Giurisprudenza – CORTE DI CASSAZIONE – Ordinanza 25 marzo 2021, n. 8466
Illegittima reiterazione di contratti a termine, Differenze
stipendiali derivanti dal riconoscimento della anzianità di servizio,
Contratti stipulati per coprire posti vacanti in organico, Erronea
ricognizione della fattispecie concreta a mezzo delle risultanze di causa,
inerente alla tipica valutazione del giudice di merito
Rilevato che
con la sentenza impugnata la Corte di appello di
Roma, decidendo sull’appello (principale) proposto dal Ministro della
Istruzione, Università e Ricerca e sull’appello (incidentale) proposto da D.B.,
ha accolto l’appello del Ministero e ha rigettato la domanda del B. avente ad
oggetto il risarcimento del danno da illegittima reiterazione di contratti a
termine intercorsi inter partes; ha quindi accolto l’appello del docente e ha
condannato il Ministero al pagamento delle differenze stipendiali derivanti dal
riconoscimento della anzianità di servizio calcolata computando i periodi
coperti dai contratti di lavoro a tempo determinato;
a fondamento del decisum la Corte territoriale ha
ritenuto che non sussistessero i presupposti, come delineati dalla
giurisprudenza di legittimità nonché dalla Corte di giustizia, per la
configurabilità di un abuso, da parte del Ministero, nel ricorso ai contratti a
tempo determinato, trattandosi di contratti stipulati per coprire posti vacanti
in organico di fatto e solo due per vacanze su organico di diritto, per un
periodo inferiore ai trentasei mesi; il ricorrente non aveva allegato e provato
che, nel ricorso ai contratti a termine, il ministero avesse fatto un uso
improprio o distorto dei suoi poteri di macro organizzazione;
sussisteva il diritto del dipendente di ottenere la
medesima progressione stipendiale riconosciuta ai lavoratori a tempo
indeterminato, in applicazione del principio di non discriminazione di cui alla
clausola 4 dell’Accordo quadro; ha invece rigettato le altre domande proposte
dal B. aventi ad oggetto il trattamento economico sino al termine dell’anno scolastico,
non ricorrendone i presupposti (le supplenze non avevano avuto una durata pari
o superiore ai 180 giorni, né erano iniziate dal 1 febbraio e durate
ininterrottamente fino al termine delle operazioni di scrutinio finale).
Contro la sentenza il B. ha proposto ricorso per
cassazione, sulla base di plurimi motivi; ha resistito il Ministero con
controricorso. La proposta del relatore, ai sensi dell’art. 380-bis cod. proc. civ., è stata comunicata
alle parti, unitamente al decreto di fissazione dell’adunanza in camera di
consiglio non partecipata.
Considerato che
1. Con il primo motivo la parte ricorrente denuncia
ai sensi dell’art. 360, n. 3 e 4, cod.proc.civ.
la violazione e falsa applicazione di un complesso di norme (artt. 115, 416, 329, 112, 434 cod.proc.civ. e 111
Cost.); il motivo si articola in una pluralità di censure, con le quali ci
si duole dell’omessa valutazione da parte del giudice territoriale della non
contestazione del MIUR sul fatto dello svolgimento di attività lavorativa per
il periodo compreso dal 18/10/2000 al 30/6/2015 su posto vacante disponibile,
della mancanza di impugnazione, e quindi sul acquiescenza del MIUR in ordine
alla accertata nullità delle clausole appositive del termine; l’appello non
rispettava le prescrizioni dell’articolo 434
cod.proc.civ.; il motivo di ricorso attinge anche l’art. 360, n. 4 cod.proc.civ., per avere omesso il
vice del merito di valutare la non contestazione, decidendo anche ultrapetitum.
2. Con il secondo motivo, il ricorrente denuncia la
violazione e falsa applicazione di un altro complesso di norme, ai sensi del n.
