Giurisprudenza – CORTE DI CASSAZIONE – Ordinanza 25 marzo 2021, n. 8454

Natura subordinata a tempo indeterminato del rapporto di
lavoro, Sussistenza, Inesistenza di uno specifico e valido progetto,
Elementi tipici della subordinazione

Rilevato che

 

L.G. chiese al Tribunale di Roma che fosse accertata
e dichiarata la natura subordinata a tempo indeterminato del rapporto di lavoro
intercorso con la R. s.p.a. (d’ora in poi solo R.), con inquadramento nel terzo
o quarto livello del C.C.N.L., e che la R. fosse condannata al ripristino o
alla conversione del rapporto da lavoro a tempo determinato in lavoro a tempo
indeterminato. A fondamento della sua domanda espose di aver stipulato con la
R. undici contratti di «scrittura» a far tempo dal maggio 2006 fino ad ottobre
2012 (con scadenza al 4 gennaio 2013), aventi ad oggetto le mansioni di
programmista regista.

Il Tribunale accolse la domanda e dichiarò che tra
le parti era intercorso un rapporto di lavoro subordinato, a tempo
indeterminato, dal 6/5/2006; ordinò alla società di riammettere il ricorrente
nel posto di lavoro con inquadramento nel quarto livello di cui al C.C.N.L. R.,
nonché di pagare a titolo di risarcimento del danno la somma di € 2.215,80
mensili a far tempo dal 18/2/2013 e fino alla data della sentenza.

La R. propose appello dinanzi alla Corte d’appello
di Roma la quale, con la sentenza qui impugnata, pubblicata in data 22 /1/2018,
lo rigettò.

A fondamento del decisum la Corte ritenne di
accogliere il motivo di nullità del contratto a progetto ex art. 61, comma primo, d.lgs. n.
276/2003 riproposto dall’appellato ex art. 346
cod.proc.civ., in quanto ragione più liquida che esimeva dall’esaminare
ogni altra questione, e in particolare il motivo di appello con il quale la R.
aveva contestato l’accertamento compiuto dal giudice di primo grado circa la
sussistenza degli elementi tipici della subordinazione e riproposto l’eccezione
di decadenza ex art. 32 L.
183/2010. In conseguenza, affermò che l’inesistenza di uno specifico e
valido progetto rendeva il contratto di per sé affetto da nullità e imponeva la
conversione del rapporto di lavoro in rapporto di lavoro subordinato, senza che
dovessero accertarsi in concreto gli elementi tipici della subordinazione.

Contro la sentenza, la R. ha proposto ricorso per
cassazione, al quale ha resistito con controricorso il lavoratore.

La proposta del relatore, unitamente al decreto di
fissazione dell’adunanza camerale non partecipata, è stata comunicata alle
parti; in prossimità dell’adunanza, ricorrente ha depositato memoria.

 

Considerato che

 

1.- i motivi di ricorso proposti dalla R. sono tre:

1.1. nullità della sentenza c/o del procedimento per
violazione degli artt. 112, 324, 343 e 346 cod.proc.civ., 2909
cod.civ., in relazione all’art. 360, n. 4,
cod.proc.civ. Con il motivo proposto, la ricorrente sostiene che la
questione relativa alla nullità del contratto per assenza del progetto –
costituendo una domanda autonoma proposta in primo grado in via principale e
alternativa rispetto a quella dell’accertamento della natura subordinata del
rapporto – non poteva formare oggetto di una mera riproposizione ai sensi dell’art. 346 cod.proc.civ. ma necessitava di un appello
incidentale. Accogliendo la domanda subordinata, il Tribunale aveva (sia pure
implicitamente) rigettato la domanda principale ed alternativa sicché il
ricorrente, per evitare la formazione del giudicato, era tenuto ad impugnare la
statuizione rispetto alla quale era risultato soccombente.

1.2. Violazione ed erronea applicazione degli artt. 2697 cod.civ., 115
cod.proc.civ., 409, terzo comma, cod.proc.civ.,
61 e 69, comma 1, D.Lgs. n. 276/2003,
in relazione all’art. 360, primo comma, n. 3,
cod.proc.civ. Assume la ricorrente che la qualificazione dei rapporti come
collaborazioni coordinate e continuative era avvenuta in assenza di qualsiasi
allegazione e prova offerta dal lavoratore, il quale nel ricorso ex art. 414 c.p.c. aveva sostenuto la natura
subordinata del rapporto, senza nulla allegare e provare in ordine ad una
presunta parasubordinazione, limitandosi ad apodittiche affermazioni inidonee a
fondare la domanda di conversione ex art. 69 D.Lgs. n. 276/2003.

