La prova dei posti disponibili per un’utile ricollocazione del lavoratore licenziato e l’eventuale impossibilità del c.d. repêchage, incombe sul datore di lavoro.
Nota a Cass. 22 febbraio 2021, n. 4673
Francesco Belmonte
Nel caso di licenziamento per giustificato motivo oggettivo, incombono sul datore di lavoro gli oneri di allegazione e di prova dell’esistenza del motivo oggettivo, che include anche l’impossibilità del c.d. repêchage, ossia dell’inesistenza di altri posti di lavoro in cui utilmente ricollocare il lavoratore.
“Esigere che sia il lavoratore licenziato a spiegare dove e come potrebbe essere ricollocato all’interno dell’azienda significa, se non invertire sostanzialmente l’onere della prova (che – invece – l’art. 5, L. n. 604/66 pone inequivocabilmente a carico del datore di lavoro), quanto meno divaricare fra loro onere di allegazione e onere probatorio, nel senso di addossare il primo ad una delle parti in lite e il secondo all’altra, una scissione che non si rinviene in nessun altro caso nella giurisprudenza di legittimità.”
Tale principio è stato recentemente ribadito dalla Corte di Cassazione (22 febbraio 2021, n. 4673) in relazione ad una fattispecie concernente la legittimità del licenziamento per giustificato motivo oggettivo (ex art. 3, L. n. 604/66), intimato ad un dipendente (assunto come responsabile alla vendita diretta dei prodotti commercializzati dalla società datrice), la cui posizione lavorativa era stata soppressa in conseguenza alla riduzione dei costi imposta dall’azienda.
Sul tema, la Suprema Corte ribadisce che l’impossibilità del repêchage “trova la sua giustificazione sia sul piano dei valori, nella prospettiva del licenziamento come extrema ratio all’interno di un ordinamento che tutela il lavoro già a livello costituzionale, limitando, per converso, l’iniziativa economica privata, ove il suo esercizio risulti in contrasto con la dignità umana (art. 41, secondo co., Cost.), sia come riflesso logico del carattere effettivo e non pretestuoso che deve accompagnare la scelta tecnico-organizzativa del datore di lavoro, la quale, siccome univocamente diretta al conseguimento delle ragioni proprie dell’impresa, non può riconoscere il condizionamento di finalità espulsive diversamente legate alla persona del lavoratore” (in tal senso, v. Cass. n. 24882/2017, in q. sito, con nota di A. LARDARO).
In ordine agli oneri di allegazione e di prova dei posti disponibili per un’utile ricollocazione del lavoratore licenziato, i giudici di legittimità, in linea con l’orientamento maggioritario, affermano che tali obblighi incombono sul datore di lavoro (cfr., tra le tante, Cass. n. 160/2017, in q. sito, con nota di F. BELMONTE; Cass. n. 5592/2016, in q. sito, con nota di G.I. VIGLIOTTI e, tra le più recenti, Cass. n. 24195/2020). Nello specifico, si afferma che, alla luce dei principi di diritto processuale, “onere di allegazione e onere probatorio non possono che incombere sulla medesima parte, nel senso che chi ha l’onere di provare un fatto primario (costitutivo del diritto azionato o impeditivo, modificativo od estintivo dello stesso) ha altresì l’onere della relativa compiuta allegazione (sull’impossibilità di disgiungere fra loro onere di allegazione e relativo onere probatorio gravante sulla medesima parte v., ex aliis, Cass. n. 21847/2014)”. (In tali termini, Cass. n. 12101/2016).
In particolare, l’imprenditore ha l’onere di dimostrare “non solo che al momento del licenziamento non sussisteva alcuna posizione di lavoro analoga a quella soppressa per l’espletamento di mansioni equivalenti, ma anche, in attuazione del principio di correttezza e buona fede, di aver prospettato al dipendente, senza ottenerne il consenso, la possibilità di un reimpiego in mansioni inferiori rientranti nel suo bagaglio professionale” (Cass. n. 4509/2016).
In tale contesto, per la Cassazione, non vengono in rilievo tutte le mansioni inferiori dell’organigramma aziendale ma solo quelle che siano compatibili con le competenze professionali del lavoratore, “ovvero quelle che siano state effettivamente già svolte, contestualmente o in precedenza, senza che sia previsto un obbligo del datore di lavoro di fornire un’ulteriore o diversa formazione del prestatore per la salvaguardia del posto di lavoro” (Cass. n. 31520/2019).
Ciò nonostante, in base ad un diverso e recente indirizzo, sebbene non sussista, in capo al lavoratore, un onere di allegazione delle posizioni disponibili in azienda al momento del recesso, “ove il lavoratore medesimo, in un contesto di accertata e grave crisi economica ed organizzativa dell’impresa, indichi le posizioni lavorative a suo avviso disponibili e queste risultino insussistenti, tale verifica ben può essere utilizzata dal giudice al fine di escludere la possibilità del predetto repêchage” (Cass. n. 15401/2020, in q. sito, con nota di P. PIZZUTI e Cass. n. 30259/2018).