3 dell’art. 360 (direttiva
1999/70/Cee, clausole 4 e 5; L.
n. 296/2006, art. 558; L. n. 183/2010, art. 2729 e 2697
cod.civ., art. 3, 24 e 117 Cost., D.Lgs. n. 368/2001, articoli 1 e
4. Il ricorrente assume
l’erroneità della sentenza nella parte in cui ha ritenuto che l’illegittimità
nella reiterazione dei contratti a tempo determinato ricorra solo nei casi di
contratti stipulati per supplenze su organico di diritto, laddove i contratti
violavano la normativa sul contratto a termine prevista dal d.lgs. n. 368/2001 nonché con la normativa in
materia di risarcimento del danno comunitario e del principio di non
discriminazione. Il ricorrente, inoltre, assume che in violazione degli art. 527 del decreto legislativo
numero 297/1994, della L. 124/1999, la
corte non gli ha riconosciuto il trattamento economico previsto anche per i
mesi non lavorati.
3.- Il primo motivo è inammissibile per una
pluralità di ragioni profili plurimi profili di inammissibilità.
Va innanzitutto rilevato che, nel ricorso per
cassazione, il motivo di impugnazione che prospetti in un unico contesto una
pluralità di questioni precedute unitariamente dalla elencazione delle norme
che si assumono violate, è inammissibile, richiedendo un inesigibile intervento
integrativo della Corte che, per giungere alla compiuta formulazione del
motivo, dovrebbe individuare per ciascuna delle doglianze lo specifico vizio di
violazione di legge (Cass. 20/09/2013, n. 21611).
Il ricorso inoltre non rispetta i canoni imposti
negli articoli 366, comma primo, n. 6, e 369, comma 2, n. 4 cod.proc.civ. dal momento che
il ricorrente non trascrive né la memoria di costituzione in giudizio in primo
grado del MIUR, da cui dovrebbe evincersi la non contestazione, da parte del
ministero, dei fatti costitutivi del diritto azionato – i brevi stralci
riportati nel ricorso appaiono a tal fine del tutto insufficienti -, né il
ricorso in appello dello stesso ministero, da cui dovrebbe evincersi
l’acquiescenza del MIUR alla declaratoria di nullità del termine apposto ai
contratti contenuta nella sentenza del tribunale, essendo stata l’impugnazione
limitata al solo capo avente ad oggetto la pronuncia di illegittimità nella
reiterazione dei contratti a termine; la trascrizione era necessaria anche a
sostegno dell’eccezione di inammissibilità dell’appello per violazione dell’art. 434 cod.proc.civ.
L’assolvimento di tale onere di trascrizione era
ancor più necessario dal momento che di tutte le questioni promiscuamente
esposte nel ricorso non vi è traccia nella sentenza impugnata. Va poi rilevato
che la non contestazione opera sul terreno degli oneri probatori e non riguarda
la qualificazione giuridica dei fatti né tantomeno l’individuazione delle norme
che si assumono violate valendo il principio di non contestazione per i soli
fatti e non per la sussunzione dei fatti nella norma (Cass. 10/04/2013, n. 8764).
4.- Il secondo motivo è inammissibile ai sensi dell’art. 360 bis, n. 1 cod.proc.civ., dal momento che
la corte territoriale ha deciso le questioni di diritto in modo conforme alla
giurisprudenza di questa Corte (Cass. 7/11/ 2016,
n. 22552): «Nel settore scolastico, nelle ipotesi di reiterazione di
contratti a termine in relazione ai posti individuati per le supplenze su cd.
organico di fatto e per le supplenze temporanee, non è in sé configurabile
alcun abuso ai sensi dell’Accordo Quadro allegato alla direttiva n. 1999/70/CE, fermo restando il diritto
del lavoratore di allegare e provare il ricorso improprio o distorto a siffatta
tipologia di supplenze, prospettando non già la sola reiterazione ma le
sintomatiche condizioni concrete della medesima.»
Quanto alla questione relativa al trattamento
economico, si legge nella sentenza impugnata: <da censura mossa dal B.,
secondo cui in relazione a talune supplenze svolte, analiticamente individuate
nel conteggio allegato al ricorso introduttivo, gli spetterebbe il trattamento
economico sino al termine dell’anno scolastico ai sensi del T.U. 297/1994 e della L.
n. 124/1999, non può trovare accoglimento» (punto 7); e ancora «le
supplenze rispetto (al)le quali viene avanzata la richiesta di maggior
trattamento economico non hanno avuto durata superiore a 180 giorni, né hanno
avuto inizio al 1° febbraio. Né è stato dedotto dal B. la ricorrenza di tali
condizioni nelle concrete modalità di svolgimento del servizio, rispetto a
quanto pattuito in sede contrattuale».
