Giurisprudenza – CORTE DI CASSAZIONE – Sentenza 07 aprile 2021, n. 9307

Collocamento in solidarietà con riduzione dell’orario di
lavoro, lnvalidità del contratto, Reintegra nel proprio orario di lavoro
contrattuale, Strumento per fronteggiare situazioni di eccedenza di personale
– Nessun potere di incidere in peius sui contratti individuali, Generale
efficacia “normativa” nei confronti di tutti i rapporti individuali
di lavoro

 

Fatti di causa

 

Con ricorso al Tribunale di Roma S.F., esponeva di
essere dipendente della S.p.A. T.I. quale addetto alla funzione Directory
Assistance e di essere stato illegittimamente collocato in solidarietà con
riduzione dell’orario di lavoro e dalla retribuzione come da atto in data 21
luglio 2009; sulla scorta di tali premesse chiedeva dichiararsi l’invalidità
del suddetto contratto e comunque l’illegittimità del provvedimento che aveva
ridotto l’orario di lavoro, con conseguente condanna di T.I. s.p.a. a
reintegrarlo nel proprio orario di lavoro contrattuale e a corrispondergli la
parte di retribuzione contrattuale da lui non percepita per effetto
dell’anzidetta riduzione a far tempo dalla costituzione in mora risalente al 9
novembre 2009. Il ricorrente formulava altresì istanza di condanna della
società al risarcimento del danno alla professionalità subito nella misura del
50% della retribuzione globale di fatto dovuta dal settembre 2009.

L’adito giudice, in parziale accoglimento della
domanda, dichiarava che il ricorrente era stato illegittimamente collocato in
solidarietà con riduzione dell’orario di lavoro e della retribuzione in virtù
di provvedimento datato 21 luglio 2009 e condannava la società convenuta a
reintegrare l’attore nel proprio orario di lavoro contrattuale e a
corrispondergli la parte retribuzione da lui non percepita per effetto
dell’anzidetta riduzione a decorrere dal 9 novembre 2009, compensate le spese
di lite.

Avverso la sentenza di primo grado proponeva appello
T.I. S.p.A. il cui gravame veniva tuttavia respinto dalla Corte distrettuale
con sentenza resa pubblica in data 11 giugno 2014.

La cassazione di tale di tale pronuncia è domandata
dalla società soccombente con ricorso articolato in due motivi successivamente
illustrati da memoria ex art. 378 c.p.c.

Resiste con controricorso la parte intimata che a
propria volta ha depositato memoria illustrativa.

 

Ragioni della decisione

 

1. Con il primo motivo di ricorso si denuncia
violazione e falsa applicazione dell’art.1 del decreto legge n. 727/1984,
convertito in legge numero 863 del 1994, nonché dell’art.
5 della legge n. 236 del 1993 ed ancora degli artt. 4 e 24 della legge n. 223 del 1991.

Si deduce che il richiamato art.1 prevede la
concessione di un trattamento di integrazione salariale a favore dei dipendenti
di imprese le quali abbiano stipulato contratti collettivi aziendali che
stabiliscano una riduzione dell’orario di lavoro al fine di evitare, in tutto
per parte la riduzione o la dichiarazione di esuberanza del personale anche
attraverso un suo più razionale impiego.

Ai sensi dell’articolo 5 della legge n. 236 del
1993 l’ambito di applicazione del contratto di solidarietà era stato esteso
anche alle imprese non rientranti nel campo di applicazione dell’articolo 1 del
decreto-legge n. 726 del 1984, che, al fine di evitare o ridurre le eccedenze
di personale nel corso della procedura di cui all’articolo 24 della legge 23 luglio
1991 numero 223, ovvero al fine di evitare licenziamenti plurimi
individuali per giustificato motivo oggettivo, stipulano contratti di
solidarietà, prevedendo che nei loro confronti venga corrisposto, per un
periodo massimo di due anni, un contributo pari alla metà del monte retribuito
da esse non dovuta a seguito della riduzione di orario.

Secondo la società ricorrente, in violazione di tali
previsioni di legge, la Corte d’appello aveva considerato illegittimo il
contratto di solidarietà difensivo oggetto del giudizio, in quanto convenuto
nell’ambito di una procedura di mobilità avviata nel maggio 2009, quando era
ancora efficace, sino al dicembre del 2010, una precedente procedura di
mobilità avviata nel settembre del 2008 che interessava ambiti aziendali
parzialmente coincidenti e che avrebbe trovato giustificazione nelle stesse
esigenze.

Ad avviso della ricorrente il dettato normativo,
contrariamente a quanto opinato dalla corte capitolina, affermava espressamente
la possibilità di ricorrere alla solidarietà difensiva per evitare anche solo
in parte di dover avviare procedure di mobilità di riduzione del personale e
non sanciva alcuna incompatibilità tra ricorso alla solidarietà e quello ad
altri di riduzione di personale, tra cui la mobilità. Né alcuna previsione
normativa sanciva un’incompatibilità tra l’avviamento di procedura di mobilità
per ambiti aziendali parzialmente coincidenti.

