Giurisprudenza – CORTE DI CASSAZIONE – Sentenza 19 aprile 2021, n. 10267

Obbligo di iscrizione alla gestione separata Inps, Esercizio
abituale, ancorché non esclusivo, di una professione che dia luogo ad un
reddito non assoggettato a contribuzione da parte della Cassa di riferimento,
Requisito dell’abitualità accertato in punto di fatto, Percezione da parte del
libero professionista di un reddito annuo di importo inferiore a 5.000,00 euro
– Indizio per escludere che l’attività sia stata svolta con carattere di
abitualità, Mera iscrizione all’albo o la titolarità di partita IVA, elementi
non sufficienti a dimostrare l’abitualità

 

Con sentenza 9.5.19 la Corte di Appello di Firenze
ha confermato la sentenza del 9.3.18 del tribunale di Siena che aveva
dichiarato l’insussistenza dell’obbligo dell’avvocato D.M. di iscrizione alla
gestione separata INPS di cui all’articolo
2 comma 26 legge 335/95 e di pagamento dei contributi relativi dovuti per
l’anno 2009, richiesti dall’INPS con avviso di addebito di euro 435.

In particolare, ritenuta l’attività non abituale e
rilevato che l’avvocato aveva prodotto nel 2009 redditi inferiori ad euro 5000
(soglia rilevante ex articolo 44
comma 2 decreto legge  269/2003,
convertito con modificazioni in legge 326/2003),
la corte territoriale ha escluso l’obbligo di iscrizione e di pagamento dei
contributi richiesti.

Avverso tale sentenza ricorre l’INPS per un motivo,
illustrato da memoria, cui resiste il contribuente con controricorso.

Con l’unico motivo si deduce violazione degli articoli 2 commi da 26 a 31 Legge
335/95, 18 decreto legge
98/11 convertito in legge 111/11, 21 comma 8 legge 247/10, 40 e 44 comma 2 decreto legge
269/2003, convertito in legge 326/2003, per
avere trascurato che avvocato era iscritto all’albo e titolare di partita IVA.

Il ricorso è infondato.

Va premesso che, ricostruendo la portata precettiva
dell’art. 2, comma 26, I. n.
335/1995, per come autenticamente interpretato dall’art. 18, comma 12, d.l. n. 98/2011
(conv. con I. n. 111/2011), questa Corte,
sulla scorta di Cass. S.U.n. 3240 del 2010, ha
avuto modo di affermare più volte che l’obbligo di iscrizione alla Gestione
separata è genericamente rivolto a chiunque percepisca un reddito derivante
dall’esercizio abituale (ancorché non esclusivo) ed anche occasionale (oltre la
soglia monetaria indicata nell’art.44,
comma 2, d.l. n. 269/2003, conv. con I. n.
326/2003) di un’attività professionale per la quale è prevista l’iscrizione
ad un albo o ad un elenco, tale obbligo venendo meno solo se il reddito
prodotto dall’attività professionale predetta è già integralmente oggetto di
obbligo assicurativo gestito dalla cassa di riferimento (così, espressamente,
Cass. n. 32167 del 2018, in motivazione, cui hanno dato continuità, tra le
numerose, Cass. nn. 519 del 2019, 317 e 1827 del 2020, 477 e 478 del 2021). E
trattasi di affermazione che discende agevolmente dalla lettura del combinato
disposto degli artt. 2, comma 26,
I. n. 335/1995, e dell’art.
44, d.l. n. 269/2003, entrambi cit., il primo dei quali, per quanto qui
rileva, prevede l’obbligatorietà dell’iscrizione a carico dei «soggetti che
esercitino, per professione abituale, ancorché non esclusiva, attività di
lavoro autonomo, di cui al comma 1 dell’articolo 49 del testo unico delle
imposte sui redditi, approvato con decreto del Presidente della Repubblica 22
dicembre 1986, n.917, e successive modificazioni ed integrazioni», mentre
il secondo, a decorrere dal 1° gennaio 2004, estende tale obbligo anche ai
«soggetti esercenti attività di lavoro autonomo occasionale […] solo qualora
il reddito annuo derivante da dette attività sia superiore ad euro 5.000».

Nell’intento del legislatore, reso palese dalla
lettera delle disposizioni citate, l’obbligatorietà dell’iscrizione presso la
Gestione separata da parte di un professionista iscritto ad albo o elenco è
collegata, infatti, all’esercizio abituale, ancorché non esclusivo, di una
professione che dia luogo ad un reddito non assoggettato a contribuzione da
parte della cassa di riferimento; la produzione di un reddito superiore alla
soglia di euro 5.000,00 costituisce invece il presupposto affinché anche
un’attività di lavoro autonomo occasionale possa mettere capo all’iscrizione
presso la medesima Gestione, restando invece normativamente irrilevante qualora
ci si trovi in presenza di un’attività lavorativa svolta con i caratteri
dell’abitualità.

Dirimente è, insomma, il modo in cui è svolta
l’attività libero professionale, se in forma abituale o meno.

Una volta chiarito che il requisito dell’abitualità
dev’essere accertato in punto di fatto, ben può la percezione da parte del libero
professionista di un reddito annuo di importo inferiore a € 5.000,00 rilevare
quale indizio per escludere che, in concreto, l’attività sia stata svolta con
carattere di abitualità (fermo restando che l’abitualità di cui si discute
dev’essere apprezzata nella sua dimensione di scelta ex ante del libero
professionista, coerentemente con la disciplina che è propria delle gestioni
dei lavoratori autonomi, e non invece come conseguenza ex post desumibile
dall’ammontare di reddito prodotto, dal momento che ciò equivarrebbe a tornare
ad ancorare il requisito dell’iscrizione alla Gestione separata alla produzione
di un reddito superiore alla soglia di cui all’art. 44, d.l. n. 269/2003, cit.).

La Corte di merito, in difetto di prova -di cui era
onerato l’INPS di abitualità dell’attività, ha accertato nel caso che
l’attività svolta dal professionista era occasionale e produttiva di reddito
modesto, inferiore al limite. A fronte di tale accertamento, la mera iscrizione
all’albo o la titolarità di partita IVA non sono elementi sufficienti a
dimostrare l’abitualità dell’esercizio dell’attività professionale, trattandosi
per converso -come accertato dalla corte territoriale- di modesta attività non
esorbitante dall’occasionalità.

Spese secondo soccombenza.

Sussistono i requisiti processuali per il raddoppio
del contributo unificato, se dovuto, a carico del ricorrente.

 

P.Q.M.

 

rigetta il ricorso.

Condanna il ricorrente al pagamento delle spese di
lite, che liquida in euro 200 per compensi professionali e 200 per esborsi,
oltre spese generali al 15% ed accessori come per legge.

Ai sensi dell’art. 13, co. 1 quater, del d.lgs. n.
115 del 2002 dà atto della sussistenza dei presupposti processuali per il
versamento da parte della ricorrente dell’ulteriore importo a titolo di
contributo unificato pari a quello previsto per il ricorso a norma del comma 1
bis dello stesso art. 13, ove
dovuto.

Giurisprudenza – CORTE DI CASSAZIONE – Sentenza 19 aprile 2021, n. 10267
%d blogger hanno fatto clic su Mi Piace per questo: