Giurisprudenza – CORTE DI CASSAZIONE – Ordinanza 23 aprile 2021, n. 10865

Sussistenza di un rapporto di lavoro subordinato,
Accertamento, Prova della mancata corresponsione della retribuzione,
Effettivo impegno lavorativo in termini di giorni ed ore

 

Rilevato

 

che il Tribunale di Isernia, con la sentenza n.
234/2011 depositata 23.11.2011, ha rigettato il ricorso proposto da Z.K., nei
confronti di C. di C.P. & C. S.a.s. in liquidazione, diretto ad ottenere,
previo accertamento della natura subordinata del rapporto di lavoro intercorso
tra le parti dal 14.6.2002 ed il 10.12.2003, il pagamento della complessiva
somma di Euro 26.453,87 a titolo di retribuzioni, lavoro straordinario,
tredicesima e quattordicesima mensilità e T.F.R.,

oltre interessi legali e rivalutazione monetaria;

che la Corte di Appello di Roma, con sentenza
depositata il 23.12.2014, ha respinto il gravame interposto dalla lavoratrice
avverso la pronunzia del primo giudice;

che per la cassazione della sentenza ricorre Z.K.
articolando due motivi;

che la C. di C.P. & C. S.a.s. in liquidazione,
resiste con controricorso che sono state comunicate memorie nell’interesse
della K.; che il P.G. non ha formulato richieste

 

Considerato

 

che, con il ricorso, si deduce: 1) in riferimento
all’art. 360, primo comma, nn. 3 e 5, c.p.c.,
lallazione e/o falsa applicazione dei principi sulle prove e dell’art. 116 c.p.c. circa la prova della mancata
corresponsione della retribuzione, della durata della prestazione lavorativa e
dell’effettivo impegno lavorativo in termini di giorni ed ore, ed in
particolare, si lamenta che, al riguardo, la motivazione della Corte di merito
sia del tutto apparente, avendo operato esclusivamente un richiamo acritico
alla motivazione di primo grado, senza fornire alcuna risposta concreta alle
articolate censure mosse dalla parte appellante alla pronunzia del primo
giudice, sia in ordine al valore probatorio delle buste paga non sottoscritte
dalla lavoratrice, sia circa la non attendibilità dei testi escussi; 2) in
riferimento all’art. 360, primo comma, n. 3, c.p.c.,
la violazione e falsa applicazione degli artt. 2967
c.c.; 115 e 116
c.p.c., per avere la Corte territoriale erroneamente ritenuto non provata
la sussistenza del rapporto di lavoro nei termini descritti dalla K., nonché la
mancata retribuzione da parte della datrice di lavoro; che il primo motivo è
fondato, poiché la motivazione della sentenza oggetto del presente giudizio è
del tutto apparente, secondo quanto di seguito specificato. Al riguardo, è da
premettere che, come sottolineato dalle Sezioni Unite di questa Corte (con la sentenza n. 8053 del 2014), per effetto della
riforma del 2012, per un verso, è denunciabile in Cassazione solo l’anomalia
motivazionale che si tramuta in violazione di legge costituzionalmente
rilevante, in quanto attinente all’esistenza della motivazione in sé, purché il
vizio risulti dal testo della sentenza impugnata, a prescindere dal confronto
con le risultanze processuali (tale anomalia si esaurisce nella “mancanza
assoluta di motivi sotto l’aspetto materiale e grafico”, nella
“motivazione apparente”, nel “contrasto irriducibile tra
affermazioni inconciliabili” e nella “motivazione perplessa ed
obiettivamente incomprensibile”, esclusa qualunque rilevanza del semplice
difetto di “sufficienza” della motivazione); per l’altro verso, è
stato introdotto nell’ordinamento un vizio specifico denunciabile per
cassazione, relativo all’omesso esame di un fatto storico, principale o
secondario, la cui esistenza risulti dal testo della sentenza o dagli atti
processuali, che abbia costituito oggetto di discussione tra le parti e abbia
carattere decisivo (vale a dire che, se esaminato, avrebbe determinato un esito
diverso della controversia). Orbene, poiché la sentenza oggetto del giudizio di
legittimità è stata pubblicata, come riferito in narrativa, il 23.12.2014,
nella fattispecie si applica, ratione temporis, il nuovo testo dell’art. 360, comma 1, n. 5), come sostituito dall’art. 54, comma 1, lettera b), del D.l.
n. 83 del 2012, convertito, con modificazioni, nella I. n. 134 del 2012, a norma del quale la sentenza
può essere impugnata con ricorso per cassazione per omesso esame circa un fatto
decisivo per il giudizio che è stato oggetto di discussione tra le parti; che,
nel caso in esame, il motivo di ricorso che denuncia il vizio motivazionale
indica (v., in particolare, pagg. 5 e 6 del ricorso) il fatto storico (Cass. n.
21152/2014), con carattere di decisività, che è stato oggetto di discussione
tra le parti e che la Corte di Appello ha omesso di esaminare; ed inoltre fa
riferimento, alla sentenza <<così radicale da comportare>> in linea
con <<quanto previsto dall’art. 132, n. 4,
c.p.c., la nullità della sentenza per mancanza di motivazione>>. Ed
invero, la motivazione della sentenza impugnata, che consta di poche righe, si
limita a <<fare proprie le argomentazioni espresse dal primo giudice,
ritenute tutte condivisibili>> e ad affermare che <<non è fondato
l’assunto di parte appellante relativamente, in particolare, alla sussistenza
della prova dei propri assunti>>, senza prendere in esame alcuno dei
motivi di gravame e senza dare conto delle ragioni della conferma della
pronunzia di prima istanza (v., tra le altre, Cass. n. 28139/2018); pertanto,
la stessa risulta obiettivamente incomprensibile e presenta, altresì, le
evidenti lacune argomentative denunziate dalla ricorrente, in particolare, in
ordine agli elementi delibatori (testimonianze assunte; valore delle buste paga
prive della sottoscrizione della lavoratrice);

che, dunque, nelle scarne affermazioni della Corte
di Appello mancano, all’evidenza, l’esistenza e la coerenza del percorso
motivazionale (cfr., tra le molte, Cass. nn. 2220/2019; 25229/2015) – profili, questi, ancora
sottoponibili al vaglio di legittimità -, al punto tale da rendere del tutto
incomprensibile l’iter logico che ha condotto i giudici alla decisione oggetto
del presente giudizio, posto che la sentenza di secondo grado presenta una
motivazione del tutto apparente, come condivisibimente dedotto dalla ricorrente
nell’articolazione del primo motivo;

che il secondo motivo risulta, all’evidenza,
assorbito dalle considerazioni che precedono;

che per tutto quanto esposto, la sentenza va
cassata, in relazione al motivo accolto, con rinvio della causa alla Corte di
Appello di Campobasso, in diversa composizione, che provvederà al riesame del
merito, statuendo, altresì, sulla liquidazione delle spese del giudizio di
legittimità.

 

P.Q.M.

 

Accoglie il primo motivo di ricorso; assorbito il
secondo. Cassa la sentenza impugnata, in relazione al motivo accolto, e rinvia
alla Corte di Appello di Campobasso, in diversa composizione, anche per la
determinazione delle spese del giudizio di legittimità.

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