La sentenza impugnata non aveva considerato come
qualora sopraggiungessero nel corso del tempo particolari situazione di crisi
aziendali – nella fattispecie puntualmente dedotte con riferimento alla
funzione di Directory Assistance e non contestate, nonché comunque documentalmente
dimostrate- l’impresa abbia la facoltà di avviare procedure di mobilità in base
alle vigenti disposizioni normative per poterle fronteggiare tentare di
preservare la continuità aziendale.

Non aveva quindi alcun rilievo il fatto che la
procedura di mobilità volontaria del 2008 fosse ancora aperta al momento
dell’introduzione della mobilità.

Rilevava unicamente che all’inizio del 2009 la
procedura dì mobilità volontaria già avviata per l’intera azienda da circa un
anno non consentiva di fronteggiare gli esuberi di personale che si
presentavano, con notevole intensità, presso la funzione Directory Assistance a
seguito dello specifico calo delle attività svolte dei servizi di cui questa si
componeva.

Né si poteva attendere la conclusione della
precedente procedura di mobilità poiché altrimenti la crisi in .atto avrebbe
compromesso definitivamente l’attività produttiva di servizi ricompresi nella
Directory Assistance.

2. Con il secondo motivo la ricorrente ex art.360 n.3 c.p.c. ha denunciato violazione e
falsa applicazione degli artt.1362 e 1363 nonché ss. c.c. lettura erronea e parziale
degli accordi collettivi 19 settembre 2008 e 2009 da parte della Corte d’Appello,
la quale avrebbe quindi ritenuto che le esigenze sottese alla solidarietà
difensiva del 2009 per la funzione directory assistance fossero le medesime
della mobilità avviata nel giugno 2008 per l’intera azienda.

3. Il ricorso, nei suoi articolati motivi che
possono trattarsi congiuntamente per connessione, è fondato e va accolto.

Il tema del decidere investe lo strumento
individuato dal legislatore per fronteggiare situazioni di eccedenza di
personale, introdotto nel nostro ordinamento nel 1984, e denominato contratto
di solidarietà. Si tratta di uno strumento volto a scongiurare una situazione
di esuberanza di personale di carattere strutturale aziendale, stipulato
allorché un’impresa intenda procedere ad un licenziamento collettivo con
l’obiettivo di evitare la riduzione di personale.

Attraverso questo istituto, originariamente
disciplinato dal D.L. 30
ottobre 1984, n. 726, art. 1, convertito in L.
19 dicembre 1984 n. 863 e sul quale hanno successivamente inciso molteplici
disposizioni (in particolare leggi nn. 236/1993
e 608/1996 si è prefigurata una ulteriore
modalità di accesso all’intervento straordinario della CIG; esso infatti
presuppone la stipulazione di un contratto collettivo aziendale con i sindacati
comparativamente più rappresentativi (ex art.7 d.p.r. n.218/2000), nel
quale venga stabilita una certa riduzione dell’orario di lavoro (art.1 c.1 legge n.863/1984)
giornaliero, settimanale o mensile (vedi art.5 c.1 l. 236/1993). Per
rendere meno gravosa siffatta solidarietà fra lavoratori, è stato previsto
l’intervento della CIG con corresponsione della integrazione salariale in
favore degli operai ed impiegati coinvolti,, in misura che è stata variata dai
molteplici interventi legislativi che si sono sovrapposti nel tempo.

Nel suo impianto fondamentale rimasto inalterato, il
contratto di solidarietà, configura un’ ipotesi di intervento della cassa
integrazione guadagni, entro il quale si colloca il necessario provvedimento
ministeriale di ammissione alla integrazione salariale (vedi sul punto Cass. 28/11/2007 n.24706, Cass. 30/10/2015 n. 22255).

La novità della legge, e quindi il dato più
rilevante, consiste nella introduzione, nell’ordinamento, di un nuovo tipo di
intervento statale, mentre, così come formulata la disposizione, non vi sono
elementi per ritenere che a quel contratto, da solo, e non seguito
dall’intervento statale, venga conferito il potere di incidere in peius sui contratti
individuali. Inoltre è opinione pressoché generale in dottrina, che la legge,
mentre ha assunto detto contratto come presupposto, lo abbia nello steso tempo
– sia pure implicitamente – provvisto di una generale efficacia
“normativa” nei confronti di tutti i rapporti individuali di lavoro,
quanto meno di quelli che sono interessati alla riduzione di orario (e quindi
sia ai lavoratori iscritti sia a quelli non iscritti alle associazioni
sindacali stipulanti). Lo conferma non solo la scelta dell’agente negoziale
“i sindacati aderenti alle confederazioni maggiormente rappresentative sul
piano nazionale”, ma anche la considerazione che la riduzione di orario
può efficacemente operare solo se generale, ossia se investe tutto il personale
che nel contratto ne viene interessato.

