La durata e la notorietà del demansionamento provano il danno non patrimoniale. La mancata fissazione degli obiettivi e dei criteri di valutazione non è di per sé sufficiente a fondare una pretesa risarcitoria del dipendente titolare della posizione organizzativa.
Nota a Cass. (ord.) 12 marzo 2021, n. 7067
Gennaro Ilias Vigliotti
Interessanti i rilievi della Corte di Cassazione (ord. 12 marzo 2021, n. 7067) che accoglie alcuni principi in linea con il giudice del merito (App. Cagliari n. 462/2015), il quale ha condannato un Comune a risarcire il danno non patrimoniale da demansionamento e da atti vessatori, nella misura del 25% della retribuzione percepita da un dipendente al termine del rapporto, oltre agli interessi legali dalla sentenza al saldo.
La Corte territoriale ha inoltre ritenuto illegittima la revoca della posizione organizzativa («responsabile dell’ufficio tecnico») precedentemente conferita al lavoratore, in quanto avvenuta senza attivare il contraddittorio con il dipendente, in violazione dell’art., 9, co. 4, ccnl comparto enti locali 31 marzo 1999. Dall’illegittimità della revoca è conseguito il diritto al risarcimento del danno, nella misura della retribuzione di posizione che sarebbe maturata nel periodo intercorrente dalla revoca alla naturale scadenza dell’incarico.
Al riguardo, la Cassazione ha precisato che “la mancata assegnazione degli obiettivi e la mancata predisposizione di criteri di valutazione non sono fatti ex sé sufficienti a fondare una pretesa risarcitoria del dipendente titolare della posizione organizzativa, non essendo scontato che ove il datore di lavoro avesse dato corso ai suoi adempimenti il dipendente avrebbe conseguito una valutazione positiva” (così, anche Cass. n. 21166/2019). Allo stesso modo, nell’ipotesi di revoca illegittima della posizione organizzativa, il dipendente ha l’onere di allegare e dimostrare la chance di conseguire il risultato, anche in via presuntiva (in tal senso, Cass. n. 9392/2017).
Secondo la sentenza di merito, inoltre, costituiscono la prova del danno non patrimoniale per lesione del diritto, ex artt. 2, 4, e 35 Cost., all’esercizio delle mansioni (con conseguente liquidazione del danno rapportata in via equitativa al 25% della retribuzione netta, oltre interessi legali): il progressivo svuotamento delle mansioni accompagnato da atti e comportamenti lesivi della dignità personale e professionale (fra cui l’applicazione della sanzione della censura illegittima sia sotto il profilo procedurale che nel merito); la lunga durata del demansionamento; “la sua evidente notorietà in un ambiente lavorativo ristretto ed in un paese piccolo”; altri atti ostili e le modalità del licenziamento.