1.3. Violazione ed erronea applicazione degli artt. 61 e 69 D.Lgs. n. 276/2001 (recte:
2003), in relazione all’art. 360, primo comma, n.
3, cod.proc.civ.: la ricorrente contesta l’interpretazione data dalla Corte
territoriale all’art. 69
D.Lgs.cit. circa gli effetti della mancanza di progetto, considerato che quest’ultima
norma, nel testo vigente all’epoca dei fatti (ossia prima dell’entrata in
vigore della L. n. 92/2012, art. 1, comma 24),
non poteva essere letta come contenente una presunzione assoluta di
subordinazione, ma solo una presunzione semplice, confutabile mediante prova
contraria.

2. I primi due motivi sono fondati, con assorbimento
della restante censura.

2.1. In primo luogo va rilevato che il ricorso è
dotato della necessaria specificità, avendo la parte riportato ampi stralci del
ricorso introduttivo del giudizio del G. e le conclusioni ivi rassegnate. Il
ricorso soddisfa pertanto i criteri di autosufficienza imposti dall’art. 366, comma primo, n. 6, cod.proc.civ. i quali
vanno osservati anche quando si deducono, come nel caso in esame, errores in
procedendo, rispetto ai quali il giudice di legittimità è anche giudice del
fatto e può pertanto accedere agli atti di causa.

Deve invero ricordarsi che il principio secondo cui
l’ interpretazione delle domande, eccezioni e deduzioni delle parti dà luogo ad
un giudizio di fatto, riservato al giudice di merito, non trova applicazione
quando si assume che tale interpretazione abbia determinato un vizio
riconducibile alla violazione del principio di corrispondenza fra il chiesto e
il pronunciato (art. 112 cod.proc.civ.) o a
quello del tantam devolution quantinn appellation (art.
345 cod. proc. civ.), trattandosi in tali casi della denuncia di un error
in procedendo che attribuisce alla Corte di cassazione il potere-dovere di
procedere direttamente all’esame ed all’interpretazione degli atti processuali
e, in particolare, delle istanze e deduzioni delle parti (Cass. 10/10/2014, n.
21421; Cass. Sez.Un. 22/5/2012, n. 8077).

2.2.- In secondo luogo va ribadito il principio, più
volte espresso da questa Corte, secondo cui l’applicazione del principio illra
novit cuffia, di cui all’art. 113, comma 1, cod.
proc. civ., importa la possibilità per il giudice di assegnare una diversa
qualificazione giuridica ai fatti ed ai rapporti dedotti in lite, nonché
all’azione esercitata in causa, ricercando le norme giuridiche applicabili alla
concreta fattispecie sottoposta al suo esame, potendo porre a fondamento della
sua decisione principi di diritto diversi da quelli erroneamente richiamati
dalle parti. Tale principio deve tuttavia essere posto in immediata
correlazione con il divieto di il/tra o extra-petizione, di cui all’art. 112 cod. proc. civ., in applicazione del
quale è invece precluso al giudice pronunziare oltre i limiti della domanda e
delle eccezioni proposte dalle parti, mutando i fatti costitutivi o quelli
estintivi della pretesa, ovvero decidendo su questioni che non hanno formato
oggetto del giudizio e non sono rilevabili d’ufficio, attribuendo un bene non
richiesto o diverso da quello domandato (Cass. 09/04/2018, n. 8645; Cass.
27/11/2018, n. 30607; Cass. 24/07/2012, n. 12943).

3.- Ora, dai brani riportati in ricorso — non
adeguatamente contestati dal controricorrente – e dalla lettura della stessa
sentenza impugnata, emerge che il Tribunale di Roma, nell’accogliere la domanda
del lavoratore, ha dichiarato sussistente un rapporto di lavoro subordinato a
tempo indeterminato a far tempo dal maggio 2006; tale giudizio è stato espresso
attraverso un’analisi in concreto delle modalità di attuazione del rapporto, da
cui è emersa «una vera e propria situazione di assoggettamento delle energie
psicofisiche del ricorrente al potere di direzione gerarchico e disciplinare
del convenuto, nonché un imprescindibile inserimento nell’organizzazione
aziendale, ossia quei requisiti della eterodirezione della prestazione
lavorativa che caratterizzano il rapporto di lavoro subordinato» (il
virgolettato, tratto dalla sentenza impugnata, pag. 3, riporta un brano della
sentenza del tribunale).

