Giurisprudenza – CORTE COSTITUZIONALE – Sentenza 13 aprile 2021, n. 63
Assicurazione contro gli infortuni sul lavoro e le malattie
professionali, Questioni di legittimità costituzionale dell’art. 13, co. 6, secondo e terzo periodo,
del D.Lgs. 23 febbraio 2000, n. 38, Danno biologico cagionato da una
asbestosi, concorrente con una pregressa tecnopatia, Grado di menomazione
dell’integrità psicofisica causato da infortunio sul lavoro o malattia
professionale, Aggravamento da menomazioni preesistenti concorrenti,
rapportato non all’integrità psicofisica completa, ma a quella ridotta per
effetto delle preesistenti menomazioni
Ritenuto in fatto
1.- Con ordinanza depositata il 26 maggio 2020 ed
iscritta al r. o. n. 130 del 2020, la Corte d’appello di Cagliari, sezione
civile, in funzione di giudice del lavoro, ha sollevato, in riferimento agli artt. 3 e 38 della
Costituzione, questioni di legittimità costituzionale dell’art. 13, comma 6, secondo e terzo
periodo, del decreto legislativo 23 febbraio 2000, n. 38 (Disposizioni in
materia di assicurazione contro gli infortuni sul lavoro e le malattie
professionali, a norma dell’articolo
55, comma 1, della legge 17 maggio 1999, n. 144), «nella parte in cui
portano ad una duplicazione totale o parziale dell’indennizzo, a differenza
delle fattispecie disciplinate dal 1° periodo dello stesso comma».
2.- Il giudice rimettente riferisce di dover
decidere sull’appello proposto contro la sentenza del Tribunale ordinario di
Cagliari, in funzione di giudice del lavoro, del 7 aprile 2017, n. 590.
2.1- Nel procedimento di primo grado, il giudice era
stato chiamato a determinare, in base alle norme censurate nel presente
giudizio, l’indennizzo INAIL per il danno biologico cagionato da una asbestosi,
concorrente con una pregressa tecnopatia (nello specifico una
broncopneumopatia), per la quale l’assicurato (G. P.) aveva già maturato, in
base al precedente regime normativo (il decreto del
Presidente della Repubblica 30 giugno 1965, n. 1124, recante «Testo unico
delle disposizioni per l’assicurazione obbligatoria contro gli infortuni sul
lavoro e le malattie professionali»), una rendita INAIL liquidata nell’85 per
cento dell’inabilità lavorativa.
Il giudice di primo grado liquidava la rendita per
il danno biologico da asbestosi, aderendo alle conclusioni del consulente
tecnico d’ufficio, che riteneva di non dover scindere tale danno da quello
provocato dalla broncopneumopatia; di conseguenza, il giudice liquidava il
danno biologico, in base al secondo periodo del comma 6 dell’art. 13 del d.lgs. n. 38 del 2000,
nella percentuale complessiva del 75 per cento, derivante dalla stima congiunta
degli effetti dell’asbestosi e della broncopneumopatia. Al contempo, poiché il
terzo periodo del medesimo comma 6 dispone che l’assicurato continui a
percepire la rendita corrisposta per la precedente patologia (nel caso di
specie, per un’inabilità lavorativa dell’85 per cento provocata dalla
broncopneumopatia), il giudice di primo grado, al fine di evitare duplicazioni,
disponeva la detrazione dai ratei della nuova prestazione di quelli percepiti
per la rendita già in godimento, così aderendo ad un orientamento in precedenza
accolto dalla stessa Corte d’appello.
2.2.- Avverso la sentenza di primo grado, l’Istituto
nazionale per l’assicurazione contro gli infortuni sul lavoro (INAIL) proponeva
appello, contestando la valutazione cumulativa degli effetti dell’asbestosi con
quelli della malattia verificatasi sotto il precedente regime normativo e già
indennizzata in base al d.P.R. n. 1124 del 1965.
Adduceva, pertanto, che dall’eventuale totale degli effetti pregiudizievoli
stimati in danno biologico dovesse scorporarsi quello conseguente alla
patologia ascrivibile ratione temporis al t.u. infortuni, onde valutare il mero
danno riconducibile alla tecnopatia verificatasi sotto il nuovo sistema
normativo (l’asbestosi, la cui autonoma stima veniva quantificata nel 7 per
cento di danno biologico); e questo veniva giustificato con la necessità di
rispettare la separazione fra i due sistemi normativi, attuata dal legislatore,
e con l’esigenza di evitare duplicazioni.
2.3.- Il lavoratore appellato, al quale è poi
subentrato l’erede A. M., contestava la pretesa della controparte e proponeva
appello incidentale, chiedendo la riforma della sentenza di primo grado nella
parte in cui aveva disposto la detrazione dai ratei della nuova prestazione di
quelli percepiti per la precedente.
3.- Il giudice a quo, nel doversi pronunciare sul
significato da attribuire all’art.
