Giurisprudenza – CORTE DI CASSAZIONE – Ordinanza 20 aprile 2021, n. 10382
Contratto di agenzia, Accertamento di grave inadempimento,
Commercializzazione di prodotti in diretta concorrenza con quelli oggetto del
contratto, Risarcimento dei danni patrimoniali per danno emergente e lucro
cessante, lnvalidità della clausola penale in quanto vessatoria, Piena
sovrapponibilità tra patto di esclusiva e divieto di concorrenza
Rilevato
Che, con sentenza del 21 aprile 2017, la Corte
d’Appello di Roma, in parziale riforma della decisione resa dal Tribunale di
Velletri di integrale rigetto della domanda proposta da V.E. S.p.A. nei
confronti di E.P., alla prima legato da un contratto di agenzia, avente ad
oggetto l’accertamento del grave inadempimento del predetto contratto di
agenzia inter partes, dato dall’aver costituito con altro agente una società
denominata C. S.r.l. ed aver commercializzato prodotti in diretta concorrenza
con quelli oggetto del contratto di agenzia nonché la violazione degli artt. 1746 e 2598, n.
3, c.c. con conseguente condanna dell’agente al pagamento della penale,
pari alle provvigioni maturate nei dodici mesi precedenti la cessazione del
rapporto, prevista dall’art. 12 del contratto inter partes, al risarcimento dei
danni patrimoniali per danno emergente e lucro cessante variamente quantificati
ed alla restituzione del FIRR dalla data di costituzione della C. S.r.l. fino
alla cessazione del rapporto, si pronunziava condannando il P. a corrispondere
alla Società la somma corrispondente alla penale ed un importo a titolo di
risarcimento ulteriore; che la decisione della Corte territoriale discende
dall’aver questa ritenuto di dover disattendere l’orientamento espresso dal
primo giudice circa l’invalidità della clausola penale in quanto vessatoria e
tale da richiedere la doppia sottoscrizione, in relazione alla quale aveva
omesso qualsiasi accertamento istruttorio circa il denunciato inadempimento, da
qualificarsi, sulla base dei fatti allegati e provati nel corso
dell’istruttoria espletata in sede di gravame e comunque non contestati,
viceversa sussistente alla stregua del dovere di lealtà buona fede, operante
anche con riguardo ai rapporti di lavoro parasubordinato, quale elemento naturale
dello stesso, così da escluderne il carattere vessatorio e di dover, pertanto,
riconoscere il diritto della Società alle pretese risarcitorie, da
circoscriversi, peraltro, alla penale convenuta e correttamente fatta oggetto,
in quanto vessatoria, di doppia sottoscrizione e al danno ulteriore, parimenti
riconosciuto nel contratto inter partes, quantificato, sulla base
dell’espletata CTU, in relazione al mancato guadagno, dedotto, tuttavia,
l’importo della penale, risultando indifferente, ai fini della condanna,
pronunziata con riguardo alla misura integrale del danno conseguente
all’inadempimento, la posizione del P. di mero responsabile in solido con altro
obbligato parimenti coinvolto nel medesimo comportamento inadempiente;
– che per la cassazione di tale decisione ricorre il
P., affidando l’impugnazione a due motivi, cui resiste, con controricorso, la
Società;
– che la Società controricorrente ha poi depositato
memoria;
Considerato
– che, con il primo motivo, il ricorrente nel
denunciare la violazione e falsa applicazione degli artt.
1746, 1743, 2598
c.c., 7 del contratto di agenzia, 1341 e 1342 c.c., lamenta la non conformità a diritto
dell’orientamento espresso dalla Corte territoriale circa l’operare quale
elemento naturale del contratto di agenzia il dovere di lealtà e buona fede
che, secondo il ricorrente, finisce per imporre all’agente un obbligo di non
concorrenza, da ritenersi, viceversa, inconferente per essere la clausola di
esclusiva rimessa alla volontà delle parti e, pertanto, meramente eventuale, e
configurata alla stregua di una clausola vessatoria, in quanto limitativa della
libertà contrattuale delle parti, così da richiedere la doppia sottoscrizione
nella specie non risultante dal contratto;
– che, con il secondo motivo, denunciando la
violazione e falsa applicazione degli artt. 2697
c.c., 115, 116
e 210 c.p.c., il ricorrente imputa alla Corte
l’error in procedendo dato dalla disposta ammissione dei mezzi di prova e della
CTU in ordine alla sussistenza ed alla rilevanza dell’inadempimento della
clausola di non concorrenza da ritenersi viceversa nulla ed altresì di aver
disposto la condanna al risarcimento del danno in difetto della prova del
medesimo essendo a tal fine irrilevante il mancato raggiungimento del fatturato
concordato;
che il primo motivo deve ritenersi infondato non
potendosi condividere l’impostazione sottesa alla formulazione della censura,
data dalla piena sovrapponibilità tra patto di esclusiva e divieto di
concorrenza, configurandosi il primo come limite esterno ed ulteriore
all’attività ordinaria dell’agente volto a non consentire al medesimo di
acquisire una pluralità di mandati, mentre il secondo si concreta in un limite
interno e connaturale al rapporto di agenzia, che osta a che l’agente possa
assumere sul mercato la posizione, eccedente il ruolo cui risulta obbligato in
base al relativo contratto, di produttore di beni in diretta concorrenza con il
prodotto di cui, come agente, è tenuto a promuovere la commercializzazione,
differenza concettuale che vale a conferire pieno fondamento giuridico
all’orientamento accolto dalla Corte territoriale che ha correttamente
configurato il divieto di concorrenza di cui al contratto inter partes come
riflesso di un connaturato dovere di buona fede nell’esecuzione del contratto,
previsto in via generale dall’art. 1375 c.c. e
non come limite ulteriore alla libertà negoziale dell’agente, non qualificabile
come clausola vessatoria e tale, perciò, da non richiedere, ai fini della sua
validità, la doppia sottoscrizione ai sensi dell’art.
1341 c.c.; che il secondo motivo si rivela viceversa infondato nella parte
relativa al denunciato error in procedendo che, per quanto sopra detto circa la
validità della clausola sul divieto di concorrenza, deve dirsi insussistente ed
inammissibile per la parte in cui si risolve in una mera confutazione
dell’apprezzamento operato dalla Corte territoriale dell’esito
dell’istruttoria, stante, al di là dell’insindacabilità di tale apprezzamento,
la ragionevolezza del criterio di valutazione del danno individuato dalla Corte
territoriale ed ancorato all’unico elemento di fatto sicuramente provato ed in
sé indicativo di un impegno sottodimensionato dell’agente, riconducibile
all’attività svolta in concorrenza, dato dal mancato raggiungimento del
fatturato concordato;
– che il ricorso va dunque rigettato;
– che le spese seguono la soccombenza e sono
liquidate come da dispositivo.
P.Q.M.
Rigetta il ricorso e condanna parte ricorrente al
pagamento delle spese del presente giudizio di legittimità che liquida in euro
200,00 per esborsi ed euro 5.250,00 per compensi, oltre spese generali al 15%
ed altri accessori di legge.
Ai sensi dell’art. 13, co. 1 quater del d.P.R. n.
115 del 2002, dà atto della sussistenza dei presupposti processuali per il
versamento da parte delle ricorrenti, dell’ulteriore importo a titolo di
contributo unificato pari a quello previsto per i ricorsi, a norma del co. 1 bis dello stesso art. 13, se
dovuto.