3.1. E’ altresì incontestato che nella sentenza del
tribunale non vi è alcun riferimento a contratti di collaborazione coordinata e
continuativa, alla mancanza o genericità di un progetto, alla conseguente
nullità del rapporto per violazione del disposto dell’art. 61 D.Lgs. n. 276/2003 e alla
sua “conversione” in lavoro subordinato.

Ciò è detto con chiarezza dalla Corte d’appello per
la quale il G. «ha contestato la correttezza della sentenza impugnata» e ha
ribadito «l’eccezione sollevata con il ricorso di primo grado non esaminata dal
giudice» della mancanza di un progetto cui ricondurre i singoli contratti di
collaborazione: ha dunque riproposto la questione ai sensi della 346 cod.proc.civ.

3.2. In definitiva, la domanda avente ad oggetto la
nullità del contratto di collaborazione coordinata e continuativa per mancanza
di uno specifico progetto non è stata affatto esaminata dal Tribunale, o perché
ha implicitamente ritenuto che non fosse stata proposta una autonoma domanda in
tal senso, o perché altrettanto implicitamente l’ha ritenuta infondata.

4. Questa Corte ha in più occasioni precisato che la
domanda proposta ai sensi dell’art.
69, comma 1, D.Lgs. cit., ha una sua autonomia per la diversità del petitum
e della causa petendi rispetto alla domanda di accertamento della
subordinazione ex art. 69,
comma 2, D.Lgs. cit., nonché, a ,fortion«, rispetto alla domanda di
accertamento della subordinazione che sia proposta indipendentemente dal nomen
iuris adottato dalle parti, ossia dalla formale riconducibilità del rapporto ad
uno specifico progetto ovvero ad un contratto di lavoro autonomo.

4.1 Si è infatti affermato che «In tema di contratto
di lavoro a progetto, il regime sanzionatoti° articolato dall’art. 69 del d.lgs. n. 276 del 2003,
pur imponendo in ogni caso l’applicazione della disciplina del rapporto di
lavoro subordinato, contempla due distinte e strutturalmente differenti
ipotesi, atteso che, al comma 1, sanziona il rapporto di collaborazione
coordinata e continuativa instaurato senza l’individuazione di uno specifico
progetto, realizzando un caso di c.d. conversione del rapporto ope legis,
restando priva di rilievo l’appurata natura autonoma dei rapporti in esito
all’istruttoria, mentre al comma 2 disciplina l’ipotesi in cui, pur in presenza
di uno specifico progetto, sia giudizialmente accertata, attraverso la
valutazione del comportamento delle parti posteriore alla stipulazione del
contratto, la trasformazione in un rapporto di lavoro subordinato in
corrispondenza alla tipologia negoziale di fatto realizzata tra le parti» (Cass. 2/12/2020, n. 27543; Cass. 25/8/2020, n. 17707; Cass. 21/6/2016 n. 12820; conforme n. 17127/2016).

4.2. Nella prima, rileva il dato formale della
mancanza di uno specifico progetto a fronte di una prestazione lavorativa che rientra
nello schema generale del lavoro autonomo (sulla riconducibilità della
collaborazione coordinata e continuativa nell’alveo del lavoro autonomo cfr.,
fra le tante, da ultimo, Cass. 02/12/2020, n.
27543; v. pure Cass. 25/11/2002, n. 16582),
laddove nella seconda rilevano le modalità di tipo subordinato con cui,
nonostante l’esistenza di uno specifico progetto, è stata di fatto resa la
prestazione lavorativa (Cass. 10/5/2016, n. 9471).

