Giurisprudenza – CORTE DI CASSAZIONE – Ordinanza 31 marzo 2021, n. 8958

Sanzioni disciplinari conservative, Astensioni dal lavoro
durante alcune festività nazionali infrasettimanali, Contratti individuali di
lavoro stipulati, Clausole di disponibilità alla prestazione di lavoro nei
giorni festivi e domenicali, Nullità per indeterminatezza e mancanza di un
corrispettivo, Valutazioni del giudice di merito in ordine all’interpretazione
degli atti negoziali, Verifica del rispetto dei canoni legali di ermeneutica
contrattuale e controllo della sussistenza di una motivazione logica e coerente

 

Rilevato che

 

1. con sentenza n. 3 depositata in data 30.1.2017 la
Corte di appello di Trento, confermando la pronuncia del Tribunale di Rovereto,
ha accolto la domanda di L.S., G.M., M.S.L. proposta nei confronti della
società A.S. s.r.l. per l’annullamento delle sanzioni disciplinari conservative
applicate alle lavoratrice per essersi astenute dal lavoro durante alcune
festività nazionali infrasettimanali (essendo fallito il confronto preventivo
effettuato tra il responsabile della filiale e le rappresentanze sindacali del
punto vendita, in ossequio all’Accordo aziendale 16.4.2013);

2. la Corte territoriale, ritenuto pacifico
l’inserimento (e la vigenza nel periodo de quo), nei contratti individuali di
lavoro stipulati dalle lavoratrici, di clausole di disponibilità alla
prestazione di lavoro nei giorni festivi e domenicali (clausole richiamate
anche nei successivi accordi intervenuti tra le parti), ne ha prospettato la nullità
in considerazione della loro indeterminatezza (e della mancanza della
previsione di un corrispettivo), della posizione di debolezza rivestita dalla
parte nel momento della sottoscrizione (ossia alla data di assunzione o di
trasformazione del rapporto a tempo indeterminato), della piena quanto
unilaterale discrezionalità del datore di lavoro; peraltro, ha rilevato che una
esegesi contrattuale rapportata alla normativa vigente al momento della stipula
delle suddette clausole (d.lgs. n. 114 del 1998)
e alla prassi (all’epoca del tutto eccezionale, dell’apertura degli esercizi
commerciali nelle giornate festive), portava a ritenere acquisita una generica
disponibilità alla prestazione lavorativa, che richiedeva un successivo accordo
tra le parti ogni qual volta l’esigenza aziendale veniva rappresentata secondo
criteri di correttezza e buona fede;

3. avverso questa pronuncia ricorre per cassazione
la società prospettando undici motivi di ricorso, illustrati da memoria; le
lavoratrici resistono con controricorso;

4. il Procuratore generale, con memoria del
28.10.2020, ha chiesto il rigetto del ricorso.

 

Considerato che

 

1. con il primo motivo il ricorrente deduce
violazione e falsa applicazione degli artt. 2 e 5 della legge n. 260 del 1949,
1325, 1418 cod.civ.,
in relazione all ‘art. 360, primo comma, n. 3,
cod.proc.civ., avendo, la Corte distrettuale, errato nel qualificare la
clausola quale rinuncia “prò futuro” al diritto all’astensione dalla
prestazione nelle giornate festive, trattandosi di rinuncia ad attuali,
concreti ed individuati diritti acquisiti dal lavoratore al momento
dell’assunzione;

2. con il secondo motivo si deduce violazione e
falsa applicazione degli artt.
2 e 5 della legge n. 260
del 1949, 1372 cod.civ., in relazione all’art. 360, primo comma, n. 3, cod.proc.civ.,
avendo, la Corte distrettuale, erroneamente negato – all’accordo intercorso in materia
di diritti del lavoratore di astenersi dall’attività lavorativa festiva –
carattere generale e disponibile, così sostanzialmente e paradossalmente
ritenendo privo di efficacia l’accordo che non fosse confermato – nel corso del
rapporto – in occasione della ricorrenza festiva;