13, comma 6, secondo e terzo periodo, del d.lgs.
n. 38 del 2000, ha ritenuto di non potersi distaccare dall’interpretazione
sostenuta dalla Corte di cassazione in due sentenze (sezione lavoro, 19 marzo
2018, n. 6774 e 13 marzo 2018, n. 6048), che
avevano riformato precedenti giudizi formulati proprio dalla Corte d’appello di
Cagliari. Secondo la Suprema Corte, «qualora il lavoratore goda di una rendita
per una malattia professionale denunciata prima dell’entrata in vigore della
disciplina dettata dal decreto legislativo 38/2000
(ovvero prima del 25 luglio del 2000) e successivamente venga colpito da una
nuova malattia professionale (non importa se concorrente o coesistente) il
grado di menomazione conseguente alla nuova malattia professionale deve essere
valutato senza tenere conto delle preesistenti menomazioni» e senza, dunque,
effettuare lo scorporo che consentirebbe di stimare i soli effetti derivanti
dalla patologia concorrente verificatasi sotto il nuovo regime normativo (Corte
di cassazione, sezione lavoro, sentenza 13 marzo
2018, n. 6048).
La Corte d’appello di Cagliari, preso atto che
l’applicazione del richiamato principio di diritto porterebbe, nella
fattispecie oggetto del giudizio a quo, a riconoscere – in base al secondo
periodo dell’art. 13, comma 6, del
d.lgs. n. 38 del 2000 – una rendita parametrata sul 75 per cento del danno
biologico, derivante dagli effetti combinati della broncopneumopatia e
dell’asbestosi, e a preservare – in base al terzo periodo dell’art. 13, comma 6, del d.lgs. n. 38 del
2000 – la rendita per l’85 per cento di inabilità lavorativa, cagionata
dalla broncopneumopatia, ha sollevato questioni di legittimità costituzionale
relativamente alle due richiamate disposizioni.
In particolare, il giudice rimettente ha ravvisato
una violazione dell’art. 3 Cost. per disparità
di trattamento fra le norme censurate e quanto prevede il primo periodo dell’art. 13, comma 6, del d.lgs. n. 38 del
2000.
Quest’ultima disposizione, infatti, riconosce
all’assicurato che nulla abbia ricevuto dall’INAIL per la prima patologia,
compresa l’ipotesi nella quale essa presentasse una eziologia lavorativa, una
stima appesantita degli effetti della seconda tecnopatia, ma non permette di
stimare le conseguenze pregiudizievoli della prima patologia professionale
unitamente a quelle provocate dalla seconda. Per converso, la ben più
favorevole stima congiunta degli effetti delle due tecnopatie verrebbe
consentita, secondo l’interpretazione dell’art. 13, comma 6, secondo periodo, del
d.lgs. n. 38 del 2000 prospettata dalla Corte di cassazione, proprio quando
in base al t.u. infortuni era stata riconosciuta una rendita che, grazie al
terzo periodo del richiamato comma 6, continua ad essere erogata. Tale
disparità di trattamento viene considerata dal rimettente non giustificabile e
irragionevole.
Il giudice a quo ha ritenuto, inoltre, violato l’art. 3 Cost. anche sotto la diversa angolatura
della intrinseca irragionevolezza, in quanto le norme censurate farebbero
«riferimento ad una piena efficienza fisica, anche se in concreto già
compromessa» e, al contempo, costringerebbero a valutare «due volte le
conseguenze di una determinata patologia». Ne discenderebbe una duplicazione
dell’indennizzo che, oltre ad essere irragionevole, violerebbe l’art. 38 Cost. ed il principio di solidarietà
sociale, a dispetto di quello che il giudice rimettente reputa un corollario
del sistema dell’assicurazione sociale: vale a dire, il principio di
incompatibilità tra le prestazioni derivanti dallo stesso fatto lesivo (art. 1, comma 43, della legge 8
agosto 1995, n. 335, recante «Riforma del sistema pensionistico
obbligatorio e complementare») o finanche tra le prestazioni previdenziali e
quelle assistenziali, pur se di diversa origine e frutto di un differente
sistema di valutazione (art. 3
della legge 29 dicembre 1990, n. 407, recante «Disposizioni diverse per
l’attuazione della manovra di finanza pubblica 1991-1993»).
4.- Si è costituito in giudizio l’INAIL, chiedendo
di dichiarare le questioni non fondate, all’esito di un’interpretazione
costituzionalmente orientata delle norme censurate, in linea con la
ricostruzione della disposizione offerta dal precedente di questa Corte con sentenza n. 426 del 2006.
4.1.- In particolare, la difesa dell’INAIL ha
contestato l’interpretazione dei giudici di legittimità, secondo i quali
l’espressione «senza tenere conto delle preesistenze», di cui al secondo
periodo dell’art. 13, comma 6, del
d.lgs. n. 38 del 2000, andrebbe intesa nel senso di non considerare che la
pregressa patologia si era verificata sotto la vigenza del d.P.R. n. 1124 del 1965, così da poterne
nuovamente stimare gli effetti con il nuovo paradigma del danno biologico,
quando, invece, quella tecnopatia aveva dato luogo con il precedente regime
dell’inabilità lavorativa ad una rendita, che continua ad essere erogata (terzo
periodo dell’art. 13, comma 6, del
d.lgs. n. 38 del 2000).