La sentenza n.
24706/2007 sopra richiamata, ha poi soggiunto che il provvedimento di
ammissione alla cassa, come interpretato dalla dottrina maggioritaria, non
rappresenta un atto “dovuto” in presenza dell’accordo, ma presuppone
un controllo di congruità rispetto alle finalità indicate dalle legge, e cioè
che la riduzione dell’orario sia idonea ad evitare la dichiarazione di
esuberanza del personale, di talché l’intervento dovrebbe essere escluso in tutti
quei casi in cui la manovra sull’orario non sia verosimilmente utile a ridurre,
neppure in parte, la eccedenza di personale.

In tale prospettiva si è rimarcato come il contratto
aziendale si iscriva all’interno di una fattispecie complessa comprensiva del
contratto di solidarietà e del provvedimento ministeriale di ammissione
all’integrazione salariale, provvedimento che assume natura di accertamento
costitutivo della sussistenza delle condizioni per la stipula del contratto di
solidarietà.

La temporanea modifica peggiorativa, in via
collettiva, del contenuto dei rapporti individuali, sostenuta dal concorso
finanziario dello Stato è stata, in definitiva, ritenuta come la via
privilegiata di tutela degli interessi dei lavoratori.

Se corretto è l’approccio ermeneutico alla tematica
qui scrutinata tracciato dai richiamati arresti di questa Corte, qui condivisi,
deve ritenersi che la questione posta dalla Corte distrettuale a fondamento del
decisum, e relativa alla illegittimità del contratto di solidarietà perché
intervenuto allorquando la pregressa procedura di mobilità che investiva anche
la funzione Directory Assistance cui era addetto il lavoratore, non abbia
valore dirimente; ciò che rileva nello specifico, è che la procedura di
mobilità volontaria già avviata per l’intera azienda da circa un anno, non
aveva consentito di fronteggiare gli esuberi di personale che si erano
evidenziati successivamente, anche sub specie di aggravamenti della situazione
di crisi pregressa, e che la serietà delle ragioni sottese alla adozione
dell’accordo di solidarietà era stata oggetto di positivo scrutinio da parte
della Amministrazione, consacrato dal provvedimento ministeriale di ammissione
dei lavoratori alla integrazione salariale.

Diversamente opinando, secondo la tesi accreditata
dalla Corte d’appello, si dovrebbe ritenere che qualora l’impresa avvii una
procedura di mobilità volontaria di personale in un determinato arco temporale
non potrebbe, nel perdurare dello stesso, fronteggiare alcuna criticità
produttiva sopravvenuta inerente ad uno specifico settore anche qualora questa
comprometta la continuità aziendale.

Siffatta opzione ermeneutica non è meritevole di
condivisione perché non si confronta con la ratio ispiratrice della legge che
colloca il contratto collettivo di solidarietà nel quadro degli strumenti atti
a fronteggiare situazioni di eccedenza di personale, evitando in tutto o in
parte di addivenire ad una riduzione di personale.

In tale prospettiva deve ritenersi legittima la
sottoscrizione dell’accordo di solidarietà di tipo difensivo al quale le parti
hanno convenuto di ricorrere nel periodo 1/9/2009-31/8/2011, in ragione della
sussistenza di quei mutamenti strutturali organizzativi, forieri di negativi
riflessi sul piano occupazionale ed oggetto di vaglio da parte della
Amministrazione in sede di emanazione del provvedimento di ammissione
all’integrazione salariale.

L’espressa previsione legislativa della possibilità
che la riduzione oraria realizzi un impedimento anche solo parziale di esuberi
implica, dunque, per quanto sinora detto, il riconoscimento da parte del
legislatore della possibilità che un contratto di solidarietà difensiva
intervenga nel corso di una procedura di riduzione di personale, laddove,
invece, è da ritenersi illegittima l’inversa situazione, in cui, nella vigenza
del contratto di solidarietà c.d. difensivo, previsto dall’art. 1 del d.l. n. 726 del 1984,
conv. con modif. in I. n. 863 del 1984, datore
di lavoro avvii una procedura di licenziamento collettivo.

Secondo i principi affermati precedenti arresti di
questa Corte, nella vigenza di tale tipologia di contratti al datore di lavoro
è precluso il licenziamento collettivo – che presuppone necessariamente la
riduzione stabile dell’attività economica – proprio in ragione delle specifiche
finalità cui è preordinata la stipula del contratto di solidarietà, in
connessione al sacrificio richiesto ai lavoratori con la riduzione dell’orario
lavorativo e quindi della retribuzione (vedi Cass.
26/09/2018 n.23022, Cass. 15/12/2008 n.29306, Cass. 23/1/1998 n. 637); ma
per le considerazioni sinora esposte, è invece ammissibile l’ipotesi inversa.

Conclusivamente, il ricorso è meritevole di
accoglimento, la sentenza va cassata e rinviata alla Corte distrettuale
indicata in dispositivo che, disponendo anche in ordine alle spese del giudizio
di legittimità, si atterrà ai principi innanzi enunciati.

 

P.Q.M.

 

Accoglie il ricorso, cassa la sentenza impugnata e
rinvia alla Corte d’Appello di Roma in diversa composizione cui demanda di
provvedere anche in ordine alle spese del presente giudizio.

Giurisprudenza – CORTE DI CASSAZIONE – Sentenza 07 aprile 2021, n. 9307
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