4.3. I fatti costitutivi delle due azioni giudiziali
garantite dall’art. 69, D.Lgs. n.
276/2003, nonché dell’azione proposta ai sensi dell’art. 2094 cod.civ. sono affatto differenti, a
seconda che si invochi la conversione di cui comma 1 ovvero la
“trasformazione” di cui al comma 2, o, ancora, il mero accertamento
della natura subordinata del rapporto, a prescindere dal suo nomen inris e della
sua riferibilità ad un progetto: mentre infatti nell’un caso il fatto
costitutivo consiste in una collaborazione coordinata e continuativa di tipo
autonomo, negli altri due casi il fatto costitutivo risiede in una prestazione
di tipo subordinato. ì tale diversità di fatti costitutivi corrisponde una
diversa distribuzione degli oneri probatori, giacché nell’un caso il
collaboratore deve provare il fatto costitutivo della continuità e
coordinazione della propria prestazione rispetto alle esigenze del committente
(ed è onere di quest’ultimo provare il fatto impeditivo, costituito
dall’esistenza dello specifico progetto), laddove nel secondo caso l’onere
della prova che le concrete modalità di svolgimento della prestazione abbiano
attinto la fattispecie dell’art. 2094 c.c.
grava per intero sul collaboratore, ben potendo la sussistenza dello specifico
progetto (peraltro in concreto irrilevante) darsi per provata in assenza di
contestazione espressa (così ancora Cass.
9471/2016).

4.4. Se ne deve dedurre che le domande non sono
fungibili e complementari ma hanno presupposti fattuali e disciplina giuridica
diversi, con la conseguenza che, ove con il ricorso introduttivo sia allegata
la sussistenza di un rapporto di lavoro subordinato, non può farsi valere
successivamente nel corso del giudizio (o in sede di appello, come di fatto
avvenuto) la nullità del contratto a progetto per mancanza del progetto stesso:
quest’ultima, invero, costituisce una vera e propria domanda nuova, perché
introduce nel processo un fatto nuovo e un diverso tema di indagine e di
decisione, con una diversa causa petendi” (Cass.
1/10/2019, n. 24480).

4.5. Conseguentemente, il giudice che in assenza di
una specifica domanda proposta ai sensi dell’art. 69, comma 1, del d.lgs. n.
276/2003, dichiari la nullità del rapporto di lavoro per la mancanza del
progetto, viola l’art. 112 cod.proc.civ.,
avendo pronunciato in extra petizione, con sentenza che per questa ragione è
affetta da nullità.

5. Nelle memorie ex art.378
cod.proc.civ., il ricorrente contesta questa prospettiva, assumendo di aver
espressamente formulato in primo grado e riproposta in appello la domanda ex art. 69 comma 1 cod.proc.civ.

Per il vero, non può non sottolinearsi un certo
difetto di coerenza nella linea difensiva del controricorrente, perché mentre
nel controricorso ha espressamente dichiarato di aver proposto un’unica
domanda, a tutela di un rapporto di lavoro «ontologicamente subordinato» (pag.
8), solo in apparenza formalizzato con contratti di lavoro autonomo affinché
egli fossero precluse le più penetranti tutele del lavoro subordinato, e che
l’assenza del progetto era stata dedotta nell’ottica di comprovare l’effettiva
natura subordinata del rapporto, anche sotto il profilo formale (pag. 8 e 9)
(ed in tal senso era stata correttamente interpretata dai giudici del merito),
nelle memorie difensive ha aggiustato il tiro affermando che in realtà aveva
espressamente proposto la domanda (anche) ai sensi dell’art. 69, comma 1, d.lgs. n. 276/2003,
e che il suo rigetto, o meglio il suo mancato esame (perché ritenuta assorbita
nell’accoglimento dell’altra domanda) non rendeva necessaria la proposizione
dell’appello incidentale, non essendo ravvisabile una sua soccombenza.

5.1. Ma anche questa diversa impostazione non
conduce a risultati diversi per due ordini di ragioni.

In primo luogo, come si è su evidenziato e come
emerge dalla lettura del ricorso introduttivo del giudizio, consentita a questa
Corte essendo stato dedotto un vizio processuale, l’intero ricorso è fondato
sull’assunto della natura subordinata del rapporto di lavoro per le concrete
modalità in cui esso si è svolto, e in particolare per l’esistenza di tutti gli
indici tipici della subordinazione (pagina 13-16). Il riferimento alla mancanza
del progetto e alla conversione dei co.co.co . in contratti di lavoro
subordinato (pagina 12) è fatto al solo scopo di sostenere la natura simulata
dei contratti e l’irrilevanza del nomen iuris adoperato dalle parti, non già
per dedurne la nullità e la loro riconversione in contratti di lavoro
subordinato (cfr. su fattispecie analoga, Cass. n.
24480/2019, cit.). E ciò si evince anche nelle conclusioni rassegnate in
calce al ricorso, in cui non vi è traccia della domanda ex art. 69, comma 1, d.lgs. cit. La
memoria difensiva nulla può aggiungere al riguardo, essendo destinata soltanto
alla illustrazione ed al chiarimento dei motivi espressi nel controricorso, per
cui non è consentito, con le stesse, provvedere alla enunciazione, o alla
pretesa integrazione di tesi difensive diverse da quelle già prospettate.