Per converso, nel rispetto della disciplina
transitoria, che ha inteso separare nettamente gli eventi verificatisi o
denunciati prima della data di entrata in vigore delle nuove tabelle sul danno
biologico rispetto a quelli successivi, la difesa dell’INAIL ha sostenuto che
sia imprescindibile, nel caso delle patologie concorrenti, effettuare lo
scorporo degli effetti delle due malattie, per poter valutare in danno
biologico solo quelli derivanti dalla tecnopatia ascrivibile, ratione temporis,
al nuovo sistema. Viceversa, viene contestata la stima unificata dei postumi,
in conformità a quanto già affermato da questa Corte con la sentenza n. 426 del 2006.
4.2.- Infine, la difesa dell’INAIL ha aggiunto che,
qualora, viceversa, l’interpretazione offerta dalla Corte di cassazione con le
richiamate sentenze n. 6774 del 2018 e n. 6048 del
2018 «dovesse essere [considerata] l’unica interpretazione possibile del
predetto comma 6 dell’art. 13»,
in tal caso, le questioni di legittimità costituzionale dovrebbero ritenersi
fondate.
5.- Nel giudizio è intervenuto il Presidente del
Consiglio dei ministri, rappresentato e difeso dall’Avvocatura generale dello
Stato, che ha chiesto di dichiarare le questioni inammissibili o, comunque,
manifestamente infondate.
5.1.- L’Avvocatura ha eccepito, nel rito,
l’inammissibilità, adducendo che il rimettente invoca una pronuncia
manipolativa non costituzionalmente obbligata in una materia riservata alle
scelte discrezionali del legislatore. L’ablazione delle norme impugnate
lascerebbe, allora, nell’ordinamento un vuoto normativo, che il giudice delle
leggi non potrebbe colmare con un diverso regime transitorio attraverso
l’individuazione di una regola differente che non sia obbligata sul piano
costituzionale.
5.2.- L’Avvocatura, inoltre, ha sostenuto la
manifesta infondatezza delle questioni, alla luce della sentenza n. 426 del 2006 di questa Corte, che
avrebbe giustificato la scelta del legislatore di «cristallizzare, per un
limitato periodo di applicazione intertemporale ed in considerazione del
“consolidamento” delle liquidazioni già effettuate in base alla preesistente
normativa, la disciplina applicabile a fattispecie eterogenea rispetto a quella
oggetto della nuova e più favorevole normativa», ponendo «una netta cesura tra
i due regimi applicabili ratione temporis».
6.- L’erede dell’assicurato non si è costituito in
giudizio.
7.- Nell’udienza del 10 febbraio 2020, la parte
intervenuta in giudizio e l’Avvocatura hanno insistito per l’accoglimento delle
conclusioni rassegnate negli scritti difensivi. In particolare, l’Avvocatura
generale dello Stato ha chiarito che la sua richiesta di manifesta infondatezza
delle questioni di legittimità costituzionale è da ritenersi adesiva
all’interpretazione prospettata dall’INAIL, in conformità con quanto già deciso
da questa Corte con la ricordata sentenza n. 426
del 2006.
Considerato in diritto
1.- La Corte d’appello di Cagliari, sezione civile,
in funzione di giudice del lavoro, ha sollevato, in riferimento agli artt. 3 e 38 della
Costituzione, questioni di legittimità costituzionale dell’art. 13, comma 6, secondo e terzo
periodo, del decreto legislativo 23 febbraio 2000, n. 38 (Disposizioni in
materia di assicurazione contro gli infortuni sul lavoro e le malattie
professionali, a norma dell’articolo
55, comma 1, della legge 17 maggio 1999, n. 144) «nella parte in cui
portano ad una duplicazione totale o parziale dell’indennizzo, a differenza
delle fattispecie disciplinate dal 1° periodo dello stesso comma».
2.- L’articolo censurato, nel suo comma 6, si
compone di tre periodi. Essi stabiliscono che: «Il grado di menomazione
dell’integrità psicofisica causato da infortunio sul lavoro o malattia
professionale, quando risulti aggravato da menomazioni preesistenti concorrenti
derivanti da fatti estranei al lavoro o da infortuni o malattie professionali
verificatisi o denunciate prima della data di entrata in vigore del decreto
ministeriale di cui al comma 3 e non indennizzati in rendita, deve essere
rapportato non all’integrità psicofisica completa, ma a quella ridotta per
effetto delle preesistenti menomazioni, il rapporto è espresso da una frazione
in cui il denominatore indica il grado d’integrità psicofisica preesistente e
il numeratore la differenza tra questa ed il grado d’integrità psicofisica
residuato dopo l’infortunio o la malattia professionale. Quando per le
conseguenze degli infortuni o delle malattie professionali verificatisi o
denunciate prima della data di entrata in vigore del decreto ministeriale di
cui al comma 3 l’assicurato percepisca una rendita o sia stato liquidato in
capitale ai sensi del testo unico, il grado di menomazione conseguente al nuovo
infortunio o alla nuova malattia professionale viene valutato senza tenere
conto delle preesistenze. In tale caso, l’assicurato continuerà a percepire
l’eventuale rendita corrisposta in conseguenza di infortuni o malattie
professionali verificatisi o denunciate prima della data sopra indicata».
