Giurisprudenza – CORTE DI CASSAZIONE – Ordinanza 15 aprile 2021, n. 9933
Differenze retributive, Qualifica superiore a quella di
commessa addetta alla cassa, lnattendibilità dei testi escussi, per interessi
diretti e personali in causa, Discrezionale valutazione del giudice alla
stregua di elementi di natura oggettiva
Rilevato che
il Tribunale di Lametia Terme ha rigettato
l’opposizione di A.V. avverso il provvedimento con cui il Giudice Delegato
aveva dichiarato esecutivo lo stato passivo del Fallimento P. s.r.I.,
ammettendo soltanto parzialmente i crediti vantati dall’opponente;
la V. ne chiedeva l’ammissione integrale,
rivendicando differenze retributive derivanti dall’aver svolto la propria
attività lavorativa a tempo pieno dal 2009 al 2011, per una qualifica superiore
a quella di commessa addetta alla cassa e per aver svolto lavoro straordinario
non retribuito;
il Tribunale ha rigettato l’opposizione ritenendo
non provato il periodo di lavoro, le mansioni svolte, gli orari e lo
svolgimento del lavoro straordinario, rilevando, tra l’altro, l’inattendibilità
delle testimonianze rese dal marito dell’opponente e da una ex collega di
questa, G.C., anch’essa ricorrente in un giudizio di opposizione avverso la
medesima procedura fallimentare;
la cassazione della sentenza è domandata da A.V.
sulla base di tre motivi;
la curatela del Fallimento P. s.r.l. è rimasta
intimata;
è stata depositata proposta ai sensi dell’art. 380-bis cod. proc. civ., ritualmente
comunicata alle parti unitamente al decreto di fissazione dell’adunanza in
camera di consiglio.
Considerato che
col primo motivo, formulato ai sensi dell’art. 360, co.1, n. 5 cod. proc. civ., parte
ricorrente lamenta “Violazione e falsa applicazione delle disposizioni di
cui all’art. 116 cpc”, contestando la
statuizione d’inattendibilità, per interessi personali e diretti in causa, dei
testi escussi;
col secondo motivo, formulato ai sensi dell’art. 360, co.1, n.3 e n. 5 cod. proc. civ., deduce
“Violazione e falsa applicazione delle norme di cui all’art. 246 e 247 cpc”,
denunciando l’erroneità della sentenza nella parte della motivazione in cui ha
affermato l’inattendibilità dei testi escussi, per interessi diretti e
personali in causa, rivendicando la loro capacità a testimoniare;
col terzo ed ultimo motivo, formulato ai sensi dell’art. 360, co.1, n.3 cod. proc. civ., denuncia
“Violazione e falsa applicazione dell’art. 91
e 92 cpc” perché il giudice avrebbe omesso
di compensare le spese del grado nonostante le gravi ed eccezionali ragioni
derivanti dalle peculiarità del caso concreto;
il primo e il secondo motivo, esaminati
congiuntamente per evidente connessione, sono infondati;
la consolidata giurisprudenza di questa Corte
afferma che la capacità a testimoniare opera su un piano diverso dalla
valutazione sull’attendibilità dei testi, atteso che l’una, ai sensi dell’art. 246 cod. proc. civ., dipende dalla presenza
di un interesse giuridico (non di mero fatto) che potrebbe legittimare la partecipazione
del teste al giudizio, mentre la seconda afferisce alla veridicità della
deposizione che il giudice deve discrezionalmente valutare alla stregua di
elementi di natura oggettiva (la precisione e completezza della dichiarazione,
le possibili contraddizioni, ecc.) e di carattere soggettivo (la credibilità
della dichiarazione in relazione alle qualità personali, ai rapporti con le
parti ed anche all’eventuale interesse ad un determinato esito della lite), con
la precisazione che anche uno solo degli elementi di carattere soggettivo, se
ritenuto di particolare rilevanza, può essere sufficiente a motivare una
valutazione di inattendibilità (Cass. 21239 del 2019);
nel caso in esame, la Corte d’appello, a suo
insindacabile giudizio, ha valutato che, pur volendo soprassedere sulla
discutibile attendibilità dei due testi escussi – uniche fonti di prova
testimoniali a sostegno delle pretese creditorie dell’opponente -, le
testimonianze dagli stessi rese erano di tenore “vago e a tratti
contraddittorio” (p. 3 sent.) e pertanto tali da non consentire di
ritenere raggiunta la prova di cui la ricorrente era onerata;
i motivi presentano più di un profilo
d’inammissibilità;
secondo la costante giurisprudenza di questa Corte,
per dedurre la violazione dell’art. 115 cod. proc.