5.2. Il secondo ordine di ragioni riposa
sull’oggettiva diversità delle domande (cioè, di accertamento della subordinazione
e di nullità per mancanza del progetto) che le rende incompatibili, dal momento
che esse hanno presupposti fattuali diversi e, quindi, presuppongono
accertamenti e oneri probatori diversi, come si è su evidenziato (cfr. Cass. n. 24480/2019): pertanto il rigetto anche
implicito di una delle due domande impone la proposizione dell’impugnazione
incidentale della parte che intenda insistere per l’accoglimento dell’altra,
non apparendo sufficiente la sua mera riproposizione in sede di appello.

5.3. N’a invero richiamato il principio per il quale
«Allorché la parte abbia proposto nello stesso giudizio, in forma alternativa o
subordinata, due o più domande fra loro concettualmente incompatibili, la
sentenza con la quale il giudice di merito abbia accolto la domanda subordinata
non implica soltanto la pronuncia favorevole sulla qualificazione giuridica
esposta dall’attore a sostegno della stessa, ma comporta anche un preciso
accertamento dei fatti, alternativo a quello posto a fondamento della domanda
principale. Ne consegue che l’attore parzialmente vittorioso, per evitare la
formazione del giudicato, deve formulare impugnazione avverso l’accoglimento
della domanda subordinata, condizionandola all’accoglimento del gravame sulla
domanda principale, in quanto solo in tal modo può ottenere la revisione
dell’accertamento compiuto dal giudice circa l’esistenza dei fatti costituenti
le ragioni della pretesa subordinata accolta, incompatibile con quella
principale» (cfr. Cass. 4/4/2017, n. 8674; Cass. 30/05/2013, n. 13602; Cass.
16/06/2003, n. 9631).

5.4. Le stesse considerazioni valgono nel caso in
cui, come nella specie, la deduzione della mancanza di un progetto ha
costituito oggetto solo di un’argomentazione difensiva, volta a confermare
anche sotto l’aspetto «formale» la natura subordinata del rapporto di lavoro,
non già in funzione di una specifica domanda fondata sull’art. 69, comma 1, d.lgs. cit.

Appare allora ancora più evidente come il giudice
d’appello, nel dichiarare la natura subordinata del rapporto quale «sanzione»
per la mancanza di un progetto, indipendentemente da ogni accertamento circa le
concrete modalità di svolgimento del rapporto e senza esaminare i motivi di gravame
proposti dalla R. S.p.A. si è posto oltre i limiti della domanda, attribuendo
un bene non richiesto o diverso da quello domandato. In entrambi i casi, il
ricorrente che intendeva insistere sulla domanda non esaminata, proposta in via
subordinata o alternativa, aveva l’onere di formulare impugnazione
eventualmente condizionandola all’accoglimento del gravame proposto dalla
controparte, in quanto solo in tal modo poteva ottenere la revisione
dell’accertamento compiuto dal giudice circa l’esistenza dei fatti costituenti
le ragioni della pretesa accolta, incompatibile con quella principale (Cass.
30/05/2013, n. 13602; Cass. 04/04/2017, n. 8674).

6. In conclusione, devono essere accolti i primi due
motivi di ricorso, mentre resta assorbito l’esame del terzo, e le parti devono
essere rimesse dinanzi alla Corte d’appello di Roma, in diversa composizione
anche per le spese del presente giudizio.

 

P.Q.M.

 

Accoglie il primo e il secondo motivo di ricorso,
assorbito il terzo; cassa la sentenza impugnata in relazione ai motivi accolti
e rinvia alla Corte d’appello di Roma, in diversa composizione, anche per le
spese del presente giudizio.

Giurisprudenza – CORTE DI CASSAZIONE – Ordinanza 25 marzo 2021, n. 8454
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