2.1.- Il giudice rimettente ha posto in dubbio,
sotto il profilo della non manifesta infondatezza, che sia conforme ai principi
di eguaglianza e di solidarietà sociale la norma che da tali disposizioni ha
ricavato in via interpretativa la giurisprudenza di legittimità in due pronunce
(Corte di cassazione, sezione lavoro, sentenze 19 marzo 2018, n. 6774 e 13 marzo 2018, n. 6048). Secondo tale
ricostruzione, qualora l’assicurato goda di una rendita per una malattia
professionale liquidata in base al decreto del
Presidente della Repubblica 30 giugno 1965, n. 1124 (Testo unico delle
disposizioni per l’assicurazione obbligatoria contro gli infortuni sul lavoro e
le malattie professionali), il grado di menomazione relativo ad una «nuova
malattia professionale (non importa se concorrente o coesistente) […] deve
essere valutato senza tenere conto delle preesistenti menomazioni» e senza che
si possa scorporare il danno biologico da apparato ovvero il danno biologico
riferibile alla prima tecnopatia, verificatasi sotto il regime normativo di cui
al d.P.R. n. 1124 del 1965 (Corte di
cassazione, sentenza n. 6048 del 2018).
2.2.- Con riguardo all’art.
3 Cost., il giudice rimettente ha ritenuto che le norme censurate
determinino una ingiustificata disparità di trattamento rispetto ai lavoratori
ai quali non sia stata riconosciuta alcuna rendita per la prima tecnopatia.
Questi ultimi assicurati – la cui situazione è regolata dal primo periodo del
comma 6 dell’art. 13 del d.lgs. n.
38 del 2000 – non godono del beneficio della stima congiunta in danno
biologico degli effetti pregiudizievoli delle due patologie aventi causa
lavorativa, mentre tale privilegio – secondo l’interpretazione proposta dalla
Suprema Corte con riferimento al secondo periodo dello stesso comma 6 –
verrebbe singolarmente concesso proprio a chi, per la prima tecnopatia, già
riceveva e continua a mantenere una rendita stimata tramite la capacità
lavorativa generica.
2.3.- Secondo la Corte d’appello di Cagliari, il
cumulo tra le prestazioni derivanti dallo stesso fatto lesivo spezzerebbe,
inoltre, il collegamento con i presupposti dell’art.
38 Cost. e inficerebbe la ragionevolezza e l’adeguatezza del rimedio
predisposto dal legislatore, in violazione dell’art.
3 Cost.
3.- In via preliminare, occorre esaminare le
eccezioni di inammissibilità prospettate dall’Avvocatura generale dello Stato,
secondo la quale, per un verso, il petitum del giudice rimettente mirerebbe a
conseguire, in una materia riservata alle scelte del legislatore, una sentenza
manipolativa non costituzionalmente obbligata e, per un altro verso, non
sarebbe superato il vaglio di non manifesta infondatezza, ritenendosi le
questioni identiche a quelle già dichiarate non fondate con la sentenza costituzionale n. 426 del 2006.
3.1.- La prima eccezione non è fondata.
Questa Corte non mette in dubbio che le scelte
adottate dal legislatore nel regolare il diritto intertemporale e il regime transitorio
siano connotate da una rilevante discrezionalità, che è doveroso preservare.
Tuttavia, questo non sottrae tale normazione al
giudizio sulla legittimità costituzionale, ben potendo il sindacato essere
svolto tenendo conto della ratio ispiratrice della disciplina.
Il giudizio di questa Corte, dunque, è necessario,
onde evitare zone franche immuni dal sindacato di legittimità costituzionale,
tanto più ove siano coinvolti i diritti fondamentali e il principio di
eguaglianza, che incarna il modo di essere di tali diritti. In particolare –
come è stato già rilevato in precedenti occasioni – la «ammissibilità delle
questioni di legittimità costituzionale risulta […] condizionata non tanto
dall’esistenza di un’unica soluzione costituzionalmente obbligata, quanto dalla
presenza nell’ordinamento di una o più soluzioni costituzionalmente adeguate,
che si inseriscano nel tessuto normativo coerentemente con la logica perseguita
dal legislatore» (si veda, da ultimo, la sentenza n. 252 del 2020 e in senso
conforme le sentenze n. 224 del 2020; n. 99 del 2019; n. 233, n. 222 e n. 41
del 2018; n. 236 del 2016). In tale prospettiva, onde non sovrapporre la
propria discrezionalità a quella del Parlamento, la valutazione della Corte
deve essere condotta attraverso «precisi punti di riferimento e soluzioni già
esistenti» (ex multis, sentenze n. 224 del 2020 e n. 233 e n. 222 del 2018; n.
236 del 2016), che, nello specifico contesto, si possono inferire dalle stesse
scelte di fondo operate dal legislatore nel regolare il regime intertemporale e
quello transitorio, nonché dai principi generali dell’ordinamento.
3.2.- Anche la seconda eccezione sollevata dalla
difesa erariale non è fondata.
Essa assume che le questioni sottoposte all’esame
del presente giudizio siano le stesse dichiarate non fondate con la sentenza n. 426 del 2006, mentre tale presupposto
non appare corretto.
Le questioni giudicate nel 2006 vertevano sul
diverso dubbio di irragionevole disparità di trattamento fra la disciplina
dell’art. 13, comma 6, secondo e
terzo periodo, del d.lgs. n. 38 del 2000, che conduce all’erogazione di due
rendite – una inerente al vecchio regime e l’altra stimata in base al nuovo -,
e l’art. 13, comma 5, del d.lgs. n.
