia della violazione delle
predette regole da parte del giudice del merito non configura un vizio di
violazione o falsa applicazione di norme processuali, sussumibile nella
fattispecie di cui all’art. 360, comma 1, n. 4 cod.
proc. civ., bensì un errore di fatto, che deve essere censurato attraverso
il corretto paradigma normativo del difetto di motivazione, e dunque nei limiti
consentiti dall’art. 360, comma 1, n. 5 cod. proc.
civ., come riformulato dall’art.
54 del d.l. n.83 del 2012, conv. con modif. dalla I. n.134 del 2012» (Cass. n. 23940 del 2017);
nel caso in esame, come appare evidente dalla stessa
prospettazione della censura, i ricorrenti non hanno inteso contestare una
violazione di norme sostanziali o processuali, ma hanno lamentato l’erronea
valutazione, da parte del provvedimento gravato, degli aspetti organizzativi
aziendali dai quali avrebbe dovuto evincersi che gli addetti alle calandre sono
vincolati a un ritmo produttivo più incalzante rispetto a quello imposto agli
altri lavoratori, secondo la deduzione tipica del vizio di motivazione;
il secondo motivo è parimenti inammissibile;
l’art.
87 del CCNL tessili alla lett. a) rubricato “Lavoro a cottimo”
prevede due distinte ipotesi: al comma 1 sancisce che “Tutti gli operai
dovranno essere retribuiti ad economia oppure a cottimo in relazione alle
possibilità tecniche delle varie lavorazioni ed ai sistemi in uso nei vari
settori. Ogni qualvolta, in conseguenza dell’organizzazione del lavoro
nell’azienda un operaio sia vincolato a un determinato ritmo produttivo o
quando la valutazione del lavoro a lui affidato sia il risultato delle
misurazioni dei tempi di lavorazione l’operaio stesso deve essere retribuito a
cottimo”;
al comma 2 stabilisce che” Nel caso che le
lavorazioni siano organizzate in linee a catena o a flusso continuo, con
prestazioni vincolate all’osservanza di un ritmo predeterminato che richieda un
rendimento superiore a quello richiesto dal lavoro ad economia, l’operaio dovrà
essere retribuito a cottimo, sempreché questo sistema sia praticabile. Qualora
non sia possibile praticare tariffe di cottimo, l’azienda dovrà corrispondere
agli operai, le cui prestazioni sono vincolate come sopra detto, una
percentuale di maggiorazione del loro elemento retributivo nazionale del 4,13%”;
il comma 3 dispone, infine, che “Nulla è dovuto nel caso che la linea
assolva un servizio ausiliario automatizzato o comunque non si verifichino le
condizioni di cui al comma precedente”;
questo essendo il tenore letterale della
disposizione, si osserva che la Corte d’appello ha esaminato compiutamente la
ricorrenza delle condizioni contemplate dal comma 2, lett. a) dell’art. 87 del CCNL per il settore
tessile, la cui ratio è di incrementare la retribuzione di quei lavoratori per
i quali si richiede un rendimento superiore a quello del normale lavoro in
economia, escludendo che nelle modalità di organizzazione della prestazione sia
insita la soggezione dei lavoratori addetti alle calandre a un vincolo connesso
ad un maggiore rendimento, quanto a tempi massimi predefiniti di consegna e/o
alla produzione di un numero determinato di feltri;
le prospettazioni dei ricorrenti deducono, pertanto,
solo apparentemente una violazione di legge, là dove mirano, in realtà, ad una
nuova valutazione dei fatti, diversa da quella operata dal giudice di merito la
quale, in base alle risultanze testimoniali acquisite al giudizio, ha portato
ad escludere il riconoscimento del diritto alla maggiorazione per cottimo, ai
lavoratori addetti alle calandre, in applicazione del comma 3 dell’art. 87 lett. a) del CCNL per
il settore tessile, che esclude l’applicazione di tale modalità retributiva nel
caso in cui non sussistano le condizioni di cui al comma precedente;
va data, pertanto, attuazione al costante
orientamento di questa Corte, che reputa “…inammissibile il ricorso per
cassazione con cui si deduca, apparentemente, una violazione di norme di legge
mirando, in realtà, alla rivalutazione dei fatti operata dal giudice di merito,
così da realizzare una surrettizia trasformazione del giudizio di legittimità
in un nuovo, non consentito, terzo grado di merito” (Cass. n.18721 del 2018; Cass. n.8758 del 2017);
in definitiva, il ricorso va dichiarato
inammissibile; le spese, come liquidate in dispositivo, seguono la soccombenza;
in considerazione dell’inammissibilità del ricorso,
sussistono i presupposti processuali per il versamento, da parte dei
ricorrenti, dell’ulteriore importo a titolo di contributo unificato pari a
quello, ove dovuto, per il ricorso.
P.Q.M.
Dichiara inammissibile il ricorso. Condanna i
ricorrenti al rimborso delle spese del giudizio di legittimità nei confronti
della controricorrente, che liquida in Euro 200 per esborsi, Euro 2.500,00 a
titolo di compensi professionali, oltre spese generali nella misura forfetaria
del 15 per cento ed accessori di legge.
Ai sensi dell’art. 13, comma 1-quater, del d.P.R. n.
115 del 2002, nel testo introdotto dall’art.1, comma 17 della I. n.228 del
2012, dà atto della sussistenza dei presupposti processuali per il
versamento da parte dei ricorrenti, dell’ulteriore importo a titolo di
contributo unificato pari a quello, ove dovuto, per il ricorso, a norma del
comma 1-bis dello stesso art. 13.