In caso di frode è sufficiente l’impugnazione del provvedimento finale della sequenza negoziale.
Nota a App. Roma, 1° sez. lav. e prev., 3 febbraio 2021, n. 402
Fabrizio Girolami
Qualora si accerti che il datore di lavoro abbia adottato un trasferimento del lavoratore da una unità produttiva a un’altra (ex art. 2103 c.c.) come “strumento di frode” per eludere un ordine di reintegrazione nel posto di lavoro disposto dall’Autorità Giudiziaria per un precedente licenziamento, l’impugnazione del relativo provvedimento, non è soggetta al termine decadenziale di 60 giorni.
Lo ha affermato la Corte d’Appello di Roma (3 febbraio 2021, n. 402), la quale – uniformandosi ai principi della Cassazione in materia di contratto in frode alla legge ex art. 1344 c.c. (cfr., tra le altre, Cass. 17.02. 2020, n. 29007), valevoli anche per gli atti unilaterali, quali il licenziamento e il trasferimento – ha accolto il reclamo del lavoratore, rilevando quanto segue:
- la mancata esecuzione dell’ordine di reintegrazione, con l’assegnazione a mansioni diverse da quelle originarie, e la stretta concatenazione di tempi tra l’adibizione del lavoratore reintegrato nel reparto della sede di Latina, la soppressione di quest’ultimo reparto e l’intervenuto trasferimento del lavoratore, quale responsabile dello stesso, a Napoli, a oltre 150 km di distanza “rende francamente manifesto l’intendimento datoriale di eludere” l’ordine giudiziale di reintegra contenuto nella sentenza del Tribunale di Latina n. 963/2018;
- in particolare, l’operazione attuata dalla società datrice di lavoro costituisce una “(evidente) manovra di aggiramento dell’ordine giudiziale di reintegra: manovra che, essenzialmente, si scompone in più passaggi apparentemente leciti (adibizione del lavoratore non alle mansioni originarie, pur presenti nell’organigramma aziendale, ma ad altre diverse, inserimento in un reparto oggetto di soppressione e ricostituzione in altra sede, trasferimento del lavoratore unitamente al reparto, applicazione di plurime sanzioni conservative per mancata esecuzione della prestazione nella nuova sede) che nella loro concatenazione causale, determinano, pur nella apparente liceità dei mezzi impiegati, un risultato ex se illecito perché integrante un aggiramento del dictum di reintegra, distorcendo in tal guisa la funzione negoziale dei singoli atti in concreto impiegati al fine di perseguire il risultato vietato (art. 1344 c.c.)”;
- l’intera operazione è, dunque, inquadrabile nello schema della “frode alla legge”, per cui il licenziamento (e gli atti negoziali ad esso strettamente correlati) sono affetti da nullità, in quanto volti ad “aggirare l’ordine giudiziale di reintegra già impartito”;
- ne deriva che non è ravvisabile la violazione del termine di decadenza di cui all’art. 32, co. 3, lett. c), della legge n. 183/2010 per l’impugnazione del provvedimento datoriale di trasferimento nella sede di Napoli, in quanto l’impugnativa di detto trasferimento – come rilevato da Cass. n. 29007/2020 – si pone solo quale “ineludibile passaggio giuridico per addivenire alla declaratoria di illegittimità del licenziamento disciplinare e strumentale all’accoglimento del petitum mediato”;
- il lavoratore, nel caso di specie, ha inteso conseguire una pronuncia di accertamento della illegittimità del licenziamento intimato “che si pone in rapporto di biunivoca, necessaria relazione rispetto al pregresso trasferimento disposto presso la sede partenopea”;
- ne consegue che l’avere tempestivamente impugnato l’atto finale della condotta illecita assunta dal datore di lavoro esonera il lavoratore “dalla necessità di contestare la legittimità del provvedimento di trasferimento emanato dalla società nell’esercizio dello jus variandi”.
Alla luce delle suesposte considerazioni, la Corte d’Appello ha dichiarato la nullità del licenziamento, condannando, per l’effetto, la società alla reintegrazione del lavoratore nell’originario posto di lavoro precedentemente occupato dal lavoratore e alla corresponsione di un’indennità risarcitoria commisurata all’ultima retribuzione globale di fatto dal giorno del licenziamento sino a quello dell’effettiva reintegrazione, oltre interessi legali e rivalutazione monetaria, nonché al versamento dei contributi previdenziali e assistenziali.