38 del 2000. Quest’ultima norma disciplina, per converso, i danni policroni
derivanti da patologie verificatesi o denunciate entrambe sotto la vigenza del d.lgs. n. 38 del 2000, la cui stima avviene
unificando i postumi delle due tecnopatie, con conseguente erogazione di
un’unica rendita per il danno biologico.
Ebbene, la non fondatezza di tale questione, cui si
aggiungevano la declaratoria di insussistenza dell’eccesso di delega, ai sensi
dell’art. 76 Cost., e la reputata assenza di
violazioni dell’art. 38 Cost. risultavano
integralmente incentrate sulla necessità di preservare la distinzione fra gli
ambiti applicativi delle leggi che si sono succedute nel tempo «atteso che il
[suo] fluire […] costituisce elemento di per sé idoneo a differenziare le
situazioni soggettive» (sentenza n. 426 del 2006).
4.- Nel merito le questioni sono fondate.
5.- L’art.
13, comma 6, del d.lgs. n. 38 del 2000 è la disposizione che regola il
passaggio da un sistema assicurativo incentrato sulla capacità lavorativa
generica, in base al d.P.R. n. 1124 del 1965,
ad una disciplina che ha accolto, nel contesto dell’assicurazione sociale
INAIL, il nuovo paradigma, di matrice civilistica, del danno biologico, così
adattando al contesto indennitario l’imprescindibile esigenza di una piena
tutela della salute del lavoratore. L’infortunio sul lavoro o la malattia
professionale colpiscono, infatti, il lavoratore nel suo bene più prezioso, la
salute, e questo impone una tutela che affonda le proprie radici nell’art. 38 Cost.
5.1.- Il profondo mutamento di prospettiva che il d.lgs. n. 38 del 2000 ha segnato rispetto
all’approccio prevalentemente patrimonialistico, che dominava la visione del
t.u. infortuni – seppure la capacità lavorativa generica ambisse già ad una
qualche maggiore latitudine del pregiudizio rispetto alla capacità lavorativa
specifica -, è la ragione a fondamento della scelta operata dal legislatore nel
regolare i danni policroni nella dimensione intertemporale. Si tratta della
decisione – riflessa nell’art. 13,
comma 6, del d.lgs. n. 38 del 2000 e conforme all’art. 11 delle Preleggi – di tracciare una netta
linea di demarcazione fra il precedente assetto normativo, deputato a regolare
le patologie verificatesi o denunciate prima della data di entrata in vigore
delle tabelle per la stima del danno biologico, e la disciplina delle
tecnopatie che, ratione temporis, vengono valutate con il nuovo paradigma.
5.2.- Insieme a tale scelta, l’art. 13, comma 6, del d.lgs. n. 38 del
2000 contempla anche una norma, che rispecchia l’esigenza di riconoscere
nel nuovo sistema una piena valutazione del pregiudizio subito dall’assicurato,
tanto più in quanto il danno biologico riflette istanze di rango
costituzionale. In particolare, il primo periodo della disposizione richiamata
consente di tenere conto, nella stima del danno biologico provocato da una
tecnopatia, dell’eventuale aggravamento derivante da una malattia concorrente,
pur se questa non ha una causa lavorativa. La tecnica adottata, cosiddetta
“formula Gabrielli” (che ha una tradizione risalente nella disciplina previdenziale
e nella scienza medico-legale), fa ricorso alla stima degli effetti della
preesistente patologia concorrente solo per abbattere il valore che rispecchia
lo stato di salute su cui incide la successiva tecnopatia, sicché i postumi di
quest’ultima potranno essere autonomamente apprezzati nella loro maggiore
entità. In sostanza, è una tecnica che consente di valutare in maniera
indipendente il maggior peso delle conseguenze pregiudizievoli di una patologia
concorrente dovuto alle preesistenze.
Per questa ragione, essa è stata adottata dal
legislatore anche come norma di diritto transitorio per le fattispecie in cui
sussisteva la causa lavorativa per una patologia concorrente, verificatasi o
denunciata prima che entrasse in vigore il decreto ministeriale per la stima
del danno biologico e per la quale non era stato erogato alcun indennizzo
dall’INAIL (art. 13, comma 6, primo
periodo del d.lgs. n. 38 del 2000). In sostanza, la “formula Gabrielli”, da
un lato, ha consentito al legislatore, nel regime transitorio, di valorizzare
la preesistenza (tanto più rispetto ad una patologia professionale) nel caso in
cui questa aggravasse gli effetti di una tecnopatia concorrente; da un altro
lato, ha permesso di ottenere tale risultato senza contaminare i sistemi
valutativi e senza applicare retroattivamente il danno biologico per stimare
gli effetti di menomazioni verificatesi o denunciate prima della sua entrata in
vigore.
5.3.- Alla luce di tali scelte effettuate in piena
sintonia con i principi costituzionali si profila, tuttavia, nel secondo
periodo dell’art. 13, comma 6, del
d.lgs. n. 38 del 2000, un elemento dissonante, in quanto la tecnica
prescelta dal regime transitorio (la “formula Gabrielli”) per valorizzare
l’eventuale maggior peso della patologia concorrente, senza creare commistioni
fra diversi sistemi valutativi e senza applicare retroattivamente la nuova
disciplina, non viene adottata per le patologie concorrenti per le quali, in
base al t.u. infortuni, fosse stato erogato un indennizzo.
Tale pregiudizio per l’assicurato – come si dirà –
non trova alcuna giustificazione nella scelta legislativa di preservare a suo
favore la rendita liquidata in base al vecchio sistema valutativo parametrato
sulla capacità lavorativa generica.
6.- Nel 2006 – come si è già anticipato – si è posta
in dubbio la legittimità costituzionale delle due norme, in quanto non
consentivano di erogare l’indennizzo INAIL per il danno biologico cagionato da
un infortunio sul lavoro o da una malattia professionale, i cui effetti
pregiudizievoli non superavano il nuovo limite della franchigia (fissato nel 6
per cento del danno biologico), non potendo avere alcuna rilevanza la
preesistente tecnopatia concorrente, che aveva dato luogo ad un indennizzo in
base al t.u. infortuni.
Sennonché, in tale occasione i giudici rimettenti
avevano sollevato questioni di legittimità costituzionale non contestando
l’intrinseca irragionevolezza del diverso trattamento riservato alle patologie
concorrenti nel regime transitorio, bensì – come si è già illustrato –
l’irragionevole disparità di trattamento fra le previsioni di diritto
intertemporale e la regolamentazione dettata per le patologie che si verificano
sotto il nuovo regime normativo e che vedono operare «una valutazione
complessiva dei postumi» con conseguente liquidazione di un unico indennizzo (art. 13, comma 5, del d.lgs. n. 38 del
2000).
Una tale impostazione delle questioni di legittimità
costituzionale avrebbe determinato, in caso di accoglimento, una radicale
alterazione della scelta operata dal legislatore nella disciplina del diritto
intertemporale, tant’è che questa Corte ha escluso un simile esito, nel rispetto
della discrezionalità del legislatore, e ha ritenuto non fondate le questioni.
6.1.- L’orientamento della sentenza n. 426 del 2006 è stato seguito dalla
giurisprudenza di legittimità, che ha negato, ai fini del superamento della
franchigia, la possibilità, ex art.
13, comma 6, secondo periodo, del d.lgs. n. 38 del 2000, di stimare
congiuntamente gli effetti delle patologie verificatesi sotto i due diversi
sistemi normativi (fra le molte, Corte di cassazione, sezione lavoro, ordinanza
5 giugno 2020, n. 10789; sentenza 22 novembre
2016, n. 23781; sentenza 19 maggio 2008, n.
12613).
6.2.- L’interpretazione fornita con la sentenza n. 426 del 2006, nel senso della
separata considerazione degli effetti derivanti da tecnopatie verificatesi
sotto i due diversi regimi normativi (il che, nel caso delle patologie
concorrenti, implica la necessaria scomposizione di un’eventuale stima
congiunta dei loro effetti) viene invocata nel presente giudizio sia dalla
difesa dell’INAIL sia dall’Avvocatura generale dello Stato a supporto di una
sentenza interpretativa di rigetto, fondata su una interpretazione
costituzionalmente orientata.
6.2.1.- Sennonché il precedente di questa Corte se,
da un lato, è valso a ribadire l’intangibilità della scelta operata dal
legislatore nel regolare, in linea con l’art. 11
delle Preleggi, il diritto intertemporale, da un altro lato, non si è
potuto misurare con i nuovi sospetti di illegittimità costituzionale avanzati
dal giudice rimettente nel presente giudizio.
Le diverse questioni di legittimità costituzionale
ora sollevate pongono il differente problema della ragionevolezza nel confronto
tra la disciplina del primo e quella del secondo e terzo periodo dell’art. 13, comma 6, del d.lgs. n. 38 del
2000. E poiché proprio tale raffronto evidenzia un vulnus ai danni
dell’assicurato, che irragionevolmente si vede privato – nel secondo periodo
della norma – di una piena stima del danno biologico, in caso di tecnopatia i
cui effetti pregiudizievoli siano aggravati da quelli di una pregressa
patologia concorrente (e non già meramente coesistente), deve escludersi che
l’interpretazione dell’art. 13,
comma 6, secondo periodo, del d.lgs. n. 38 del 2000, focalizzata sulla
valutazione del danno biologico derivante dalla seconda tecnopatia concorrente,
senza tenere conto delle preesistenze, possa proporsi quale interpretazione
costituzionalmente orientata.
7.- Quanto sopra ricostruito consente di inferire le
ragioni che hanno indotto la Suprema Corte (sentenze n. 6774 del 2018 e n. 6048 del 2018) a fornire l’interpretazione
dell’art. 13, comma 6, secondo e
terzo periodo, del d.lgs. n. 38 del 2000 relativamente alla quale sono
stati sollevati i dubbi di legittimità costituzionale.