3. con il terzo motivo si deduce omesso esame di un
fatto decisivo, in relazione all’art. 360, primo
comma, n. 5, cod.proc.civ., avendo, la Corte distrettuale, trascurato che
la clausola di disponibilità alla prestazione nelle giornate festive era stata
ribadita nei successivi accordi intervenuti in occasioni di modifiche del
rapporto di lavoro (quali mutamenti di filiali, di orari, del tipo di
prestazione);

4. con il quarto motivo si deduce violazione e falsa
applicazione degli artt. 2
e 5 della legge n. 260 del 1949,
1427, 2113 cod.civ.,
in relazione all’art. 360, primo comma, n. 3,
cod.proc.civ., avendo, la Corte distrettuale, trascurato che il diritto in
questione è diritto disponibile in relazione al quale il legislatore non
prevede una specifica tutela di stipulazione assistita né può, di conseguenza,
ricadere nel perimetro della disciplina dettata per le invalidità delle rinunce
e transazioni concernenti diritti inderogabili;

5. con il quinto, sesto, settimo ed ottavo motivo si
deduce omesso esame di un fatto decisivo, violazione e falsa applicazione degli
artt. 1362, 1366-1368, 1372, 1375 cod.civ., in relazione all’art. 360, primo comma, nn.3 e 5, cod.proc.civ.,
avendo, la Corte distrettuale, ritenuto generica la clausola di disponibilità
inserita nei contratti individuali nonostante le festività infrasettimanali
rappresentino un fatto notorio, le modalità ed il preavviso con cui poteva
essere chiesta la disponibilità erano disciplinate dall’Accordo integrativo
aziendale del 16.4.2013 e, pertanto, l’applicazione degli usuali canoni
normativi di interpretazione ermeneutica consentivano una agevole e piana
ricostruzione dell’oggetto dell’obbligo assunto (da considerare quantomeno
determinabile, se non anche del tutto determinato), potendo semmai ridondare
l’eventuale richiesta di prestazione per tutte le festività infrasettimanali
dell’anno quale vizio funzionale (non genetico) del contratto, da eseguirsi
secondo buona fede e correttezza;

6. con il nono motivo si deduce omesso esame di un
fatto decisivo, in relazione all’art. 360, primo
comma, n. 5, cod.proc.civ., avendo, la Corte distrettuale, trascurato che
le clausole individuali di disponibilità al lavoro festivo non consentivano
l’esercizio di piena ed esclusiva discrezionalità del datore di lavoro, posto
che l’Accordo integrativo aziendale prevedeva (e prevede) un preventivo
confronto a livello di singola filiale tra responsabile e R.S.A., imponeva (e
impone) di tener conto in via prioritaria della volontarietà espressa dai
singoli lavoratori e di provvedere ad una ripartizione equa tra il personale
della prestazione lavorativa domenicale e festiva, richiedeva l’affissione del
turno di lavoro con anticipo di una settimana rispetto al periodo di
riferimento;

7. con il decimo motivo si deduce violazione e falsa
applicazione degli artt. 2
e 5 della legge n. 260 del 1949,
1344 cod.civ., in relazione all’art. 360, primo comma, n. 3, cod.proc.civ.,
avendo, la Corte distrettuale, errato nel rinvenire l’invalidità delle clausole
di disponibilità in relazione alla disciplina dettata dalla legge n. 260 del 1949 posto che la Suprema Corte
ha riconosciuto come disponibile e rinunciabile il diritto all’astensione dal
lavoro festivo;

8. con l’undicesimo motivo si deduce violazione e
falsa applicazione dell’art. 2106 cod.civ., in
relazione all’art. 360, primo comma, n. 3,
cod.proc.civ., dovendo conseguire, alla validità ed efficacia delle
clausole di disponibilità al lavoro festivo, una pronuncia di legittimità delle
sanzioni conservative applicate alle lavoratrici, integrando – il loro rifiuto
alla prestazione nel giorno festivo – un inadempimento contrattuale;

9. i primi dieci motivi, che possono essere trattati
congiuntamente per la loro stretta connessione, meritano accoglimento;

10. come esposto nella sentenza impugnata, risulta
pacifico tra le parti, nonché documentalmente provato, che le lavoratrici,
originarie ricorrenti, hanno sottoscritto – all’atto dell’assunzione (2000 la
L., 2001 la M., 2008 la S.) nonché “indirettamente o a volte direttamente
richiamate nelle successive convenzioni modificative dei rispettivi rapporti di
lavoro (nella vicenda lavorativa delle ricorrenti si sono verificati mutamenti
di filiali, di orari, di tipo di prestazione) pag.4 della sentenza impugnata –
una clausola del seguente tenore: “si conviene che, qualora richiesto, lei
sarà chiamata a prestare attività lavorativa nei giorni festivi e domenicali,
fermo il diritto al riposo previsto dalla legge”;

11. va premesso che, le valutazioni del giudice di
merito in ordine all’interpretazione degli atti negoziali soggiacciono, nel
giudizio di cassazione, ad un sindacato limitato alla verifica del rispetto dei
canoni legali di ermeneutica contrattuale ed al controllo della sussistenza di
una motivazione logica e coerente (ex plurimis, Cass. n. 12360 del 2014; Cass. n. 4851 del 2009; Cass. n. 3187 del 2009;
Cass. n. 15339 del 2008; Cass. n. 11756 del 2006; Cass. n. 6724 del 2003; Cass.
n. 17427 del 2003); la denuncia della violazione delle regole di ermeneutica e
la denuncia del vizio di motivazione esigono – come effettuato nel caso di
specie – la precisazione del modo attraverso il quale si è realizzata
l’anzidetta violazione e delle ragioni della obiettiva deficienza e
contraddittorietà del ragionamento del giudice di merito – non potendo le
censure risolversi, in contrasto con l’interpretazione loro attribuita, nella
mera contrapposizione di una interpretazione diversa da quella criticata (tra
le innumerevoli: Cass. n. 18375 del 2006; Cass. n. 12468 del 2004; Cass. n.
22979 del 2004, Cass. n. 7740 del 2003; Cass. n. 12366 del 2002; Cass. n. 11053
del 2000).

12. la Corte territoriale ha premesso che la
suddetta clausola negoziale (non precisando le festività in particolare a cui
si riferiva né le modalità del preavviso al fine di consentire al lavoratore la
programmabilità del proprio tempo libero) rimetteva “alla piena ed
esclusiva discrezione del datore di lavoro l’esercizio di un suo esclusivo
quanto insindacabile diritto ad esigere la prestazione lavorativa anche nei
giorni di festività”, con ciò finendo per eludere la finalità voluta dal
legislatore;

13. la Corte territoriale ha, dunque, ritenuto di
percorrere un diverso e alternativo itinerario esegetico (rispetto al giudice
di primo grado) che, valorizzando la prassi di eccezionale apertura festiva
degli esercizi commerciali alla data in cui fu sottoscritta, per la prima
volta, la clausola nonché la mancata previsione di un corrispettivo per tale
prestazione festiva, consentisse di accertare la comune intenzione delle parti
nella volontà “di dare evidenza ad una organizzazione aziendale
nell’ambito della quale avrebbe anche ed eventualmente potuto manifestarsi
l’esigenza di lavoro nelle giornate di festività, esigenza rispetto alla quale
le lavoratrici manifestavano (a differenza di altri colleghi) la disponibilità
di essere richiesta della prestazione, ferma restando, tuttavia, la necessità
di un accordo da concludere di volta in volta secondo criteri di correttezza e
buona fede (art. 1375 cod.civ.), anche tenuto
conto delle loro peculiari esigenze personali e familiari in essere al tempo
dell’esigenza rappresentata dall’azienda”;

14. orbene, si tratta di una esegesi del testo
contrattuale che espunge dalla ricostruzione del significato (obiettivo)
dell’accordo il criterio dell’interpretazione letterale (art. 1362, primo comma, cod.civ.), violando,
inoltre, il principio di conservazione del contratto (art. 1367 cod.civ.);