La corte d’appello ha specificato che la domanda di
pagamento è stata avanzata con riguardo a talune supplenze «analiticamente
individuate nel conteggio allegato al ricorso» rispetto alle quali ha ritenuto
insussistenti i presupposti di legge per il riconoscimento della retribuzione
fino al termine dell’anno scolastico (ossia l’inizio del servizio non più tardi
del 1° febbraio e fino al termine delle operazioni di scrutinio finale, ovvero
il servizio per almeno 180 giorni, anche se non continuativi, con
partecipazione alle operazioni di scrutinio finale).
Il ricorrente, nonostante l’indicazione contenuta in
rubrica, non contesta la correttezza di questa affermazione in diritto ma
assume che di aver svolto attività lavorativa per almeno 180 giorni, anche non
continuativi trovandosi comunque in servizio al termine delle operazioni di
scrutinio finale: sostanzialmente allega un’errata ricognizione della
fattispecie concreta da parte del giudice di merito. La censura pertanto esula
dallo schema tipico del vizio di violazione di legge, il quale consiste «nella
deduzione di un’erronea ricognizione, da parte del provvedimento impugnato,
della fattispecie astratta recata da una norma di legge e quindi implica
necessariamente un problema interpretativo della stessa; viceversa,
l’allegazione di un’erronea ricognizione della fattispecie concreta a mezzo
delle risultanze di causa è esterna all’esatta interpretazione della norma di
legge e inerisce alla tipica valutazione del giudice di merito, la cui censura
è possibile, in sede di legittimità, sotto l’aspetto del vizio di motivazione.
Il discrimine tra l’una e l’altra ipotesi – violazione di legge in senso
proprio a causa dell’erronea ricognizione dell’astratta fattispecie normativa,
ovvero erronea applicazione della legge in ragione della carente o
contraddittoria ricostruzione della fattispecie concreta – è segnato dal fatto
che solo quest’ultima censura, e non anche la prima, è mediata dalla contestata
valutazione delle risultanze di causa» (Cass. 22/02/2007, n. 4178).
E anche a voler ricondurre la censura al vizio di
motivazione, essa si profila inammissibile per un duplice ordine di ragioni: in
primo luogo perché la domanda è stata rigettata anche in primo grado sicché,
trovandoci di fronte ad un’ipotesi di doppia conforme, nella deduzione con il
ricorso per cassazione del vizio di cui alla 360,
n. 5 cod.proc.civ. il ricorrente avrebbe dovuto indicare la difformità
delle ragioni del rigetto della sua domanda in appello rispetto a quelle a
quelle enunciate dal giudice di primo grado; in secondo luogo il motivo difetta
di autosufficienza, perché a fronte della delimitazione della domanda di
pagamento da parte del giudice di merito, la quale l’ha ancorata alle specifiche
supplenze individuate nel conteggio allegato al ricorso introduttivo, era onere
del ricorrente trascrivere nonché produrre il detto conteggio al fine di
apprezzare l’errore ricostruttivo in fatto compiuto dal giudice del merito.
In definitiva il ricorso deve essere dichiarato
inammissibile il ricorrente condannato al pagamento delle spese del presente
giudizio nella misura indicata in dispositivo. Sussistono i presupposti per il
pagamento di un importo pari a quello già versato per il contributo unificato.
P.Q.M.
Dichiara il ricorso inammissibile e condanna il
ricorrente al pagamento delle spese del presente giudizio, che liquida in €
2500 per compensi professionali oltre spese prenotate a debito.
Ai sensi dell’art. 13, comma 1 quater, del d.P.R.
115 del 2002, dà atto della sussistenza dei presupposti processuali per il
versamento, da parte del ricorrente, dell’ulteriore importo a titolo di
contributo unificato pari a quello dovuto per il ricorso, a norma del comma
1-bis dello stesso art. 13.