In particolare, la Corte di cassazione ritiene che
il medico-legale debba stimare il danno biologico considerando in maniera
unitaria gli effetti della seconda malattia con quelli della prima tecnopatia
concorrente, pur se questa è ascrivibile ratione temporis al precedente regime
normativo e continua a dare luogo all’erogazione della rendita maturata in base
al d.P.R. n. 1124 del 1965. L’espressione
«senza tenere conto delle preesistenze» viene intesa nel senso di non tenere
conto che la “preesistenza” (la prima tecnopatia) si è verificata o è stata
denunciata sotto il precedente regime normativo, il che apre la via ad una
valutazione modellata sul criterio che opera nel comma 5 dell’art. 13 del d.lgs. n. 38 del 2000,
vale a dire la stima unificata dei postumi. In questo caso, tuttavia, non si
giunge all’erogazione di una sola rendita, come accade in applicazione del comma
5, bensì di due rendite (o di una rendita e un indennizzo in capitale).
Pur dovendosi riconoscere che la richiamata
ricostruzione è stata motivata dall’esigenza di porre rimedio, con i soli
strumenti dell’interpretazione, al vulnus creato dalla formulazione letterale
della disposizione – tant’è che nella sua motivazione la Corte di cassazione
prende atto di non poter applicare, nelle ipotesi di cui al secondo periodo del
comma 6, la “formula Gabrielli” – tuttavia questa Corte non può esimersi dal
rilevare che la soluzione ermeneutica adottata conduce ad un esito che
contrasta con l’art. 3 Cost. sotto il duplice
profilo posto in luce dal rimettente.
7.1.- In primo luogo, la richiamata interpretazione
del secondo e terzo periodo del comma 6 induce a ritenere che, quando l’INAIL
abbia già corrisposto un indennizzo per gli effetti cagionati alla capacità
lavorativa generica dalla prima patologia con eziologia professionale, le
conseguenze pregiudizievoli di quest’ultima debbano di nuovo essere stimate in
danno biologico, in quanto concorrono con la seconda tecnopatia; viceversa,
allorché l’INAIL non abbia corrisposto alcun indennizzo in base al t.u.
infortuni, la previsione del primo periodo del comma 6, in pieno ossequio al principio
di separazione fra i due regimi normativi che si succedono nel tempo, non
consente la stima unificata degli effetti delle patologie concorrenti.
In sostanza, la soluzione interpretativa alla quale
si rapporta il rimettente porterebbe irragionevolmente a ritenere che
l’assicurato, il quale ha già avuto dall’INAIL un indennizzo per la prima
tecnopatia, otterrebbe di più, nella stima degli effetti pregiudizievoli
derivanti dalla seconda tecnopatia concorrente, del lavoratore che – in base al
t.u. infortuni – non avesse ricevuto alcun precedente indennizzo.
7.2.- In secondo luogo, sempre l’interpretazione a
cui si riporta il rimettente consente la piena stima in danno biologico delle
conseguenze pregiudizievoli di una tecnopatia verificatasi sotto il precedente
regime normativo, unita alla persistente erogazione della rendita già liquidata
per tale prima patologia in base al t.u. infortuni. Questo conduce, in
violazione dell’art. 3 Cost.. sotto il profilo
della intrinseca irragionevolezza della norma, ad una duplicazione di
indennizzi inerenti alla medesima tecnopatia, non riconducibile ai casi
eccezionali espressamente previsti dal legislatore a beneficio di particolari
categorie di soggetti fragili.
8.- Il contrasto con l’art.
3 Cost.. dell’art. 13, comma 6,
secondo e terzo periodo, del d.lgs. n. 38 del 2000, in base
all’interpretazione censurata, fa riemergere il dato testuale della norma che non
consente, in base al secondo periodo, di tenere conto delle preesistenze che
eventualmente aggravino una tecnopatia concorrente. Ne deriva, rispetto a tali
ipotesi, un vuoto nella tutela dell’assicurato che la stessa ordinanza di
rimessione suggerisce di colmare mediante l’estensione della disciplina, di cui
all’art. 13, comma 6, primo periodo,
del d.lgs. n. 38 del 2000, alle patologie concorrenti, di cui al secondo
periodo del medesimo comma. Spetta, dunque, a questa Corte accertare se tale
soluzione possa contemperare due esigenze imprescindibili.
Per un verso, occorre tenere conto della scelta
effettuata dal legislatore nel regolare il diritto intertemporale, là dove ha
inteso evitare – come ha sottolineato anche la citata sentenza n. 426 del 2006 – ogni commistione
valutativa tra vecchio e nuovo regime normativo, e, dunque, in linea con l’art. 11 delle Preleggi, ha voluto escludere che si
potessero stimare, con il nuovo paradigma del danno biologico, gli effetti di
una tecnopatia verificatasi o denunciata sotto il precedente sistema
valutativo, unitamente a quelli derivanti da altra ascrivibile al nuovo regime
normativo.
Per un altro verso, questa prima istanza deve essere
resa compatibile con i parametri costituzionali evocati nel presente giudizio (artt. 38 e 3 Cost.,
quest’ultimo sotto il duplice profilo della ragionevolezza della norma e del
confronto fra la disciplina del primo periodo e quella del secondo e terzo
periodo del comma 6 dell’art. 13 del
d.lgs. n. 38 del 2000).
9.- La necessità di riconoscere nel nuovo sistema una
pienezza di tutela al danno biologico affonda – come si è anticipato – le sue
radici nell’art. 38 Cost.