15. questa Corte, rispetto all’esigenza primaria di
ricostruire la comune volontà delle parti, ha affermato che il tradizionale
principio in Claris non fit interpretatio postula che la formulazione testuale
sia talmente chiara da precludere la ricerca di una volontà diversa; la
sussistenza di tale chiarezza costituisce propriamente il thema demostrandum, e
non già premessa argomentativa di fatto (v. Cass. n. 12957 del 2004); tanto
significa che per poter ritenere operante detto principio occorre prima
affrontare e risolvere il problema della sussistenza o meno di tale chiarezza
ed univocità; ed il legislatore ha attribuito al giudice di merito il
potere-dovere di stabilire se la comune intenzione delle parti risulti in modo
certo ed immediato dalla dizione letterale del contratto (cfr. Cass. n. 511 del
1984);

16. questa Corte ha, altresì, ritenuto che l’art. 1362 cod.civ., allorché nel primo comma
prescrive all’interprete di indagare quale sia stata la comune intenzione delle
parti senza limitarsi al senso letterale delle parole, non svaluta l’elemento
letterale del contratto ma, al contrario, intende ribadire che, qualora la
lettera della convenzione, per le espressioni usate, riveli con chiarezza ed
univocità la volontà dei contraenti e non vi sia divergenza tra la lettera e lo
spirito della convenzione, una diversa interpretazione non è ammissibile (Cass.
n. 21576 del 2019; Cass. n. 10290 del 2001);

17. nella specie, il giudice di merito ha ritenuto
che la dizione letterale della clausola fosse chiara, nel senso di un
riconoscimento di un potere organizzativo del datore di lavoro, esclusivo ed
insindacabile, di richiedere la prestazione lavorativa anche nei giorni di
festività; ha, peraltro, ritenuto che il testo dell’accordo fosse incoerente
con indici esterni (quali la debolezza contrattuale del lavoratore
nell’accettazione di clausole imposte dal datore di lavoro, resa evidente dall’art. 2113 cod.civ.) rivelatori di una diversa
volontà dei contraenti;

18. la sentenza impugnata non è conforme ai principi
affermati da questa Corte essendo pervenuta alla ricostruzione del significato
della clausola elidendo del tutto l’elemento letterale (elemento peraltro
riconosciuto dallo stesso giudice di merito, come determinante ai fini
dell’accertamento della volontà delle parti), trascurando la valenza dei
riferimenti normativi esterni a cui la clausola rinviava (ossia la normativa
dettata in materia di festività infrasettimanali, legge
n. 260 del 1949) ed inserendo valutazioni, alla situazione soggettiva del
lavoratore subordinato, generiche e non attinenti allo specifico diritto
vantato (il diritto all’astensione dall’attività lavorativa nelle festività
infrasettimanali, diritto soggettivo rinunciabile, come questa Corte ha già
affermato, Cass. n. 16634 del 2005 e, da
ultimo, Cass. n. 18887 del 2019), e, infine,
privando la clausola di qualsiasi effetto utile (in quanto l’obbligo di
richiedere, di volta in volta, il consenso del lavoratore non differenzia,
nella sostanza, le posizioni di coloro che abbiano pattuito la loro
disponibilità a lavorare durante le festività infrasettimanali da coloro che non
l’abbiano esplicitata, potendo essi sempre manifestarla);

19. il significato letterale della clausola in
questione è univoco e diretto ad attribuire al datore di lavoro, che ha
acquisito il consenso del lavoratore, il potere di richiedere la prestazione
lavorativa nei giorni festivi (e domenicali), nel rispetto della normativa
dettata in materia di riposo settimanale, come emerge chiaramente dall’uso
della dizione “sarà chiamata a prestare attività lavorativa”:
l’interpretazione è coerente con la struttura del rapporto di lavoro
subordinato, caratterizzato da un bilanciamento tra l’eterodirezione
dell’attività (nel caso di specie, il potere di articolare l’orario di lavoro
dei singoli dipendenti per il perseguimento degli obiettivi dell’attività
d’impresa), e un apparato protettivo, composto da diritti ritenuti
inderogabili, costruito attorno al lavoratore e finalizzato a rimuovere
disuguaglianze sostanziali e ad evitare che l’iniziativa economica privata si
svolga in contrasto con l’utilità sociale o pregiudichi la sicurezza, la
libertà e la dignità umana (nel caso di specie, i limiti di durata della
giornata lavorativa previsti dalla legge e dalla contrattazione collettiva e le
disposizioni in materia di riposi);

20. l’oggetto della clausola è senz’altro determinabile
in quanto inequivocabilmente individuabile mediante il riferimento ai
“giorni festivi”, e, dunque, con un esplicito rinvio alla normativa
che individua tali giorni (legge n. 260 del 1949),
con conseguente esclusione di una determinazione di tali festività rimessa
all’arbitrio della parte datoriale; deve, d’altra parte, richiamarsi
l’orientamento giurisprudenziale di questa Corte secondo cui è sufficiente, ai
fini della validità del contratto e della determinabilità dell’oggetto,
“il rimando ad elementi esterni ma idonei a consentirne l’identificazione
in modo inequivoco, purché, per l’appunto, l’intervenuta convergenza delle
volontà sia comunque, anche “aliunde” o “per relationem”,
logicamente ricostruibile” (Cass. n. 8810 del 2003; Cass. n. 11297 del
2018); del pari, nell’ambito delle controversie di lavoro, questa Corte –
secondo consolidato orientamento – ha ritenuto valida, in quanto determinabile,
l’indicazione, anche non analitica, delle mansioni affidate al lavoratore in
prova se specificate nel contratto collettivo applicato al rapporto di lavoro
(Cass. n. 14950 del 2000; Cass. n. 15307 del 2001; Cass.
n. 17045 del 2005; Cass. n. 21698 del 2006;
Cass. n. 1957 del 2011);

21. questa Corte ha affermato, in materia di orario
di lavoro, che non possono estendersi al contratto a tempo pieno i limiti posti
allo ius variandi nei contratti part – time, nei quali la programmabilità del
tempo libero assume carattere essenziale che giustifica la immodificabilità
dell’orario da parte datoriale per garantire la esplicazione di ulteriore
attività lavorativa o un diverso impiego del tempo che la scelta del
particolare rapporto evidenzia come determinante per l’equilibrio contrattuale;
nel rapporto a tempo indeterminato l’impiego del tempo libero da parte del
lavoratore non può ricevere la stessa tutela perché ciò si tradurrebbe nella
negazione del diritto dell’imprenditore di organizzare l’attività produttiva,
diritto che può soffrire limiti solo in dipendenza di pattuizioni individuali o
fonti collettive che lo vincolino o lo condizionino a particolari procedure (Cass. n. 4507 del 1993; Cass. n. 14999 del 2012;
25006 del 2016; Cass. nn. 1375 e 10142 del 2018; Cass. n. 9134 del 2000).

22. ebbene, le festività infrasettimanali, a
differenza delle ferie e del riposo settimanale, non sono tutelate dalla
Costituzione (cfr. art. 36, comma 3); invero,
il legislatore ha ritenuto di diversificare la disciplina in base alla
considerazione che le ferie ed il riposo hanno la finalità di tutelare un bene
primario della persona non suscettibile di alcun bilanciamento con altri
diritti anche costituzionalmente tutelati, ossia la finalità di reintegrare le
energie psico-fisiche del lavoratore, mentre le festività non tutelano
immediatamente il diritto alla salute, bensì, a seconda dei casi, l’esigenza di
consentire la celebrazione comunitaria di ricorrenze festive profondamente
radicate nella tradizione, non solo religiosa, ovvero legate a particolari
significati e valori civili, diritti disponibili dal lavoratore;

23. la disciplina delle festività è contenuta nella legge n. 260 del 1949 (in parte novellata dalla I. n. 90 del 1954) che dichiara giorni festivi
determinate ricorrenze religiose e civili (artt. 1-3), durante le quali i
lavoratori hanno diritto ad astenersi dal lavoro conservando la retribuzione
piena e, in aggiunta a questa, una retribuzione maggiorata per il lavoro
eventualmente prestato in tali ricorrenze (art. 5);