civ. occorre denunziare che il Giudice, contraddicendo espressamente o
implicitamente la regola posta da tale disposizione, abbia posto a fondamento
della decisione prove non introdotte dalle parti, ma disposte di sua iniziativa
fuori dai poteri officiosi riconosciutigli, non anche che il medesimo, nel
valutare le prove proposte dalle parti, abbia attribuito maggior forza di
convincimento ad alcune piuttosto che ad altre, essendo tale attività
consentita dall’art. 116 cod. proc. civ. (Cass.
n.26769 del 2018);
il principio di diritto sopra richiamato va letto in
correlazione con l’altro, secondo cui: «In tema di valutazione delle prove, il
principio del libero convincimento, fondamento degli artt.
115 e 116 cod. proc. civ., opera
interamente sul piano dell’apprezzamento di merito, insindacabile in sede di
legittimità, sicché la denuncia della violazione delle predette regole da parte
del giudice del merito configura un errore di fatto, il quale è censurabile
attraverso il corretto paradigma normativo del difetto di motivazione, sebbene
nei limiti consentiti dall’art. 360, comma 1, n. 5
cod. proc. civ., come riformulato dall’art. 54 del d.l. n.83 de 2012,
conv. con modif., dalla I. n.134 del 2012»
(Cass. n. 23940 del 2017);
nel caso in esame, risulta evidente dalla stessa
prospettazione della censura che il ricorrente si duole dell’omesso esame di
elementi istruttori, il che non integra, di per sé, il vizio di omesso esame di
un fatto decisivo qualora il fatto storico, rilevante in causa, sia stato
comunque preso in considerazione dal giudice (Sez
Un. n. 8053 del 2014);
infine si osserva che il vizio di violazione di
legge, segnatamente dedotto nel secondo motivo, si limita ad chiedere una
rivalutazione dei fatti di causa, poiché il ricorrente, lungi dal denunciare
una violazione di norme sostanziali o processuali, domanda a questa Corte –
inammissibilmente – di conferire alle testimonianze escusse un valore e un
significato diversi da quelli che il Tribunale, con apprezzamento di merito
insindacabile, vi ha attribuito;
il terzo motivo è inammissibile;
secondo la giurisprudenza di questa Corte “Nel
giudizio di opposizione allo stato passivo, non diversamente che nel giudizio
ordinario di cognizione, la compensazione delle spese processuali, in assenza
di una reciproca soccombenza tra le parti, è consentita solo in presenza di
gravi ed eccezionali ragioni che il giudice è tenuto ad indicare esplicitamente
nella motivazione del decreto” (Cass. n. 4521 del 2017);
nel caso in esame la Corte territoriale ha ritenuto
di dover dare attuazione al principio generale di soccombenza, ritenendo
insussistenti le condizioni legittimanti la compensazione delle spese di lite,
nel legittimo esercizio di un potere che la legge affida all’esclusiva
discrezionalità del giudice del merito;
in definitiva, il ricorso va dichiarato
inammissibile; non si provvede sulle spese in mancanza di attività difensiva da
parte dell’intimata;
in considerazione dell’inammissibilità del ricorso,
sussistono i presupposti processuali per il versamento, da parte della
ricorrente, dell’ulteriore importo a titolo di contributo unificato pari a
quello, ove dovuto, per il ricorso.
P.Q.M.
Dichiara inammissibile il ricorso.
Ai sensi dell’art. 13, comma 1-quater, del d.P.R. n.
115 del 2002, nel testo introdotto dall’art.1, comma 17 della I. n.228 del
2012, dà atto della sussistenza dei presupposti processuali per il
versamento da parte della ricorrente, dell’ulteriore importo a titolo di
contributo unificato pari a quello, ove dovuto, per il ricorso, a norma del
comma 1-bis dello stesso art. 13.