Tale previsione costituzionale impone, infatti, di
approntare tutti i mezzi necessari a indennizzare gli effetti pregiudizievoli
dell’alterazione della salute considerati nella loro integralità e non tollera
che, irragionevolmente, una parte del danno biologico non venga considerata
nella stima dell’indennizzo.
In particolare, qualora il danno policrono derivante
da patologie concorrenti evidenziasse – in base alla valutazione medico-legale –
una maggiore gravità degli effetti pregiudizievoli a cagione delle
preesistenze, posto che, nel rispetto della logica propria della disciplina
intertemporale, il legislatore ha saputo individuare, con il primo periodo
dell’art. 13, comma 6, del d.lgs. n.
38 del 2000, una tecnica valutativa idonea a stimare tale maggiore gravità
del danno biologico, senza determinare commistioni fra diversi sistemi
valutativi né applicazioni retroattive della nuova disciplina, si deve ritenere
che contrasti con gli artt. 38 e 3 Cost. la mancata estensione della richiamata
normativa anche alle patologie concorrenti, che ricadano nel raggio applicativo
del secondo periodo dell’art. 13,
comma 6, del d.lgs. n. 38 del 2000, solo in quanto avevano dato luogo ad un
indennizzo in base al t.u. infortuni.
Il capitale liquidato in passato dall’INAIL o, in
alternativa, la persistente erogazione della precedente rendita sono
prestazioni dovute all’assicurato nel rispetto dei diritti maturati sotto il
t.u. infortuni. Proprio l’eterogeneità fra danno da incapacità lavorativa
generica e danno biologico evidenzia, da un lato, che quanto è stato
riconosciuto per il primo pregiudizio non può essere tolto e, da un altro lato,
che la prestazione maturata in passato non può ritenersi un beneficio tale da
incidere su quanto spetta per il danno biologico derivante da una successiva
patologia aggravata dalla preesistenza.
La mancata estensione alle patologie concorrenti di
cui al secondo periodo dell’art. 13,
comma 6, del d.lgs. n. 38 del 2000 della “formula Gabrielli”, che non
comporta alcun rischio di duplicazione di indennizzi, risulta poi tanto più
irragionevole, ove si consideri che la medesima viene adottata non solo come
regime transitorio, ma anche come tecnica che valorizza l’aggravamento della
patologia concorrente, quando la preesistenza neppure aveva una eziologia
lavorativa. Solo la prospettata estensione della disciplina di cui al primo
periodo della disposizione consente, dunque, di evitare una irragionevole disparità
di trattamento, in contrasto con l’art. 3 Cost.,
nella disciplina delle patologie concorrenti. Il primo periodo del comma 6
consente, infatti, una piena stima del danno biologico anche nei casi in cui la
preesistente malattia non abbia una eziologia lavorativa, sicché, onde evitare
la denunciata irragionevole disparità di trattamento, la sua disciplina deve
essere estesa ai casi in cui la preesistente patologia concorrente abbia
origine lavorativa, garantendo così in tutte le fattispecie di tecnopatie i cui
effetti risultino aggravati dalla patologia concorrente la piena stima del
danno biologico.
10.- Per le ragioni sopra esposte, si deve ritenere
che l’art. 13, comma 6, secondo
periodo, del d.lgs. n. 38 del 2000 è costituzionalmente illegittimo nella
parte in cui non prevede che il grado di menomazione dell’integrità psicofisica
causato da infortunio sul lavoro o malattia professionale, quando risulti
aggravato da menomazioni preesistenti concorrenti, deve essere rapportato non
all’integrità psicofisica completa, ma a quella ridotta per effetto delle
preesistenti menomazioni, secondo quanto dispone il primo periodo del comma 6
dell’art. 13 d.lgs. n. 38 del 2000.
In tal caso – come sempre avviene in applicazione del primo periodo – il
medico-legale andrà a scorporare dagli effetti combinati delle due patologie
valutati in danno biologico, quelli riconducibili alla preesistenza, che non
vengono in quanto tali stimati, ma servono solo ad abbattere il valore
dell’integrità psicofisica su cui si riverbera la patologia concorrente, che
vede, dunque, appesantiti i propri effetti pregiudizievoli e la relativa stima.
11.- Resta ferma, nel rispetto dei diritti maturati
dall’assicurato sotto la vigenza del t.u. infortuni, l’applicazione, anche alle
patologie concorrenti, dell’art. 13,
comma 6, terzo periodo, del d.lgs. n. 38 del 2000, posto che l’estensione
della “formula Gabrielli” a tali tecnopatie rientranti nel secondo periodo non
determina – come si è sopra dimostrato – alcuna irragionevole duplicazione.
P.Q.M.
dichiara l’illegittimità costituzionale dell’art. 13, comma 6, secondo periodo, del
decreto legislativo 23 febbraio 2000, n. 38 (Disposizioni in materia di
assicurazione contro gli infortuni sul lavoro e le malattie professionali, a
norma dell’articolo 55, comma 1,
della legge 17 maggio 1999, n. 144), nella parte in cui non prevede che,
per le patologie aggravate da menomazioni preesistenti concorrenti, trovi
applicazione la medesima disciplina contemplata dal primo periodo in aggiunta
alla persistente erogazione della rendita di cui al terzo periodo del medesimo
comma 6.
—
Provvedimento pubblicato nella G.U. della Corte Costituzionale 14
aprile 2021, n. 89