24. questa Corte ha precisato che la legge n. 260 del 1949 ha riconosciuto ai
lavoratori un diritto soggettivo ad astenersi dal lavoro durante le festività
infrasettimanali, diritto non disponibile a livello collettivo (con conseguente
nullità delle clausole della contrattazione collettiva che lo dovessero
prevedere come obbligatorio, salvo accordi sindacali stipulati da OO.SS. cui il
lavoratore abbia conferito esplicito mandato: cfr. sul punto Cass. n. 18887 del 2019); il divieto a lavorare
in occasione di tali festività non è assoluto, potendo il lavoratore
nell’esercizio della propria autonomia individuale esprimere il consenso a
lavorare in tali giornate, come si ricava agevolmente dall’art. 5 della legge n. 260 del 1949
che prevede una retribuzione aggiuntiva per i lavoratori che “prestino la
loro opera nelle suindicate festività”, sì da ammettere chiaramente la
possibilità di svolgere la prestazione lavorativa in tali giornate (Cass. n. 16634 del 2005, Cass. n. 16592 del 2015 e, da ultimo, Cass. n. 18887 del 2019); risulta, pertanto,
fuorviante e inappropriato il richiamo, da parte della sentenza impugnata,
della tutela legislativa approntata nei confronti dei diritti inderogabili del
lavoratore (art. 2113 cod.civ.), essendo – il
diritto allo svolgimento di attività lavorativa nelle festività
infrasettimanali – estraneo al campo di applicazione;

25. il potere di organizzare l’articolazione
dell’orario di lavoro e, nel caso di specie, di richiedere la prestazione
lavorativa nei giorni festivi risulta essere stato esercitato dal datore di
lavoro nel rispetto dei principi di buona fede e correttezza, principi che si
sostanziano, tra l’altro, in un generale obbligo di solidarietà che impone a
ciascuna delle parti di agire in modo da preservare gli interessi dell’altra:
la Corte territoriale ha, invero, dato atto del rispetto, da parte della
società, di tutte le regole dettate dall’Accordo integrativo aziendale
(confronto preventivo tra il Responsabile di filiale e le rappresentanze
aziendali del punto vendita per la scelta dei lavoratori a fronte delle
numerose comunicazioni di non disponibilità al lavoro festivo; valutazione
delle ragioni di assenza, per malattia, maternità, dimissioni, di altre
lavoratrici; congruo preavviso dei turni di lavoro) e non avendo, la parte
controricorrente, indicato altre circostanze di fatto (tempestivamente allegate
nel ricorso introduttivo del giudizio) sintomatiche della violazione di tali
principi di civiltà giuridica;

26. va, pertanto, enunciato il seguente principio di
diritto: la rinuncia al diritto all’astensione dalla prestazione nelle giornate
festive infrasettimanali di cui all’art. 2 della legge n. 260 del 1949
può essere anche validamente inserita come clausola del contratto individuale
di lavoro; in particolare, il giudice, esaminando gli accordi intervenuti tra
le parti in materia di festività infrasettimanali, dovrà attenersi ai seguenti
principi: il diritto del lavoratore ad astenersi dalla prestazione durante le
festività infrasettimanali è diritto disponibile e sono validi gli accordi
individuali, intercorsi tra lavoratore e datore di lavoro; l’oggetto di detti
accordi è chiaramente determinabile mediante il ricorso al riferimento
normativo esterno costituito dalla legge n. 260 del
1949; il potere del datore di lavoro di richiedere la prestazione
lavorativa nei giorni festivi va esercitato nel rispetto dei principi di buona
fede e correttezza;

27. il ricorso va, dunque, accolto con rinvio alla
Corte di appello di Venezia che – alla luce dei principi di diritto enunciati
in questa sede – dovrà rivalutare gli accordi intercorsi tra le parti e la
validità delle sanzioni disciplinari adottate dalla società nei confronti delle
originarie ricorrenti a causa della mancata presentazione in servizio nelle
giornate festive sulla base dell’apprezzamento di tutte le circostanze del loro
verificarsi e dell’intensità dell’elemento intenzionale;

28. l’undicesimo motivo di ricorso, attinente alla
validità delle sanzioni disciplinari intimate, va assorbito;

 

P.Q.M.

 

Accoglie i primi dieci motivi di ricorso e dichiara
assorbito l’undicesimo motivo; cassa la sentenza impugnata e rinvia alla Corte
di appello di Venezia cui demanda di provvedere anche sulle spese del giudizio
di legittimità.

Giurisprudenza – CORTE DI CASSAZIONE – Ordinanza 31 marzo 2021, n. 8958
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